Melodia triste
Aquata e Ariel
La
voce di Ariel riempiva il giardino del palazzo reale.
Di
solito la piccola sirena deliziava un pubblico piuttosto vasto,
composto da pesciolini, polipi, crostacei e tritoni innamorati,
piroettando in mezzo a loro mentre intonava soavi melodie composte
sul momento. Spesso qualcuno le richiedeva questa o quella canzone e
allora Ariel esplodeva in una risata prima di dire “quella
non me
la ricordo più, ma se vuoi ne ho una nuova”.
Aquata,
nascosta dietro una colonna del giardino, osservava Ariel percependo
tutta la tristezza della sorellina. Da giorni Ariel cantava sempre la
stessa canzone. Una melodia triste, lenta, che parlava di amori
impossibili e desideri irrealizzabili.
Lo
sguardo di Aquata si perse negli occhioni blu della sorellina, occhi
più blu del mare, più blu del cielo della
superficie, più belli
del più bello dei gioielli. Ariel era così dolce,
così allegra,
così innocente…
Una
mano sfiorò la spalla di Aquata che trasalì,
accarezzandosi
d’istinto i lunghi capelli biondi.
“Aquata,
cosa sta succedendo ad Ariel?” chiese Re Tritone, facendo una
piccola pressione sulla spalla della sirena.
“Non
lo so, padre” mentì Aquata.
“È da un po’ che canta sempre
questa canzone”.
“L’ho
notato. Questo pezzo è stupendo, più di tutti gli
altri, ma è così
triste… Magari le parlerò stasera.
Dev’esserle successo
qualcosa, non l’ho mai vista così
spenta”.
“Potrei
parlarle io, padre”.
“Forse
è meglio, voi due avete un così bel
rapporto… Torno dentro,
stamattina il cadavere di un marinaio è entrato nella mia
stanza.
Sto pensando di mettere una copertura sopra il
palazzo…” borbottò
il Re Tritone prima di allontanarsi.
Aquata
continuò ad accarezzare la sua magnifica chioma. Se Ariel
era famosa
in tutto il regno per via della sua voce, Aquata era rinomata per i
suoi capelli. Lunghissimi fili dorati che brillavano nonostante
l’oscurità del fondo marino. Una cornice perfetta
per il suo viso
delicato, gli occhi chiari e le labbra rosa. Li sfiorava pensando
alle parole di Ariel, al suo sfogo di qualche giorno prima.
Aquata
aveva trovato la sorellina in singhiozzi, nel suo nascondiglio
preferito, una caverna a qualche ora di nuoto dal palazzo.
La
grotta era ricca di oggetti della superficie sprofondati
nell’oceano
che Ariel trattava con gran cura. Al centro della caverna spiccava
una gigantesca statua di marmo che raffigurava un umano in posa da
combattimento.
Tra
i singhiozzi senza lacrime, vista l’impossibilità
di piangere
delle sirene, Aquata aveva estrapolato qualche informazione dalla
sorella.
Era
riuscita a capire che una tempesta aveva infuriato sulla superficie
mentre Ariel nuotava a pelo d’acqua. Una nave era stata
praticamente distrutta, e Ariel aveva salvato il proprietario della
stessa, un principe bellissimo, l’umano raffigurato nella
statua. A
quel punto Ariel non era riuscita a proseguire, limitandosi a gridare
“io lo amo”, così Aquata
l’aveva accompagnata nella sua stanza
dove l’aveva accarezzata fino a farla addormentare.
Aquata
avrebbe pianto tante lacrime da far annegare l’oceano stesso
se
solo avesse potuto. La vista di Ariel così triste,
così distrutta,
così innamorata, le dilaniava il cuore.
L’aveva
coccolata per ore. Quando le diede un bacio sulla fronte si
sentì
arrossire. La sua coda ebbe uno spasmo. Senza staccare le sue labbra
dalla pelle di Ariel, Aquata scese fino alle guance, baciandola
piano. Stava per avvicinarsi alla bocca della sorella quando
sentì
un rumore in lontananza. Spaventata si portò le mani ai
capelli, si
guardò intorno e scappò nella sua stanza, dove
non riuscì a
dormire.
Tre
giorni dopo l’umore di Ariel non era migliorato. Mangiava
pochissimo, parlava ancora meno. Passava gran parte del suo tempo
nella sua caverna, o in giardino a cantare.
Aquata,
che dedicava diverse ore al giorno alla cura della sua chioma, aveva
chiesto a Sebastian, un suo amico paguro, di seguire Ariel di
nascosto. Il piccolo Sebastian aveva svolto con cura il suo compito.
Aveva scelto il più piccolo e anonimo dei gusci dalla sua
collezione
e aveva seguito stoicamente la sirenetta nel suo rifugio e durante le
sue nuotate, pronto a riferire ogni novità ad Aquata.
Ariel
terminò la sua canzone con una lunga nota bassa. Lo sparuto
gruppo
di pesciolini che era rimasto ad ascoltarla, nonostante
l’insolita
monotonia delle esibizioni, si allontanò nuotando, e
così fece
lei.
Aquata
notò dietro Ariel quella che sembrava una pallina
biancastra.
Sebastian si era messo al lavoro.
La Strega del Mare
Ariel
nuotò per più di tre ore. Sebastian faceva fatica
a starle dietro e
ogni tanto si attaccava a qualche pesciolino di passaggio per
avvicinarsi alla sirenetta. Con circospezione riuscì ad
agganciarsi
ai capelli rossi di Ariel e a farsi trasportare.
Arrivarono
in una zona del regno che Sebastian non aveva mai visitato, una zona
terribilmente buia e deserta che terrorizzava il piccolo
paguro.
Ariel
si fermò davanti a una caverna. Indugiò per
qualche secondo, prima
che una voce stridula, proveniente dal fondo della grotta, dicesse:
“Entrate pure, miei cari”.
Delle
alghe, nere come il petrolio, adornavano le pareti della grotta.
Ariel nuotò per qualche minuto prima che una di esse le
afferrasse
il braccio. La sirena provò a strattonare per liberarsi, ma
intanto
altre alghe le si avvinghiarono alla coda e al collo. Ariel
urlò.
Sebastian tremava nel suo guscio.
“FERMATEVI!”.
La stessa voce di prima, ma stavolta minacciosa oltre che
fastidiosamente acuta, riempì la caverna. Le alghe, come
spaventate,
lasciarono andare Ariel che senza aspettare un secondo corse via,
addentrandosi sempre di più nelle profondità di
quel
luogo.
Giunsero
a una sala circolare in cui un gigantesco calderone colmo di un
fluido verdastro sbuffava grosse volute di fumo scuro. Nascosta dal
fumo una sagoma li salutò con calore.
“Benvenuti,
benvenuti”. Una creatura sbucò da dietro al
paiolo, una creatura a
metà tra un’umana e una piovra. Sebastian
sbirciava attraverso i
capelli di Ariel. Gli occhi del paguro incontrarono quelli della
donna-piovra, che gli sorrise mostrando denti aguzzi e giallognoli.
La sua pelle era viola, i capelli bianchi e stopposi, i tentacoli
neri. Era bella, ma di una bellezza innaturale, l’opposto di
Ariel.
“Sono
venuta da sola come mi avevi chiesto, Strega del Mare”
annunciò la
sirena.
Sebastian
trasalì. La Strega del Mare era l’essere
più temuto del regno
dopo il Re Tritone, ma nessuno ne sentiva parlare da anni.
“Mi
tocca contraddirti, mia cara. Ma non importa, anche le creature
più
insignificanti possono tornarmi utili”.
“Non
capisco” rispose Ariel, sinceramente confusa.
“Lasciamo
perdere queste sciocchezze, piccola mia” rispose la Strega
avvicinandosi ad Ariel. “Hai preso la tua
decisione?”
“Sì”.
“Come
sai c’è un prezzo da pagare…”.
“Le
darò tutto quello che possiedo, lo giuro”.
“Ma
no, ma no. Non esageriamo. Tutto? Mi sembra eccessivo. No potrei mai
chiederti tutto. Da te voglio solo una cosa, piccola sirenetta
innamorata. La tua voce”.
“La
mia voce?”
“Esatto,
la tua voce. Una volta che me l’avrai offerta ti
donerò due
bellissime gambe. Avrai un anno di tempo per conquistare il tuo amato
principe. Se riuscirai a farti baciare da lui, ma bada,
dovrà essere
un bacio vero, il bacio dell’Amore, entro un anno, otterrai
un’anima e diventerai una vera e propria umana. Ti sto
offrendo
contemporaneamente il sogno di ogni creatura marina e quello di ogni
ragazzina. Dovrebbero chiamarmi la Benefattrice del
Mare…”.
“Ma
come farò a far innamorare il principe di me se non
potrò nemmeno
parlare con lui?” chiese Ariel.
“Ma
guardati, figliola!” esclamò la Strega facendo
comparire uno
specchio con uno schiocco delle dita. “Guarda questi
occhi!”
gridò entusiasta accarezzandoli con la punta delle lunghe
unghie
nere. “E guarda questo seno!” continuò,
strizzando gli acerbi
seni della sirena. “Faresti impazzire qualsiasi
umano!”.
Ariel
abbozzò un piccolo sorriso, ma all’improvviso,
colpita da un’idea,
sgranò gli occhi e chiese: “cosa succederebbe se
non riuscissi a
far innamorare il principe entro un anno?”.
“Piccola
mia, questa è un’assurdità bella e
buona! Non ci sono possibilità
che quell’umano non si innamori di te. In ogni caso, se per
qualche
inspiegabile motivo non dovessi riuscirci… Be’,
tecnicamente
moriresti. E ritorneresti in acqua sotto forma di spuma di mare. Ma
non capisco proprio perché stiamo perdendo tempo con queste
sciocchezze. È un’eventualità che non
contemplerei nemmeno.
Qualsiasi uomo capace di apprezzare le donne si innamorerebbe
all’istante di te!” Sorrise. “Allora,
procediamo?”.
Sebastian
sognò per ogni notte della sua vita l’urlo di
dolore che Ariel
lanciò mentre la Strega le tagliava via la lingua.
Melodia triste
Erano
passati trecentosessantaquattro giorni da quando Sebastian era
tornato affannato da Aquata per raccontarle tutto.
Trecentosessantaquattro giorni di dolori e singhiozzi senza lacrime,
di sconcerto e rabbia nel regno del Re Tritone. Aquata era
l’unica
abitante del regno marino rimasta in contatto con Ariel. Andava a
trovarla, ogni volta che ci riusciva, sulla riva della spiaggia
personale del principe.
Sebastian
rimaneva con Ariel tutto il tempo, così era lui a riferire i
dettagli ad Aquata.
Vedere
le nuove gambe di Ariel per la prima volta era stato uno shock.
Tuttavia gli abiti umani le stavano a pennello, le acconciature
elaborate che le domestiche del palazzo si divertivano a creare con
la sua folta chioma erano uno splendore, e così era anche il
leggero
trucco che le esaltava i lineamenti.
Nonostante
Ariel apparisse felice, Sebastian aveva riferito ad Aquata che in
superficie circolavano strane voci riguardo al principe. Trattava
Ariel con estrema gentilezza, l’aveva persino baciata sulle
labbra
un paio di volte, ma era convinzione comune che il principe non fosse
attratto dalle donne. Se quelle voci si fossero rivelate fondate
Ariel non avrebbe avuto alcuna possibilità di rimanere in
vita.
Aquata
aveva valutato tutte le soluzioni possibili. Aveva chiesto persino
aiuto a suo padre, che la cacciò via sbraitando che non
voleva più
sentire nemmeno il nome di “quella sporca
traditrice”.
Si
aggiustò da sola la splendida chioma dorata prima di recarsi
dalla
Strega del Mare.
“Benvenuta,
mia cara” salutò gioviale la Strega. Aquata si
sentì morire. La
voce che la salutava era quella di Ariel. “Come posso
servirti?”.
“Voglio
che la maledizione di Ariel venga annullata. Voglio che ritorni una
sirena e che si innamori di me” disse tutto d’un
fiato la sirena.
Sentì le sue guance infiammarsi all’istante.
“Tesoro,
non posso far innamorare qualcuno di qualcun altro. Non ti nego che
mi piacerebbe. E non ti nego che ci ho provato più volte.
Non posso
farlo, però posso annullare la maledizione della tua adorata
sorellina, questo sì. E posso farla anche ritornare sirena.
Non sarà
costretta a vivere da sola e senza voce in un mondo che le
sarà
sempre estraneo. Potrà tornare ad essere parte del suo
mondo”.
“Bene,
chiedimi tutto quello che vuoi”.
“Sono
una persona onesta io. Mi hai chiesto due cose, e io in cambio te ne
chiederò solo due. Non una di più. Voglio i tuoi
capelli” rispose
la voce di Ariel, ovvero la nuova voce della Strega del Mare.
Aquata
se li toccò istintivamente prima di annuire con vigore:
“va
benissimo. E la seconda cosa?”.
“Voglio
tutti i tuoi ricordi riguardanti Ariel”. Un ghigno
scoprì i denti
aguzzi della Strega.
Aquata
esitò. Tremò per qualche secondo prima di
sussurrare “Accetto”.
Una lacrima le rigò il viso. La Strega del Mare
spalancò gli occhi,
incapace di nascondere lo stupore. La lacrima si trasformò
in una
piccola pietra, di un azzurro così splendente da far
lacrimare gli
occhi, che Aquata afferrò.
Trascorse
il resto della sua lunga vita da sirena nuotando senza meta nelle
profondità dell’oceano.
Di
notte stringeva la pietra. Quando la stringeva
con tutta sé stessa le sembrava di ascoltare una melodia.
Una
melodia triste, lenta, che parlava di amori impossibili e desideri
irrealizzabili.
Si
addormentava felice. Felice di non essere la protagonista di quella
canzone.