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Autore: CassandraBlackZone    26/05/2016    4 recensioni
Raccolto tutto il suo coraggio, Maria uscì dal suo nascondiglio e si avvicinò al grosso cilindro di vetro. All’interno di quest’ultimo, il corpo del riccio antropomorfo nero e rosso galleggiava nel liquido verde fluorescente con gli occhi chiusi e un’espressione serena sul volto. Improvvisamente, non le fece più così paura. Provava più pena, vedendo tutte quelle ventose e fili attaccati su diverse parti del corpo.
«Ti ricordi come si chiama?»
Maria si voltò verso il nonno. «Shadow, giusto?» riportò l’attenzione sulla Forma di vita Definitiva. «Shadow… the Hedgehog.»
Genere: Azione, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Gerald Robotnik, Maria Robotnik, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Maria rimase ad ascoltare la conversazione degli scienziati cercando di capire, ma fu inutile. Tutti quei discorsi legati alle funzionalità vitali, le quantità di un misterioso liquido dal nome impronunciabile e simili erano totalmente incomprensibili alla bambina di otto anni.
«Hai bisogno di qualcosa, Maria?» chiese gentilmente Stanford, il più vecchio dei due.
Maria sussultò sorpresa e imbarazzata abbassò lo sguardo, avendo incrociato quello dello scienziato sorridente. Stanford Drew era senza dubbio la persona più gentile che lei conosceva: era sempre disponibile e un gran lavoratore, ma soprattutto aveva una simpatia contagiosa che gli impediva di farsi odiare da chiunque. «Oh, scusate. Forse disturbo.»
«Niente affatto, piccola. Ti sarai annoiata ad aspettare. Ti porta tuo nonno?»
«Be’…» iniziò lei titubante. «tecnicamente sì.»
I due si guardarono perplessi, uno aggiustandosi gli occhiali sul naso e l’altro scrollando le spalle. Per comodità, Stanford si abbassò all’altezza della bambina. «Intanto dicci come possiamo aiutarti.»
«Posso vedere Shadow?» chiese diretta.
«Shadow?»
Annuì. «Ho promesso al nonno che sarei stata vicino a lui fino al suo risveglio.»
Lo scienziato batté il pugno destro sul palmo sinistro. «Ah, intendi il progetto Shadow» la corresse con un inaspettato tono nervoso.
Maria scosse la testa e quasi irritata disse: «Il suo nome non è “progetto Shadow”. Lui è Shadow the Hedgehog.»
«Oh, ok. Come vuoi» si grattò la nuca forzando un sorriso. «Be’, non credo sia una buona id-…»
«Lasciala andare. Ha il mio permesso.»
Maria aggrottò la fronte appena riconobbe la voce del tanto odiato Morris, campeggiato da altri due scienziati.
«Ma ha soprattutto il permesso del professor Robotnik. Dico bene, ragazzina?»
«Solo il permesso di mio nonno, se permetti» disse Maria squadrandolo.
Morris schioccò la lingua scocciato e si avvicinò al quadrante di fianco alla porta. Digitato il codice, si aprì automaticamente. «Prego, principessina. In bocca al lupo» sogghignò.
Maria varcò la soglia ignorandolo.
«Ricordatelo, ragazzina» le sussurrò l’uomo per fermarla. «Io e te abbiamo una scommessa in sospeso.»
Alla chiusura delle porte, la bambina dimenticò le parole di Morris e camminò accompagnata dal suono metallico dei suoi passi, senza distogliere gli occhi dal cilindro in mezzo alla stanza, come una falena attirata dalla luce.
Il riccio nero era ancora dormiente, quindi ignaro della presenza che lo stava osservando da molto vicino.
«Ciao» disse Maria con un filo di voce. «Ancora dormi?»
Silenzio.
«Il nonno mi ha detto che fra poco ti sveglierai e io dovrò giocare con te, sai?» Maria si lasciò ipnotizzare dal liquidi verde fluorescente, finché non appoggiò piano un mano sul vetro. Era freddo. «Ti devo chiedere scusa, Shadow, perché prima avevo paura di te e non dovevo. Se il nonno mi ha detto che non sei pericoloso, allora deve essere così.»
Maria percepì all’improvviso uno strano tepore attraverso la mano che la fece trasalire e quindi a staccarla dal vetro. Indietreggiato di un paio di passi, la bambina osservò la creatura antropomorfa, meravigliata, mentre quest’ultima incrociava lentamente le braccia e raccoglieva le gambe al petto, mettendosi così in posizione fetale. Un piccolo sorriso invitò Maria ad avvicinarsi e ad appoggiarsi nuovamente alla cella: pian piano quel calore divenne sempre più piacevole, più familiare. L’istinto la spinse a sorridere e ad accoglierlo come una risposta del suo nuovo amico. «Te lo prometto, Shadow. Non appena sarai fuori da qui, io ti proteggerò» Maria si appoggiò con una guancia, senza smettere di sorridere.
Intanto Morris, attraverso le telecamere di sorveglianza, osservava Maria con disprezzo.
«Se il professor Robotnik fosse qui, ti avrebbe già sgridato» scherzò Stanford. «Non capisco perché ce l’hai tanto con la signorina Maria»
Morris sbuffò sghignazzando. «Solo con la signorina Maria, dici?»
Stanford roteò gli occhi fingendo di guardare lo schermo del computer.
«È solo una ragazzina viziata e saccente che pretende di avere sempre ragione. È insopportabile.»
«Bada a quello che dici» divenne serio l’altro. «La signorina Maria è tutt’altro che insopportabile. Anzi, è una ragazzina molto dolce.»
«Oh, ho visto come mi ha accolto qualche settimana fa» disse Morris con falsa sorpresa. «È il comitato di accoglienza per eccellenza.»
«Inoltre»,riprese Stanford, « è ammirevole come lei stia affrontando la sua situazione.»
«Sì, ne sono al corrente» disse Morris ammiccando. «Lei è affetta dalla NIDS, ovvero la Sindrome di Insufficienza Neuro – Immunitario. Una malattia rara di cui non si ha ancora la cura.»
«Bene. Allora se lo sai, abbi un po’ di rispetto. Perché è sostanzialmente per questo che siamo qui.»
«Veramente siamo qui per trovare una formula dell’immortalità, caro Stanford.»
«Formula che salverà Maria e molti altri innocenti!» Stanford si alzò con rabbia dalla sedia facendola cadere all’indietro, proprio mentre Maria stava rientrando dalla stanza. Lei urlò, spaventata.
«Signorina Maria!» l’uomo si calmò all’istante e corse dalla bambina mortificato. «L’ho spaventata? Mi dispiace!»
«No, non si preoccupi. Non è successo nulla» gli sorrise Maria con gli occhi azzurri che brillavano. «Ora me ne vado in camera mia. Buon lavoro.»
Tutti gli scienziati, meno Morris, salutarono la bambina con un largo sorriso.
«Ecco cosa succede a lasciarsi trasportare dalle emozioni» sospirò Morris, attirando su di sé occhi accusatori. «Meno chiacchiere e più lavoro. Continuate a monitorare il progetto Shadow e passatemi gli ultimi aggiornamenti.»
Il silenzio piombò tra gli scienziati anelanti di saltare addosso a Morris, ma dovettero sopprimere quell’istinto e fare quanto richiesto, poiché lui, nonostante la giovane età, era l’assistente e il pupillo del professor Robotnik date le sue incredibili capacità e conoscenze del progetto.  Sebbene lo odiassero, loro erano tenuti ad obbedirgli a prescindere. Era un elemento troppo importante per quella ricerca.
Stanford strinse con forza i pugni e prese dalla sua postazione tutti i valori registrati quel giorno. «Ecco i tuoi dannati valori. Ora puoi pure andare.»
Morris sogghignò soddisfatto prendendo i fogli. «Grazie» con il cenno di una mano ordinò ai due che erano entrati con lui di seguirlo e uscirono tutti e tre, lasciando che l’insensibilità del giovane assistente scelto lasciasse l’amaro in bocca a tutti i presenti nella sala comandi.
 
I giorni passavano e gli scienziati continuavano i loro test sotto la supervisione del dottor Robotnik, mentre Maria faceva le sue visite. Che fosse per leggere un libro ad alta voce o bere la speciale cioccolata calda del nonno, la bambina coglieva qualsiasi occasione per poter stare con Shadow, mostrandosi sempre più allegra. La paura si era trasformata in risolutezza e impazienza per il suo risveglio.
«La signorina Maria si è affezionata al prog-… a Shadow» ridacchiò Stanford davanti alle immagini della piccola seduta ai piedi del cilindro.
Gerald annuì.«Sì. Non vede proprio l’ora che si svegli.»
«È davvero una bambina coraggiosa.»
«Se per coraggiosa intendi dire che ha un cuore d’oro, allora sono d’accordo.»
Stanford si tolse gli occhiali e si girò verso il professore. «Senta, forse lei non se ne rende conto, ma sta dando il permesso ad una bambina di otto anni di vedere una creatura ancora instabile. Lei non pensa che sia peric-…»
«Stanford, mi leggeresti per cortesia i dati di Shadow?» lo interruppe il dottor Robotnik.
Lo scienziato si inforcò di volata gli occhiali e fece scivolare le dita sulla tastiera e lesse:«Battito cardiaco regolare. Organi vitali in perfetto stato. Livello di energia caotica sotto controllo e livello di…»
Gerald sorprese Stanford dandogli una pesante pacca sulla spalla.«Direi che ti sei risposto da solo, no? Nel giro di quattordici giorni ogni singolo dato di Shadow è perfettamente nella norma ed è stato tutto grazie a Maria.»
«Non capisco, professore.»
«In realtà nemmeno io, caro Stanford» Robotnik si avvicinò agli schermi massaggiandosi i lunghi baffi grigi. «Ma ho come la sensazione, che lei possa essere l’anello mancante per completare il progetto.» sussurrò tra sé e sé.
 
«Sai, io sono come te. Non ho una mamma e nemmeno un papà.» disse Maria forzando un sorriso. «O almeno… è quello che il nonno mi ha detto. Lui è l’unico parente che mi è rimasto.»
Ricordare i suoi genitori era sempre doloroso per la bambina, in quanto nella sua mente non si formava alcuna immagine nitida dei due. Geraldo Robotnik e Meredith Sanders: era tutto ciò che sapeva di loro. Sebbene avesse provato svariate volte a chiedere loro notizie al nonno, quest’ultimo cambiava subito argomento o le rispondeva che lei era troppo piccola per capire.
Maria si accoccolò vicino al cilindro portandosi le ginocchia al petto e appoggiò la testa di lato sul vetro. Improvvisamente si intristì, ma continuando ugualmente a raccontare.«Ho sempre vissuto qui, sull’ARK. Io non mi lamento, lo giuro! Però… a volte mi sento sola» chiusi gli occhi, Maria si lasciò trasportare dalla dolcezza di quel calore che da giorni la consolava. Un sorriso si allargò sulla sua pelle candida. «Sai una cosa, Shadow? Tu potresti fare parte della mia famiglia assieme a mio nonno. Dopotutto lui ti ha creato, no? Quindi è come se tu fossi suo figlio e quindi io potrei essere…»
Uno strano gorgoglio indurì leggermente l’espressione della bambina, ma fu l’arrivo di un’ombra inaspettata a indurla ad alzare lo sguardo. Fu allora che li vide: due piccoli occhi color rubino erano fissi nei suoi color zaffiro.
Maria si alzò sorpresa dal pavimento e si allontanò dal cilindro, preoccupando non poco la creatura antropomorfa al suo interno. «Si è svegliato…» sussurrò la bambina incredula. «Si è svegliato!» ripeté quasi urlando.
«Ricordatevi che prima di svuotare la cella bisogna mettergli i bracciali inibitori» il professor Robotnik entrò nella stanza grave, seguito da Stanford e altri due assistenti preoccupati. «Assicuratevi di rimuovere con attenzione aghi e ventose. Non voglio che si faccia male.»
«Nonno! Si è svegliato!»
«Lo so, tesorino» Gerald accarezzò con entrambe le mani il viso della nipotina. «Sei stata brava, ma ora ce ne occupiamo noi. Stanford, stalle vicino.»
«Sissignore.»
Guidata dal sorriso di Stanford, Maria si lasciò prendere per mano, ma un brusco movimento attirò l’attenzione della piccola che si voltò d’istinto. Era Shadow, che batteva i pugni sul vetro, con gli occhi che invocavano aiuto. Il suo aiuto. Era confuso e spaventato da tutti quegli estranei che lo fissavano e parlavano uno sopra l’altro.
«Fermatevi!» prima che lo scienziato potesse riportarla nella sala comandi, Maria si liberò e corse in soccorso del riccio.
«Signorina Maria!»
«Non state così vicini! Ha paura!»
Tutti si fermarono di colpo e guardarono perplessi la bambina allarmata. Gerald si inginocchiò davanti a lei. «Piccola mia, ti ho detto che ora ci pensiamo noi. Attendavamo il suo risveglio da molto tempo e ora dobbiamo…»
«Ma vi dico che ha paura! Non potete trattarlo così!» lo ammonì la bambina.
Due colpi dietro il nonno attirarono l’attenzione di Maria. Shadow si muoveva alla ricerca della sua piccola amica, che subito si avvicinò appoggiando entrambe le mani sul vetro. «Stai tranquillo. Ci sono qui io» gli sorrise di conforto.
Il riccio ebano appoggiò a sua volta le sue mani all’altezza di quelle di Maria e allettò di rimando, tranquillizzandosi.
Il professore rimase sbalordito, ma al tempo stesso incantato da quella scena, tanto quanto lo fossero tutti gli altri. «Signore, i valori sono ritornati nuovamente regolari.» gli comunicò dalla sala comandi Stanford.
«Proprio come pensavo» disse soddisfatto. «Voialtri, allontanatevi dalla cella. Bastiamo io e mia nipote. Non dobbiamo spaventarlo. Occupatevi del resto.»
Ricevuto l’ordine, tutti rientrarono per eseguire i compiti assegnati, mentre i due Robotnik erano rimasti la sola presenza dinanzi a Shadow.
«Maria cara, continueresti a far sentire a suo agio il tuo nuovo fratellino? Così finiremo più in fretta.»
Maria si voltò verso il nonno con gli occhi spalancati. «Fratellino?»
Gerald annuì con sicurezza. «Esatto. Da oggi in poi tratterai Shadow come un fratello. Ti piace come idea?»
La bambina ci pensò su, riportando lo sguardo su uno Shadow visibilmente contento di vederla ed annuì. Sì. Era quello che voleva: un fratello. «Sì! Certo che mi piace!» urlò entusiasta.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Essendo una mia versione del passato di Shadow, molte cose saranno diverse dalla storia originale. Lo dico fin da subito perché ho un serbo un po’ di colpi di scena che spero vi piaceranno. Detto ciò, non spoilerò nulla. Un capitolo di passaggio che forse non ha nulla di speciale, ma che spero non vi abbia annoiato.
Alla prossima!
 
Cassandra
   
 
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