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Autore: Sethmentecontorta    18/05/2016    1 recensioni
Camminava muta, come chiusa in una bolla che la separava dal resto del mondo: i suoni e le immagini la toccavano solo a metà, qualunque gioia, volontà, felicità era scivolata via da tempo. Era solo una dodicenne, quanto tempo avrebbe resistito sola a quel modo? Che motivo aveva per andare avanti? Ah, lei lo sapeva eccome quale motivo la convinceva a continuare, seppur così.
Nonostante la sua mente fosse così offuscata da oscuri pensieri, l’animo appesantito, il suo passo incedeva leggero, invariato; attraversava strade, superava semafori, negozi, parchi, case, persone. Quel mondo che le appariva così distante, in cui i bambini ridevano giocando insieme, le ragazze come lei chiacchieravano dei loro amori adolescenziali o di qualunque cosa interessasse loro, gli adulti affannavano dietro al lavoro, ai figli, a mogli e mariti. Mentre la vita scorreva frenetica, lei camminava lentamente per la sua via; lo sguardo nel vuoto, la treccia ondeggiante lungo la schiena con un ritmo quasi ipnotico. Era così estranea.
~
|Remake di "The dreamer girl|OC, Kidou Yuuto, Goenji Shuuya, Fubuki Shirou, Fudou Akio|triste|
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axel/Shuuya, Caleb/Akio, Jude/Yuuto, Nuovo personaggio, Shawn/Shirou
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seth's corner: Salve miei cari pochi lettori all'ascolto! Vi chiedo scusa per il ritardo di qualche giorno, la scuola mi sta svuotando di ogni mia forza, dato che sono impegnata a non farmi rimandare. Inoltre, potrete notare che ho iniziato una long a quattro mani col caro P h o b i a su Assassination Classroom, e come se non bastasse devo scriverne altre due (una su Attack on titan una originale) il prima possibile, quindi ho più che l'imbarazzo della scelta quando voglio mettermi a scrivere. Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare il 28, ma dato che è anche il mio ultimo giorno di scuola dopo mi tocca lavorare, sigh non so se mi sarà possibile prepararlo in tempo, come ho detto, devo ancora raggiungere il sei in scienze e fisica e faccio un liceo scientifico io, seh. Anyway, farò del mio meglio, ve lo prometto. 
Ma parliamo del capitolo, per una volta sposteremo l'attenzione dalla nostra Tenshi, e una parte molto importante del suo passato sarà rivelata. Ve l'ho già anticipata nello scorso capitolo, coraggio, potete immaginare senza problemi di cosa si tratti. Si scoprono anche altre cosine intriganti, oltre tutto, quindi spero vivamente questo capitolo possa essere di vostro gradimento. Siamo già arrivati quasi al termine della prima serie della prima stagione di Inazuma Eleven, col prossimo capitolo sarà conclusa ed al sette si potrà passare alla seconda, e ciò è molto buono perché è da lì che iniziano veramente le cose interessanti.
L'immagine del capitolo è nuovamente opera mia, anche se l'altalena di Tenshi sarebbe fatta di legno e corda, non di plastica e metallo, ho comunque preferito usare questa foto piuttosto che una trovata su deviantart perché quell'altalena ha una certa importanza per me, per cui mi sembrava una cosa carina da fare, ed oltretutto c'erano le margherite. Questa volta di canzoni da consigliarvi per la lettura ne ho due, in quanto per tutta la prima parte dei ricordi vi consiglio Thnk fr th mmrs, mentre il resto del capitolo preferirei fosse accompagnato da Centuries, entrambe dei Fall out boy. Sì, più tempo passa più io divento punkettara, per cui rassegnatevi all'idea che non vi consiglierò mai Shawn Mendes o Ariana Grande. Non succederà. Mettetevi il cuore in pace. 
Come ultima cosa, mi faccio pubblicità da sola, lasciandovi il link della one shot fantascientifica di cui vi avevo parlato nello scorso capitolo, si chiama Ricordi impressi sulle note di un pianoforte. Se il genere vi piace e vi va di buttargli un occhio ne sarei infinitamente felice. Il contest è scaduto, i risultati arriveranno fra tipo mezzo mese ed io sono assai ansiosa, ahah. 
Ora vi lascio alla lettura, se avete letto davvero tutto l'angolo dell'autore vi faccio i miei complimenti e vi regalo un biscotto. 
~Seth


 
Chapter 5 ❧ Kidou's memories and frustration

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C'erano diverse cose che Kidou non ricordava di quel periodo. Non ricordava quando si fosse svegliato senza riuscire più a ricordare il colore degli occhi di suo padre, non ricordava quando precisamente Kageyama fosse entrato nella sua vita, né quando avesse smesso di piangere la notte perché i suoi genitori non erano tornati neppure quel giorno. Ricordava, invece, la forza con cui aveva stretto fra le sue braccia sua sorella quando avevano detto loro che mamma e papà non sarebbero tornati, la rabbia con cui aveva risposto che era impossibile, che sarebbero venuti da loro. Un'altra cosa che ricordava bene di allora, di quel periodo della sua vita passato fra le mura di un orfanotrofio, era Tenshi. Ricordava la bambina silenziosa che si dondolava sempre su quell'altalena di corda e legno in un angolo del giardino, spesso in silenzio ed in disparte. Ricordava che i suoi capelli allora le arrivavano appena alle spalle, ricordava il tocco triste del suo sguardo, allora ancora leggero ed innocente. Non era sempre sola, spesso giocava e chiacchierava con altri bambini, ma sempre dopo un po' sembrava dover ritirarsi e stare da sola per un po'. Era stato affascinato da quella piccola figura quasi eterea, nonostante si limitasse ad osservarla qualche volta, senza mai parlarle. Per qualche motivo sembrava essersi convinto che se l'avesse fatto sarebbe scomparsa, come uno spettro. 
La prima a parlarle era stata Haruna, un giorno che l'aveva veduta seduta sugli scalini all'ingresso, mentre lei saltellava su un piede solo sul vialetto. L'aveva osservata guardare le nuvole, poi si era decisa a rivolgerle la parola. Egli non aveva mai saputo cosa di preciso si fossero dette, quel giorno, ma ricordava che subito dopo quell'avvenimento la sorella gli aveva chiesto, con una certa urgenza nella voce, se sarebbe rimasto sempre con lei. 
Aveva fatto una scommessa con se stesso, avrebbe fatto amicizia con la bambina dagli occhi del colore del cielo in un giorno di pioggia, avrebbe fatto in modo che invece delle nuvole avrebbe guardato lui. 
"Da quanto tempo sei qui?" le aveva chiesto, mentre lei era intenta a scarabocchiare su di un quadernino. Riconobbe tra le tracce di grafite la forma di alcuni fiori, probabilmente le margherite che crescevano nel prato su cui era seduta.
"Non ricordo, dicono che avevo poco più di un anno quando sono stata abbandonata." il suo sguardo non si alzò dal foglio, ma la sua vocina flebile, come non fosse abituata a parlare ad alta voce, l'aveva colpito. 
"Ti piacciono le margherite?" aveva chiesto, piegandosi sulle ginocchia in modo da avvicinarsi a lei.
"Sono carine, sembrano piccole spose. Mi ricordano una promessa." 
Poi era abbastanza sicuro avessero parlato per diversi minuti di non ricordava neppure lui cosa.
Non si era guadagnato la sua amicizia da quel giorno, aveva dovuto continuare ad avvicinarsi per un po', farle domande. Le sue risposte spesso erano veloci, schive, i suoi occhi bassi, ma tutto ciò non faceva che spingerlo a desiderare ancora di più di vincere quella scommessa. Sarebbe riuscito ad entrare nel mondo di Tenshi, lo sentiva. 
Ed era successo, non sapeva bene come, probabilmente era successo progressivamente, tanto che non se ne era neppure accorto. Eppure pian piano il suo sguardo aveva iniziato ad alzarsi sul suo viso, le sue labbra avevano iniziato ad incurvarsi quando si incontravano, aveva iniziato a sentire la sua voce chiamarlo di tanto in tanto. I suoi sorrisi non erano enormi e radiosi come quelli degli altri bambini, ma erano dolci e le illuminavano le iridi di una luce meravigliosa. Ricordava i pomeriggi primaverili, poi estivi, passati in cortile a giocare sull'erba di un verde splendente, che sapevano non essere la più bella al mondo, ma che per loro bastava. Le margherite che puntellavano le loro giornate, con cui Haruna intrecciava corone che poneva sul capo all'altra bambina ed a se stessa, ricordava di averle poste tra i suoi capelli in diverse occasioni. Le ginocchia sbucciate, i cerotti colorati, le trecce che le manine tozze di sua sorella intrecciava, le risate delle cadute e dei ruzzoloni, i capelli di Tenshi che carezzavano l'aria quando correva o giocava, erano tutte memorie impresse indelebilmente nella sua mente. Il suono migliore che ricordava della sua infanzia era quello delle loro risate mischiarsi, la propria, quella acuta di Haruna e quella rara e melodiosa di Tenshi. Eppure, quel suono era stato effimero, e ben più presente nella sua memoria era quello di numerosi pianti, il silenzio della sua stanza rotto dai propri singhiozzi, il viso impassibile con cui la sua migliore amica aveva detto loro di essere stata adottata. In tutto quel tempo, in quei due anni passati insieme, egli non l'aveva mai veduta piangere, neppure quando se n'era andata con Kageyama, che teneva una mano poggiata sulla sua testa, come a volerla comunicare tutta la pressione cui sarebbe dovuta sottostare da lì in avanti a causa sua. 
Pian piano, tutti e tre avevano lasciato quel nido che era stato quell'orfanotrofio. Prima Tenshi, poi lui, infine Haruna, la più piccola tra loro. Doveva ammettere di attendere il giorno in cui si sarebbero riuniti nuovamente tutti insieme, osservare l'uno le cicatrice dell'altro, comparare il modo in cui erano cambiati. Saremo mai di nuovo seduti su un prato pieno di margherite?
Spostò lo sguardo sul comodino, dove i loro innocenti sorrisi infantili incorniciati in una fotografia lo portava a perdersi ancora ed ancora una volta in quelle memorie che per lui erano le migliori avesse, nonostante fossero circondate da cupe ombre di tristezza e lacrime.  

Con lo stato d'animo di un soldato ferito in battaglia, sedette sulla panchina ed osservò la sua squadra prendere posto in campo. Il freddo vuoto al suo fianco, al cui posto avrebbe dovuto percepire la tiepida presenza di Tenshi, sembrava attirare il suo sguardo in quella direzione, ma resistette a quell'impulso. Concentrò la sua attenzione sugli avversari che li osservavano minacciosi dalla loro metà del campo. Gli sguardi che si lanciavano i giocatori avevano la stessa intensità, Kidou sentiva che quello che si sarebbe svolto di lì a poco sarebbe stato uno scontro tra titani. Immaginò la loro manager dire che aveva una strana sensazione, sentiva che sarebbe stato ciò che avrebbe detto in quel momento. Le sensazioni di Tenshi non avevano mai portato a nulla di buono. Eppure, pur con quell'impressione, non pensava avrebbero perso, loro erano la grande Teikoku gakuen, non avrebbero dato a quella Zeus vita facile. 
Per lo meno, questo era stato ciò che aveva creduto fino a quando la partita non era iniziata, fino a quando non aveva iniziato a vedere i propri compagni cadere uno dopo l'altro, sopraffatti dall'inarrestabile forza di quei ragazzi che di umano sembravano non avere neppure l'aspetto. Boccheggiava, mentre assisteva inerme, in piedi, alla caduta di quella leggenda che erano stati, le mani strette a pugno tremavano. Desiderava più di ogni altra cosa scendere in campo, aiutare i suoi compagni o per lo meno cadere insieme a loro, ma dato il suo infortunio non glielo permettevano. A mano a mano che rabbia e frustrazione prendevano possesso del suo corpo, i suoi amici continuavano a venir umiliati e feriti sotto ai suoi occhi. Pensò che sarebbe stato molto meno doloroso se se ne fosse andato, ma gli sembrava di non potere, di essere bloccato lì, rigido come una statua di cera. 
Vide il capitano di quella squadra rivolgere il viso verso di lui, guardarlo con curiosità e malignità nello sguardo, ghignando della sua sofferenza, della sua impotenza, per poi scaraventare con violenza un pallone contro Genda. Sentì la necessità di gridare, ma dalla sua gola non uscivano che flebili versi inarticolati. 
Pensò che quella doveva essere ciò che avevano provato i loro avversari passati, la certezza di non poter far nulla all'infuori che lasciarsi schiacchiare da ragazzini incattiviti, che sorridevano del loro dolore. Si sentì improvvisemente in colpa, si strinse la testa fra le mani, chiudendo gli occhi. Udiva le urla dei suoi compagni, le sentiva colpirle le orecchie con tanta violenza che desiderò non possedere affatto il senso dell'udito. 
Proprio ora che avevamo deciso di diventare giocatori giusti. Quella doveva essere la punizione  per la loro arroganza, certo. 

Tenshi corse verso Terumi, che camminava tranquillamente per il grigio corridoio di quell'enorme stadio, piantandogli un pugno in pieno petto. Lui, sorpreso da tale gesto, boccheggiò per qualche istante, poggiando le mani sotto i suoi gomiti mentre lei lo tempestava di colpi sempre più deboli. Quando smise di percuoterlo, strinse la sua maglia fra le mani, tremando e digrignando i denti. 
– Cretino, perché l'avete fatto? – lo apostrofò.
– Abbiamo eseguito gli ordini, noi non possiamo farci nulla. Non è colpa nostra, ma di quei buoni a nulla che non hanno saputo difendersi. – sentì la presa sulla propria divisa farsi tanto stretta da sentire le unghie della ragazza graffiargli la pelle pure attraverso di essa. 
– Sta' zitto! Sono la squadra migliore del Giappone.
– No, non lo sono più. Ora lo siamo noi. – la scansò da sé, cercando di guardare il suo viso che era piegato verso il pavimento. – Non scaricare la tua frustrazione su di me, tutto questo è parte del nostro patto con Kageyama, non possiamo permetterci di disubbidire ad un suo ordine.
– Cosa vi ha dato in cambio? –  chiese lei tanto tempestivamente da sorprendere il ragazzo. 
– Quello che vedi, il successo, la gloria, la vittoria. Chiamala pure come preferisci, ma è questo ciò che ci lega a quell'uomo, ci ha dato la forza per scalare questa vetta.
– Non vi ha dato forza, vi ha dato una droga! – urlò lei, colpendolo nuovamente con un pugno. – Apri gli occhi, accidenti, vi state distruggendo da soli, hai tredici anni Terumi. 
In tutta risposta, il capitano della Zeus le sorrise. 
– E' la prima volta che mi chiami Terumi e non Aphrodite. – fece per allontanarsi, ma la voce della ragazza lo fermò nuovamente. 
– A me ha promesso di farmi conoscere il mio passato, chi sono i miei veri genitori. Sono cinque anni che me l'ha promesso, eppure sono ancora qui, ancora ignara di tutto. Non puoi fidarti di Kageyama, Terumi. Ti prego, piantate tutto qui, ritiratevi, smettete di fare del male a voi stessi e agli altri. 
Afuro si fermò, rimanendo immobile per alcuni secondi, guardando il vuoto di fronte a sé e poi il soffitto, sospirando. 
– Fosse così facile, Tenshi. Ma vedi, tutto questo, nonostante ci distrugga, è troppo bello, non vogliamo lasciarcelo sfuggire così facilmente. 
   
 
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