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Autore: Melabanana_    26/05/2016    3 recensioni
A un certo punto della storia che conosciamo, in tutto il globo terrestre hanno cominciato a nascere bambini con poteri sovrannaturali, dando inizio alla generazione dei "portatori di doni". Assoldati dalle "Inazuma Agency" come agenti speciali, Midorikawa e i suoi coetanei dovranno lottare contro persone disposte a tutto pur di conservare e accrescere il proprio potere. Ma possono dei ragazzini salvare il mondo?
Avvertimenti: POV in 1a persona, AU, forse OOC, presenza di OC (secondari).
Questa storia è a rating arancione per via delle tematiche trattate (violenza di vario grado, morte, trauma, occasionale turpiloquio). Ho cercato di includere questi temi con la massima sensibilità, ma vi prego comunque di avvicinarvi alla materia trattata con prudenza e delicatezza. -Roby
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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Sono sopravvissuta all'università! Ora avrò tempo libero per un po' e di questo sono molto felice~
Naturalmente proprio in questi giorni il modem di casa mia ha iniziato a fare i capricci... Ma almeno sono riuscita di scrivere questo capitolo. Spero di riuscire a progredire un po' di più con la storia e di velocizzare gli aggiornamenti. 
Detto ciò, buona lettura!




Mi gettai dell’acqua fredda in faccia e osservai il volto bagnato che, riflesso nello specchio, mi fissava di rimando.
Ormai ero abituato alle occhiaie, ai cerchi neri che parevano disegnati con l’eyeliner. Mi asciugai il viso con l’asciugamano di spugna poggiato accanto al lavandino e mi tirai su la zip della felpa, avevo scelto di indossare una tuta comoda e pratica per il mio primo allenamento di gruppo.
Ero rimasto con Hiroto per tutta la notte e avevo lasciato la sua stanza solo verso le otto di mattina, per fare colazione. Quando Hiroto si era rifiutato di scendere con me, non me l’ero sentita di insistere, non dopo ciò che mi aveva raccontato il giorno precedente... e specialmente non dopo ciò che mi aveva confessato quella mattina. Mentre mi rivelava quell’orribile segreto, Hiroto aveva un’espressione di dolore che non avrei mai voluto vedere sul suo volto. Mi chiedevo cosa potessi fare per alleviare almeno un po’ il peso che portava sulle spalle…
Scossi il capo, uscii dal bagno e mi infilai le mani in tasca.
Kazemaru mi aspettava seduto sul suo letto, con lo sguardo fisso sulle mani intrecciate in grembo.
Ci eravamo visti a colazione, poi eravamo tornati nella nostra camera insieme per prepararci. 
Lo raggiunsi e gli misi una mano sulla spalla.
Kazemaru alzò il viso verso di me, mi scrutò per un attimo, poi si alzò.
-Mi spiace che tu non abbia potuto partecipare in questi due giorni- mi disse.
-Dispiace anche a me, tra una cosa e l’altra non ci vengo quasi mai... E invece ne avrei proprio bisogno- brontolai. Kazemaru ed io arrivammo alle scale e le scendemmo senza incontrare nessuno. Dovevano essere tutti in sala addestramento, o impegnati negli uffici. 
Kazemaru, al contrario di me, aveva partecipato a quasi tutti gli allenamenti speciali pianificati da Natsumi e riempiva il silenzio parlandomi di cosa avevano fatto nelle altre sessioni. Per quanto mi sforzassi di ascoltarlo, ero distratto da altri pensieri e perdevo di continuo il filo del discorso. Kazemaru dovette accorgersene, perché ad un certo punto smise di parlare del tutto.
Mi morsi il labbro inferiore, il silenzio era pesante.
-Scusami- mormorai. -Non ti stavo ascoltando, mi dispiace.
Kazemaru scosse il capo.
Mi voltai verso di lui e notai che, contrariamente alle mie aspettative, non sembrava né arrabbiato, né offeso.
-Lo capisco, non preoccuparti. È solo che vorrei che mi parlassi di più dei tuoi problemi- disse.
Annuii, capivo come si sentiva.
Dopo il litigio che avevamo avuto, ci eravamo ripromessi di essere più aperti l’uno con l’altro, ma chiaramente dovevo ancora migliorare su questo aspetto. L’abitudine di tenermi tutto dentro sembrava essere fin troppo radicata.
Aprii la bocca, ma Kazemaru mi anticipò.
-Non scusarti di nuovo- disse. -Ascolta, so che sei preoccupato per Hiroto. Endou mi ha già raccontato cosa è successo con Seijirou.
-Volevo solo dirti che io ti appoggerò sempre. Seijirou ci ha aiutato molto e gliene sono grato, ma venire qui è stata una nostra scelta, una scelta che abbiamo fatto insieme. Se tu non ci fossi stato, non credo che sarei venuto qui da solo… Se tu non sei al mio fianco, nulla di tutto questo ha senso, perciò non mi importa nemmeno di diventare un drifter- disse, e abbozzò un sorriso.
-Perciò decidi liberamente, Ryuuji, fai ciò che senti giusto. Io sarò sempre dalla tua parte, qualunque cosa succeda. Voglio solo che tu sappia questo.
Kazemaru tese la mano verso la mia. Sembrava tranquillo, molto più di quanto mi aspettassi, ed un sorriso si fece largo spontaneamente sul mio viso.
-Va bene- risposi.
Sentire quelle parole, stringere quella mano, queste cose bastavano a darmi una sensazione di invincibilità.
 


xxx


 
Nella sala di addestramento c’erano soltanto tre delle Spy Eleven che avevo visto in sala riunioni.
Tra loro identificai subito Edgar Valtinas, la Spy Eleven del Regno Unito. Era sempre stato più che appariscente, grazie anche alla chioma turchese che risaltava in mezzo alle altre teste. Quel giorno era vestito in abiti casuali, con una camicia bianca e un paio di pantaloni gessati: su chiunque altro il completo sarebbe apparso banale, ma lui appariva tanto elegante come lo sarebbe stato in abiti di gala. La spilla dorata, simbolo delle Spy Eleven, luccicava sul petto, all’altezza del cuore.
Alla destra di Valtinas, c’era un ragazzo con i capelli blu scuro e la pelle scura baciata dal sole. Indossava un paio di pantaloni al ginocchio e una maglietta a maniche corte, della quale continuava ad arrotolare e srotolare le maniche mentre chiacchierava con Natsumi. Non ricordavo il suo nome e non riuscivo a vedere la sua spilla, tuttavia lo riconobbi immediatamente come la Spy Eleven africana.
A sinistra, invece, vidi la Spy Eleven americana, Mark Kruger. La sua spilla era appuntata sul colletto di un gilet nero lucido, sopra una camicia azzurra; con il suo viso, che molti avrebbero definito angelico, e i suoi capelli biondo-dorati, sembrava pronto per sfilare su una passerella internazionale piuttosto che ad ingaggiare un combattimento.
Accanto a lui c’erano anche Aphrodi e il ragazzo con gli occhialoni, che chiacchieravano con fervore (magari avevano legato davvero, durante le sedute dalla psicologa).
Non appena Kazemaru ed io varcammo la soglia della stanza, Diam ci intercettò saltandomi letteralmente addosso.
-Reize! Mi sembra che non ci vediamo da una vita!- esclamò.
Quando si staccò, mi prese per le spalle e mi osservò per alcuni secondi; come al solito non percepivo alcuna sensazione provenire da lui e il suo sguardo, attento e scrutatore, mi rendeva nervoso.
Ma poi Diam sorrise e si infilò tra me e Kazemaru, tenendo una mano su una spalla di ognuno.
-Allora, gente, che si fa? Io speravo di potermi unire a quel gruppetto laggiù oggi- annunciò, guardando verso Kruger e Valtinas. –Natsumi-san ha organizzato un addestramento speciale incentrato sul potere di Mark Kruger. Pare che abbia un dono molto figo, perciò sono curioso!
-Per me va bene- disse Kazemaru.
Avvicinarsi alle Spy Eleven sembrava anche a me una buona opportunità per vari motivi, tra i quali parlare con Aphrodi e chiedergli se avesse notizie di Gazel, o dei Fubuki. Dopo averci riflettuto per qualche secondo, annuii con convinzione.
-Sì, mi sembra una buona idea- affermai. Diam si illuminò.
-Fantastico! Aspettate solo un momento…- disse, poi si girò e scrutò la stanza.
Seguendo il su sguardo, notai che all’altra parte della sala, nella zona del poligono di tiro, c’erano i compagni di Diam, tutti meno IQ, che stava probabilmente ancora lavorando; tra loro però vidi Maki e, cosa più sorprendente, Rean, che stava attaccata al braccio di Ai come se da ciò fosse dipesa la sua vita.
-Ehi, Maki!- gridò Diam e, quando lei si girò, le fece cenno di raggiungerci.
Maki si avvicinò, quasi saltellando, e ci salutò con un gran sorriso.
Quel giorno indossava un vestito a righe rosa, bianche e azzurre, che faceva pendant (casualmente?) con i pantaloncini azzurri e la maglia bianca di Diam. Non potei fare a meno di notare la naturalezza con cui Diam le prese la mano e subito mi girai verso Kazemaru, interrogativo; lui sorrise e scrollò le spalle. Diam e Maki non parvero far caso a quel nostro scambio.
-Allora, andiamo? Sono curiosissimo di vedere cosa faremo!
Con queste parole Diam si girò ed iniziò a camminare, tirando Maki con sé. Aveva evidentemente deciso che era giunto il momento di smettere di parlare e di muoversi. A causa della sua impulsività, Maki rischiò di inciampare per un momento.
-Ehi, Hiromu! Fai attenzione!- protestò, ma sul suo volto c’era un piccolo sorriso al posto di un broncio.
Diam rise e si girò,  prendendole anche l'altra mano e continuando a camminare all'indietro.
Aphrodi fu il primo a vederci arrivare e, mentre i miei amici proseguivano verso Natsumi, io mi fermai da lui per chiedere ciò che volevo. 
-Gazel sta bene, ormai si è del tutto ripreso! Credo che da un giorno all’altro lo faranno rientrare in servizio. In realtà le sue ferite sono guarite da tempo, ma visto che il suo dono si è manifestato all’improvviso Kudou-san ha insistito perché rimanesse ancora fermo… penso che volesse prima accertarsi che il suo potere fosse stabile, capisci…- mi disse Aphrodi.
-Kudou-san si intende molto di queste cose, eh…- osservai, pensieroso.
-Ma certo! È un ricercatore piuttosto famoso, sai?! Ed è un esperto in materia di doni! Persone intelligenti e colte come lui non si trovano dappertutto!- esclamò Aphrodi, quasi incredulo che io non lo sapessi, poi sospirò e cambiò rapidamente argomento.
-Comunque, Burn alla fine non è andato a trovare Gazel nemmeno una volta! Non so proprio come fare con quei due, sono sempre stati incredibilmente cocciuti… Ho sempre avuto la sensazione che avessero stretto un rapporto di fiducia reciproca, ma forse questo non basta a farli aprire completamente- disse, suonando quasi esasperato.
-Ho capito… E per quanto riguarda i due Fubuki? Non ho più avuto loro notizie…
Aphrodi parve incupirsi.
–Be'... Grazie alle cure offerte dal padre di Gouenji, le ferite di Fubuki Shirou sono guarite del tutto e ora può anche utilizzare il suo dono al cento per cento. Mi preoccupa di più suo fratello. La consapevolezza di non avere più il suo dono, la certezza che gli sia stato rubato… per una persona così orgogliosa non è facile da tollerare- mi spiegò, poi si morse il labbro. -No… forse non è nemmeno questo… Ho l’impressione che quel dono fosse importante per lui, che rappresentasse una sorta di legame unico con suo fratello. Ora che non c’è più… l’impatto psicologico…- smise di parlare, ma io intuii ugualmente cosa volesse dire.
-Grazie delle informazioni, sei stato gentile a rispondermi- dissi. Aphrodi annuì, ma prima che potesse rispondermi una mano si posò sulla mia spalla. Mi voltai, sorpreso, e mi trovai davanti Edgar Valtinas.
-Midorikawa-kun, Terumi-kun, buongiorno!- ci salutò cordialmente.
-Terumi-kun, credo che Mark e il suo sottoposto abbiano richiesto la tua presenza laggiù.
Aphrodi ringraziò e, dopo avermi lanciato un’ultima occhiata, si avviò verso Mark Kruger. Notai che anche i miei amici si erano raccolti nella zona vicino alla Spy Eleven americana; avrei voluto raggiungerli, ma Valtinas me lo impedì.
-Midorikawa-kun, ti spiace fermarti un attimo? Non intendo trattenerti troppo a lungo- disse, anche se la mano stretta sulla mia spalla sembrava significare l’esatto contrario.
-Va bene- risposi, non che avessi molta scelta.
Edgar sorrise, apparentemente soddisfatto.
-È passato molto tempo dall’ultima volta che abbiamo conversato da soli, mh? Ti ricordi ancora di quell’incontro, Midorikawa-kun?- osservò, in tono apparentemente casuale. Sapevo però che il suo atteggiamento era solo una facciata.  
Mai giudicare un libro dalla copertina era il motto che più rappresentava le Spy Eleven; del resto, il solo fatto di aver ricevuto quel titolo li rendeva spaventosi. Ci era sempre stato detto che diventano Spy Eleven coloro che hanno un grande carisma, un grande potere o una grande mente, ma ormai avevo visto e sentito abbastanza nell’ultimo anno per rendersi conto che, a parte rari casi, le Spy Eleven avevano in genere tutte e tre queste caratteristiche. Anche quelli che apparivano più tranquilli potevano trasformarsi in belve ed erano i portatori dei più sordidi segreti. Edgar, con il suo sorriso enigmatico e l’apparenza pulita e raffinata, mi sembrava un caso emblematico.
Ovviamente ricordavo benissimo la nostra ultima conversazione privata. Era riuscito a farmi dubitare di me stesso, cogliendomi di sorpresa con la stessa nonchalance con cui mi parlava adesso. Mi sentii subito a disagio ripensandoci.
-Mi ricordo- risposi, asciutto, cauto.
Edgar parve accorgersi della mia riluttanza e la sua espressione misteriosa si trasformò in un sorriso quasi sincero.
-Suvvia, non c’è bisogno di mettersi sulla difensiva, ora- disse, divertito.
–Non ho intenzione di rimproverarti e, per essere completamente onesto, non ne avevo intenzione nemmeno allora. Probabilmente avrai pensato che ti stessi sottovalutando, non è vero? Su questo non posso darti torto. Non nutrivo grandi aspettative su di te, benché Seijirou mi avesse parlato bene del tuo dono.
-Non importa. Credo di aver capito cosa intendesse dirmi quella volta- risposi, intrecciando le mani dietro la schiena.
-Il mondo non è diviso in bianco e nero. In passato ho dato giudizi affrettati sulle persone… Quando sono troppo coinvolto, tendo a perdere di vista il quadro generale. È questo che voleva dire, vero? Che è difficile stabilire una linea netta tra bene e male, soprattutto se siamo troppo coinvolti emotivamente.
-Giusto. Avere un forte senso della giustizia, comunque, non è sbagliato in sé- disse Edgar.
-Ma lei ha detto che bisogna essere obiettivi, ed io non credo che potrei mai riuscirci… Quando ci sono di mezzo dei sentimenti, io…
-È chiaro che bisognerebbe essere sempre obiettivi- mi interruppe Edgar. –Tuttavia, credo concorderemmo nel dire che nessuno riuscirebbe ad essere imparziale quando si tratta di qualcuno con cui c’è un legame affettivo. A volte, però, è facile illudersi di non essere coinvolti emotivamente. La tua opinione su Dumb, allora, era offuscata dal fatto che avesse aggredito il tuo partner. Non era un’opinione obiettiva e questo era comprensibile, ma tu rifiutavi di vederlo.
-Il punto quindi è che bisogna essere obiettivi e saper riconoscere quando non si è tali?- chiesi, perplesso dall’andamento del discorso. Edgar annuì, soddisfatto.
-Yes, esattamente- rispose. -Ti trovo cambiato, più maturo forse. Quando Seijirou mi disse di te, allora, ero perplesso. Non avevo idea di come la tua empatia potesse essere utile per risolvere il caso, ma mi è bastato vederti all’opera per capire che mi sbagliavo. Da allora sono sempre stato curioso riguardo al tuo dono.
-Passiamo dunque al vero motivo per cui desidero parlarti. Trovo che la tua abilità sia molto interessante, Midorikawa-kun, e mi piacerebbe saperne di più… naturalmente, soltanto se sarai disposto a condividere con me queste informazioni.
Stava ancora sorridendo, ma il suo sguardo era di una serietà quasi inquietante.
Valutai per un attimo la sua richiesta, poi scrollai le spalle.
-Okay- dissi. In fondo, non avevo niente da nascondere.
-C’è qualcosa in particolare che vorrebbe sapere?
–Oooh, ottimo atteggiamento! Per cominciare, posso chiederti quando hai scoperto di avere questa abilità e come funziona?
Sospirai e mi fermai a riflettere.
–In terza media il mio amico Kazemaru perse una corsa al festival culturale della scuola. Stavo solo cercando di consolarlo, e all’improvviso le sue emozioni erano le mie- raccontai.
-In realtà, in quel momento ero solo confuso e non capivo cosa stesse succedendo. Da allora cominciò a succedermi sempre più spesso, come se dentro me si fosse sbloccato qualcosa. L’anno dopo, quando Hitomiko venne a reclutarci, mi rassegnai al fatto di dover imparare a convivere con quel potere, perché non sarebbe più scomparso.
Edgar annuì, incitandomi a proseguire.
-La mia empatia funziona in modo molto spontaneo... A volte la controllo, ma il più delle volte la uso senza rendermene conto. Dal primo istante in cui si è attivata, per me è naturale come respirare. Se la persona che mi è vicino prova un’emozione particolarmente intesa, subito la mia empatia cerca di assorbirla, come una spugna.
D’un tratto provavo molto imbarazzo: più parlavo della mia abilità, più mi rendevo conto che non era davvero granché. Mi fermai e scoccai un’occhiata a Edgar, ma lui sembrava davvero preso dall’argomento.
-Uhm, non ha niente di incredibile- Mi sentii quasi in dovere di sottolinearlo. -Certo, può essere utile in alcuni casi, ma… ma non funziona con tutti, tanto per dirne una!
Edgar annuì. -Ah, sì, ho sentito dire da Saginuma che uno dei suoi ragazzi ha un’immunità quasi totale a quel tipo di abilità. Pare che neanche il dono di Mark funzioni su di lui... I poteri che operano sulla mente e sull’animo umano sono molto utili, ma possono rivelarsi terribilmente limitati. In più, quel ragazzo è dotato dello straordinario potere di renderci tutti sordi. Penso che sia delizioso, davvero- commentò, quasi allegro.
Seguendo il suo sguardo, vidi che stava fissando Mark Kruger e Diam. Non sembrava che stessero parlando; piuttosto, Diam sorrideva, mentre Kruger cercava forse di usare il suo dono su di lui. Non sapevo di cosa si trattasse, ma se come diceva Edgar il dono di Kruger somigliava al mio, allora senza dubbio non avrebbe sortito alcun effetto su Diam.
-Diam è straordinario- confermai. -Al confronto, io non ho molto di cui vantarmi…
-Ma la tua empatia è solo una parte del tuo dono, non è così?
La domanda mi colse di sorpresa.
-Sì, è vero- ammisi, abbassando la guardia per lo shock. Come faceva lui a saperlo?
–P-però l’empatia resta la mia abilità più sviluppata… Voglio dire, so fare altre cose, ma perlopiù sono scoppi di energia incostanti e casuali… Un attacco ben riuscito è pura fortuna- brontolai, ripensando ai miei desolanti risultati durante il periodo di allenamento al centro di addestramento.
-Non ti ho mai visto usare a pieno il tuo dono- osservò Edgar in tono pensieroso. Il sorriso che comparve sulle sue labbra non aveva nulla di rassicurante e, poco dopo, arrivò la proposta che temevo.
-Ti andrebbe di fare un combattimento di prova con me, Midorikawa-kun?- chiese Edgar con voce apparentemente leggera, come se quella fosse stata un’offerta rifiutabile. Il suo sguardo, infatti, mi suggeriva che non era affatto un’offerta.
-Chiederò alla signorina Raimon se può riservarci un angolo di campo- disse infatti Edgar subito dopo.
Senza darmi la possibilità di rispondere, si incamminò verso Natsumi, interrompendola mentre guardava e commentava con la Spy Eleven africana e Kruger una tabella di addestramento probabilmente scritta da lei. Vicino a lei, Diam e Maki stavano parlando animatamente con il compagno di Kruger; dal momento che il ragazzo non pareva capace di parlare o comprendere il giapponese, era però necessario che Aphrodi facesse loro da interprete.
Edgar e Natsumi parlarono per qualche minuto, poi la Spy Eleven inglese si voltò verso di me e mi fece cenno di muovermi. Sospirai e mi grattai la nuca nervosamente.
-Non ho proprio scelta, uh…- borbottai.
Kazemaru si accorse di me e mi lanciò un’occhiata interrogativa e preoccupata. Io scrollai le spalle, rassegnato.
Natsumi ci disse che potevamo usare il campo dietro il poligono, spazio al momento inutilizzato. Edgar mi poggiò di nuovo una mano sulla spalla e praticamente mi spinse fino al punto indicato.
-Farete come nei vecchi film western? Dieci passi, poi vi girate e sparate? Bang!- suggerì la Spy Eleven africana con un sorriso divertito, imitando la forma di una pistola con le dita.
-Non scherzare, Rococo- disse Natsumi, ma la prospettiva di uno scontro sembrava interessare anche lei. Aveva già pronto un nuovo foglio per prendere appunti.
-Quei film sono orribili, ma l’idea mi piace- commentò Edgar.
Rococo (Rococo Urupa, ora ricordavo il suo nome) rise e incrociò le braccia sul petto, preparandosi ad assistere.
Seguendo il suo suggerimento improvvisato, quindi, Edgar mi disse di posizionarmi in piedi in mezzo al campo rettangolare di terra rossa, schiena contro schiena con lui, mentre Rococo, Natsumi ed altri si riunivano sule linee laterali per osservare, fuori da eventuali traiettorie di tiro.
-Pronto?- sussurrò Edgar, poi alzò la voce di colpo:- Ready… steady… go!*
Al suo ordine iniziai a camminare, contando i passi a bassa voce. Edgar, invece, li contava ad alta voce e in inglese.
Ero circa a metà conteggio quando ricordai in un flash l’unica volta che avevo visto Edgar usare il suo potere; purtroppo, mentre mi facevo prendere dal panico per mancanza di un piano d’attacco, entrambi eravamo già al decimo passo e ci stavamo girando.
-Excalibur!
La voce di Edgar dovette certamente rimbombare in tutta la palestra. In un attimo, si voltò e sollevò la gamba come se volesse calciare l’aria: una spada di energia si concretizzò davanti a lui, pronta a scagliarsi verso di me e a trafiggermi. Era meno luminosa ed opprimente di come la ricordassi. Edgar si stava chiaramente trattenendo dall’usare tutta la sua forza, cosa che comunque non mi metteva in una situazione più facile.
L’attacco di Edgar mi raggiunse senza lasciarmi il tempo di pensare a nessun contrattacco. In realtà, non riuscivo a pensare proprio a nulla. Col cuore in gola, stesi le mani davanti a me a palmo aperto, sperando di riuscire ad evocare una qualche forma di difesa com’era capitato in passato. La luce azzurra dell’Excalibur mi travolse e, in quell’istante, avvertii dell’energia accumularsi dentro di me; prima che riuscissi a decidere cosa farne, questa si sprigionò da sola e l’impatto tra i due attacchi sollevò una massa d’aria tale da scaraventarmi a terra.
La mia caduta sollevò un cumulo di polvere rossa, che mi fece rotolare su un fianco in una fitta di tosse. L’Excalibur si dissipò subito dopo. Rimasi a terra, stordito, ma quasi del tutto incolume.
-Midorikawa!
-Reize!
A fatica mi misi seduto e individuai Kazemaru e Diam accanto a Natsumi. Notai anche che tutti i presenti, compresi Natsumi e Rococo, mi guardavano con un misto di curiosità e stupore.
Sapevo di aver fatto qualcosa, ma cosa? Sollevai le mie mani e le fissai stupidamente per almeno un minuto, come se potessero darmi la risposta che cercavo.
-Midorikawa-kun, stai bene?
La voce vellutata di Edgar mi riscosse dai miei pensieri.
Alzai lo sguardo e lo vidi di fronte a me, con una mano stesa in avanti. Mi pulii frettolosamente le mani sui pantaloni, macchiandoli di polvere rossa, e accettai volentieri l’offerta di aiuto.
Edgar mi rimise in piedi in un attimo e si accertò che stessi bene.
-Non sono ferito. Non me lo aspettavo, tutto qui… L’ho delusa, non è vero?- dissi, spostando della terra coi piedi e fissando la punta ora rossa delle mie scarpe. Avevo un’improvvisa voglia di sotterrarmi, ma Edgar non era dello stesso parere.
-Non sono affatto deluso! Ben fatto, Midorikawa-kun!- replicò Edgar con una nota di allegria.
Mi accigliai. Mi aveva sconfitto con disarmante facilità, benché si fosse trattenuto, eppure non sembrava affatto deluso dallo scontro, né il suo interesse nei miei confronti era sparito.
-Mi scusi, io… Io non sono sicuro di aver capito cosa intende- dissi, il più educatamente possibile, anche se la mia voce tradiva un certo livello di impazienza. Edgar mi sorrise con una strana gentilezza.
-Questo scontro è andato ben al di là delle mie aspettative su di te. Ammiro il coraggio con cui hai affrontato la mia sfida, sebbene tu non avessi idea di come sarebbe andata. In effetti, eri abbastanza disperato, non è vero?- disse e ridacchiò. Arrossii di vergogna, ma lui continuò.
-Non è una cosa negativa. In battaglia nessuno è calmo e sereno. Certamente sarebbe meglio avere sempre un piano di riserva, ma provare ad agire in ogni caso è il minimo che si possa fare. E non direi che ti è andata malissimo! Sono rimasto piuttosto sorpreso- esclamò. -Hai detto che il tuo potere somiglia ad una spugna, se non erro. Credo che un buco nero sarebbe un paragone più calzante. Se rifletti bene su quello che hai fatto, sono sicuro che ne trarrai le dovute conclusioni… Bene, ora ti lascio con i tuoi amici. Ti ringrazio del tuo tempo.
Edgar mi diede un’ultima stretta di mano, come se volesse infondermi fiducia, poi si voltò, attraversò la sala e uscì. Rimasi ad osservarlo finché Diam e Kazemaru non si avvicinarono riempendo completamente il mio spazio visivo.
-Perché Edgar Valtinas ti ha sfidato a singolar tenzone?- domandò Diam. Mentre lo diceva, saltò leggermente di lato e mimò il movimento di uno spadaccino che fa un affondo.
-Non ne ho idea- risposi scuotendo il capo.
-Penso che ti servirà una doccia- disse Kazemaru mentre mi aiutava a scrollarmi di dosso la terra che mi si era attaccata alle braccia e alle gambe.
Maki apparve dietro di loro e mi squadrò da capo a piedi, poi batté le mani e sorrise.
-Questa terra non viene via facilmente, ma tranquillo, ti cucirò dei vestiti nuovi!- esclamò e, visto che l’idea pareva renderla molto felice, decisi di lasciarle fare come voleva.
Cambiai argomento, rivolgendomi di nuovo a Diam.
-E voi invece? Avete fatto addestramento con Kruger? Ti ho visto con lui, prima…- dissi.
-Oh, sì, Hiromu ha avuto il suo turno, ma sembra proprio che il potere di Kruger-san non abbia effetto su di lui- intervenne Maki. Diam annuì e gonfiò il petto, fiero di sé.
-Anche Maki e Kazemaru non se la sono cavata male- aggiunse con un sorriso.
-All’inizio sono andata un po’ nel panico. Ma poi mi sono ricordata che eri là con me e mi sono tranquillizzata… Sono riuscita a concentrarmi meglio dopo- ammise Maki, e sia lei che Diam arrossirono vistosamente.
-Ah… sono felice di averti aiutata…- mormorò Diam. Si sorrisero, lui le prese di nuovo la mano e restarono a guardarsi.
Io guardai di nuovo Kazemaru, come per chiedere "Da quando...?", e lui alzò le spalle come a dire “E io che ne so?”
-Ehm… Okay, ho la sensazione di essermi perso un mucchio di cose in questi giorni- osservai ad alta voce. 
Diam e Maki sembravano ancora persi nel loro mondo, perciò tornai a rivolgermi a Kazemaru.
–Ma di che cosa si tratta, precisamente?- chiesi.
-È come se ti proiettasse in testa delle immagini. Sono molto realistiche… penso che sia uno di quei poteri che agisce sul sistema nervoso, come…- Kazemaru si interruppe bruscamente. Sapevo che stava pensando a Hiroto, ma non dissi nulla.
Aphrodi intervenne salvandoci da un eventuale imbarazzo.
-Come il mio, per esempio!- esclamò, puntandosi un dito contro il petto. Mentre io ero occupato con Edgar, notai, Aphrodi si era legato i capelli in una treccia laterale, che gli ricadeva morbidamente su una spalla.
-Il mio dono è uno di quelli che colpisce il sistema nervoso e sì, anche quello di Mark funziona così. Che ne dici, Midorikawa, vuoi fare un giro di prova anche tu? A parer mio, allenarsi con questo genere di poteri è molto utile. I poteri che manipolano la mente sono i più pericolosi; è un bene averli dalla propria parte, ma bisogna anche sapersi difendere da essi, in caso fossero in mani nemiche.
-È anche una buona occasione per comprendere meglio questo tipo di doni. Ma visto che hai già combattuto contro Edgar, se non te la senti o sei stanco non fa niente.- Lo sguardo di Aphrodi si addolcì. Al contrario di Edgar, mi stava dando la possibilità di scegliere. Avrei potuto rifiutare, ma mi chiesi se non me ne sarei pentito, più tardi.
-Posso fare un tentativo- dissi, tranquillo. Aphrodi annuì e mi diede una pacca sulla spalla.
-Perfetto. Vado a dirlo a Mark, aspettami qui un momento- affermò, e si allontanò.
Sentii le dita di Kazemaru avvolgermi il polso della mano destra.
-Non sforzarti troppo- mormorò, diede una leggera stretta, poi si ritrasse quando vide Aphrodi tornare indietro con Mark Kruger. La Spy Eleven era accompagnata come sempre dal suo compagno, i cui occhialoni sembravano ancora più grossi visti da vicino; potevi quasi specchiartici dentro. Il ragazzo mi indicò ed esclamò qualcosa in inglese, gesticolando apertamente. Aphrodi annuì, gli rispose, poi si rivolse a me:- Ti ha riconosciuto, anche se in effetti sei venuto una volta sola a quelle sedute.
-E lui ha dormito tutto il tempo- aggiunsi. Aphrodi ridacchiò. L’altro ragazzo ci guardò confuso e Mark Kruger tirò un lungo sospiro e borbottò qualcosa in inglese, poi si rivolse a me in giapponese.
-Ehi, piacere di conoscerti- disse. -Io sono Mark Kruger, la Spy Eleven in ruolo negli Stati Uniti d’America. Il mio compagno si chiama Dylan Keith. Afuro mi ha detto che sei disposto a sottoporti al mio addestramento. Qual è il tuo nome?
Glielo dissi e gli strinsi la mano. Come Edgar e Fideo, anche Mark parlava abbastanza bene il giapponese, ma con un forte accento. Praticamente tutte le Spy Eleven sembravano capaci di cambiare lingua come se nulla fosse, ma chissà quanti anni di pratica e studio avevano fatto per ottenere quel risultato.
-Quando Natsumi mi ha proposto questa cosa, credevo che nessuno avrebbe voluto farlo. In genere le persone non sono felici di avermi nella loro testa. Per fortuna qui qualcuno di coraggioso c’è- continuò Mark. -Prima di tutto, sai in cosa consiste questo addestramento speciale?
-Mi è stato detto qualcosa, ma…- dissi. Mark annuì, comprensivo.
-Una spiegazione ufficiale non ti farà male. Dunque, il mio dono agisce sul sistema nervoso, in particolare mi permette di scavare nella tua mente, cercare immagini e rielaborarle a modo mio. Posso farti vedere quello che voglio, sentire quello che voglio. Ti farò venire dubbi persino su dove ti trovi, se me lo lascerai fare- spiegò, calmo e razionale. -Il tuo compito, in parole povere, è impedirmelo. Immagina la tua mente come un appartamento: devi cercare di limitarmi, di chiudere tutte le porte a chiave, così che io non riesca a trovare nessun spiraglio aperto. È tutto chiaro?
Annuii con convinzione.
-Sei pronto?- domandò Mark. -Puoi chiudere gli occhi, se ti aiuta a concentrarti.
Seguii il consiglio e chiusi gli occhi; per un momento rimasi semplicemente fermo, ascoltando il mio respiro finché non mi parve che i miei dintorni fossero scomparsi. C'eravamo solo io e la mia mente.
-Sono pronto- dissi, e rimasi in attesa.
Mi chiedevo se avrei percepito, in qualche modo, l’intrusione nella mia testa. Non riuscivo a immaginare come ci si dovesse sentire, ma, come aveva detto Mark, feci del mio meglio per concentrarmi e immaginare la mia mente come l'interno di una casa. Come potevo chiudere quelle “porte”? Cercai prima di tutto di non pensare a cose troppo importanti. Hiroto era uno dei miei più grandi punti deboli, nonché uno dei miei pensieri fissi di recenti; non volevo assolutamente che mi colpisse lì, o che vedesse i miei ricordi legati a lui, per cui immaginai di metterli tutti in una scatola e buttare via la chiave. E dovette funzionare, perché l’immagine che si formò poco dopo davanti ai miei occhi non riguardava per niente Hiroto.
Pioveva. Mi sembrava di sentire distintamente il fruscio dell’acqua, di annusare l’odore di umido e di muffa che mi faceva arricciare il naso. Davanti a me, in lontananza, s’intravedeva una vecchia ruota panoramica arrugginita, che si stagliava contro un paesaggio scarno e grigio. D’un tratto nella mia visuale comparve un vetro, poi un davanzale e un muro, e mi resi conto di star guardando attraverso una finestra... Mi spostai di lato, intorno a me c’erano degli scaffali di legno scuro, ricoperti di vecchi volumi impolverati con titoli difficili. Non riuscivo a leggerli, perché le lettere addossate le une alle altre erano come scarabocchi incomprensibili ai miei occhi; cosa più importante, non ricordavo di essere mai stato in una stanza del genere. Stavo davvero guardando attraverso i miei occhi? Dove mi trovavo? Mi parve di sentire dei passi rimbombare dietro di me, chi poteva essere? La mia visuale si fece confusa, come l’immagine di una videocamera spostata troppo in fretta; realizzai che stavo correndo. Stavo scappando da qualcuno. Nella mia visuale offuscata apparve una porta che avevo visto spesso: era l’unico dettaglio familiare di quel luogo. Una mano si stese davanti ai miei occhi, la mano di un bambino, la mia mano...
A quel punto la mia mente reagì e rigettò il ricordo, spingendolo fuori dalla mia testa con tutta la forza possibile.
Aprii gli occhi di scatto.
Mark Kruger e gli altri erano ancora intorno a me e mi guardavano con interesse, qualcuno con preoccupazione.
Poi Mark applaudì spezzando il silenzio.
-Non male. All’inizio eri un po’ in balia della situazione, ma poi hai reagito bene. Sei stato bravo, Midorikawa-kun, hai chiuso tutte le porte- disse.
Ma si sbagliava.
Non avevo chiuso io l’ultima porta, era sempre stata chiusa fin dal principio: la porta che continuava ad apparire nei miei sogni conteneva ricordi che la mia mente stessa continuava a rigettare anche da sveglia.
 


xxx


 
[Normal P.O.V.]
 




Hitomiko Kira attraversò l’atrio dell’ospedale e si lasciò cadere su un divanetto di pelle posizionato all’ingresso.
Al bancone della reception, una giovane infermiera stava curando un piccolo bonsai e un vaso di crisantemi, annaffiandoli e togliendo le foglie secche dov’era necessario. La giovane sembrava talmente presa dal suo lavoro da non essersi accorta della presenza di un’altra persona nell’atrio, e Hitomiko ne era sollevata: non voleva che qualcuno le rivolgesse la parola, aveva bisogno soltanto di silenzio e pace per riposare.
Dal momento che Kudou aveva insistito per visitare Gazel un’altra volta, era rimasta nell’ospedale con loro per tutto il pomeriggio, senza prendersi un attimo di pausa. Non lo considerava un peso: era suo preciso dovere occuparsi della salute di quei ragazzi, l’aveva sempre pensato, e per questo si era sempre impegnata al massimo per loro.
Proprio per questo, Hitomiko non riusciva ad accettare il fatto di aver fallito proprio con Hiroto.
Per anni si era illusa che andasse tutto bene, tra loro... Certo, all’inizio aveva avuto dei dubbi: aveva appena perso il suo fratellino, dopotutto, ed il pensiero che suo padre volesse adottare un altro bambino, per giunta un amico del figlio, sembrava assurda. Ma una volta che Hiroto era entrato nella loro famiglia, tutta l’incertezza di Hitomiko si era dissipata; dal primo momento in cui Hiroto l’aveva chiamata “sorella”, Hitomiko aveva capito che avrebbe potuto amarlo senza dover mettere da parte l’affetto per suo fratello. Negli anni, aveva dato a Hiroto tutto l’amore e la protezione di cui era stata capace. Si era impegnata così tanto per lui, ma nonostante tutto aveva fallito…
Come aveva potuto essere così cieca da non vedere i piani di suo padre? Come aveva potuto non accorgersi di quanto Hiroto stesse soffrendo? Hiroto probabilmente non nutriva rancore nei suoi confronti e l’avrebbe perdonata, pensò Hitomiko. Si premette le mani contro il viso, le dita contro le palpebre, nel tentativo di reprimere le lacrime. Forse Hiroto l’avrebbe perdonata, ma lei non ci sarebbe riuscita: il suo orgoglio, il suo modo di essere e di amare glielo impediva.
Un rumore proveniente dal piano superiore la fece sobbalzare: sembravano vetri infranti.
Hitomiko guardò il proprio orologio da polso. Erano circa le sei di pomeriggio, quindi nell’ospedale dovevano ormai esserci solo i pazienti e il personale medico. Forse si trattava soltanto di un vaso rotto, tuttavia valeva la pena salire a dare un’occhiata.
Hitomiko si alzò e andò verso il bancone.
-Rimanga dov’è, non si muova per nessun motivo, d’accordo?- disse all’infermiera, che annuì con aria preoccupata.
Hitomiko si incamminò verso le scale, giudicandole più sicure dell’ascensore, e mentre saliva estrasse la propria pistola dalla tasca interna della giacca. Non aveva ricevuto alcun dono dalla natura, così come suo padre, perciò aveva dovuto imparare ad usare le armi; aveva sempre cercato di seguire le orme di Seijurou, anche se ora, 
in luce delle ultime scoperte, non appariva più tanto come una buona idea.
In apparenza, al piano superiore era tutto tranquillo, tuttavia Hitomiko intravide un lembo di tessuto scuro scomparire dietro un angolo e in un attimo fu certa che la situazione era ben più grave di un vaso rotto.
-Dei mantelli marroni…- mormorò tra sé e sé. Secondo le testimonianze, quello era un abito che caratterizzava l’esercito di drifters sotto il controllo di Garshield… ma perché si trovavano lì? Una volta erano venuti per la figlia di Kudou, ma ora era stata trasferita in un luogo più sicuro.
Purtroppo, Hitomiko aveva soltanto un’altra ipotesi.
Cercando di essere il più discreta possibile, ma allo stesso tempo consapevole che doveva fare presto, corse alle scale e salì fino al terzo piano, dove la stanza di Gazel si trovava. Il corridoio era deserto e, a quanto sapeva, poche camere erano occupate.
Aveva ancora la pistola in aria quando una figura le apparve davanti, rapida e silenziosa come un’ombra.
Hitomiko sparò senza esitare e i proiettili traforarono il mantello del ragazzo, apparentemente senza riuscire a ferirlo; quando lui si voltò nella sua direzione, istintivamente Hitomiko aprì una porta e vi si nascose dietro: per fortuna era stata abbastanza veloce, o la vampata di fuoco che il ragazzo aveva prodotto l’avrebbe cotta a puntino. Rimosse velocemente la mano dalla maniglia di ferro; per un attimo restò a guardare orripilata il metallo tingersi di rosso bollente, arroventato, poi fu costretta ad abbassarsi di scatto perché si era accorta che la finestrella sul lato superiore della porta, che somigliava ad una specie di oblò, si stava spaccando. Il vetro esplose un paio di secondi dopo e alcune schegge le caddero addosso, lacerandole la giacca.
Hitomiko deglutì e, una volta raccolto tutto il suo coraggio, si sporse per osservare la situazione: il ragazzo con il mantello non l’aveva inseguita, preferendo invece dirigersi verso la camera di Gazel, proprio come lei temeva…
Aveva già sparato almeno quattro colpi su sei, rifletté.
Decise di ricaricare la pistola prima di muoversi, ma in quel momento si rese conto che le sue mani stavano tremando fortissimo e che il dorso della destra era coperto di sangue per via di un taglio da vetro poco sotto all’indice e al medio. Deglutì di nuovo, ingoiando anche lacrime di paura: doveva controllare le proprie emozioni, doveva smettere di tremare e prepararsi a combattere. Riuscì a tenere le mani abbastanza salde da ricaricare la pistola e digitare un messaggio per Saginuma: ora che sapeva che suo padre l’aveva ingannata, Saginuma era l’unico di cui si fidava…
Sentì un altro rumore forte, questa volta sembrava che avessero trascinato qualcosa di pesante sul pavimento, forse un letto, o un altro mobile. Non ci furono urla, né di dolore, né di paura. Consapevole di non poter perdere altro tempo e di non poter attendere rinforzi, Hitomiko uscì dal proprio nascondiglio e si avvicinò di soppiatto alla camera di Gazel.
Ma non appena guardò dentro, capì che tutta la cautela del mondo non le sarebbe bastata.
Nella stanza c’era solo il ragazzo che l’aveva aggredita: aveva capelli lisci e bianchi e il mantello marrone rovinato.
Hitomiko era certa che fosse l’assassino di Bonitona, la drifter del fuoco, della quale ora stava usando il potere, dopo averlo copiato con il dono di suo fratello… Hitomiko strinse i pugni e percepì una grande rabbia montare dentro di sé.
Il letto era stato letteralmente capovolto e le parve di scorgere Gazel fare capolino dietro di esso; il ragazzo si sporse appena e la vide, i suoi occhi si riempirono di stupore e la sua bocca si allargò come se stesse per urlare…
Poi qualcosa colpì Hitomiko alla nuca e un dolore bruciante le attraversò la schiena. Barcollò e cadde a terra, perdendo la presa sulla pistola, e i suoi sensi cominciarono rapidamente a perdere sensibilità.
Un ragazzo con lunghi capelli argentei era chino su di lei; Hitomiko notò che impugnava la spada in modo strano, perché probabilmente l’aveva colpita con l’elsa. Lo sentì parlare con l’altro, le voci appena udibili al di sopra del ronzio che le aveva riempito le orecchie come effetto della botta alla nuca.
-La uccidiamo?
-No… È la figlia di Kira. Può essere utile…
-No- mormorò Hitomiko, ma sapeva che nessuno l’avrebbe ascoltata. No, pensò, non voleva diventare un peso…
Il ronzio nella sua testa durò ancora per un po’, poi si spense e calò il buio.
 
 




[*] Espressione inglese che sta per l’italiano: “Pronti… partenza… via!”


**Angolo dell'Autrice**
Eccomi qui di nuovo :)
Devo ammettere che sono stata felice di poter mettere un po' d'azione nel capitolo 41, soprattutto dopo aver scritto il 40 (che però è comunque uno dei miei preferiti ♥). Gli "addestramenti speciali" di Natsumi sono in larga parte incentrati sui doni, spesso coinvolgendo delle Spy Eleven perché allenarsi con i più forti è il metodo migliore per migliorare! Anche in canon Natsumi è dura e quasi spartana con gli altri, ma lo fa per il loro bene, in realtà è una persona molto dolce. 
Ci tenevo a far riapparire Edgar per poter creare un parallelo con i primi capitoli; per questo la conversazione di Edgar e Midorikawa riprende in parte la discussione che avevano avuto precedentemente. E poi volevo far vedere anche altre Spy Eleven, ragion per cui ho inserito Mark e Rococo. Il potere di Mark mi piace molto; ho un debole per i poteri che agiscono sul sistema nervoso, come quelli di Mark, Afuro e Hiroto, perché sono affascinanti e inquietanti al tempo stesso: sono proprio quel tipo di poteri che non vorresti mai vedere in mani nemiche XD
(Comunque, non tutte le Spy Eleven hanno un dono; come si è detto, possono essere diventati tali per altri meriti.)
Ho buttato qua e là hints di Diam/Maki, non ho potuto resistere - per chi se lo fosse chiesto, sono diventati amici e ora sono in una fase di corteggiamento(?) reciproco. Ma si imbarazzano facilmente (lol).
La fine di questo capitolo è molto importante perché mette in moto gli eventi che costituiranno la parte finale dell'arc di Hiroto... Non vedo l'ora, ahah.
A presto (spero),
      Roby
   
 
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