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Autore: Crilu_98    27/05/2016    2 recensioni
"La prima cosa che noto è che cammina in modo strano: tiene le braccia larghe attorno a sé e procede lentamente, titubante. Le sue mani incontrano lo spigolo di uno dei banconi e mi chiedo perplesso perché abbia dovuto toccarlo, prima di aggirarlo. Poi, quando mi soffermo sui suoi occhi, spalancati e fissi su di noi, comprendo.
-Ma è cieca!- urlo, balzando in piedi. La ragazzina si ferma e fa una smorfia sorpresa, voltando il capo proprio verso di me."
Alexandra Jane Sorrentino: origini italiane, orgogliosa, razionale, talmente sicura di sé e delle sue capacità da iscriversi ad un concorso televisivo di cucina. Unico problema: un incidente l'ha resa cieca. Ed è questo che attrae e insieme spaventa Jake Moore, inflessibile e scontroso giudice del concorso: perché Alexandra è diversa, speciale... Ma è probabilmente anche l'unica in grado di capire il suo modo di fare cucina e, con esso, tutto ciò che ha tentato di dimenticare dietro di sé...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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P.O.V. Jake
Quando arrivo agli studios mi aspetta un'amara sorpresa: Alexandra non c'è. Elizaveta sta giusto annunciando ai partecipanti che è dovuta tornare a casa "per un'emergenza improvvisa" e che Robin Ben Jelloun l'ha accompagnata.
Il mio buonumore evapora all'istante, sostituito dall'irritazione e da un velo di preoccupazione: forse questa sua uscita così brusca preannuncia qualcosa di grave?
"Dio non voglia, potrebbe esserle capitato qualcosa agli occhi."
Mentre mi dirigo verso la sala prove vengo intercettato dal ragazzo dell'hamburger e subito lo scruto con un cipiglio severo per indurlo a starmi alla larga: dopo Smith, è una delle ultime persone con cui voglio parlare questa mattina.
-So che è nervoso - come al solito, del resto - ma credo proprio che abbia voglia di sentire ciò che ho da dirle.-
Le sue parole trasudano sarcasmo ed ironia: giusto quello che mi serve per fermarmi ad ascoltarlo.
"Furbo, il ragazzo!"
-Hai trenta secondi.- sbotto, programmando il timer sul mio orologio. La puntualità e l'essere preciso nel seguire i tempi alla lettera sono caratteristiche risapute e di cui vado particolarmente fiero. Ho detto trenta secondi, e trenta secondi saranno: né uno in più  né uno in meno, come per un buon piatto.
-Questa mattina Evan Parker si è avvicinato ad Alexandra e hanno confabulato per un po': l'incontro l'ha scossa parecchio ed è per questo che è dovuta andare a casa.-
-E a me interessa perché...?- chiedo, incrociando le braccia. In realtà sto già pensando a come sondare il terreno con Parker, chiedendomi come mai le abbai rivolto la parola: è estremamente competitivo e solitario.
-Perché Robin ha detto che parlavano di lei.-
Il timer che trilla è l'unico suono che spezza il silenzio carico di tensione che è sceso nel corridoio.
Gli do le spalle senza troppi complimenti ed inizio a correre, rovistando nelle tasche per cercare le chiavi della moto: per fortuna che sono venuto con quella così farò molto più velocemen...
-Non puoi farlo!- la voce pacata di Martinez mi ferma a pochi passi dalla porta principale e io sbuffo.
-Juan...-
-No, questa è una di quelle volte in cui mi devi ascoltare e basta, Jake: cosa penserebbero se anche tu te la svignassi in questo modo? Qui dentro nessuno è così stupido da non riuscire a fare due più due!-
-Come sai che sto andando da lei?-
-Hamilton. E' venuto da me a raccontarmi tutto ed io l'ho spedito da te immediatamente. Avevo previsto qualche tua mossa avventata e ti ho preceduto: ora facciamo le cose con ordine. Prima presiedi a questo concorso e poi vai da Alexandra. E mi raccomando: non farti scoprire!-
Lo seguo di malavoglia, perché so che ha ragione. Ma per tutto il giorno non faccio altro che pensare alla fuga di Alexandra e alle parole di Hamilton.
 
Sono ormai le cinque del pomeriggio quando esco dagli studios e il cielo inizia ad imbrunire; salgo sulla moto e senza badare troppo alla velocità mi dirigo verso la casa della Sorrentino.
Arrivato lì mi fermo a due passi dalla porta, indeciso e confuso:
"Cosa faccio adesso? Suono come se nulla fosse? E se ad aprirmi venisse Tyler Sorrentino? O, peggio, se non fosse lui la persona che mi ritrovo davanti?"
Sto per andarmene quando la porta si apre di scatto e una signora di mezz'età mi si para davanti, scrutandomi dubbiosa. La somiglianza con Alexandra è evidente: stessi capelli color caramello, stessa corporatura da bambina, stesso taglio degli occhi. Solo che questi sono vivi e mobilissimi.
-Buonasera, signora.- mormoro, cercando di apparire impassibile e gentile, cosa che di solito non sono affatto. La donna si sofferma a guardare la mia giacca di pelle, i capelli lunghi ed arruffati e la moto parcheggiata alle mie spalle.
-Tyler l'ha vista dalla finestra della camera di Alexandra. Ha detto che è uno dei giudici del contest a cui partecipa.-
-Sì, sono venuto per...-
-Non mi interessa!- taglia corto lei con tono freddo -Mia figlia non vuole vederla. Se ne vada e, anzi, faccia un favore alla mia famiglia: la elimini dal concorso.-
Sbarro gli occhi, incredulo: non so cosa mi abbia colpito di più della sua frase, ma mi sento come se fossi reduce da un grave incidente in moto.
-Ma sua figlia è una delle migliori!-
-Per questo le ho chiesto di farmi un favore!- conclude la signora Sorrentino rientrando in casa e richiudendosi la porta alle spalle.
Rimango un paio di secondi immobile, poi la rabbia prende il sopravvento su tutto: Alexandra mi ha appena chiuso la porta in faccia, letteralmente. Ed è chiaro che dopo quel bacio - mi basta pensarci e il mio corpo si tende per il piacere, dannazione! - lei non ha intenzione di incrociare di nuovo le nostre strade. Non più di quanto siamo costretti a fare, per lo meno.
Do un calcio violento ad un sasso, sbalzandolo lontano e soltanto la presenza dei passanti mi impedisce di urlare per sfogare la mia ira.
Ma appena arrivo a casa do libero sfogo al tumulto che sento nelle vene: distruggere ogni cosa mi trovi davanti mi sembra l'unico modo per impedire al mio cuore di battere così violentemente, l'unica maniera per non essere costretto ad ascoltare i miei pensieri. Apro il frigo e ciò che mi trovo davanti è deludente, soprattutto per la casa di uno chef stellato: lo stretto indispensabile per qualche pasto saltuario e tante, tante lattine di birra. Ne afferro un paio e non mi affatico neanche a raggiungere il divano, come tutte le sere: mi arrampico sull'isola in marmo bianco che spicca per candore nella cucina e inizio a sorseggiare il liquido scadente che mi brucia la gola e mi fa pizzicare gli occhi. No, ma chi voglio prendere in giro? Sto piangendo, sento le lacrime traditrici scivolarmi lungo le guance e mescolarsi alla birra sulle mie labbra. E più piango, più mi arrabbio, più il bisogno di ubriacarmi e dimenticare ogni cosa si fa acuto. Vorrei solo che tutto questo sparisse. La violenza di Lee, la lenta agonia di Simon, e ora l'unica donna che è riuscita a penetrare nel mio animo che mi volta le spalle... No, non voglio essere presente. Voglio svanire, dissolvermi, disintegrarmi, salire nell'aria come un palloncino colorato in un giorno di festa... E non sentire più nulla.
 
P.O.V. Alexandra
Pago il taxi senza neanche fermarmi a controllare con il tatto che i soldi che ho allungato all'autista siano la giusta somma. Gli lascerei anche l'intero portafoglio, se mi consentisse di arrivare prima da Jake. Jake.
Martinez l'ha chiamato così, poco più di un'ora fa, quando mi ha telefonato e con tono grave mi ha annunciato che Moore non risponde al telefono e si rifiuta di aprirgli.
-L'ultima volta che l'ho visto è stato stamattina, e stava correndo come un indemoniato per venire da te.- ha commentato infine. E io mentre lo ringraziavo già covavo un'amara rabbia contro mia madre, che ha spacciato Moore per un venditore porta a porta. Tremo al solo pensiero di cosa può aver fatto in preda all'ira; perché sono certa che è incazzato nero con il mondo, e più di tutti con me.
"Mi starà odiando, in questo momento." penso con tristezza mentre suono il campanello dell'appartamento. Sono uscita di casa come una furia - grazie a Dio c'era solo Tyler al quale ho gridato una sequela di improperi anche se il poveretto non c'entrava nulla - e ora mi sono dovuta far aiutare, con una punta di vergogna, dal portiere, il quale mi ha gentilmente scortata fino all'uscio di Moore. Sento un rumore di cocci dall'interno, seguito dalla voce profonda del giudice che maledice qualcosa o qualcuno mentre viene ad aprire.
-Juan, hai rotto i cogli... Sei tu.- 
Mi sta per chiudere la porta in faccia ma io mi sporgo in avanti e lui si blocca per paura di farmi male: anche una porta che si chiude è pericolosa se non la vedi arrivare.
-Cosa vuoi?-
Il suo tono è gelido, ferito e strascicato.
-Sei ubriaco!- esclamo corrugando la fronte e annusando il forte odore di birra che emana.
-E anche se fosse?- mi canzona con arroganza. -Passo ubriaco la maggior parte delle mie ore da sveglio, Sorrentino, e non è certo un tuo problema!-
-Lo è invece!- replico azzardando un passo in quell'ambiente sconosciuto -Sono venuta per spiegarmi. Non sapevo che fossi venuto a casa mia e non voglio neanche immaginare cosa ti abbia detto mia madre... Sa essere molto convincente quando vuole...-
-Cosa ti fa credere che io stia così per te?- borbotta contrariato, ma è evidente dalla sua voce che ho colto nel segno. Mi fa tenerezza nella sua rabbia infantile, tanto che dimentico tutto: i nostri rispettivi ruoli, la mia cecità, il bacio che mi ha dato (e che ancora mi fa arrossire)... Tendo una mano in avanti e sfioro con la punta delle dita la barba corta ed incolta che gli copre le guance. Ecco un particolare che nessuno mi aveva detto! Ma quegli istanti di beatitudine hanno vita breve, perché non appena la mia mano si avvicina alle sue labbra Moore mi afferra il braccio e mi strattona verso di sé. Mi avvolge in un abbraccio che sembra più una morsa e soffia al mio orecchio:
-Dammi la tua patetica spiegazione, Sorrentino, e poi vattene da qui!-
-Stamattina Evan Parker mi ha avvicinato.- inizio titubante, innervosita dalla sua vicinanza -Ha detto che personalmente a lui importa poco quali voci girassero su di noi, ma che quando queste voci rischiano di rovinare il mio buon lavoro non poteva rimanere a guardare...-
-Che gesto altruista, da buon samaritano!- ringhia Jake con astio.
-Fammi finire. Parker ha sentito Oliver Smith raccontare ad Elizaveta una versione... Modificata, ecco, del suo tentato stupro.- Le braccia di Moore si flettono, nervose, come se il pensare a quell'episodio gli desse un male fisico.
-Cosa ha detto?-
-Forse è meglio che tu sia sobrio per ascoltare...-
-Cosa ha detto, ragazzina!?-
-Ha detto... Ha raccontato che io e lei... Cioè, te... Cristo santo, ha detto che ci ha scoperto mentre facevamo sesso negli studios deserti e che tu l'hai minacciato di espellerlo dal programma se avesse parlato. Elizaveta sembrava una furia, ringhiava qualcosa a proposito di voi due - a proposito, perché l'hai mollata?-
Jake Moore deve essere sconvolto, ma il suo atteggiamento è insolitamente tranquillo:
-Non l'ho mollata, non siamo mai stati insieme, nonostante fosse quello che le piaceva pensare. Era solo una buona compagnia a letto, tutto qua. Ma se quello che dici è vero allora siamo in un mare di guai: Elizaveta ce l'ha a morte con me, e non possiamo provare nulla perché tu non hai denunciato quel bastardo... Cazzo!-
Mi sembrava troppo strana, tutta quella calma: stava solo digerendo la notizia.
-Stai calmo, troveremo un modo di sistemare le cose!- dico cercando di avvicinarmi, ma lui con uno scatto improvviso mi fa cadere a terra. Atterro di schiena, ferendomi la mano su qualcosa di rotto e dovrei essere terrorizzata, ma non lo sono: riesco solo a pensare all'angoscia che ho percepito nella sua voce.
-Alexandra!- esclama, spaventato, inginocchiandosi accanto a me. Un attimo dopo mi ritrovo stretta in un abbraccio soffocante mentre Jake mi bacia la fronte ed i capelli, piangendo.
-Scusa, ti prego, scusa...- balbetta. Non ho mai sentito una persona così vulnerabile. Mai. "L'ubriachezza sembra essergli passata di colpo" rifletto.
Poi le sue labbra sono sulle mie ed io smetto di pensare. E' un bacio senza dolcezza, c'è solo tanta disperazione e tanto dolore, ma sento ugualmente lo stomaco attorcigliarsi e le guance accaldate.
-Sono uno stronzo, perdonami.- mormora ancora, allontanandosi un poco da me. -Sono senza speranza...-
-Nessuno è senza speranza!- ribatto, cercando a tentoni il suo corpo per accarezzarlo. Ho chiuso in un angolo della mia mente tutti i motivi per cui quello che stiamo facendo è sbagliato, e mi limito a godermi il momento... Non mi ero resa conto di quanto desiderassi essere baciata di nuovo da lui.
-Tu non mi conosci... Io non sono capace di prendermi cura di qualcuno, così come è impossibile che qualcuno possa prendersi cura di me. E alla fin fine, non me lo merito: chi potrebbe mai volermi stare accanto? Io non ti merito, Alexandra, e soprattutto non ti posso avere... Guarda cosa ho fatto, ti ho ferita!-
-Non è nulla.- lo tranquillizzo -E tu stai dicendo un mucchio di sciocchezze: ognuno ha diritto alla possibilità di essere felice e di avere qualcuno da amare. Io, per esempio, voglio e posso prendermi cura di te!-
-Tu?- ridacchia con amara ironia -Sei cieca, ragazzina. Inciamperesti dappertutto se non avessi Abigail a guidarti!-
"Si è ricordato il suo nome!" penso stupefatta. Infastidita per la sua mancanza di fiducia, con una mossa ardita e sicura che stupisce me per prima, trovo con le mani i bottoni della sua camicia e senza esitazione glieli slaccio, accarezzando estasiata la pelle liscia del suo petto. Moore è paralizzato ed incapace di parlare o reagire in qualche modo, perciò io continuo, sporgendomi verso di lui e disseminando piccoli baci dalla clavicola fino al mento. Mi stringo contro di lui, desiderosa di inalare il profumo che emana fino ad intossicarmi.
-Dio, Alexandra...!- mormora con voce strozzata Jake, prima di afferrarmi le gambe e prendermi in braccio, alzandosi dal pavimento coperto da pericolosi cocci con cui mi sono già ferita.
-Non puoi fare così!- mi rimprovera, affannato, ma non riesce a resistere alla tentazione e un attimo dopo mi sta di nuovo baciando, come se la mia bocca fosse la sua unica fonte di nutrimento. Mi trascina di peso per buona parte della casa, prima di adagiarmi con una delicatezza inaspettata sul letto; il profumo e la consistenza delle lenzuola sono deliziosi come ricordavo. Lui si stende accanto a me, ma evita di toccarmi e per un po' nessuno dei due apre bocca.
-Hai un effetto devastante su di me, ragazzina.- afferma pensieroso ad un certo punto.
-Anche tu non mi sei indifferente... Ma credo che tu l'abbia già capito.- mormoro imbarazzata e lo sento ridere: non una risata sprezzante o di scherno, solo un suono divertito... Meraviglioso.
-Cosa facciamo con Smith ed Elizaveta?- chiedo preoccupata, ma lui mi posa un dito sulle labbra, disegnandone il contorno:
-Non voglio pensare a loro in questo momento, ok? Ci sono cose più importanti di cui parlare. Parti della mia vita che nessuno conosce e che mi sono tenuto dentro per tanti anni. Non avevo mai sentito il bisogno di parlarne con nessuno, ma quello che sto vivendo con te adesso... Non so, credo che tu abbia il diritto di sapere, se sei così disposta ad aiutarmi.-
-Certo che lo sono! Riguarda forse i tuoi problemi in cucina?-
-In parte sì, ma quelli li ho superati, grazie a te... Poi ti spiego. No, voglio raccontarti di come sono diventato quello che sono e soprattutto perché sono così. Perché sono convinto che tu non possa salvarmi, che nessuno possa farlo.
Non ho mai conosciuto mio padre, se n'è andato quando ero ancora molto piccolo. I primi ricordi di mia madre invece sono molto dolci e belli: è da lei che ho imparato l'amore per la cucina. Ricordo che canticchiava mentre girava per la casa e trovava sempre il tempo di stare con me anche se doveva lavorare tanto perché non avevamo soldi. Poi, quando avevo circa otto, nove anni, è arrivato Lee: tanto premuroso con mia madre quanto freddo e scostante con me. Io desideravo con tutto me stesso avere un padre e non capivo come mai tutti i miei sforzi non riuscissero nell'intento di piacergli.-
Mi raggomitolo contro di lui per addossarmi un po' dell'infelicità che colgo nelle sue parole: mi si stringe il cuore al pensiero di un piccolo Jake che tenta di farsi accettare da quell'uomo ingiusto. Lui posa una mano sulla mia schiena, possessivo, e mi rendo conto che nonostante la sua mente sia persa nei ricordi, il suo corpo manifesta chiaramente il suo desiderio per me. La cosa, invece di imbarazzarmi, mi lusinga enormemente e riconosco anche le vampate di un'eccitazione che non provavo ormai da troppo tempo.
-Poi, man mano che gli anni passavano, Lee diventava sempre più insofferente nei miei confronti e si lamentava con mamma di quanto fossi svogliato e che non avrei mai combinato nulla nella vita... Parlava lui, che di mestiere faceva il camionista e passava le sue serate davanti alla tv con una lattina di birra in mano. Ecco, questa è stata probabilmente l'unica cosa che ho imparato da lui!
Mia madre era sempre d'accordo con lui, perché lo amava e temeva di perderlo e così sono diventato un adolescente inquieto, arrabbiato, sempre pronto a fare casini: vedevo la donna della mia vita spegnersi giorno dopo giorno ed ero costretto a condividerla con un uomo che non la meritava, che spesso alzava le mani su di lei quando non la potevo difendere. Ci sono state notti in cui sono rimasto a dormire davanti alla porta di casa mia, come un cane, mentre il freddo mi penetrava nelle ossa, perché Lee aveva cambiato la serratura.
Un giorno mia madre stava tornando a casa dal lavoro, quando una macchina sbandò e la prese in pieno: morì dopo pochi giorni in ospedale e quella sera stessa lui mi fece trovare le mie cose fuori dalla porta. Non sono neanche andato al suo funerale.- 
-Mi dispiace...- mormoro basita dopo qualche attimo di silenzio. Non mi stupisce che Jake sia diventato così freddo e solitario, perennemente arrabbiato con tutti, e capisco anche perché si crede indegno di una relazione vera.
-Ma non è stata colpa tua, Jake. Nulla di tutto ciò che quell'uomo ti ha fatto è stata colpa tua!-
-Lo so!- sbuffa lui -Razionalmente... Lo so. Ma le uniche persone che sono state capaci di far uscire il meglio di me, non solo in cucina, ma anche come uomo... Beh siete stati tu e Eckhart.-
-Eckhart? Simon Eckhart?- esclamo stupita. E' stato uno dei nomi più importanti della cucina newyorkese, prima che un tumore lo allontanasse dal suo ristorante.
-Simon mi ha raccolto dalla strada come un gattino bagnato e astioso e mi ha accolto nella sua cucina. Mi ha pressato e sfiancato per anni, costringendomi ad un tirocinio massacrante per affinare le mie capacità... Ed ha fatto un ottimo lavoro. Era molto amico di Juan ed è per questo che lui si sente in dovere di starmi dietro e arginare i casini che combino... Credo sia un modo per onorare la sua morte.-
-Io invece credo che Martinez tenga davvero a te. Vuoi dire che dopo la morte di Eckhart tu non hai più avuto nessun amico!?-
-Mai. La sua lunga agonia mi aveva tenuto lontano dal suo ristorante abbastanza a lungo perché i figli se ne impadronissero e lo mandassero in malora e dopo il funerale mi sono ritrovato in un ambiente ostile. Poi mi sono presentato al The Mark e mi hanno assunto subito: credo di essere l'unico chef stellato a non possedere neanche un locale tutto suo... Posso farti una domanda, ragazzina?-
-Dimmi.-
-Cosa pensi di me, adesso che conosci la mia storia?-
Sorrido e lo bacio con dolcezza.
"Ti pentirai di tutto questo!" sibila una voce maligna dentro di me, ma la ignoro alla grande e continuo:
-Esattamente ciò che pensavo prima.- sussurro -Che sei molto di più di quello che dai a vedere. E da quanto ho visto io, c'è un uomo fantastico sotto quest'armatura.-
Sento qualcosa di bagnato sui polpastrelli e so che sta piangendo, ma faccio finta di non essermene accorta. Anche perché poco dopo Jake mugugna:
-E' la sbornia più bella di tutta la mia vita... Spero di ricordarmela, domani mattina.-
E sprofonda in un sonno pesante con la testa appoggiata al mio petto, mentre gli accarezzo i capelli.  
 
 
Angolo Autrice:
Questo capitolo non ha avuto una gestazione facile, ma sono tutto sommato soddisfatta: Alexandra e soprattutto Jake stanno acquistando sempre più consistenza e il loro rapporto fa passi da gigante! Adesso rimane un ultimo grande interrogativo prima di affrontare Elizaveta e Smith: come ha perso la vista Alexandra?
Spero che con la fine della scuola gli aggiornamenti riprendano ad essere più regolari, ma non prometto nulla!
A presto
 
Crilu
   
 
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