Il silenzio in bus è qualcosa a cui Miyuki non è mai stato abituato.
Mezzi pubblici come quello o la metro sono abbastanza affollati, di solito,
perché un minimo di vociare aleggi senza troppe pretese nei vagoni o nel mezzo
di per sé; certo, forse il fatto che sia un orario particolare del sabato
mattina – non l’ora di punta in cui gli impiegati si muovono da casa per andare
al lavoro, né l’ora di pranzo che vede rientrare le più svariate categorie di
cittadini giapponesi – aiuta a far sì che lui viaggi con pochi occupanti
insieme a lui, come qualche sera prima.
Il tragitto verso casa di Eijun è più abituale di quanto Kazuya stesso voglia o
riesca a credere, diventato familiare come quello che fa per andare
all’università quando ha lezione: non deve più prestare la massima attenzione
per essere sicuro di scendere alla fermata giusta, né controllare la strada percorsa a piedi
per quei pochi minuti di cammino necessari a coprire la distanza tra la fermata
dell’autobus e casa Sawamura. Non si tratta, tuttavia, di una familiarità dal
significato preciso, poiché formatasi prima di qualsiasi dichiarazione, grazie
a incontri settimanali dovuti a un rapporto più simile a quello lavorativo che
non a quello informale tra due persone. È anche in assenza di un vero e proprio
bisogno di guardare dove stia andando che Kazuya ha il tempo di riformulare
nella propria testa il breve scambio di messaggi tra lui ed Eijun, oltre che a
ripercorrere in silenzio gli ultimi scambi tra loro e riscopre così quanto poco
sia portato alle situazioni non chiare, lasciate in sospeso, e come risulti
inesistente in lui una qualsiasi inclinazione al compromesso, di cui finora non
ha mai avuto davvero bisogno.
Si chiede, a pochi passi dall’abitazione dei Sawamura, se dare il proprio
consenso a passare la notte lì da solo con Eijun non sia stata una delle –
sempre più numerose – scelte discutibili dell’ultimo periodo. Aggiustando la
tracolla del borsone usato per portare con sé l’occorrente, ferma i propri
piedi a un paio di passi dall’ingresso dove fa mostra di sé la targhetta con il
cognome della famiglia dell’altro ragazzo; gli è ancora incomprensibile la
natura di quell’invito.
Quando suona il campanello, Eijun si ostina per qualche secondo a far
finta di controllare il cellulare con una nonchalance
che non esiste davvero nella sua persona in quel momento, come se andare ad
aprire non fosse la priorità e come se non avesse fatto altro che passeggiare
avanti e indietro per il corridoio d’ingresso fino a qualche minuto prima. Lo
schermo del tuo telefono gli mostra il messaggio di Haruichi di quella mattina,
un semplice “buona fortuna, Eijun. Andrà
tutto bene” di cui aveva un bisogno smisurato e nel quale, tuttavia, ora
non riesce a credere.
In diciotto anni di vita Eijun può vantare di essersi pentito poche volte delle
cose fatte o delle decisioni prese: certo le ha riconsiderate in parte, ha
riconosciuto di aver gestito male delle situazioni a causa di un carattere
prettamente impulsivo e istintivo, ma non si è mai pentito; non è sicuro di poter ancora vantare la stessa cosa anche
adesso, mentre guarda il citofono come se quello dovesse mangiargli l’orecchio
nel momento stesso in cui lo avvicinerà per sentire gracchiare dall’altra parte
la voce di Miyuki – in effetti decide di non alzarlo nemmeno e di aprire
direttamente la porta, per guardare e accertarsi si tratti del suo ospite, così
da aprirgli il cancelletto con il pulsante di quel mostro elettronico che si fa
beffe di lui (nella sua testa).
A distanza di un vialetto breve, il viso di Miyuki è rivolto al citofono in
attesa di una risposta che non arriva; non è molto il tempo che concede a Eijun
per osservarlo e cercare di sbirciare la sua espressione prima di ritrovarsi
davanti qualcosa di non meglio identificato a celare buona parte dei pensieri
altrui, qualcosa alla quale si è abituato controvoglia nell’ultimo periodo. Purtroppo,
non vede molto altro oltre alla confusione per una mancata risposta, che si
spiega – lo capisce nel distendersi di qualche ruga d’espressione e delle
sopracciglia aggrottate – quando alzando lo sguardo lo inquadra di rimando.
Eijun gli sorride, sparendo oltre la porta e pigiando il pulsante per aprirgli
il cancelletto e lasciargli libero accesso alla propria casa, e non ci vuole
molto perché Miyuki sia alla porta e varchi la soglia.
La prima cosa che colpisce l’attenzione di Eijun è il borsone dell’altro,
perché troppo abituato a usarne lui stesso per le trasferte con la squadra e
dunque riconoscerne uno simile non è difficile; non reca scritte particolari se
non la marca e, su un lato, la targhetta appena scolorita su cui si riescono
comunque a leggere gli ideogrammi del nome e cognome di Miyuki. Ci si sofferma
poco, perché quasi subito si muove per chiudere la porta e mostrare all’altro
le pantofole per gli ospiti.
«Puoi lasciare il borsone all’ingresso se vuoi, lo portiamo su dopo.» assicura,
certo di non dover fare gli onori di casa come se fosse la prima volta che
l’altro è ospite e conscio di come Miyuki conosca la planimetria della sua
abitazione senza che lui si sprechi a illustrargliela – cosa che rende più
strano di quanto avrebbe creduto il trovare un valido argomento di
conversazione.
Forse invitare Miyuki dopo gli ultimi incontri che hanno avuto non è stata una
grande idea; com’è ovvio, lui ci pensa quando è troppo tardi.
Kazuya ai suoi occhi non sembra granché agitato, ma quello non è poi molto
indicativo visto che non è comunque uno stato d’animo tipico dell’altro nemmeno
in condizioni normali. Lo osserva posare il borsone lì come indicato, privarsi
delle scarpe nel genkan e inforcare
le pantofole come ha fatto altre volte, ogni settimana durante la sua
preparazione agli esami di ammissione. Lo nota guardarsi intorno per qualche
istante, ed Eijun non riesce a indovinare di cosa l’altro stia cercando di
sincerarsi – forse della reale assenza o meno di altri membri della famiglia
Sawamura. Sembra prendere coscienza della situazione in breve tempo, però,
considerando come si volti a guardarlo come se nulla fosse.
«Dove sono andati i tuoi?» è la domanda posta da Miyuki, ed Eijun non ne è
sicuro ma suppone l’altro stia cercando di rompere il ghiaccio in qualche modo.
Decide che guidarlo in salotto, tanto per cominciare, può essere una buona
idea: «A Nagano.» replica distratto, ma uno sbuffo divertito da parte
dell’altro lo fa voltare di nuovo in sua direzione dopo appena due passi.
«Sì» osserva Miyuki «quello me lo avevi scritto per messaggio. Intendevo dove,
a Nagano.» aggiunge con una sottile presa in giro insita nel suo tono di voce.
Eijun s’imbroncia senza quasi accorgersene, forse perché è la cosa più naturale
che si è concesso da quando Miyuki ha suonato il citofono: «Non ci stavo
pensando.» bofonchia «Comunque una cugina di sposa. Una cugina di secondo
grado, credo, cioè è la figlia della cugina di mia madre…
o qualcosa del genere.» replica, abbastanza confuso anche lui sulla parentela.
«E tu sei stato esonerato dal partecipare?»
«No, ma insomma, i pochi parenti della mia età sono rimasti tutti a casa per il
periodo di ammissioni all’università o per non perdere giorni di scuola e quindi…» aggiunge, lasciando cadere la frase senza il bisogno
di una reale conclusione per intuire il resto. In salotto gli fa cenno di
sedersi dove preferisce, l’arredamento occidentale della casa che offre come
opzione il divano o la poltroncina dove si sistema di solito suo nonno; con la
coda dell’occhio Eijun lo vede optare per il primo e dunque si muove verso la
tv poco distante, recuperandone il telecomando e voltandosi verso Miyuki,
l’aria decisa a non lasciare che la loro ultima conversazione renda quel
week-end invivibile.
«Film o videogioco?» domanda a bruciapelo, come se un’altra opzione al di fuori
di quelle due non fosse contemplata – e in effetti non lo è: l’orologio indica
un orario ancora poco indicato a preoccuparsi della cena, che dal suo punto di
vista sarà ordinata al suo ristorante di fiducia, perché non ha nessuna
intenzione di permettere a Miyuki di prendersi gioco dei suoi tentativi di
cucina.
«Sawamura.»
«Non ti farò scegliere qualcosa che non sia una delle due opzioni che—»
«Cosa vuoi mangiare per cena?»
«…pensavo di ordinare» inizia, ma il lieve sospiro di
Miyuki e la sua espressione da “lo sapevo”
lo fanno tacere prima di poter concludere la frase. Sente i muscoli del proprio
viso contrarsi in un’espressione indispettita e sta già prendendo aria nei
polmoni al fine di rifilargli una filippica su quanto potrebbe rendersi più
apprezzabile dell’aculeo di un riccio piantato al centro del piede in maniera
piuttosto dolorosa, quando l’altro si salva in corner con un: «Se il tuo frigo
non è del tutto vuoto, posso cucinare io.» afferma, lasciando Eijun del tutto
spiazzato e senza dargli il tempo di chiedere granché, vista l’aggiunta di un
semplice «Un film andrà bene. Non potrei mai privare Kuramochi della gioia di
batterti ai videogame.»
La scelta del film da vedere li impegna per ben dieci minuti, in cui appare
evidente come non siano per nulla accomunati da gusti cinematografici simili e
alla fine dei quali Eijun decide che il modo migliore di scegliere è affidarsi
alla casualità. Impiegano altri dieci minuti a portare dalla stanza di Eijun al
salotto il portatile del padrone di casa, attaccarlo alla tv e tirar fuori un
buon sito di film in streaming. Miyuki teme il peggio quando, sbirciando sullo
schermo, vede l’altro aprire la lista dei titoli, chiudere gli occhi e tenere
pigiato il tasto che fa scorrere la lista: quando lo ferma, il titolo che la
schermata gli rimanda è quello di un film di sicuro appartenente al genere
romantico. Lasciano passare qualche momento, per dare tempo allo streaming di
caricarsi, e in quel frangente Eijun recupera dalla cucina da bere e qualche
stuzzichino; poco dopo fa partire il film, lo schermo ampio della televisione
che cattura la loro attenzione quando sono entrambi accomodati sul divano.
Dura pressoché due ore e la cosa che stupisce di più Miyuki non ha nulla a che
vedere con la pellicola. Lo sforzo per non ridere è quasi disumano.
«Smetti di fare quella faccia, lo so che stai ridendo di me!» sbraita Eijun e
Miyuki si chiede come possa aver sperato di vederlo impassibile quando a un
certo punto, nel mezzo del film, ha sentito tirare su con il naso al proprio
fianco e voltandosi – non senza una certa incredulità – si è ritrovato davanti
un Sawamura in lacrime che: «No, Riko-chan non ti
arrendere!»
Non pensa esista qualcuno in grado di non ridere di fronte a una scena simile.
Si sente superiore a qualsiasi essere umano per una manciata di secondi, anche
se ora lascia scappare uno sbuffo divertito che si tramuta presto in risata. In
risposta, Eijun gli dà una spallata per poi soffiarsi il naso e pronunciare
nello stesso momento un: «Non è colpa mia se tu sei arido dentro, va bene?!»
«Hai ragione, ma la tua anima di fanciulla delicata è stata una sorpresa.» lo
prende in giro, e fa appena in tempo a ripararsi da una cuscinata. A dire il
vero non si aspettava un’atmosfera così tranquilla e giocosa – non ci sperava,
più che altro. La preferisce di gran lunga agli interminabili silenzi pieni di
domande inespresse e di risposte negate, a cui si è aggiunta l’ombra di una
terza persona che sperava di non sovrapporre mai a nessun altro; per fortuna,
senza neanche farlo di proposito suppone, Eijun riesce a mostrargli quanto poco
ci sia in comune tra lui e Mei e quella presenza di fa meno pressante.
A volte Miyuki si chiede se sparirà mai del tutto come finge sia già avvenuto da
tempo.
«Andiamo,» pronuncia con un mezzo sorriso, interrompendo la furia vendicativa
di Eijun che si ferma con il cuscino sollevato e pronto a colpire,
sull’espressione l’indecisione tra l’assestargli un altro colpo o mostrarsi
misericordioso: «ti faccio l’onore di preparare la cena.» ironizza Miyuki e
tanto sembra bastare a far prendere all’altro una decisione – la comunica il
suo stomaco, brontolando.
Ricorda dove si trova la cucina di Sawamura, ma si lascia comunque guidare, più
per educazione che non per reale bisogno. Di certo, una volta dentro, vi si
muove in maniera diversa: la prima volta è stato lì da osservatore, da ospite,
guardando Eijun e sua madre interagire; ora cerca con lo sguardo gli utensili
in vista, prova a indovinare cosa nasconda ogni sportello secondo un
posizionamento di solito comune a un po’ tutti gli spazi dediti alla
preparazione dei pasti. Appeso in vista nota quasi subito il grembiule e se ne
appropria, indossandolo nella semplicità della stoffa blu: gli ci vuole un po’
giusto per le pentole, abituato ad averle nei ripiani alti e trovandole invece
in quelli bassi, grazie a uno spazio di certo maggiore di quello offerto
dall’angolo cottura del suo appartamento. Eijun dapprima gli gironzola intorno
incerto, forse con l’intento di essere vicino qualora servisse il suo aiuto –
ed è così, dal momento che Kazuya non vuole frugare in casa d’altri per trovare
gli ingredienti – ma una volta trovato tutto il necessario, lo fa sedere. Non
dura molto, giusto il tempo di preparare le prime cose e mettere una delle
padelle sul fuoco che Eijun è di nuovo in piedi. Con la coda dell’occhio lo
vede cercare di mantenere una distanza tale da non essergli d’intralcio, anche
se a tratti la curiosità vince e Miyuki se lo ritrova a pochi passi.
«Quando hai imparato a cucinare?» domanda Eijun, sorprendendolo un po’ in
effetti.
«Da piccolo, per le cose semplici. Mio padre lavorava tutto il giorno, così
quando tornavo a casa mi facevo il pranzo da solo.» spiega, assicurandosi di
non tagliarsi mentre il rumore ritmico del coltello contro il tagliere riempie
l’aria e fa da sottofondo mentre parla «E mi piace, quindi ho continuato. Poi
vivendo da solo non potevo affidarmi solo al cibo da conbini.» aggiunge, con un mezzo
sorriso e un’occhiata veloce a Eijun; quando ne vede il broncio capisce che
l’altro ha colto il sottile riferimento alle sue intenzioni per la cena di
quella sera prima che Miyuki prendesse il controllo della cosa.
«Non penso di essere bravo come tua madre,» continua Kazuya «ma posso garantire
lo stesso sul sapore.»
Eijun a un certo punto si offre di apparecchiare, o meglio ancora inizia a
muoversi per prendere l’occorrente senza davvero comunicarglielo. Kazuya si
volta a guardarlo per momenti brevi, così da non distogliere troppo a lungo
l’attenzione dalla cena quasi pronta, ma non può fare a meno di notare come sia
strano e al tempo stesso familiare in un modo bizzarro come Eijun si sposti
nella stanza, e lui si sposti per permettergli di prendere questo o
quell’oggetto quasi condividessero spesso gli stessi spazi. Durante la
preparazione, come anche mentre mangiano, non una sola volta Sawamura gli
domanda perché non fosse sua madre a occuparsi del pranzo.
Gliene è grato.
Il dopocena è passato inaspettatamente veloce: Eijun ha insistito per
lavare i piatti, e quando Miyuki si è offerto di aiutarlo lo ha costretto a
sedersi – «Sei ospite, che padrone di
casa sarei se ti facessi fare anche questo?» – dandogli modo di osservarlo,
sebbene sia sicuro l’altro non ci abbia neanche pensato. Kazuya si è ben
guardato dal farglielo notare, approfittandone, e dopo quella parentesi così
casalinga hanno trovato di nuovo posto sul divano. Se l’idea iniziale è stata
scorrere i canali della televisione alla ricerca di qualcosa di decente da
vedere, il proposito si è perso quasi subito: è stato strano ritrovarsi a
parlare, lasciando il programma in corso come semplice ronzio di sottofondo, ma
non una brutta cosa. Miyuki ha sentito di apprezzare più di quanto avrebbe mai
pensato la normalità della loro conversazione – baseball, idee sul futuro,
qualche aneddoto dei tempi del liceo con Kuramochi, tutt’altro che lontani.
Decidono di spostarsi quando i piedi di entrambi stanno iniziando a gelarsi, lì
sul divano e fermi nella stessa posizione; a Miyuki viene offerto di nuovo di
usare il bagno per primo e non fa storie, recuperando dal proprio borsone
l’occorrente per cambiarsi, Eijun che da metà scala pronuncia un «Gli
asciugamani sono già in bagno!» continuando a salire. Kazuya si prende il suo tempo,
non tanto per cambiarsi, quanto per darne anche a Eijun: sa di essere stato
esplicito nelle ultime occasioni in cui hanno affrontato argomenti che avrebbe
preferito tenere per sé ancora per un po’, ma la sensazione di essere da solo
con Eijun in casa è comunque lì, presente. In modo diverso da come lo sarebbe
se Sawamura fosse una ragazza, e ancora diverso da come sarebbe se Miyuki non
gli avesse apertamente detto che non ha intenzione di avere con lui alcun tipo
di esperienza sessuale. Per quanto
Eijun abbia dichiarato più di una volta come la cosa gli vada bene, il dubbio e
il sospetto sono annidati lì da qualche parte e Kazuya vorrebbe davvero, davvero liberarsene senza fare un torto
al più giovane ma è più forte di lui.
Certo la situazione prende una piega del tutto inaspettata quando, abbandonato
il bagno e raggiunta la stanza di Eijun, nel varcarne la soglia lo trova
intento a sistemare il futon a terra
come l’ultima volta. Peccato il loro rapporto sia in qualche modo diverso da
allora, al punto che vedere quel materasso per gli ospiti lo porta a sorridere
prima e a sbuffare divertito poi: non sa se Sawamura voglia mostrargli così la
sua determinazione a non chiedergli nulla di più di quanto Miyuki si sia detto
pronto a dare o se si tratti di una manovra data dal nervosismo e dal non
sapere cosa fare. Fatto sta che lo fa sentire molto meglio di quanto Eijun
stesso si renda conto, forse.
«E quello?» lo interroga, con una nota divertita nel tono che cerca di celare.
Eijun guarda con insistenza il proprio operato, come se fosse quello a dovergli
suggerire la risposta.
«Beh, ho pensato…» borbotta, alzando gli occhi su di
lui e indicandogli il futon come si
farebbe con l’uscita, rivolti a una persona importante: «Prego, Miyuki-senpai!» esclama Eijun e quello sì, lo fa ridere. A
giudicare dall’espressione di Sawamura deve essere la prima volta che ride
apertamente in quel modo, con lui, perché quando gli presta di nuovo attenzione
l’espressione dell’altro è stupita, la bocca un poco aperta, incapace di contenere
la sorpresa tanto da non lasciare alcuno spazio a un broncio o a un’offesa.
Miyuki avvicina l’indice all’angolo del proprio occhio, asciugando un accenno
di lacrima per la risata scemata: «Sul serio? Non mi hai mai chiamato senpai da
quando ti ho fatto notare che sarebbe stato il caso.» sottolinea, vedendolo
assumere un’aria imbarazzata che di certo potrebbe celare, se non fosse così
trasparente nelle proprie emozioni.
«Potresti anche non ridere in quel modo per una cosa così.» lo sente borbottare
e sospira, muovendosi verso di lui. Ci vuole poco a passargli un braccio
attorno alle spalle, nonostante la posizione di Eijun non renda il movimento
del tutto fluido, per poi trascinarlo di pochi passi fino al letto. Si siede, e
spinge l’altro a fare lo stesso per inerzia del proprio spostamento, niente di
più; lascia andare Eijun, ma si lascia anche cadere sdraiato sul materasso
visto che la propria posizione – leggermente di sbieco rispetto al letto –
glielo permette senza che ci sia il rischio di finire a dare una testata contro
il muro. Sente lo sguardo dell’altro su di sé, ma non si mette fretta nello
stabilire un contatto visivo tra loro. Quando lo fa trova Eijun a guardarlo, la
fronte un poco aggrottata, di certo confuso; Kazuya si muove, si sistema su un
fianco e con una mano dà un paio di pacche leggere al materasso in un invito
eloquente. Eijun sembra un po’ un animale sulla difensiva mentre, con più
lentezza di quanta lo animerebbe di solito, si libera delle pantofole ai propri
piedi e si stende. Il risultato è una posizione del tutto innaturale, con
Sawamura supino e intento a fissare con insistenza il soffitto. Lo sbuffo
divertito è qualcosa che Kazuya non riesce a risparmiare tanto a se stesso
quanto all’altro, ma è qualcosa di breve, non si trasforma in una risata e lui
si muove a propria volta, imitando l’altro nella scelta della sua medesima
posizione. Un po’ come se guardassero lo stelle, peccato che tutto ciò su cui
possono posare gli occhi siano le venature del legno.
Il silenzio, a metà fra uno scomodo e pregno di disagio e uno naturale, riempie
la stanza di Eijun per un tempo lungo abbastanza da rendere plausibile
l’essersi addormentati, se solo entrambi non si lanciassero di tanto in tanto
un’occhiata discreta. Alla fine, Miyuki è conscio di non poter lasciare sempre
che dell’inizio dei loro discorsi si occupi Sawamura: «Dormire insieme non è un
problema.» è il modo in cui articola il suo pensiero, molto più complesso di
quanto quella semplice frase possa esprimere, ma non aggiunge altro e lascia
invece che la propria affermazione aleggi tra loro. Per quel che può vedere, il
corpo accanto al suo non si irrigidisce né sussulta, così prosegue quando si
potrebbe credere il discorso sia nato e morto in una sola frase: «In verità
poche cose possono diventarlo. Un problema, intendo.» chiarisce. Non è così
facile, soprattutto perché ha affrontato una sola volta quel tipo di discorso e
con toni molto diversi, tanto che sovrapporre le due situazioni è pressoché
impossibile. Ciò non gli impedisce di avere, nitida e precisa in un angolo
della propria mente, un’immagine fatta più di suoni che non di volti, di voci
dai toni troppo alti, di tentativi di comprendere e farsi comprendere falliti
in maniera totale.
È la mano di Eijun a distrarlo, sfiorando incerto la sua un paio di volte prima
che le dita si intreccino con quelle di Kazuya, portandolo ad abbassare appena
lo sguardo per cercare conferma visiva del gesto; torna quasi subito a guardare
Sawamura, però, notandone un’espressione confusa, più che preoccupata. Prima
che possa chiedere qualcosa, lo sente muovere i piedi per spingere più verso la
fine del letto le coperte già sistemate in precedenza perché lo accogliessero,
e con una manovra buffa – e piuttosto sgraziata, a essere sinceri – vi infila i
piedi sotto e smuove il tutto abbastanza perché gli basti allungare una mano
per arrivare a recuperarle. Miyuki non capisce per quale motivo Eijun non apra
bocca, lui che a volte sembra faticare a tenerla chiusa, compreso in quel
momento mentre lo guarda come a suggerirgli solo con gli occhi di imitarlo,
cosicché possa coprire entrambi. La stanza è calda, ma in effetti il clima
esterno non permette ancora di stare scoperti a lungo senza risentirne; perciò
Kazuya si muove a sua volta e infine sembrano aver esaurito le sistemazioni da
fare e con cui occupare il tempo.
Se ne accorge anche Sawamura.
«Voglio sapere cosa può diventare un problema.» ammette, e lo fa senza
preavviso come quando si sgancia una bomba, in pratica – il che è applicabile a
buona parte delle azioni altrui a ben pensarci. Miyuki lo vede mettersi su un
fianco per poterlo guardare in viso, e a quel punto sa di non poter in alcun
modo evitare di rispondere. Ma, si dice, se avesse voluto farlo non si sarebbe
neanche avvicinato a Eijun, limitandosi a occupare il futon a terra e a fingersi troppo stanco per qualunque cosa.
«Di sicuro, non il tenersi per mano.» fa notare, più per rompere la tensione
che non per prenderlo in giro. È la sua attività preferita: è convinto del
fatto che nulla sia più divertente di buona parte delle espressioni dell’altro
quando è oggetto di una presa in giro bonaria, ma sa riconoscere il momento in
cui può permettersi di scherzare e quando è invece opportuno essere seri. Forse
lo percepisce anche Eijun, il suo
intento, giacché non ci sono insulti ma si limita a guardarlo in attesa di
qualcosa che sembra certo stia per arrivare. Miyuki sospira, e in quel momento
sente la mano del ragazzo steso lì con lui stringere un poco di più la sua, e
il suo pollice sfiorarne con movimenti circolari il dorso. Se lo faccia con
l’intento di calmarlo o per puro riflesso Kazuya non lo sa, ma c’è un piccolo
incoraggiamento che riesce a fare suo e lascia scivolare un respiro trattenuto
per metà fra le labbra, muovendosi piano e avvicinando il viso a quello di
Eijun. Arriva vicino abbastanza da sfregare la punta del proprio naso contro
quello altrui, e anche se la posizione non è delle migliori – perché la troppa
vicinanza gli causa un fastidio leggero a causa degli occhiali – non socchiude gli
occhi, ritenendo importante mantenere vivo il contatto visivo. Sente Sawamura
irrigidirsi più per la sorpresa che non per il fastidio, e le labbra gli si
incurvano in un sorriso accennato notando il viso di Eijun assumere un rossore
leggero ma inequivocabile.
Il modo in cui gli sfiora la bocca con la propria in un primo tentativo è
talmente casto da sembrare goffo, e somiglia più all’accenno di un gesto che
non al gesto in sé; è un contatto così lieve da fargli percepire a stento se
anche le labbra di Sawamura siano screpolate o secche quanto le proprie. Non
chiude gli occhi, nell’avvicinarsi tanto seppure per pochi istanti, né la prima
volta né quando ripete la stessa azione una seconda e una terza, soffermandosi
appena di più quasi tastando il terreno. La sorpresa di Eijun si traduce in un
respiro trattenuto e lasciato andare lentamente, a piccole dosi, il timore –
appena percepibile eppure così evidente – che anche un dettaglio minuscolo come
quello potrebbe spezzare il loro delicato equilibrio.
È diverso da qualsiasi situazione in cui Miyuki si sia mai trovato, perché
prima di allora i baci sono sempre venuti prima di una spiegazione,
dell’accorgersi da parte del suo partner che qualcosa stonava, in un certo
senso. Eijun è la prima persona a sapere dall’inizio che un bacio non porterà
mai al sesso, ed è lì, a dosare quella sua indole un po’ irruenta che non è mai
mossa da cattive intenzioni perché timoroso di fare la cosa sbagliata. Lo
confonde più di quanto creda, di certo, e Kazuya stesso non saprebbe dire se si
tratti di una confusione gradita o che lo spaventa, portato al pensiero
pessimistico più che a quello ottimistico, se deve essere sincero con se
stesso.
Lo guarda, notando come Sawamura abbia chiuso gli occhi appena lui si è
avvicinato palesando le proprie intenzioni e non li abbia più aperti; vede le
sue sopracciglia un poco aggrottate, in un modo che lo fa sembrare buffo, ma
intenerisce anche Kazuya per poco incline che possa essere al
sentimentalismo. Azzera di nuovo la
distanza, ma si sofferma di più sulle sue labbra questa volta e le sente
morbide, tremare impercettibilmente – la cosa lo fa sorridere, sperando Eijun
non si senta preso in giro per una volta in cui non lo è, perché traspare così
tanto il fatto che l’altro sia emozionato da un gesto così semplice che,
ancora, Miyuki si chiede se non stia davvero sbagliando nel concedersi la
debolezza di credere alle parole di Sawamura quando l’altro dice che andrà
bene, che non vuole per forza arrivare a un certo punto con lui. Si domanda di
nuovo se non dovrebbe essere lui, dall’alto della sua esperienza su una cosa
che lo riguarda tanto da vicino, a mettere un freno prima che la cosa sfugga di
mano. Ma Eijun gli sta stringendo la mano, ancora di più, e che sia un invito a
non allontanarsi o un modo di sfogare il nervosismo Kazuya non lo sa, ma pensa
davvero e con ogni buona intenzione possibile che sia in entrambi i casi
qualcosa di positivo.
Forse è proprio per questo che la distanza tra lui e Sawamura, quella emotiva,
sembra sempre diminuire nonostante i suggerimenti della sua razionalità spesso
fuori luogo: Eijun lo porta a pensare che per una volta potrebbe essere una
buona cosa, credere che andrà tutto bene.
E potrebbe fare di più, potrebbe anche approfondire quel bacio – perché l’altro
dopotutto gli ha chiesto cosa possa diventare un problema e cosa no, e quello
decisamente non lo è né lo è mai stato. Sarebbe il modo più veloce ed efficace
di fargli capire come essere asessuale non significhi aver bisogno che l’altra
persona sia sempre preoccupata per ogni gesto o movimento, come non significhi
essere più fragili, più inclini a essere feriti, o traumatizzati dalla vita.
Sarebbe facile, più di un qualsiasi discorso in cui Miyuki non saprebbe da dove
cominciare senza sentirsi un idiota, perché è il tipo di cosa di cui non ha mai
sentito il bisogno di parlare, di affrontare come un’influenza negativa per la
propria esistenza.
Non lo fa, però, per rispetto di Sawamura; tuttavia non affronta nemmeno alcun
discorso con lui, perché la certezza di un silenzio enigmatico lo fa sentire
più sicuro. Perciò gli lascia solo un altro bacio veloce, come se fosse la loro
quotidianità e spera che Eijun ne colga il significato, la sfumatura, e gli
perdoni l’ennesima domanda aggirata.
Quando la mano libera di Sawamura sale a sfiorargli i capelli alla base del
collo, con un movimento impacciato ma che vorrebbe essere rassicurante, sa di
essere stato scusato per ancora una volta – e capisce, con forza improvvisa e
brutale, come non sia mai stato abituato alla cosa.
Chiude gli occhi, e la fronte di Eijun poggia sulla propria, il respiro a
solleticargli il viso.
Mantiene lo sguardo sulla vetrina, con una punta di incertezza e un
accenno di intimo imbarazzo, ma abbastanza sicuro di poter attirare poco
l’attenzione o almeno di farlo per il motivo sbagliato. Averne coscienza in
maniera razionale di certo aiuta ma, di contro, vedere una delle due commesse
all’interno sporgersi verso la collega e sussurrarle qualcosa guardandolo,
prima di ridacchiare entrambe, gli mette addosso un nervosismo che non sa
controllare. Non è la prima volta che gli capita, ma non si è mai abituato: si
sente sotto esame, perché sa di essere “colpevole”.
La boutique che ha davanti è famosa
tra le ragazze della sua età o poco più grandi, ed è da alcune compagne di
classe che ne ha sentito parlare: l’entrata ha delle porte in vetro che
permettono di guardare dentro da fuori e viceversa, e l’interno è luminoso e
arredato con semplicità ed efficienza, in modo da rendere facile trovare i vari
reparti da quel che riesce a vedere da lì. Quando decide di fermarsi come ora
in negozi del genere, si mantiene sempre un poco distante dalla vetrina; ogni
tanto capita che qualche commessa dia l’interpretazione più scontata alla sua
presenza, e lo fa anche quella di questa boutique
dal momento che si prende la briga di andargli incontro uscendo sulla strada e
pronunciando in sua direzione un: «È interessato a qualcosa in particolare?»
Immagina sia una reazione naturale quando qualcuno rimane a lungo davanti alla
vetrina con aria confusa, per quanto la confusione in questione sia dovuta a
tutt’altra cosa rispetto a quella di certo ipotizzata dalla giovane: «Sta
guardando qualcosa per la sua fidanzata?» lo incalza lei e lui sospira, in un
misto discreto tra rassegnazione e sollievo, per poi scuotere la testa.
Sente lo sguardo deluso della commessa su di sé e si stringe nelle spalle,
perché si sente deluso lui stesso anche se per un motivo del tutto diverso. A
fermargli il cuore per un momento, però, è il richiamo che lo raggiunge dopo
neanche una ventina di passi – abbastanza per dissimulare, se non altro.
«Satoru!» è il modo con cui Haruichi attira la sua attenzione prima di posargli
una mano sulla spalla in una pacca leggera, rivolgendogli un sorriso. Satoru si
ferma il tempo necessario a farsi affiancare, prima di avviarsi di nuovo.
Kominato gli cammina vicino, senza fretta, e non parla subito: ha sempre
trovato confortante la sua compagnia, forse perché si trova esattamente a metà
strada tra lui ed Eijun, con i suoi silenzi quando di parole superflue non c’è
bisogno e la sua capacità di mantenere viva la conversazione quando l’imbarazzo
o la poca conoscenza rischiano di farla da padroni. Furuya si ricorda di quando
ha conosciuto Haruichi, un momento del tutto diverso da quello in cui ha
incrociato Eijun sul diamante; ha una memoria piuttosto nitida di Kominato che
viene chiamato durante l’appello il primo giorno di liceo e si alza per una
breve presentazione davanti a tutta la classe, con il suo impaccio palpabile e
il tono non troppo alto ma con un modo chiaro di parlare nonostante quello.
Satoru lo ha seguito con lo sguardo in più occasioni di quante volesse, ma il
motivo è stato chiaro fin dall’inizio: anche oggi, dopo tre anni di convivenza
nella stessa classe e nella stessa squadra, conoscendo i pregi e i difetti di
Haruichi, prova ancora una sottile, bonaria invidia quando lo guarda e non ha
nulla a che vedere con le loro prestazioni sportive o con il ruolo di capitano
della squadra ricoperto dall’altro. Sono diversi nella corporatura, nella massa
muscolare: Haruichi è minuto, con i
suoi quasi venti centimetri di altezza in meno rispetto a Satoru e per quanto
il suo fisico sia modellato dagli anni di attività sportiva proprio come quello
di Furuya, non è difficile immaginare a chi tra loro starebbe meglio un vestito
nello stile di quello adocchiato nella vetrina del negozio che si è lasciato
alle spalle. Lo sa per esperienza, memore degli anni delle medie che ha provato
a cancellare dalla propria testa – e ci ha provato davvero, credendo nella
possibilità di vivere meglio senza ricordare, ma è stato un fallimento su tutta
la linea.
«Credo» pronuncia Haruichi al suo fianco, distogliendolo da quei pensieri «sia
stato importante quello che hai detto a Eijun.» rivela, con un’occhiata di
sbieco più simile a un implicito “grazie” che non a un “sappiamo entrambi di
cosa parliamo”, più sensato se Satoru negasse di aver colto di cosa stiano
parlando. Non risponde subito però. Le parole pronunciate quel pomeriggio gli
sono rimaste nella testa, sembrano sussurrate costantemente al suo orecchio, e
quasi pizzicano sulla punta della lingua come fosse in procinto di pronunciarle
anche ora. Ha attribuito il non riuscire a togliersele dalla mente al fatto di
aver percepito con grande forza e chiarezza quanto ipocrite fossero. Perché è
indubbio, crede in quello che ha detto, pur senza conoscere i dettagli della
situazione tra Eijun e Miyuki – ed è un bene non saperli, giacché è convinto
non saprebbe analizzare con altrettanto distacco la situazione se avesse una
più chiara opinione riguardo chi potrebbe avere ragione o torto, sempre ammesso
che sia una situazione dove attribuire l’una o l’altra cosa sia così semplice.
È convinto si debba rimanere fedeli a se stessi, nel bene e nel male, e per
quanto possa aver compreso negli anni quanto sia vitale anche sapersi adattare
agli ambienti e alle persone ha sempre creduto ci sia un limite preciso oltre
il quale scendere a compromessi significhi cancellare o dimenticare se stessi.
Satoru l’ha provato sulla propria pelle: ha dovuto imparare a non pensare di
essere solo quando giocava una partita, e per lungo e difficile che possa
essere stato il suo percorso per migliorarsi anche in quell’aspetto, è felice
di aver smussato parte del suo carattere eliminando quegli spigoli che non
permettevano a nessuno di avvicinarsi senza esserne colpito nel modo più
sbagliato. Sa quindi come sia importante sapersi bilanciare, piegare la testa
quando necessario senza però calpestare la propria dignità e per questo ha
detto a Eijun quelle parole, perché Sawamura ai suoi occhi è qualcuno capace di
migliorarsi senza mai perdere se stesso, senza mai smettere di essere quello
che è anche quando non è cosciente di esserlo. Non saprebbe immaginarlo come un
animale in gabbia, schiavo del bisogno di una persona; quando ha parlato e ha
cercato di farglielo capire, lo ha fatto mosso da sentimenti sinceri, per
quanto gli sia difficile esprimerli e farli arrivare alla persona interessata.
Non rimpiange il pensiero a cui ha dato voce, ma rimpiange la consapevolezza di
essere stato bravo solo a parole, solo perché riguardava qualcuno che non era
lui – perché quando si guarda allo specchio Satoru vede qualcosa che non gli
piace, qualcosa che non sente di essere e che non potrà mai essere davvero senza arrivare a odiarla eppure è ciò che si
obbliga a mostrare, perché adattarsi è più facile, passare inosservato e non
giudicato è più semplice; perché non importa come lui si senta dentro: il corpo
visto allo specchio all’ultimo anno delle medie era già troppo alto, troppo
muscoloso per poter star bene con abiti come quello delle boutique che guarda furtivamente.
Quello è il corpo di un uomo. Non è affatto sicuro sia qualcosa che potrà
accettare mai.
«Mh.» è l’unica cosa che pronuncia, e non la si può
neanche chiamare davvero “risposta”, ma Haruichi – da quanto riesce a scorgere
sbirciando il suo viso con la coda dell’occhio – sorride, nello stesso modo in
cui lo farebbe se Satoru si fosse prodigato in una replica lunga e articolata.
È abbastanza sicuro che in più di qualche occasione Haruichi si sia reso conto
di essere osservato, ma non glielo ha mai fatto notare, non ha mai mostrato
fastidio e Furuya gliene è grato perché avrebbe di certo causato imbarazzo fra
di loro. Se c’è una cosa che apprezza davvero di cuore è come si sente con
l’altro, il modo in cui Kominato gli trasmette lo stare bene, a proprio agio. È
una sensazione che Satoru ha associato sempre e solo a suo nonno, e ritrovarla
con una persona non della famiglia è stato destabilizzante all’inizio, curioso
con il tempo e ora è piacevole; stare con Haruichi somiglia allo stare avvolto
in una coperta davanti al fuoco, mentre fuori c’è una tormenta di neve che
finirà col ricoprire ogni strada, albero o tetto nelle vicinanze, rendendo
tutto bianco e irriconoscibile e quasi irreale.
«Satoru?» si sente chiamare e allora si concede di voltare completamente la
testa verso l’altro, di abbassare un poco lo sguardo per incontrare il suo: «Anche
tu puoi fare come Eijun, se vuoi.» pronuncia, e in un primo momento Satoru non
fa finta di non capire, è reale la sua espressione confusa a quelle parole e
Haruichi non pare faticare ad accorgersene «Voglio dire che se dovessi avere
qualcosa che ti preoccupa, io ed Eijun saremmo felici di darti una mano.»
chiarisce e a Furuya sembra di percepire con fin troppa chiarezza la punta di
esitazione nella voce dell’altro, la cautela nella scelta delle parole. Ancora
una volta si rende conto di come Haruichi dosi ogni cosa a cui decide di dare
voce dopo riflessioni di un certo spessore e sente di saperlo meglio di molti
altri – non può azzardare a dire “meglio di chiunque altro” ma non importa,
anche così è abbastanza, nel suo piccolo Satoru si sente speciale nel modo più
normale in cui potrebbe sperare di esserlo, così diverso da quello che lo
specchio gli ricorda ogni giorno, per poi suggerirgli con crudezza che in lui
non c’è niente di speciale.
Eppure sa di non poter rimanere in silenzio, percepisce su di sé lo sguardo di
Haruichi e avverte come ci sia in esso l’urgenza di comprendere e insieme a
essa, ben bilanciata, la gentile discrezione con cui evita di metterlo sotto
pressione. Si è accorto a malapena di aver fermato i propri passi portando
l’altro a fare lo stesso, e quando se ne rende conto irrigidisce le spalle e
stringe i pugni lungo i fianchi; si tratta solo di un attimo, però, perché poi
tutto torna a rilassarsi.
«D’accordo.» dice, e in quell’unica parola non c’è la presa di coscienza di
quanto la loro amicizia sia pronta a essergli di supporto, quanto l’ammissione
a non essere pronto a condividere quella parte di sé con nessuno. Suggerisce,
con la paura mascherata da garbo, di non avere intenzione di affrontare quel
discorso.
Non sa leggere negli occhi di Haruichi, quando questi si limita ad annuire,
eppure sente in cuor suo di aver tradito la sua fiducia. Camminare al suo
fianco, all’improvviso, non ha più niente di normale e familiare.
Il film visto da Miyuki e
Sawamura, nel caso qualcuno avesse la voglia e la fantasia di vederlo, è “Kanojo wa Uso
o Aishisugiteru”, conosciuto anche come “The Liar and his Lover”.
I conbini/konbini/combini
sono dei mini market giapponesi aperti ventiquattro ore su ventiquattro dove
tra le altre cose è possibile trovare un sacco di cibi precotti o di veloce
consumo.