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Autore: madychan    24/05/2016    0 recensioni
[Dal primo capitolo]
Davanti a lei c’era una altra ragazzina. Con tanto di capelli lunghi, vestito dalla gonna ampia, e l’aria di chi non è per niente stanco per la camminata fatta. [...]
E, proprio quando Arthuria fece per parlarle e chiederle chi fosse, lei sorrise. Arthuria sbatté le ciglia, vedendo che i suoi occhi andavano a soffermarsi di nuovo sull’elsa di Caliburn per qualche istante, e poi tornavano a guardare i suoi.
«Avete gli occhi di questo stesso colore.» commentò.
Aveva una voce quasi strana, per essere una ragazzina. Di certo, non particolarmente acuta.
Arthuria spostò lo sguardo da lei all’elsa, a propria volta, e fissò l’azzurro smaltato che si alternava con l’oro e i suoi riflessi chiari dati dalla luce di un sole che stava sorgendo.
«Vi somigliate.» disse ancora l’altra.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Saber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo secondo

Il ragazzo venuto dal lago

 

 

 

 

«Ho vinto di nuovo io, Arthuria.»

Arthuria digrignò i denti al vedere Guinevere che la guardava dall’alto della collina di Caliburn, con un sorriso trionfante a incurvarle le labbra.

Andava a finire così tutte le mattine, da due anni a quella parte; e tutte le mattine lei continuava a guardarla con quel sorriso sornione, soddisfatta di chissà cosa ormai.

Arthuria sospirò, e si chinò ad appoggiarsi sulle ginocchia. Le sue corse mattutine non erano ancora sufficienti a batterla.

«Allora? Allora?» domandò Guinevere girandole intorno, allegramente. «Hai qualche scusa, per stamattina?»

«Nessuna. Un futuro re non accampa scuse.» replicò Arthuria, sollevando gli occhi per guardarla, con un sorriso soddisfatto di sé: era una sua abitudine, quella di tentare di estorcerle una qualche giustificazione per il ritardo e per la perdita, ma Arthuria su quello era sempre stata ferrea: la colpa era solo sua, e della sua ancora poca resistenza.

All’inizio aveva pensato che, con quel giochetto, Guinevere volesse metterla alla prova, e vedere se si sarebbe assunta le proprie responsabilità, o avrebbe demandato la colpa a qualcun altro – una cosa che chi voleva estrarre Caliburn probabilmente non avrebbe dovuto fare; e Arthuria, abituata da sempre a proteggere l'onore come uno dei valori più importanti, non si sarebbe mai sognata di dare la colpa della perdita di quella gara a qualcun altro che non fosse sé stessa.

Dopo qualche tempo, però, si era resa conto che Guinevere verosimilmente lo faceva solo per divertimento.

Rideva sempre, dopo che Arthuria le aveva risposto con la solita formula. E così fece anche quel giorno, stringendosi nelle spalle e mostrandole i denti, mentre rideva.

Arthuria la osservò, e sorrise a propria volta, per poi tornare eretta.

Era bella; forse era dovuto all’essere ormai una donna, dato che aveva quattordici anni – due in più di lei; o forse erano gli spiriti del vento, che volandole intorno riuscivano a creare qualche strano effetto aereo per cui lei sembrasse più bella di quello che in realtà era.

O forse era semplicemente il suo sorriso. La sua allegria. I suoi capelli castano scuro, la pelle chiara, gli occhi chiari e l’armonia che riuscivano a creare su di lei, tanto da illuminarla più di quello che avrebbe fatto il sole.

Eppure sentiva che ci fosse qualcosa, oltre all'armonia del suo viso, tale da impedirle di distogliere lo sguardo da lei; ma non aveva mai capito cosa fosse.

Fu Guinevere, quella volta, a voltarsi e a rivolgere lo sguardo verso il declivio della collina dietro di lei; Arthuria la seguì con gli occhi.

Davanti a loro si parò un ragazzo che doveva avere più o meno la stessa età di Guinevere; aveva i capelli neri, lunghi fino alle spalle, e gli occhi scuri, e vestiva lo stesso tipo di abiti di Arthuria: una casacca, un paio di pantaloni di tela, e un paio di calzari che coprivano solo i piedi.

«Hai perso su tutti i fronti, Lancelot.» lo apostrofò subito Guinevere, ridacchiando, appena lui mise piede sulla sommità della collina. «Siamo arrivate tutt’e due prima di te.»

Il ragazzo, in risposta, rilassò le spalle ed emise un suono di stanchezza mista a disapprovazione, accasciandosi sulle ginocchia esattamente come aveva fatto Arthuria qualche attimo prima.

Dal canto proprio, Arthuria lanciò un’occhiata a Guinevere, sorpresa da quella che istintivamente considerò un’intrusione nel poco tempo che trascorrevano insieme. Certo, erano pochi minuti passati sedute a guardare Caliburn e a parlare di tutto e di niente; ma erano diventati importanti, e Guinevere era l'unica persona con cui fosse mai riuscita a parlare apertamente. Non era contemplato qualcun altro, in quell'angolo di vita che doveva essere solamente loro.

Per di più, Lancelot era un maschio; e come se non bastasse, aveva apparentemente la stessa età di Guinevere.

Il primo pensiero che attraversò la mente di Arthuria fu che non si sarebbe dovuta stupire, se Guinevere avesse provato qualcosa per lui, e l’avesse portato lì perché lo considerava importante e voleva condividere con lui la vista di Caliburn.

Invidiò il suo corpo maschile all’istante.

Invidiò lui, e il suo essere nato come uomo e non come donna.

Guinevere si voltò verso di lei proprio in quel momento, cogliendola quasi alla sprovvista.

Si chiese se i maghi potessero leggere nel pensiero. Si chiese se Guinevere avesse letto nei suoi, e avesse capito qualcosa.

Cosa, poi?

Scacciò quelle riflessioni all'istante, e guardò prima lei, poi Lancelot.

Che ci faceva lei, ancora lì?

«Non ci posso credere!» esclamò lui, alzando lo sguardo verso Arthuria. «Ma tu sei anche più piccola di me!»

Guinevere ridacchiò, mentre Arthuria istintivamente si mise sulla difensiva, senza pensare sulle prime a quella confidenza da lui adottata fin da subito. Non fece in tempo a parlare, però, che Lancelot proseguì, rivolgendosi a Guinevere.

«Con te potevo anche aspettarmelo, Guinevere! Bari!» esclamò lui, puntandola. «Ma lei…»

«Lei viene qui da diversi anni, tutte le mattine. È naturale che sia molto più allenata di te.» replicò Guinevere, con un sorriso sornione stampato in viso. «E poi io non baro, Lancelot! Sei tu che hai accettato la sfida, sapevi che avrei usato gli spiriti del vento. Adesso non lamentarti se sei lento come una lumaca! Abbiamo pure fatto in tempo a parlare per un paio di minuti!» aggiunse, mettendo le mani sui fianchi.

Lancelot si espresse in una smorfia contrariata rivolta a Guinevere, e poi si voltò a guardare Arthuria, che assottigliò gli occhi al suo indirizzo.

Lui però non la prese di nuovo in giro, né l’attaccò; al contrario, si inchinò davanti a lei, abbassando il busto e mettendo una mano sull’addome.

«Perdonate la mia scortesia.» disse. «Sono Lancelot, figlio adottivo della Dama del Lago.»

Arthuria spalancò gli occhi, dapprima sorpresa per la presentazione e per il cambio di atteggiamento improvviso. Si rese conto solo dopo qualche attimo che quel ragazzo aveva detto di avere un legame con la Dama del Lago, e rimase ancora più stupita: sapeva che era uno degli spiriti della natura più potenti di quella zona, Merlin l'aveva a lungo decantata come tale.

Lancelot si risollevò prima che lei potesse considerare altro a suo riguardo; Arthuria rispose all'inchino facendone uno anche più profondo del suo.

«Io sono Arthuria Pendragon, figlia di Uther Pendragon e di Lady Igraine.» si presentò. «I miei omaggi, messer Lancelot.»

Quando sollevò a propria volta lo sguardo e il busto, vide Guinevere ridacchiare e lanciare un’occhiata a un esterrefatto Lancelot.

«Non usare troppi riguardi con lui, Arthuria.» le consigliò lei. «Un semplice “tu” andrà benissimo.»

«Ma…» azzardò Arthuria perplessa, voltandosi a guardare Lancelot, che la stava ancora fissando con quell’espressione allibita.

«Tu sei la figlia del re? La figlia di Uther Pendragon?» esclamò lui mentre le si avvicinava, evidentemente per guardarla meglio. «Avevo sentito che il suo unico erede in realtà era una femmina, ma…»

«...“Ma” cosa, Lancelot?» domandò Guinevere.

Lancelot tornò a rivolgersi a Guinevere, con il disappunto di Arthuria per quella frase fermata a metà.

«Nulla.» disse lui. «Solo che non mi aspettavo di incontrarla veramente, ecco. E soprattutto, non pensavo che fosse così forte da battermi in una gara di velocità.» aggiunse lui, tornando a rivolgersi ad Arthuria, e sorridendole. «Perdona la mia scortesia di prima, davvero. È che ero troppo stupito dell’essere stato battuto.» disse, porgendole la mano.

Arthuria abbassò gli occhi a guardarla, sorpresa; poi, tornò a scrutarlo attentamente, ponderando bene se stringerla o no.

Stava dicendo il vero? O stava mentendo?

I suoi occhi sembravano sinceri, nonostante tutti i presupposti e l’atteggiamento da persona tracotante: erano limpidi, e guardavano dritto nei suoi. E il suo sorriso era ampio, da persona affabile.

Abbozzò un sorriso a propria volta, prendendo la sua mano nella propria e stringendola.

«Non importa. È una reazione ragionevole.» disse, annuendo.

«E scusalo anche se ti dà del “tu” senza chiedertelo.» intervenne Guinevere, riscuotendo la loro attenzione. «Lo fa con tutti. Cerca di non sembrarlo, ma in realtà è un bonaccione.» disse, battendogli una mano sulla spalla, con un sorriso sarcastico.

Forse quello era il modo di fare di Guinevere nei confronti di tutti?

O si comportava così solo con Lancelot?

In quel momento, Arthuria si rese conto di sapere veramente poco di lei, malgrado si conoscessero da due anni.

E si rese conto che avrebbe voluto conoscerla molto di più, in modo da saper interpretare le sue reazioni, i suoi modi di fare, le sue espressioni.

«Va bene.» disse, distogliendo a forza lo sguardo da lei, e tornando a osservare Lancelot. «Mi permettete di fare lo stesso, Lancelot?»

Lancelot reagì mostrando un sorriso ancora più ampio, e annuendo. «Certo! Mi pare il minimo.» replicò, stringendole ancora di più la mano, con fare affabile.

Arthuria tornò ad abbozzare un sorriso, davanti a tutto quell’entusiasmo e amabilità, che finora aveva visto solo in Guinevere; loro due erano tanto simili da farle pensare che si conoscessero da tempo e avessero, in qualche modo, adottato l’uno gli atteggiamenti dell’altra.

«Immagino ti starai chiedendo cosa ci faccia uno come lui qui, Arthuria.» commentò Guinevere, una volta che lei e Lancelot ebbero sciolto la stretta di mani. «Ho pensato che avrebbe potuto essere un tuo buon rivale in allenamento. Anche lui mira ad estrarre Caliburn dalla roccia, un giorno, e la sua intenzione è di allenarsi con quell'obiettivo in mente. Praticamente la pensate uguale.» concluse, sorridendo; sembrava divertita da quella coincidenza. «Che ne dite? Potreste farlo, no?»

Arthuria spostò lo sguardo da lei a Lancelot, sorpresa dalla motivazione per cui lui si trovava lì.

L’idea non era poi così male: allenarsi al castello era diventato complicato, dato che gli unici avversari disponibili che Arthuria aveva erano dei ragazzini figli dei servitori, che acconsentivano ad allenarsi con lei ma non avevano la minima cognizione dell’uso della spada; oppure, Arthuria a volte si ritrovava a duellare con alcuni cavalieri del seguito di suo padre, che riuscivano solo a darle l’impressione di non star facendo sul serio, e la lasciavano vincere sempre.

Nessuno confidava nel fatto che lei sarebbe potuta diventare forte; nessuno confidava davvero nel fatto che lei avrebbe potuto succedere a suo padre, ed estrarre quella spada dalla roccia.

Nessuno la prendeva sul serio come l’erede che Uther Pendragon aveva scelto per sé, nonostante le volontà di Uther stesso dicessero l’esatto contrario.

Arthuria vide Lancelot sorridere e accarezzarsi il mento, in un atteggiamento quasi critico.

E lei in tutta risposta assottigliò gli occhi, sempre più piccata dal suo atteggiamento ad ogni secondo che passava.

«Considerando che è riuscita a battermi nel risalire la collina, direi di sì.» considerò lui, cogliendola quasi alla sprovvista; Arthuria desiderava che lui pronunciasse quelle parole, ma non aveva osato sperarci. «Hai una minima cognizione di come si usi una spada, immagino.» proseguì lui, rivolgendosi direttamente ad Arthuria.

Arthuria non seppe che rispondere, sulle prime: non si aspettava che lui accettasse la proposta di Guinevere. Non aveva pensato a nessuna risposta adatta da dargli.

«Sì. Certo che ce l’ho.» fu tutto quello che riuscì a proferire, cercando di darsi un contegno che, ne era sicura, non riuscì ad adottare per la troppa sorpresa.

«Più che minima.» aggiunse Guinevere, al suo posto. «Da quello che ho visto, la sa usare bene.»

Arthuria sgranò gli occhi, sorpresa, e si voltò verso di lei, chiedendole con lo sguardo quando avesse avuto occasione di spiarla mentre si allenava al castello.

«Questo lo vedremo.» disse Lancelot, facendo per estrarre la propria spada.

«Aspetta, aspetta, aspetta!» lo fermò Guinevere, piazzandosi davanti a lui. «Arthuria ora deve scendere al castello. Di solito sta qui solo fino all’alba. Giusto?» domandò lei, rivolgendosi direttamente all’interessata.

Arthuria sobbalzò, e annuì.

«Parlerò con Merlin.» disse, rivolta a Guinevere. «Di sicuro acconsentirà a farmi allenare con lui. Credo sia il più valido, tra le persone disposte ad aiutarmi ad apprendere a dovere l’uso della spada.». Poi, si rivolse a Lancelot. «Questo sempre se tu hai il tempo e la volontà di farlo, Lancelot.»

Lancelot inarcò un sopracciglio, e sorrise sarcasticamente. «D’accordo. Vedremo domani come te la cavi.» acconsentì. «Fatti trovare qui prima dell’alba. Vedremo quello di cui sei capace, e a partire da quello deciderò il da farsi.»

Arthuria sorrise, entusiasta della cosa; malgrado il tono e le parole di Lancelot, degne di chi si riteneva superiore a qualcun altro, intuì dal suo sguardo che stava facendo così solo per prenderla amichevolmente in giro. Un modo di fare da bonaccione, esattamente come aveva detto Guinevere appena gliel’aveva presentato.

Ciononostante, si inchinò davanti a lui, grata della sua disponibilità ad allenarla. Merlin le aveva detto che la Dama del Lago era abilissima nell'uso della spada, e il fatto che Lancelot fosse suo figlio adottivo rendeva la sua preparazione in merito non indifferente, almeno nella teoria; averlo come compagno di allenamenti sarebbe stato sicuramente qualcosa di produttivo.

«Ti ringrazio, Lancelot.» disse. «E anche te, Guinevere. Anche se non so come tu faccia a sapere le condizioni in cui mi alleno al castello, ti ringrazio per aver pensato di presentarci.» aggiunse, per poi sollevare lo sguardo verso di loro.

Accostati così, non riuscì a fare a meno di pensare che fossero una coppia perfettamente assortita. Sembravano capirsi a vicenda, e parevano molto legati.

Istintivamente e senza riuscire a controllarlo, nella sua mente si parò di nuovo il rimpianto di non essere nata a propria volta uomo – di non essere nata nelle spoglie di Lancelot, addirittura.

Si inchinò di nuovo, cercando di mascherare l’espressione del proprio viso, sicuramente diventata più pensierosa e meno entusiasta; tentò di cancellare quelle riflessioni, attraverso altri pensieri più urgenti. «Scusatemi.» disse. «Ora devo proprio andare. Ci vediamo domani. Grazie ancora a tutt’e due.»

Alzando la testa, vide Guinevere sorriderle.

«A domani.» disse.

Arthuria non si voltò verso Lancelot per vedere la sua espressione.

Annuì e si inchinò di nuovo, brevemente, per poi voltarsi e scappare via.

L’espressione sorridente di Guinevere la tormentò per tutto il tragitto.

 

 

«Aveva una faccia strana.» fu la prima considerazione di Lancelot, quando entrambi videro Arthuria raggiungere i piedi della collina, e correre a perdifiato lungo il sentiero che portava al castello di Lady Igraine.

Guinevere rimase per qualche istante a fissare ancora la sua schiena, ormai diventata minuscola.

Aveva notato anche lei l’espressione con cui Arthuria li aveva lasciati. Eppure, non riusciva a capire da dove arrivasse.

Pensava, tutto sommato, di aver fatto qualcosa di buono, invitando Lancelot ad allenarsi con lei; e sapeva che lui, malgrado tutta la propria tracotanza – finta, e lo avevano capito tutt’e tre –, avrebbe acconsentito il giorno dopo, qualunque fosse stato il grado di apprendimento di Arthuria.

Eppure, nel momento stesso in cui Lancelot si era presentato davanti a loro, aveva notato l’espressione che Arthuria aveva fatto.

L'aveva vista completamente smarrita: la sua faccia era quella di chi aveva appena perso qualcosa di importante e non capiva come, né perché.

E il primo pensiero era stato che Arthuria avesse pensato di aver perso lei.

Guinevere inclinò la testa di lato, e assottigliò gli occhi.

Forse non aveva fatto così bene, a invitare Lancelot. Ma non aveva visto altra via d’uscita, quando aveva avuto modo di costatare le persone con cui Arthuria si allenava: o erano servitori più o meno della sua stessa età che non sapevano usare una spada, o erano cavalieri del re che la lasciavano vincere senza insegnarle nulla; Merlin non era il più adatto, a insegnare l’uso delle armi; e tanto meno potevano esserlo Lady Igraine, o Morgana, la sorella maggiore di Arthuria.

Se voleva diventare forte, aveva per prima cosa bisogno di un buon maestro; e Guinevere aveva ritenuto una fortuna incontrare Lancelot, dato che lui poteva essere l’insegnante perfetto per lei. La Dama del Lago, oltre a essere uno degli spiriti della natura più potenti ancora esistenti al mondo, era esperta nell'uso della spada, e aveva uno degli eserciti di spiriti spadaccini più forti del Paese, da quello che sapeva; sicuramente aveva trasmesso le proprie conoscenze anche al figlio adottivo, rendendolo uno dei ragazzi più forti della Britannia.

Però… Arthuria, nel momento stesso in cui aveva visto Lancelot, non era sembrata così entusiasta.

E Guinevere aveva capito che era perché pensava che lei e Lancelot avessero una qualche relazione amorosa che automaticamente l’avrebbe esclusa, gradualmente, dal trio che Guinevere aveva intenzione di formare.

«Anche tu hai una faccia strana.» considerò Lancelot, interrompendo i suoi pensieri.

Guinevere si voltò verso di lui, sorpresa da quell’interruzione.

Lo scrutò per un attimo, fissando i suoi occhi neri.

Poi sorrise, e scosse la testa, tornando a guardare la schiena di Arthuria, che si avvicinava sempre di più verso il castello.

Una relazione amorosa con Lancelot. Probabilmente non l’avrebbe potuta avere nemmeno tra un milione di anni.

«Stai pensando a qualcosa di strano.» suppose Lancelot, con tono da cospiratore. «Tu sai perché aveva quell’espressione, vero?»

Guinevere ridacchiò, e lo guardò con la coda dell’occhio, inarcando un sopracciglio.

«Sì, credo di sì.» rispose. «Posso farti una domanda?»

Lancelot inarcò un sopracciglio di rimando, in un muto invito a proseguire.

«Tu pensi che potremmo mai avere una qualche storia amorosa insieme?» domandò Guinevere.

Lancelot, di tutta risposta, sgranò gli occhi.

«Guinevere!» esclamò, con un atteggiamento esasperatamente teatrale. «Queste sono proposte che dovrebbero fare gli uomini, non le donne!»

Guinevere scoppiò a ridere, e gli diede uno spintone. «Non è una proposta, scemo!» esclamò. «E rispondi alla mia domanda!»

Lancelot ridacchiò e inclinò il viso di lato, soffermandosi per qualche istante a esaminarla.

«Mah, chissà. Forse in futuro.» considerò, con tono da sufficienza. «Ma ora come ora, direi proprio di no. E penso che, visti i presupposti, non l’avremo nemmeno in futuro.»

«I presupposti?» domandò Guinevere, con un sorriso divertito.

«I presupposti, sì.» confermò Lancelot, annuendo. «Tutte le donne di cui mi sono innamorato fino ad ora hanno fatto breccia nel mio cuore fin dal primo incontro.» spiegò, mettendosi una mano sul petto ed assumendo di nuovo un’espressione teatrale che fece ridacchiare Guinevere. «Con te non è successo.» aggiunse lui, voltandosi verso di lei, e tornando lievemente serio. «Quindi direi di no. Guinevere, sono desolato, ma devo rifiutare la tua proposta.» concluse, inchinandosi e prendendole la mano sinistra, sempre più platealmente.

Guinevere rotolò gli occhi, con fare esasperato, e scosse la testa. «Non era una proposta!» ribadì. «Era solo una domanda di curiosità.»

«Nata da quello che lei deve aver pensato quando mi ha visto, giusto?» domandò lui, alzando lo sguardo, e voltandosi verso il pendio della collina da cui era scesa Arthuria.

Guinevere sorrise, e annuì.

«Tiene molto a te.» commentò ancora Lancelot, lasciandole la mano.

«Beh, credo di essere l’unica con cui riesce a parlare davvero.» commentò Guinevere, sorridendo, intenerita dal legame che Arthuria aveva instaurato con lei. «E lei è la prima persona, oltre alla mia maestra, con cui abbia parlato.» aggiunse.

«È per questo che mi hai chiesto di aiutarla con la spada?» domandò Lancelot.

Guinevere si voltò verso di lui, e lo vide sedersi a terra, poco distante dalla roccia in cui era conficcata Caliburn.

«Per questo cosa?» domandò.

«Per il rapporto che avete.» replicò lui, sollevando gli occhi nei suoi. «Per l’amicizia che vi lega.»

Guinevere sorrise, e annuì.

«E perché comunque devo riconoscerlo.» aggiunse, tornando a voltarsi verso il castello di Lady Igraine. «Avendo come maestra la Dama del Lago, sei indubbiamente uno degli spadaccini più abili della Britannia. Anche se sei lento come una lumaca.»

Lancelot sbuffò; ma quando Guinevere si voltò verso di lui, lo vide sorridere, e scuotere la testa.

«Ricordati che devi insegnare anche a me a combattere, eh!» aggiunse Guinevere, sedendosi all’altro lato della pietra, dalla parte opposta alla sua.

Lancelot si voltò verso di lei, e inarcò un sopracciglio, sorridendole.

«E tu ricordati che mi hai promesso di insegnarmi gli incantesimi che possono essere utili in combattimento.» disse.

Guinevere annuì. «Non preoccuparti. Noi maghi sappiamo bene l’importanza dello scambio equivalente.» replicò, per poi sdraiarsi sull’erba, e mettersi a contemplare le nuvole in cielo.

Vagando sopra di sé, i suoi occhi incontrarono di nuovo Caliburn.

Guinevere sorrise, assottigliando gli occhi al riflesso della luce del sole sulla lama.

E non potendo fare a meno di pensare, come ogni volta che la vedeva, che quella spada avesse gli stessi colori di Arthuria, e fosse fatta apposta per lei.

 

 

 

La lezione di storia antica era esasperante.

Arthuria sapeva dell’importanza che Merlin dava alla storia: per lui era un metodo per imparare dagli errori fatti dai re del passato coi popoli da loro comandati, e per evitare di farli nel presente.

Ciò non toglieva, comunque, che la lezione di storia fosse a dir poco noiosa.

Arthuria avrebbe voluto non considerarla così – Merlin le aveva già detto mille e più volte, quando la sorprendeva distratta durante qualche lezione, che se fosse divenuta re avrebbe avuto a che fare più con materiale scritto su cui concentrarsi, che con guerre, dato che queste stavano per essere risolte da suo padre, e il suo sarebbe stato un regno presumibilmente pacifico; ma lei non riusciva a distogliere la testa dal fatto che avrebbe preferito mille volte di più essere su quella collina ad allenarsi con Lancelot e in compagnia di Guinevere, piuttosto che lì ad ascoltare le disfatte di qualche re del passato più remoto, che non aveva avuto occasione di imparare dagli errori dei re prima di lui solo perché un passato da cui imparare non l’aveva proprio.

Arthuria osservò distrattamente il libro di storia che Merlin le aveva procurato, aperto sulla pagina in cui si parlava di Gilgamesh e dell’origine dei regni a partire da quello di Babilonia.

Il modo di fare storia di Merlin non era cronologico: sceglieva lui quale argomento affrontare e quale regno e regnante farle studiare, il giorno stesso, con quel criterio che, da quello che aveva concluso Arthuria, era tipico di chi decideva cosa fare in base all’umore con cui si alzava la mattina. Era capitato più di una volta che, a causa di quel metodo, avessero affrontato lo stesso argomento più di una volta.

Emblematico era il caso del re su cui verteva la lezione di quel giorno: Gilgamesh. Decantato dal libro di storia come il primo re in assoluto, che aveva governato da Babilonia il Mondo Unito, Gilgamesh era l’esempio lampante del re che non aveva potuto prendere esempio dai sovrani del passato; ma di sicuro, era stato d’esempio per i re successivi. Almeno nella loro infanzia, perché da quello che sapeva, molti re successivi a Gilgamesh avevano fatto ben peggio di lui.

Arthuria sapeva la sua storia praticamente a memoria: era la terza volta che affrontavano quella lezione.

Nel capitolo dedicato a lui sul libro era riassunta, sommariamente, la sua Epopea. E Arthuria aveva chiesto più di una volta a Merlin di fargliela leggere, in modo che potesse prendere meglio esempio dal primo Re e non ripetere i suoi errori; ma il mago non era ancora riuscito a procurargliela.

Scorse il paragrafo, fino ad arrivare a quella frase che, sin dal primo momento in cui l’aveva letta, era rimasta impressa nella sua mente per la stranezza della situazione.

Non aveva mai chiesto spiegazioni a Merlin; e Merlin non le aveva mai nominato la questione, dato che si trattava di una semplicissima frase che sembrava buttata lì, più simile a una congettura dello scrittore del libro, che ad una realtà vera e propria.

Ma dato che era la terza volta che affrontavano quel re, era la volta buona di chiedere delucidazioni al suo precettore.

«Merlin.» lo richiamò, interrompendolo nella sua declamazione (al nulla, perché le sue orecchie non stavano ascoltando) dell’Epopea di Gilgamesh. «Posso farti una domanda?»

Il mago si voltò, rivelando per intero il suo viso ricoperto di rughe, i capelli e la barba bianchi, e la veste blu che indossava quasi sempre. La guardò con i suoi occhi azzurro chiaro, in cui era dipinta un’espressione interrogativa, ma non di rimprovero.

Sapeva anche lui che quella lezione l’avevano già affrontata più di una volta. Ma faceva finta di niente, evidentemente.

«Qua c’è scritto che il regno di Gilgamesh è terminato, tra le altre cose, perché lui ha amato Enkidu, che era un maschio.» disse Arthuria, cercando la frase interessata nel libro, e puntandola con l’indice. Merlin le si avvicinò per leggerla – anche se Arthuria sospettava che già la sapesse. «È qualcosa di sbagliato?» domandò lei, tornando ad alzare lo sguardo per verificare la sua reazione.

Merlin osservò per qualche istante il libro, probabilmente leggendo attentamente la frase, e nel frattempo si accarezzò pensosamente la barba. Poi, si sollevò eretto, chiuse gli occhi e incrociò le braccia, annuendo di tanto in tanto al ragionamento che stava facendo mentalmente. Faceva sempre così, quando rifletteva bene su qualcosa da spiegarle.

«Il regno di Gilgamesh ufficialmente è terminato perché lui considerava tutto di sua proprietà: poiché era investito della carica di re, pensava di poter fare quello che più gli aggradava con tutto, sudditi compresi. Lui viveva per sé stesso, e non per la missione che gli era stata affidata, che era quella di governare. Infine, il popolo si rivoltò contro di lui e il suo dominio – se vogliamo dirlo, la sua tirannia – ebbe fine.» spiegò il mago. «C’è qualcuno che crede che il suo regno sia finito anche perché lui, che era un uomo, ha amato un altro uomo, quale era effettivamente Enkidu.» proseguì. «Non so dirti se sia giusto o sbagliato, Arthuria. Posso dirti che è opinione comune, non solo mia ma tra tutti i maghi, che le relazioni sentimentali tra persone dello stesso sesso, siano esse due maschi o due femmine, non siano da meno delle relazioni tra un maschio e una femmina. Tuttavia, questa è un’opinione comune solo tra i maghi: c’è invece chi dice che sia qualcosa di innaturale perché attraverso queste relazioni non si possono avere figli. E direi che questa è l’opinione, ora come ora, più diffusa tra le persone.»

«E dato che è quella più diffusa, dovrebbe essere quella più giusta, no?» domandò Arthuria, perplessa.

Merlin scrollò le spalle, ma tenne le braccia incrociate. «Non sempre l’opinione comune è quella più giusta, Arthuria. A volte semplicemente è mancanza di conoscenza.» commentò, incamminandosi verso uno dei tavoli che c’erano nel suo studio, dove Arthuria andava a studiare. «Ad esempio, è opinione diffusa tra i non maghi che la nostra razza di maghi sia in via d’estinzione perché siamo qualcosa che va contro le leggi di Dio.» commentò lui. «La realtà è che un piccolo gruppo di persone ha diffuso quest’opinione con argomentazioni relativamente ragionevoli, spingendo e a volte costringendo le persone a non intraprendere la via della magia, cosicché ora le persone che sanno sviluppare un istinto magico sono poche, dato che la conoscenza magica si trasmette da genitore a figlio. Ma ce ne sono, e sono sicuro che lo sai bene anche tu.»

Arthuria sobbalzò, sorpresa da quella costatazione; la prima persona che le venne in mente fu Guinevere.

Sollevando lo sguardo, vide Merlin farle l’occhiolino; ed ebbe la conferma di quello che pensava, cioè che Merlin in qualche modo avesse scoperto che da due anni a quella parte lei conosceva Guinevere.

«Come fai a…?» domandò Arthuria, perplessa.

«Cassandra. La madre adottiva di Guinevere.» spiegò Merlin, sorridendo. «Dopo che l’ho scoperto – l’andare sulla collina della spada è stata un’iniziativa della piccola Guinevere –, io, Cassandra e la Dama del Lago abbiamo convenuto nel farti incontrare Lancelot tramite Guinevere, in modo che lui potesse insegnarti ad usare la spada correttamente.»

Arthuria spalancò gli occhi, e rimase a bocca aperta.

Quindi era stato qualcosa di architettato da Merlin per lei.

«Quindi posso…?» azzardò Arthuria, entusiasta.

Merlin annuì, con un sorriso. Arthuria sorrise di rimando, entusiasta.

Poi, le venne in mente il rapporto tra Guinevere e Lancelot, e sentì il sorriso sparire lentamente dalle proprie labbra. Abbassò lo sguardo, e aggrottò le sopracciglia.

Avrebbe dovuto essere felice, lo sapeva. Eppure, non riusciva a non pensare che Lancelot le avesse tolto l’esclusività di avere Guinevere come amica. E probabilmente gliel’avrebbe tolta sempre di più.

Eppure, non poteva rinunciare a un’occasione del genere. Doveva assolutamente imparare ad usare la spada. E Lancelot, evidentemente, era l’unico in grado di insegnarglielo a dovere, secondo il parere di Merlin.

Sentì una mano sulla testa, che le scompigliò un po’ i capelli corti.

«Il regno di Gilgamesh è terminato per il suo modo di governare.» disse Merlin, spingendola ad alzare lo sguardo verso di lui. «Era egoista, e pensava più a sé stesso che al regno. Non è così che si governa: un re deve mettere davanti a sé il popolo, perché il governarlo, il guidarlo, il capire i sentimenti che animano la comunità e il comportarsi di conseguenza ad essi, è una responsabilità del re. Per un re prima esiste il popolo, poi sé stesso.» spiegò.

Arthuria lo fissò, assorbendo quel concetto e tenendoselo stretto come se fosse oro.

«La lezione per oggi è finita. Tanto la storia di Gilgamesh la sai, no?» disse Merlin, scostandosi da lei e avviandosi verso uno dei tavoli del proprio studio pieno di ampolle e strani marchingegni magici di cui Arthuria non aveva mai capito l’utilità. «Vai pure. Ci vediamo nel pomeriggio per geografia.»

Arthuria si alzò in piedi, e gli sorrise, per poi correre fuori dicendogli un veloce “sì” entusiasta.

Quello sarebbe stato l’ultimo giorno in cui si sarebbe allenata con i servi e i cavalieri di suo padre; finalmente, avrebbe avuto un maestro che Merlin considerava degno di insegnarle l’arte della spada.

Il sorriso le morì di nuovo, quando si rese conto che quel maestro era Lancelot.

Era più che certa che a usare la spada fosse bravo; altrimenti né Merlin, né Guinevere, sarebbero stati d’accordo a proporglielo. Di certo non poteva lamentarsi di lui sotto quel punto di vista.

Però… Lancelot era un maschio, di bell’aspetto, per di più forte, e simpatico. Aveva con Guinevere quel rapporto che hanno le persone che sono fortemente legate. Di certo era qualcosa di più dell’amicizia; ed era impossibile che Lancelot fosse rimasto indifferente a Guinevere, così come era impossibile che lei fosse rimasta indifferente a lui.

Prima o poi lei sarebbe uscita da quel gruppo, lo sentiva. Quei due erano troppo legati, per avere anche un terzo incomodo quale era lei.

Sospirò, abbattuta dall’evidenza. Di Lancelot le importava molto poco; il massimo che le sarebbe potuto succedere, alla fine, sarebbe stato perdere il maestro di spada che aveva sempre sognato di avere.

Ma Guinevere… Guinevere era stata la prima persona con cui aveva potuto parlare apertamente di sé. Con cui aveva abbassato tutte le proprie difese, e con cui non si era fatta problemi a raccontare tutto ciò che succedeva al castello.

Si era entusiasmata con lei quando Guinevere aveva portato sulla collina, l’estate precedente, un libro pieno di figure di creature mitologiche, per sfogliarlo insieme – una cosa che le era costata un ritardo non indifferente alla lezione di Merlin, da tanto era rimasta impressionata e coinvolta da lei. Si era commossa, quando Guinevere si era ricordata del suo compleanno e le aveva regalato un mantello leggero, ma blu, dicendole che era il colore più adatto a lei per via dei suoi occhi. Si era impegnata a farle un mazzo di fiori come regalo di compleanno, cercando in qualche modo di mettere insieme quelli che erano arrivati al castello dalle regioni più calde, dal momento che la data di adozione di Guinevere da parte di Cassandra cadeva in autunno inoltrato. Si era persino riproposta di imparare dei semplici incantesimi che Guinevere aveva insistito per insegnarle, asserendo che le sarebbero stati utili quando avesse combattuto.

L’aveva vista ridere, quasi sempre; l’aveva vista preoccupata per Cassandra quando era stata male, lo scorso inverno, e si era preoccupata con lei; l’aveva vista sollevata, sognante, scherzosa, seria.

Sempre con gli occhi rivolti a qualche lontano orizzonte, o al cielo.

Quando non erano rivolti a lei.

Quel giorno, invece, i suoi occhi avevano incrociato anche quelli di Lancelot.

I libri che aveva letto avrebbero definito quelle sensazioni, probabilmente, come “gelosia”.

Però la gelosia era qualcosa che si provava solo per chi si amava.

Lei non…

Ripensò alla discussione avuta poco prima con Merlin; e al sentimento provato da Gilgamesh per Enkidu.

Poteva essere che…?

No, non era possibile.

E anche se lo fosse stato, non avrebbe potuto renderlo esplicito a nessuno. Né a lei, né al resto del mondo.

Sospirò, rialzando lo sguardo dai corridoi in pietra che le sue gambe avevano deciso di percorrere.

Si ritrovò davanti alla camera di sua madre. I suoi piedi l’avevano portata fino a lì senza che lei nemmeno si rendesse conto di dove andava.

Ormai, del resto, per lei era qualcosa di abitudinario, arrivare lì davanti e fermarsi a fissare il legno della porta che nascondeva quella stanza alla sua vista. Era normale esitare, e pensare se bussare e chiedere il permesso per entrare, o entrare di colpo senza rendere conto a nessuno, oppure voltarsi e andare via da lì; dopotutto, anche se fosse entrata, sarebbe uscita dopo poco.

Fece una smorfia perplessa con le labbra, e alzò il pugno per bussare.

Eppure, le sue nocche non incontrarono il legno. Si fermarono poco distanti dalla porta, e non riuscirono a toccarlo.

«Prova a portarle questa.»

Arthuria sobbalzò, e si voltò, riconoscendo all’istante quella voce.

Sua sorella Morgana.

La vide sorridere, i riccioli neri che si muovevano morbidi intorno il suo viso bianco, e un fiore bianco tra le dita affusolate della mano sinistra.

Arthuria per qualche istante fissò i suoi occhi verdi; poi, abbassò lo sguardo sul fiore che la sorella le stava porgendo, e lo osservò per alcuni attimi.

«Da quanto sei qui?» domandò poi, tornando a guardarla negli occhi.

«Da qualche minuto.» replicò lei. «Giusto il tempo di vederti alzare il braccio, abbassarlo, e fare quella smorfia che fai sempre quando sei qui davanti.»

Arthuria sospirò, e si voltò a guardare di nuovo la porta chiusa.

«Non credo che un fiore cambierebbe molto.» commentò.

Morgana sorrise di nuovo, e pose la mano destra sopra la corolla. Arthuria osservò le scintille di luce che circondarono i petali, prima che questi diventassero da bianchi a rosa scuro, e poi Morgana tornasse a porgerglielo.

«Magia della natura.» le spiegò. «Non è la mia specialità, ma almeno questo lo so fare.»

Arthuria sorrise al suo indirizzo, e poi guardò di nuovo la corolla del fiore, inclinando il viso di lato, e poi rabbuiandosi.

«Dài, prova con questa. Alla mamma piace il rosa di questa tonalità, si fa sempre fare i vestiti di questo colore, o di rosso.» la incoraggiò Morgana. Arthuria sospirò, e prese il fiore in mano; lo contemplò ancora per qualche momento, poi inspirò a fondo per raccogliere il coraggio, e si voltò verso la porta, alzando il pugno e picchiettando per tre volte.

Da dentro, sentì la voce stanca della madre che diceva “avanti”.

Si voltò verso Morgana, in dubbio; lei la spinse per le spalle, avvicinandola di forza all'ingresso della stanza, con il sorriso impresso sulle labbra. Arthuria sospirò, capendo che sarebbe dovuta andare da sola; abbassò la maniglia, ed entrò, titubante, mostrando prima il viso, e poi il resto del corpo, ma rimanendo ferma sulla soglia a contemplare la madre, stesa sul letto a baldacchino della stanza del castello che era riservata solo a lei, e non al letto coniugale.

Tra le mani stringeva debolmente un libro: Arthuria ogni volta che entrava lì la vedeva leggere. Sapeva che amava immergersi nella lettura, e sapeva che lo riteneva un privilegio, dato che erano poche le donne in grado di farlo. Il mobiletto alla destra del letto era pieno di libri rilegati e importati dai luoghi più lontani. Quello a sinistra era adibito invece ad appoggiare lavori fatti da lei coi tessuti: si poteva vedere qualcosa che somigliava a un vestito azzurro, e qualcosa di ancora incompleto.

Considerando la taglia e la grandezza del vestito, Arthuria arrivò alla conclusione che la madre lo stesse facendo per Morgana.

Come sempre, del resto.

Igraine la fissò per qualche istante; e ad Arthuria quegli occhi sembrarono solamente molto freddi e distaccati. Era come se le stessero dicendo di andarsene: sua madre non aveva bisogno nemmeno della voce, per comunicarglielo.

Arthuria abbassò lo sguardo, contemplando il fiore che aveva in mano; sapeva che non sarebbe servita, a far cambiare alla madre opinione su di lei. Non bastava nulla, di quello che le aveva portato per anni: fiori, altri libri, tessuti, vestiti, gioielli. Nulla era sufficiente.

«Sono passata per…» azzardò, a bassa voce. «…per sincerarmi sulle vostre condizioni di salute, madre.»

Alzò piano gli occhi verso di lei, timidamente, stringendo il gambo tra le dita.

Igraine non rispose. Si limitò a scrutarla, con quegli occhi castano scuro che, nonostante il colore caldo, ad Arthuria sembravano solo delle schegge di ghiaccio che volevano infilarsi nel suo cuore.

Non riuscì a sostenere lo sguardo della madre; avanzò verso il mobiletto alla destra del letto, e vi appoggiò il fiore.

«Questo è da parte di Morgana. Si è raccomandata di dirvi che passerà a farvi visita tra poco.» disse, senza guardarla. «Lieta di vedere che vi sentite meglio, Lady Igraine.»

Chiuse per un attimo gli occhi, e poi inspirò di nuovo a fondo e si avviò verso l’uscita della camera.

Igraine non proferì parola nemmeno quando lei aprì la porta ed oltrepassò la soglia.

Arthuria sollevò lo sguardo verso Morgana, quando si trovò sull’uscio; e la vide fare un’espressione dispiaciuta, prima di appoggiarle la mano sulla testa ed entrare nella stanza – più che altro perché Igraine l’aveva vista; altrimenti, Arthuria sapeva che sarebbe stata volentieri con lei, a cercare di tirarla su di morale.

Osservò la porta della camera chiudersi di nuovo, dietro le spalle della sorella; per qualche attimo, restò a fissare le venature del legno, quasi sperando che Morgana l’aprisse e che la madre le mostrasse un sorriso di solito riservato alla maggiore.

Sapeva che non sarebbe successo.

Per quanto lei fosse sangue del sangue di Igraine, sua madre riconosceva come figlia solamente Morgana, che invece era stata adottata.

La storia era stata molto semplice, in realtà: il primo marito di Igraine, il duca di Tintagil, era un cavaliere del Re Uther. Il duca non aveva eredi di sangue, perché Igraine non poteva avere figli; avevano quindi adottato Morgana, la figlia di una delle dame di compagnia di Igraine, che tra l’altro era una maga. E quella era la ragione per cui Morgana sapeva usare la magia: la madre naturale la istruiva su di essa, perché quello era il patto stipulato tra Igraine e la dama in questione affinché potessero adottarla come legittima erede del duca di Tintagil.

Era poi successo che il duca di Tintagil e la moglie fossero stati invitati a una festa organizzata dal re per i propri cavalieri; Uther si era innamorato a prima vista di Igraine, ma non aveva potuto averla in moglie perché lei era già sposata.

Successivamente, la guerra aveva portato il duca di Tintagil a combattere al fianco del re; il duca era morto in guerra, e Uther, poco tempo dopo, aveva chiesto Igraine in sposa. Ed era stato così che era nata lei, Arthuria. Evidentemente Igraine non era sterile, e la persona che, nella coppia precedente, non poteva avere figli, era proprio il duca di Tintagil.

Igraine aveva ripetuto, per anni, quando Arthuria era piccola, che se le cose dovevano andare veramente così, avrebbe preferito essere sterile lei, al posto del suo primo marito. E Arthuria non riusciva a capire il perché; capiva solo che la madre non aveva voluto vederla per anni, quando era stata piccola, e che ora non si ribellava solo perché era costretta a letto, dopo aver avuto un collasso che, tra l’altro, era stato scoperto da Arthuria per prima.

L’unica cosa che riusciva a capire era che Morgana, malgrado la mancanza di legami di sangue con la regina, era accettata come una figlia; lei, invece, malgrado il proprio stato di figlia legittima, non era riconosciuta dalla madre. Non riceveva vestiti o regali da lei, e non riceveva parole, mani sulla testa, carezze, sorrisi da Igraine; le poche volte che la madre le aveva parlato, le sue parole erano state sempre le stesse: che non avrebbe voluto averla, che doveva uscire dalla stanza perché lei non voleva vederla, che anche se era la figlia del re non significava che fosse figlia sua.

Arthuria sospirò, ritrovandosi sulla sommità di una delle torri del castello, col vento che le sferzava il viso e la vista perfetta della collina di Caliburn; sapeva che la sua nascita aveva avuto connotazione diversa per tutte le persone coinvolte.

Per sua madre, era stata una tragedia.

Per Uther, suo padre, era stata la speranza di un erede maschio, il vedere la nascita di una femmina, e il costringersi a credere che questa femmina l’avrebbe un giorno sostituito; e questo costringersi a credere ciò si era tradotto nel forzare i suoi cavalieri a istruirla per quella via, senza che però questi fossero veramente convinti di quello che facevano – del resto come avrebbero potuto, dato che nemmeno Uther lo era?

Per Morgana, era semplicemente stata la nascita di una sorella che, col tempo, era diventata sua figlia: era stata lei a crescerla, sebbene, quando Arthuria era nata, lei avesse solo otto anni. Morgana si era sempre presa cura di lei ed era stata l’unica, lì dentro, a volerle bene; ma nemmeno lei era veramente convinta che sarebbe riuscita a diventare re, malgrado fingesse di sostenerla.

L’unico che ci credeva davvero era Merlin; era lui che si era preso fin da subito l’incarico di istruirla in modo che diventasse un regnante saggio, altruista, e forte per il proprio popolo. Aveva fatto in modo di istruirla, di insegnarle tutto ciò che un re doveva sapere.

Merlin le aveva sempre ripetuto che ogni persona viene al mondo con un obiettivo; e che non importava che lei fosse nata come una femmina: lei era nata come figlia del re, e gli sarebbe succeduta una volta che suo padre avesse abdicato. Ma per farlo, doveva estrarre Caliburn dalla roccia, e dimostrare di voler diventare un re giusto, e ciò di cui la Britannia aveva bisogno; e Merlin aveva dedicato quei dodici anni a fare in modo che ciò accadesse.

Arthuria non si era mai chiesta cosa volesse veramente dalla vita; era sempre stata convinta che le parole di Merlin avessero un senso, e che fossero vere. E lottava per diventare re, e per ricordarsi che era quello il suo obiettivo, perché ormai poteva fare solo quello: poteva solo portare a termine ciò che Merlin aveva iniziato, e dimostrare a tutti che lei poteva farcela. Anche se era una femmina, anche se era debole, anche se non sapeva usare né la magia, né una spada, e l’unica cosa che sapeva fare bene era ricordare le storie che Merlin le raccontava sui re del passato.

Era per quello, che aveva passato anni a salire su quella collina: doveva ricordarsi quell’obiettivo che gli altri si erano prefissati per lei, e che col tempo era diventato il suo.

Solo una persona era stata in grado di farla vacillare in quella decisione.

Guinevere.

Era stata la prima, e l’unica, a chiederle cos’avrebbe voluto fare della propria vita, lei che era la figlia del re.

E Arthuria non aveva saputo, sulle prime, cosa risponderle; la risposta che con chiunque altro avrebbe dato per scontata, con lei era diventata difficile da pronunciare per il semplice fatto che Guinevere poteva sapere ogni cosa di lei, perché era stata lei la prima a permetterlo.

Ma alla fine, le aveva risposto che chiunque nasceva con una missione; e la sua era di diventare il re, perché quello era il suo compito.

Guinevere aveva sorriso in modo che ad Arthuria era sembrato enigmatico; ma non aveva ribattuto.

Era stato come se avesse capito tutto dal semplice modo in cui Arthuria aveva risposto. E come se avesse capito che era quello che lei doveva fare, perché non aveva altra scelta – perché quello che era il suo dovere, col tempo, era diventato anche il suo volere.

«Caspita, fa freddo qui.» commentò una voce dietro di lei.

Arthuria si voltò, e vide sua sorella sulla soglia del passaggio che portava a quella torre, con vestito e capelli agitati dal forte vento.

«Tu non hai freddo?» domandò Morgana, avvicinandosi a lei nonostante la lamentela per la bassa temperatura.

Arthuria scosse la testa, tornando a guardare, poi, la collina di Caliburn, e il resto della valle del castello di Tintagel, il castello che era stato donato dal duca alla moglie. In lontananza, alla sua destra, si poteva anche vedere il lago su cui governava la Dama del Lago.

Sembrava ci fosse un piccolo mondo, riunito lì intorno al castello. Visto da quell’altezza, pareva davvero tutto così piccolo e così vicino: sembrava che fossero due passi dal castello alla collina di Caliburn, quando ci volevano due ore; e sembrava che ci fosse poca distanza anche dal castello al lago, quando in realtà Arthuria sapeva che, per arrivarci a piedi, ci voleva mezza giornata, e a cavallo ci volevano quattro ore.

«Quello è il lago della Dama del Lago?» domandò Morgana, affiancandosi a lei e allungandosi a vedere il paesaggio a destra.

«Sì.» replicò Arthuria. «Quella è la collina di Caliburn, invece.» disse, indicando la collina di fronte a loro.

«Caliburn si vede a malapena, da qui…» considerò Morgana, voltandosi dove Arthuria stava indicando.

Arthuria non aveva potuto fare a meno di notare la stessa cosa; e pensare che, da vicino, quella spada era alta quasi quanto lei.

«Lì c’è un bosco, invece!» aggiunse Morgana, voltandosi verso sinistra.

Arthuria si voltò a propria volta in quella direzione, e guardò per qualche attimo la distesa immensa di alberi che si estendeva a poca distanza del castello. Lì, da qualche parte, vivevano Guinevere e Cassandra, in pieno contatto con gli spiriti della natura.

Arthuria osservò per qualche istante la sorella allungarsi a osservare il bosco, come se potesse cogliere qualche dettaglio che alla sua vista non era visibile.

«Morgana.» la richiamò. Morgana si voltò verso di lei, sorpresa.

Arthuria la fissò per qualche attimo, in dubbio su come porre la domanda che voleva farle; poi, sospirò, e parlò esplicitamente.

«Come mai non ti sei ancora sposata?»

Lei la fissò per qualche momento, con espressione visibilmente esterrefatta per la domanda. Poi, Arthuria la vide sorridere e metterle una mano sulla testa, come faceva sempre quando voleva tranquillizzarla.

«Il cavaliere che merita la mia mano deve ancora nascere.» disse, scompigliandole i capelli.

Arthuria spalancò gli occhi, osservandola mentre lei la aggirava, e passava dall’altro lato.

«Sei così bella che mi riesce difficile credere che nessun cavaliere che abbia chiesto la tua mano fino ad ora sia meritevole, Morgana.» commentò, mentre lei si metteva di nuovo a osservare il lago in lontananza, circondato dalla nebbia. «Probabilmente ti hanno chiesto la mano tutti i cavalieri del re. Nessuno di loro è stato degno di prenderti in sposa?»

La sentì ridacchiare, e poi la vide voltarsi verso di lei. «No. Nessuno di loro.» replicò, mettendole di nuovo la mano tra i capelli, e scompigliandoglieli più di quanto già fossero.

Arthuria fece una smorfia perplessa con la bocca, arricciando le labbra e fissandola con un sopracciglio inarcato. Morgana scoppiò a ridere, divertita.

«Cos'è quell’espressione?» domandò.

«Mi pare difficile credere che il re non ti abbia fatto pressioni.» commentò Arthuria.

Morgana scrollò le spalle. «Non abbiamo legami di sangue, quindi anche volendo non potrebbe farmene. E poi per lui sono solo una ragazzina capricciosa e viziata che rimarrà zitella a vita. Non si pone più di tanto il problema: a lui non importa che io sia accasata o meno. Perciò posso fare quello che voglio.»

«Però più passa il tempo e più diventi vecchia, per prendere marito.» considerò Arthuria.

Morgan scoppiò a ridere, e poi le scompigliò di nuovo i capelli. «Allora dici che rimarrò zitella a vita?»

«Se continui così, temo di sì…»

Morgana sorrise di nuovo, e fece spallucce. «Io penso che il vero amore non guardi l’età.» considerò. «Magari mi prendono in sposa anche se sono vecchia!»

Arthuria sorrise, davanti alla risata divertita della sorella. Morgana sapeva sempre essere molto leggera e incredibilmente semplice, quando si parlava di quell’argomento; liquidava sempre tutto con quella frase, adducendo che per lei l’età e l’amore non c’entravano nulla l’uno con l’altro.

Il problema era che era solo lei, a pensarla così. Un cavaliere che avesse voluto prenderla in moglie l’avrebbe fatto quando lei aveva sedici, diciassette, massimo i vent’anni che aveva ora; ma più avanti, per quanto bella, Morgana probabilmente non sarebbe più stata un partito ideale per i cavalieri del re: l’età feconda e della giovinezza, era quella in cui era più facile prendere marito; e a vent’anni si era già vecchie per farlo, per quanto le possibilità continuassero ad esistere se si era belle come lei.

«Di’ la verità, Morgana.» disse Arthuria, con tono scherzoso. «Ti sei innamorata di uno dei servi del castello, avete una storia segreta, ma per le vostre classi sociali non vi potete sposare, e quindi sei intenzionata a rimanere senza marito per il resto della vita in virtù dell’amore che provi per lui.»

Morgana rise di nuovo. «Arthuria, ma che vai a immaginarti!» esclamò. «Non è affatto così!»

«E allora com’è?» domandò Arthuria. Poi, le venne un flash, al quale spalancò gli occhi.

Guardò per qualche istante la sorella, aggrottando le sopracciglia. Morgana era una maga. Forse…

«È una femmina?» domandò.

La sua reazione fu quella di sobbalzare, all’inizio; poi, di spalancare gli occhi, e di abbassare la mano che stava scompigliando i suoi capelli. Il sorriso le morì sulle labbra, sostituito da un’espressione sconcertata.

«È una femmina?» ripeté Arthuria, assumendo il tono di chi cerca una conferma, totalmente diverso da quello che aveva usato qualche istante prima, che era solo di curiosità.

«Ma… ma no.» replicò Morgana, abbozzando un sorriso. «Perché sei arrivata a pensarlo?»

Arthuria scrollò le spalle, e tornò a voltarsi verso la collina di Caliburn; malgrado la reazione agghiacciata della sorella, se Morgana le diceva che non si trattava di una donna, lei le credeva. Era l’unica persona, oltre a Guinevere, cui credesse veramente.

«Oggi Merlin mi ha insegnato la storia di Gilgamesh.» spiegò.

«Ancora? Non è la prima volta che lo fa.» la sentì commentare.

Arthuria sorrise, al rendersi conto che lei si ricordasse di qualunque cosa lei studiasse con Merlin, di ogni lezione che affrontasse, e di ogni cosa che lei dicesse. «No, infatti. È la terza.» spiegò. «Sul libro c’era scritta una frase particolare che tutt’e tre le volte mi ha lasciato perplessa: si diceva che il regno di Gilgamesh fosse finito, tra le altre cose, anche perché aveva amato Enkidu, che era un uomo come lui. E allora ho chiesto spiegazioni a Merlin, in merito.» Si voltò verso Morgana, che la stava fissando, attenta e seria. «Mi ha spiegato che tra i maghi le relazioni tra maschio e maschio, e tra femmina e femmina, sono considerate esattamente come le relazioni tra maschio e femmina. Ma che tra il resto della gente non sono accettate perché non portano alla nascita di figli.» esplicitò. «E dato che tu sei una maga, ho pensato che, visto che non ti vuoi sposare, il tuo amore potesse essere anche per una donna.» aggiunse, stringendosi nelle spalle.

Morgana sorrise, e poi annuì, appoggiandosi alla balaustra su cui Arthuria era seduta a gambe incrociate.

«Un buon ragionamento.» considerò. «Effettivamente è un’opinione comune tra i maghi. Anche io la penso così. Anche se ora ci sono dei maghi che la pensano come la gente comune.» disse. «Non è il mio caso. Ma se lo fosse, tu da che parte staresti, Arthuria?»

Arthuria sobbalzò, sorpresa; vide che Morgana non la stava guardando in viso, ed era intenta, invece, a contemplare la collina su cui si ergeva, come un puntino insignificante, Caliburn.

«Beh…» commentò Arthuria. «Immagino che… Immagino che un re debba considerare le opinioni della maggioranza, ma anche prendere in considerazione ciò che pensa solo una minoranza e, se sensato, cercare di farlo rispettare, in modo da garantire la pace.» considerò. La vide spalancare gli occhi; ma proseguì prima che lei si voltasse a guardarla. «Quindi… io sono dalla tua parte, Morgana.»

Morgana si voltò verso di lei, e per qualche attimo la osservò con espressione sorpresa; poi, sorrise, e le scompigliò ancora i capelli.

«Grazie.»

 

 

*****

 

 

La mattina dopo, il cielo sembrava promettere fulmini e pioggia violenta.

Eppure, Arthuria vi prestò ben poca attenzione nel momento stesso in cui arrivò quasi in cima alla collina.

Fu qualcosa di fulmineo, a scagliarla giù per qualche metro lungo il pendio, con una violenza che lei non aveva mai sperimentato prima di quel momento.

«O sacerrimi spiriti dell’acqua! C’è ben tanto lavoro da fare, con te!»

Arthuria spalancò gli occhi che aveva chiuso per l’impatto improvviso, e alzò lo sguardo verso la cima della collina; Lancelot era lì, qualche metro sopra di lei, con la spada di legno tenuta sulle spalle in maniera disinvolta, un sorriso sarcastico dipinto sulle labbra, e uno sguardo divertito e pieno di sfida.

Lei fece una smorfia, rialzandosi in piedi senza nemmeno ripulirsi i vestiti; estrasse immediatamente la spada di legno che portava alla cintola, e si mise in guardia.

«Non agitarti, non agitarti! Non serve a nulla, ora.» la redarguì lui, saltellando giù fino a raggiungerla. «Accidenti, a te vanno spiegate proprio le basi, eh?»

«So come usare una spada. Almeno le basi, le so.» ribatté Arthuria, punta sul vivo.

«No, no, non intendevo quello!» replicò lui, ridendo. «Intendevo proprio le basi del combattimento, Arthuria.» precisò, mettendole una mano sotto le sue che reggevano la spada, e alzandole la guardia. «Ad esempio, in questo momento avrei potuto tranquillamente sottrarti la spada, e tu ti saresti fidata troppo di me per essere tanto veloce da impedirmi di farlo. Sbaglio?» la punzecchiò, lanciandole un’occhiata ironica.

Arthuria strinse la presa sull’elsa di legno, fatta artigianalmente dalle sue mani di bambina e da un coltellino che era riuscita a reperire nel castello.

«Ok, forse prima dobbiamo elaborare meglio la teoria. Andiamo su.» disse lui, voltandosi a darle le spalle e incamminandosi verso la cima della collina.

Arthuria sospirò, e lo seguì, abbassando la spada, pronta però a cogliere qualunque altro attacco a sorpresa lui avesse avuto intenzione di sferrarle. Quello con cui l’aveva accolta di sicuro non se l’aspettava; si era immaginata un inizio di combattimento quando fossero già stati davanti a Caliburn, con tanto di Guinevere intenta a guardarli duellare; qualcosa di onesto, insomma. Non un agguato sferrato quando lei non era nemmeno arrivata alla meta.

E poi, doveva ammetterlo: non se lo era aspettato anche perché si era fidata delle parole che Guinevere aveva detto il giorno prima – ovvero, che Lancelot fosse lento. Si era aspettata di trovare, come prima persona, Guinevere con le sue battute scherzose, come sempre; non aveva previsto Lancelot.

Forse era vero che si fidava troppo.

«Arthuria, Arthuria.» disse lui, mettendole una mano sulla spalla e sospirando, quando furono arrivati in cima – un attimo dopo che Arthuria ebbe avuto modo di considerare che Guinevere non era ancora arrivata. «Sei proprio onesta, non c’è che dire.»

Arthuria lo guardò negli occhi, sorpresa che fosse proprio lui a dirglielo. «Eh? Perché dici così?»

Lancelot ridacchiò di nuovo, e si mise di nuovo la spada sulle spalle, sorridendole ampiamente.

«Hai avuto l’occasione di attaccarmi, mentre salivamo. Ti ho dato le spalle: avresti potuto farlo, o almeno provare, dato che io ero in guardia contro un attacco a sorpresa da dietro.» spiegò lui, facendo spallucce. «Ma l’idea nemmeno ti è passata per la testa, vero?»

«A dire il vero, temevo che saresti stato tu, ad attaccarmi. Ero pronta a rialzare la guardia in qualunque momento.» confessò Arthuria.

Lancelot ridacchiò di nuovo. «Mi piaci, Arthuria!» esclamò, battendole la mano sulla spalla. Arthuria, dal canto proprio, si sentì arrossire; le orecchie diventarono calde, e la presa sulla spada di legno vacillò, per la sua incapacità di interpretare gli intenti nascosti dietro la frase di Lancelot. «Come guerriero, intendo.» precisò lui, facendole l’occhiolino, divertito. «Per l’onestà. Non se ne incontrano molti come te, in giro.» considerò, annuendo, come a darsi ragione, e togliendole la mano dalla spalla. «Però, purtroppo, non sono tutti come te, Arthuria. Dovresti pensare anche a questo.» aggiunse, inclinando la testa di lato. «Guinevere ieri ha detto esplicitamente, quando ci ha presentati, che anche io bramo a prendere Caliburn e mi sto allenando per questo. Quindi avrei potuto attaccarti con una spada vera, ed eliminare una mia avversaria in tal senso. Tu non hai preso minimamente in considerazione quest’ipotesi.»

«Non avresti potuto farlo.» replicò Arthuria, seria.

Lancelot spalancò gli occhi, sorpreso. «Mh?»

«Se pensi a questi mezzucci per ottenere Caliburn, non sei degno di estrarla, Lancelot.» spiegò Arthuria. «Un duello leale e aperto sarebbe stato accettabile. Un agguato, no.»

Lancelot sorrise, sarcasticamente. «Sei sveglia, eh?» commentò. «Ed è vero, non l’avrei fatto. Ma non per Caliburn, ma per la mia innata cavalleria.» precisò. «Ma allora mettiamola in questi termini, Arthuria. Se qui sulla collina ci fosse stato un qualunque altro guerriero cui non fossi stata simpatica perché sei la figlia del re, o perché sei una femmina e sei comunque la legittima erede al trono scelta da Uther; o ci fosse stato un nemico del regno, di quelli che il re sta combattendo e che, tralasciando il come avrebbe fatto a farlo, si fosse informato su di te e fosse venuto fin qui per prenderti in ostaggio; allora, tu avresti ragionato allo stesso modo?»

Arthuria esitò, colpita dal ragionamento; effettivamente, non aveva mai pensato che le sue azioni avrebbero potuto avere conseguenze simili. Lei aveva sempre visto l’andare a vedere Caliburn come il vedere Caliburn e basta; non aveva considerato nemmeno lontanamente che qualcuno l’avrebbe potuta vedere – nemmeno quando effettivamente era successo, e Guinevere le aveva confessato di averla seguita.

Abbassò lo sguardo, affranta. «No.» ammise.

Lancelot le mise una mano tra i capelli, scompigliandoglieli amichevolmente. Arthuria sobbalzò, e arrossì, allontanandosi da lui, poco abituata a quello scambio di gesti da lei considerati affettuosi, da parte di gente diversa da Morgana.

«Onesta fino in fondo.» considerò Lancelot. E il suo, agli occhi di Arthuria e vedendo la sua espressione, sembrò un complimento. «Tuttavia, so benissimo che anche tu sei consapevole del fatto che in questo mondo la vigliaccheria è all’ordine del giorno, purtroppo. Che c’entrino i combattimenti, o che non c’entrino. D’ora in avanti, dovrai stare più attenta; una persona onesta come te non la si può perdere.» disse lui, sorridendo.

Arthuria sorrise di rimando, dimentica, per qualche attimo, delle considerazioni fatte su Lancelot e Guinevere il giorno prima. Annuì, confortata dal fatto che Lancelot, almeno a quanto sembrava, fosse lo stesso tipo di persona che era lei.

Quell’attimo di dimenticanza durò poco; giusto il tempo di sentire un folata di vento freddo provenire da dietro di sé, e voltarsi, scorgendo Guinevere che arrivava, come sempre per niente trafelata, sulla cima della collina; Arthuria osservò i suoi occhi spalancarsi, fissi nei suoi – per un attimo, le sembrò che Lancelot nemmeno esistesse, per Guinevere.

«Hai vinto.» commentò lei, sorpresa. Poi, scoppiò a ridere, e corse ad abbracciarla, divertita. «Hai vinto! Per la prima volta in due anni!» esclamò, entusiasta.

Arthuria avvampò, imbarazzata da tutto quel contatto, prima con Lancelot, e ora con Guinevere; era qualcosa cui non era per niente abituata, nemmeno con Morgana.

E la cosa più strana era che le facesse anche piacere, trattandosi di Guinevere.

«Guinevere… Aspetta…» biascicò, imbarazzata. Lei si scostò, sempre sorridente. «E’ stato Lancelot… il primo ad arrivare qui, oggi…»

Guinevere inclinò la testa a guardare l’altro, senza però scostare le braccia dal collo di Arthuria. Se, da un lato, quel gesto le fece piacere, dall’altro contribuì a imbarazzarla ancora di più; non osò, tuttavia, chiederle di scostarsi ulteriormente, dato che Guinevere sembrava intenta a osservare attentamente Lancelot.

«Lancelot, veramente hai dormito qui?» domandò poi lei, scostandosi – Arthuria sobbalzò per la sorpresa, e si voltò verso l’interpellato, esterrefatta. Lancelot, di tutta risposta, scoppiò a ridere, e si passò la mano tra i capelli, un po’ in imbarazzo.

«Eh?» chiese Arthuria, voltandosi verso Guinevere, confusa.

«Voleva essere sicuro di farti un attacco a sorpresa quando fossi arrivata qui.» spiegò la maga, con un sorriso sardonico in viso. «Ma siccome è ben consapevole di essere estremamente lento, ha evidentemente optato per mettere in atto quello che a me ieri era sembrato uno scherzo; cioè, dormire qui e svegliarsi alle prime luci dell’alba per tenderti un'imboscata, e vedere se sapevi le regole base della battaglia.»

«E ci sono anche riuscito!» esclamò Lancelot, alzando un dito all’aria, come a voler ulteriormente puntualizzare che quella era stata una strategia riuscitissima. «Infatti ne stavamo parlando prima che arrivassi tu.»

Arthuria si voltò verso Lancelot, sconcertata da quelle rivelazioni; guardandolo, sembrava non avesse fatto nulla di speciale; e forse era quel genere di persona che era capace di fare cose del genere anche senza pensare, e senza chiedere nulla in cambio.

Ma Arthuria, di persone così, aveva incontrato solo Guinevere e Morgana, oltre a lui, pur avendo avuto mille contatti con le persone che vivevano nel castello.

«Lancelot…» azzardò, ancora sconvolta. «Hai dormito qui… solamente per questo?»

Lancelot la guardò, sorpreso; con la coda dell’occhio, Arthuria vide Guinevere rivolgerle un sorriso dolce.

«Oh. Ehm. Beh…» replicò lui, dando un’occhiata a Guinevere; sembrava disorientato dalla domanda, e parecchio incerto sulla risposta da dare. «Non è che… Insomma, sì. Ecco…»

«Oh, e smettila, Lancelot!» lo rimproverò Guinevere, con uno spintone, ridendo. «Arthuria.» la richiamò, sorridendole e voltandosi verso di lei. «So che per il clima in cui sei cresciuta magari non è una cosa abituale. Ma Lancelot, esattamente come te, è un guerriero onesto e altruista. Lui farebbe questo e altro, per qualcuno che è esattamente come lui. E anche per chi non lo è, ma… se sei come lui lo stimoli a farlo. Non sentirti in imbarazzo. Per lui è normale.»

Arthuria spalancò gli occhi; e per la prima volta, sentì qualcosa di combattuto, dentro di sé, nei confronti di quel ragazzo. Gelosia, perché tutto dentro di lei le urlava che sarebbe stato lui, a minare il rapporto che lei aveva costruito con Guinevere; ma anche gratitudine per il gesto fatto; e ammirazione per l’onestà, e per il pensiero che aveva avuto.

Era tutto qualcosa di estremamente confuso, per cui la sua mente non riusciva a elaborare le parole da dirgli.

Un “grazie” sarebbe stato ipocrita, o sincero?

Una stretta di mano avrebbe voluto essere minacciosa, o amichevole?

Lancelot prima o poi le avrebbe portato via Guinevere. Eppure, in quel momento, aveva fatto quel gesto per lei.

«Devo ringraziarti, Lancelot.» disse alla fine, con un inchino profondo. «Non credo che a nessun altro sarebbe venuto in mente di fare un gesto del genere per me. Hai la mia gratitudine.»

Dentro di sé, sentì che le parole che aveva appena detto, erano vere nella maggior parte dei sentimenti che provava.

Mancavano solo quei piccoli frammenti in cui invece, per lui, provava solo invidia e gelosia.

Lancelot, col suo solito fare amichevole, le mise una mano sulla testa e le scompigliò i capelli, spingendola a rialzare il capo; Arthuria, una volta che incrociò il suo viso, vide il sorriso dipinto sulle labbra di Lancelot, come su quelle di Guinevere.

«Sono lieto di avere la tua gratitudine.» disse lui. «Ma materialmente parlando non mi serve a molto, se poi non otteniamo i risultati che vogliamo nel tuo allenamento. Che ne dici di iniziare, dunque?»

Arthuria sorrise di rimando e annuì.

Quei piccoli pezzi di gelosia e invidia erano delle schegge di vetro nel suo animo. Ma l’importante era, in quel momento, quello che provava tutto il resto di lei: gratitudine, ed entusiasmo.



 

Note sui personaggi

Lancelot: nome inglese di Lancillotto. È il figlio adottivo della Dama del Lago; non è chiaro se sia stato da lei rapito e poi educato, o se la Dama del Lago l’abbia trovato; è però risaputo che l’ha accudito. Nel ciclo bretone, Lancelot era molto più giovane di Arthur.

Dama del Lago: generalmente identificata come una maga alla guardia del Lago, che parrebbe nascondere persino la leggendaria isola di Avalon, o in alternativa un paese di cavalieri, o un paese di sole donne. Il suo nome non è ben precisato; tra gli altri, vengono utilizzati Vivian e Nimue. È identificata, da alcuni, anche come la maga di cui Merlin si innamorò.

Uther Pendragon: padre di Arthur(ia).

Morgana: viene chiamata anche “Morgan le Fay” (Fata Morgana); nella leggenda originale, è la prima figlia di Igraine, avuta da lei con il primo marito, il duca di Tintagil. Si dice che Arthur, in realtà, avesse due sorelle: Morgana e Morgause. Morgause sarebbe la madre di Mordred, concepito con Arthur; Morgana la madre di Gawain, (e dei fratelli di Gawain) concepito col marito Lot. Spesso, tuttavia, Morgana e Morgause vengono identificate come la stessa persona.

Gilgamesh: nella leggenda, è conosciuto come il primo Re del mondo, e governatore del mondo quando era ancora unito. Le sue gesta, e la sua storia, sono narrate nell’Epopea di Gilgamesh. Nella storia, viene fatto chiaramente riferimento al fatto che amasse Enkidu, suo amico e compagno. Dopo la morte di Enkidu, andò alla ricerca dell’erba dell’immortalità per paura di morire; tuttavia, una volta trovata la pianta, questa venne mangiata da un serpente, precludendogli così la possibilità di avere una vita eterna. Viene spesso dipinto come un re avido e borioso.

Enkidu: una bambola di creta creata dagli déi e inviata a combattere contro Gilgamesh; essendo dotati di pari forza, i due dopo il combattimento finito praticamente alla pari divennero amici. Morì per mano della dea Ishtar: questa si era innamorata di Gilgamesh, era stata da lui rifiutata, e aveva inviato contro di lui il Toro Celeste per vendicarsi. Il toro fu sconfitto poi da Gilgamesh e Enkidu; quest’ultimo provocò la dea gettandole contro una zampa del toro, e la dea reagì facendolo ammalare mortalmente.

 

Le vicende

Lancelot, Arthur e Guinevere non si conoscevano in giovane età, nelle leggende del ciclo bretone; anzi, Lancelot era molto più giovane di Arthur (non saprei dire di Guinevere, invece), tanto che divenne cavaliere a 15 o 18 anni, quando Arthur era già in età avanzata. Allo stesso modo, probabilmente non è stato addestrato dalla Dama del Lago nel combattimento; mi è venuto però in mente che, essendo proprio la Dama del Lago a dare Excalibur ad Arthur, lei potesse essere anche un’abile spadaccina. Da qualche parte le capacità combattive particolarmente alte di Lancelot dovevano pur arrivare, in fondo.

Su Morgana, Lady Igraine, il duca di Tintagil e Uther: nella leggenda, Uther si innamora sì di Igraine a prima vista, e il duca di Tintagil è effettivamente un cavaliere del re; tuttavia, il duca di Tintagil non muore in una guerra per il re, ma in una guerra che il re scatena contro di lui per sposare Igraine. Nel frattempo, Uther manda a cercare Merlin, che acconsente a fargli prendere le sembianze del duca in modo che lui possa possedere Igraine; viene così concepito Arthur, che poi viene istruito da Merlin secondo il patto col re. Prima della guerra, tra l’altro, il duca aveva fatto costruire un castello da cui attaccare il re, chiamato Terrabil; e aveva lasciato Igraine nel castello in cui vivevano, cioè Tintagel.

Per quanto riguarda Morgana, era effettivamente figlia di Igraine e del duca di Tintagil, nella leggenda originale. Non è ben chiaro come potesse essere una maga; quindi, basandomi su Fate e sulla trasmissione di poteri da genitore a figlio, ho pensato che la madre potesse non essere Lady Igraine, e che Morgana potesse essere stata adottata.

  
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