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Autore: Blue13    27/05/2016    6 recensioni
*SOSPESA*
"Ero a Monaco da due mesi e dal primo giorno mi ero ritrovato catapultato in un mondo completamente diverso, circondato da cose e persone che non avrei mai immaginato di vedere. Auto da corsa, appartamenti infiniti con ogni comodità possibile e immaginabile, ma soprattutto il tipo di persone: giornalisti che ti assaltavano alla fine di ogni partita, paparazzi che ti fotografavano in macchina anche quando andavi semplicemente a prendere qualcosa da mangiare (perché sì, puoi anche essere il portiere migliore del mondo, ma il frigo resta vuoto comunque), donne che cercavano in qualsiasi modo di mettere anche solo un piede nel tuo letto riducendosi a livelli di bassezza e civetteria disarmanti.
[...] mi resi conto che essere un calciatore a Monaco, o comunque in un grande club europeo, aveva lo stesso significato di “essere esagerato”. Tutto di te veniva portato all’esasperazione, all’idolatria. Privacy? Parola che dovevo dimenticare il più presto possibile. La mia vita da calciatore famoso avrebbe presto inglobato anche quella personale, tutto sarebbe diventato pubblico, un argomento come altri di cui si sarebbe letto sulle riviste più disparate."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio, Shunko Sho, Stefan Levin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

Appartamento di Adrian

30 marzo 2015, Semifinale di Champions League
 

Cross di Sho verso l’area avversaria, l’Ajax si chiude in difesa!” Continuavo a prendere appunti sul taccuino mentre seguivo il telecronista in tv. Erano le 22:30 di sera, mancava una ventina di minuti al fischio finale dell’arbitro. Quando sarebbe finita la partita avrei finalmente conosciuto la prima finalista della Champions League. A inizio partita davano la vittoria del Bayern per certa. Questa sicurezza però, dovevo dirlo, era un po’ svanita nel corso della partita e di sicuro ne avrei parlato nel mio articolo. Certo, stavano conducendo per 2 a 0, ma in svariati casi avevano rischiato il pareggio, o peggio, la sconfitta. Giocavano in una maniera decisamente troppo spavalda e ciò aveva causato degli errori di distrazione madornali, tanto che in due casi l’Ajax avrebbe sicuramente segnato se in porta non ci fosse stato il lucido Wakabayashi, che continuava a dar prova di essere il miglior acquisto che il club avesse potuto fare. A tre minuti dalla fine del primo tempo la squadra olandese si era creata una possibilità interessante con il capitano Krayfort, capocannoniere del campionato d’Olanda e nonostante ciò totalmente smarcato per tre quarti della partita. Con un paio di passaggi veloci e precisi avevano aperto una voragine nella difesa del Bayern, un po’ come Mosè con le acque d’Egitto. E la cosa più sconvolgente fu che né Schneider, né Levin indietreggiarono per dare una mano ai compagni e perfino Sho, conosciuto come il Jolly del Bayern per la sua abilità di dare spettacolo in ogni ruolo, era rimasto nella metà avversaria. Due erano le opzioni: o erano sicuri che la difesa (assente) avrebbe tenuto con la sola forza del pensiero, o stavano proprio pensando ad altro. Alla festa che si sarebbe tenuta la settimana successiva, per esempio. Altro atto di eccessiva spavalderia e, diciamolo, alquanto irrispettoso nei confronti degli avversari. Una foto postata dal Kaiser su Facebook e la notizia aveva fatto il giro del mondo calcistico (e non) rimbalzando da un tabloid all’altro. Il commento dell’allenatore dell’Ajax fu duro, critico soprattutto nei confronti del mister Franz Schneider.

È vergognoso che l’allenatore di una squadra così importante, che dovrebbe rappresentare il nostro calcio anche fuori dall’Europa, lasci i suoi giocatori liberi di fare qualsiasi cosa vogliano, specie quando di mezzo c’è un incontro così importante. Non si tratta di non lasciar loro organizzare bordelli, se li vogliono fare che li facciano! Qui si tratta di sportività e rispetto reciproco.”

Non sapevo se era stato peggio il fatto che avesse dato a Franz Schneider del maleducato e incapace o che i suoi ragazzi organizzassero dei bordelli. Di certo aveva fatto molto discutere e aveva inevitabilmente obbligato Schneider a replicare durante una conferenza stampa. Vi chiederete: “Beh, avrà chiesto scusa no?” Macché!

È altrettanto vergognoso che un allenatore dia degli scorretti e maleducati a giocatori che in campo si sono sempre comportati in maniera impeccabile e che dovrebbero essere presi d’esempio per il loro sano spirito di competizione.”

Ricordo che un giornalista a quel punto si era alzato e aveva gridato in faccia al mister. Lo ricordo perché in quella sala c’ero anch’io.

Stefan Levin ha infortunato tre portieri!!”Si era subito levato un brusio di sottofondo a favore del giovane ancora in piedi.

Signori, allora”, Franz aveva alzato le mani con fare innocente e sorridendo aveva continuato, “non è colpa mia se Levin ha uno dei tiri più potenti d’Europa e i portieri non sono in grado di pararlo senza farsi male.”

Quindi per lei Müller e Wakabayashi sono degli incapaci?” Si alzò un altro giornalista a dare man forte al collega, mentre molti altri li incitavano con dei “sì! Hanno ragione!”. Io me ne stavo seduto sulla mia seggiola facendomi sempre più piccolo. Ero ancora giovane allora, ma avevo già capito che quando si ha a che fare con certa gente è meglio restare in silenzio.

Il fatto che non siano stati in grado di parare un tiro non significa che siano degli incapaci. Müller e Wakabayashi sono due portieri fenomenali e mi stupisco che dei giornalisti, coloro che in teoria dovrebbero saper usare e capire le parole meglio di chiunque altro, arrivino a simili conclusioni partendo da – non essere in grado- per arrivare a  – essere degli incapaci –  cosa che vi rispecchia particolarmente in questo momento.”

Quando smise di tuonare il silenzio calò nella sala. I due giornalisti si sedettero, sentendo sulle loro spalle il peso della ramanzina e la vergogna per una simile figura. Ricordo che quel giorno nel mio onnipresente taccuino scrissi come titolo ideale del mio articolo “Bayern, la squadra del vecchio volpone.” Era inutile, non avremmo mai vinto una discussione contro di lui. Era un mister per certi versi controverso, ma con decine di anni di esperienza in campo alle spalle sapeva il fatto suo e stava facendo un lavoro eccezionale con quella squadra, sia dal punto di vista del calciomercato sia negli allenamenti e nelle partite.
 

Splendido dribbling di Levin che si libera del difensore! –continua la sua corsa verso l’area di rigore! – corre ancora, non lo ferma nessuno! – l’assist arriva a Schneider che carica il destro!”
Alzai la testa verso lo schermo proprio nel momento in cui partì la cannonata.

“GOAL!”

Un boato si scatenò nello stadio, il pubblico era in visibilio, mentre io annotai l’ennesimo splendido goal del Kaiser sul taccuino pieno di scarabocchi. Per i rimanenti dieci minuti non ci fu storia. I tedeschi avevano schiacciato la squadra più forte d’Olanda con un secco 3-0. Sospirai. Per quanto a volte i loro atteggiamenti potessero risultare irritanti, quei giocatori la sapevano lunga sul gioco del calcio. E per quanto mi irritasse vedere le loro foto sui social, sapevo bene che la settimana seguente me le sarei dovute sorbire tutte. Altro che festa di addio, quella sarebbe stata la festa con la quale il Bayern avrebbe fatto l’occhiolino alla coppa dei campioni. 

 

Franz Josef Strauss International Airport, Monaco di Baviera

6 aprile 2015

Ore 19:30
 

Controllai l’ora e mi sistemai gli occhiali da sole. In realtà era già scuro, ma io non mi fidavo mai totalmente dei finestrini oscurati delle auto e così li tenevo su comunque, per sentirmi più sicuro. Un altro pullman mi passò di fianco, stavolta parecchio vicino. D’istinto premetti il pulsante sulla portiera e lo specchietto si piegò verso l’interno. Mi sentii subito più tranquillo. Uno specchietto Maserati costa un sacco!! Se poi aggiungiamo anche il costo della vernice speciale laccata, siamo a posto. Ad un certo punto vidi una sagoma accanto alla macchina aprire prima il bagagliaio e poi la portiera.
Finalmente.” Si sedette sul sedile del passeggero, accavallando una gamba sull’altra con un movimento elegante e mettendo per un secondo in bella vista il tacco a stiletto dalla vernice rossa. Louboutin era il suo stilista preferito. Rimasi in silenzio per darle il tempo di guardarsi attorno. Anche lei indossava gli occhiali e non riuscii a decifrare la sua espressione mentre esaminava con attenzione gli interni dell’auto. Fece scorrere una mano lungo la portiera, poi si volse per vedere i posti dietro e alla fine afferrò il cambio in pelle. Io guardavo verso un punto non ben definito davanti a me, ma in quel momento l’occhio mi cadde sulla sua mano così ben curata e con le unghie smaltate di un rosso lucido e quei suoi movimenti mi fecero perdere per un attimo la lucidità. Deglutii cercando di non farmi sentire e di riprendere il controllo di me stesso, dopodiché arrivò il verdetto.

“Niente male.” Esclamò con voce allegra. Mi volsi verso di lei e abbassai gli occhiali sorridendole. Lei se li tirò su, scoprendo i suoi scuri occhi a mandorla e aprendo la bocca in un sorriso. Da quanto non vedevo quelle dolci fossette sulle guance!

“Ciao bellezza.” Le diedi un veloce bacio sulla guancia, poi mi allacciai la cintura di sicurezza e misi in moto.

“Su, fammi sentire questa nuova figlioletta!” Partii con un rombo che credo riecheggiò per tutto l’aeroporto. Avranno pensato a un attacco terroristico quando in realtà avevo solo lasciato il parcheggio per dirigermi a casa, lì dove dopo qualche ora ci sarebbe stato il finimondo. Durante il tragitto parlammo del più e del meno, di Shanghai, dei nostri prossimi impegni. Con lei era sempre bello parlare.

 

Liu Zhang, modella di successo ventenne nata a Manchester con genitori cinesi. La conobbi circa due anni prima durante una serata passata fuori con Schneider in un locale chic di Londra. La nostra squadra era in trasferta, io ero ancora nuovo, ma con Karl fu subito una grande amicizia. Ci somigliavano caratterialmente, entrambi volevamo divertirci, vedere più posti possibili e goderci gli anni migliori della nostra vita e la carriera stellare nel mondo del calcio. Fu così che quella sera Karl mi portò in quella discoteca londinese che ospitava eventi di tutti i tipi e gente di tutti i tipi, da altri calciatori famosi a attori e modelle. E fu così che la vidi e la conobbi, così, un po’ a caso, complice l’alcol. Mi fu subito simpatica e instaurammo una bella amicizia. Sarà perché mi trovavo in un ambiente nuovo, sarà perché avevo difficoltà con la lingua e sentivo la mancanza della mie terra natia, sarà perché con quei suoi occhi a mandorla e il suo sorriso mi faceva sentire un po’ più a casa, ma io ebbi sempre una preferenza nei suoi confronti. Era in gamba, era bellissima ed era passionale. Dal mio debutto nel Bayern sono andato a letto con un numero non ben definito di donne, ma la prima notte trascorsa con lei fu come la prima della mia vita. Bello, davvero. E quella sera non l’avrei lasciata a nessuno, neanche se mi avessero dato oro in cambio.
 

Parcheggiai l’auto nel garage coperto, le aprii la porta per farla scendere, le presi il mini trolley dal bagagliaio e ci dirigemmo verso l’ascensore. Iniziammo a salire i 10 piani del palazzo. Avevo acquistato quel loft in centro a Monaco quando avevo concluso con successo il primo anno col Bayern, il mio primo milione e passa di euro ben spesi. Poi durante la ristrutturazione spesi altro mezzo milione per insonorizzarlo come si deve. Sarà che sentivo già i festini del Bayern nell’aria, ma l’avevo fatto principalmente perché da piccolo ero cresciuto in quegli enormi condomini sovraffollati di Shanghai: un casino dalla mattina alla sera e zero privacy. La cosa mi aveva traumatizzato e l’idea di avere gente sopra e sotto che potesse sentire ogni cosa, disturbare o peggio farmi storie non mi andava molto a genio. Meglio mettere a posto certe cose subito che tirarsele avanti.
Quando le porte dell’ascensore si aprirono e ci ritrovammo nel loft la feci accomodare, le offrii qualcosa da bere e le mostrai il bagno per farsi una doccia veloce e riprendersi un po’ dal viaggio.

“Sto ancora aspettando che tu mi faccia provare la jacuzzi!”, mi urlò dal bagno mentre io ero già in cucina.

“La proveremo bellezza, non preoccuparti.” In effetti sarebbe stata una vera bomba, ma non quella sera. Guardai l’orologio, erano le 20:20. Di lì a poco sarebbero arrivati Karl, Genzo e Stefan e la mia casa sarebbe stata inondata da uno tsunami di alcol.
 

Ore 20:35
 

Scesi la rampa all’entrata del garage e parcheggiai a fianco dell’auto di Sho. Accanto a me si fermò anche l’enorme BMW nera che mi aveva seguito per tutto il tragitto.  Scesi e mi avvicinai al SUV, soffermandomi sui cerchi personalizzati e lucenti.

“Niente male, ma non pensi che sia giunto il momento di prenderti una bella Porsche? Non sei più nella lontana e piovosa Amburgo!” Genzo sorrise scendendo e fece cenno di no con la testa, indicando la Porsche alle mie spalle.

“No amico, non mi comprerò mai una Porsche…”, poi si avvicinò all’auto, il cui tetto arrivava ai suoi fianchi, “Non ci entro nemmeno!” In effetti quello non era il modello ideale per uno spilungone come lui.

“Ok, questo lo posso accettare, ma resta comunque il fatto che sei uno del Bayern adesso! E ci sono un sacco di belle auto che aspettano solo di essere comprate da noi!” In quel momento sentimmo un rombo riecheggiare nel garage e un’ombra nera sfrecciarci accanto e fermarsi a fianco del SUV di Genzo.
“Ecco, una Lamborghini farebbe più per me!” Mi disse facendomi l’occhiolino.

“Genzo, se non ci entri nella mia figuriamoci in una Lamborghini!” Gli dissi un po’invidioso. L’auto di Levin aveva sempre un grande successo, non so perché. Forse perché trasudava lusso da ogni minuscolo pezzo della sua carrozzeria. Mezzo milione di euro, vernice nera lucida, cerchi in lega brillanti come quattro stelle, interni in pelle e il gioco era fatto. Ah, il fascino dei soldi!

“Intendo come stile di auto. Quando vedo una Porsche mi vengono sempre in mente i pensionati ricconi che non sanno più come spendere i loro soldi.” Genzo mi guardò ironico, per poi scoppiare a ridere vedendo la mia faccia sconvolta. Ero rimasto a bocca aperta.

“Voglio proprio vedere che auto ti comprerai tu da pensionato!”

“Invece di parlare di pensioni perché non vi date una mossa?” Levin aveva già aperto il bagagliaio dell’auto e aveva tirato fuori una cassa piena di bottiglie di Absolut. Ormai funzionava sempre così: la vodka la portava lui, ed era rigorosamente svedese. E portava sempre guai. Genzo aprì il bagagliaio della BMW e tutti e tre guardammo dentro. C’era un intero reparto di alcolici lì: birra, tequila, rum, vini, champagne. Eravamo peggio dei più esperti contrabbandieri della storia.

“Beh”, disse Levin guardando il mega SUV, “Quest’auto è davvero comoda per certe cose, bravo Genzo!” Gli diede un pacca sulla spalla per poi prendere la prima cassa di tequila, mentre Genzo si girò verso di me guardandomi divertito come per dirmi “visto??”. Alzai gli occhi verso l’alto e iniziai a scaricare anche io.


Ore 21:00
 

“Funziona!!!” Sho aveva gli occhi che brillavano.

“Che cosa trash..” Levin aveva un’espressione tra il pietoso e lo schifato.

“Non è trash, è chic!” Replicò Shunko, ferito nell’animo. Stephan  si voltò verso di lui e lo guardò mesto con un sopracciglio alzato.

“Sei serio? Una fontana di champagne in mezzo al soggiorno?!?”

“Dai, è originale!”, disse Schneider per smorzare i toni, poi si volse verso di me,  “Genzo, che ne pensi?” E io dissi l’unica cosa che mi venne in mente in quel momento.

“Non ho mai visto nulla del genere.”

“Visto?”, esclamò con tono trionfante Sho guardando Stephan dall’alto verso il basso, “È una cosa nuova, e le cose nuove sono sempre le migliori!”

Quello che avevo detto era la pura e semplice verità. Ero a Monaco da due mesi e dal primo giorno mi ero ritrovato catapultato in un mondo completamente diverso, circondato da cose e persone che non avrei mai immaginato di vedere. Auto da corsa, appartamenti infiniti con ogni comodità possibile e immaginabile, ma soprattutto il tipo di persone: giornalisti che ti assaltavano alla fine di ogni partita, paparazzi che ti fotografavano in macchina anche quando andavi semplicemente a prendere qualcosa da mangiare (perché sì, puoi anche essere il portiere migliore del mondo, ma il frigo resta vuoto comunque), donne che cercavano in qualsiasi modo di mettere anche solo un piede nel tuo letto riducendosi a livelli di bassezza e civetteria disarmanti. Ad Amburgo tutto questo non esisteva. Certo, le conferenze stampa c’erano e magari si prendeva parte a qualche intervista, ma non in modo così esagerato come a Monaco. E in quel momento, guardando litri e litri di champagne sgorgare da quella fontana al centro di un soggiorno grande almeno il doppio dell’appartamento in cui vivevo fino a due mesi prima, mi resi conto che essere un calciatore a Monaco, o comunque in un grande club europeo, aveva lo stesso significato di “essere esagerato”. Tutto di te veniva portato all’esasperazione, all’idolatria. Privacy? Parola che dovevo dimenticare il più presto possibile. La mia vita da calciatore famoso avrebbe presto inglobato anche quella personale, tutto sarebbe diventato pubblico, un argomento come altri di cui si sarebbe letto sulle riviste più disparate.

“Oh, eccola!” Sho si girò verso il corridoio, dove una giovane in tubino blu stava camminando verso di noi. Vidi Schneider e Levin salutarla e capii che la conoscevano parecchio bene. Poi arrivò il mio turno.

“Lei è Liu Zhang, una delle ospiti di stasera.” Mi disse Sho, mentre le stringevo la mano presentandomi. Rimasi per un attimo in silenzio, guardando il suo volto praticamente perfetto. Non avevo mai visto una donna così bella. Shunko deve essersene accorto, perché subito dopo si avvicinò a me e mi sussurrò all’orecchio ridacchiando: “Ed è mia.”

“Ah, non ascoltarlo Genzo!” ,Schneider mi mise un braccio attorno al collo allontanandomi verso le vetrate del soggiorno che davano sulla città, “Questa sera ce se saranno di ancora più belle, tutte unicamente per noi!” Mi fece l’occhiolino e io capii quello che intendeva e onestamente la cosa mi fece rabbrividire. Intendeva che volendo me le sarei potute portare a letto tutte, avrei potuto chiedere a ognuna di loro di spogliarsi davanti a tutti, avrei potuto far fare loro qualsiasi cosa, anche umiliarle, senza che nessuno mi dicesse nulla.

“Karl, non so se approvo ..” Gli dissi onesto sottovoce e lui mi guardò per nulla stupito, rispondendomi con un tono così tranquillo che mi impressionò. Stavamo parlando di ragazze che manco conoscevamo usate a mo’ di escort e lui non faceva una piega!

“Gen, è semplice la cosa. Siamo giovani, siamo belli”, un sorrisino spavaldo si stampò sulle sue labbra, “e siamo forti.” Poi si fece serio. “E non sto parlando del calcio. Noi siamo forti nella società. Guarda i nostri profili Facebook, i nostri post hanno più like di quelli del capo delle Nazioni Unite o del Premier britannico. Fa pena, ma è così. La gente non segue i politici, la gente segue noi. Calciatori, attori, modelle, cantanti. Siamo noi che dettiamo legge nel mondo tecnologico di oggi, siamo noi che lanciamo le nuove mode, siamo noi che decidiamo se una cosa è in o è out. Alla gente non frega niente di quello di cui parlano i telegiornali, ne ha fin sopra i capelli di guerre e catastrofi. Al giorno d’oggi i modelli a cui aspirano i giovani siamo noi. Soldi, donne e una bella vita senza che nessuno ti venga a rompere i coglioni, altro che carità.” Si fermò per un attimo, mentre io non sapevo che cosa pensare. “Tu sei appena entrato nel Bayern Genzo, arrivi da un club relativamente piccolo e certe cose le devi ancora capire. Poi sei giapponese, voi avete una mentalità diversa da noi europei. Ciò che ti ho detto ora potrà sembrarti orribile, superficiale e stronzo, ma man mano che ti abituerai alla vita di un calciatore famoso capirai che è la stramaledetta verità. Lo vedrai da solo, anche solo guardando il tuo profilo Twitter.” Abbassai lo sguardo, imprimendomi quelle sue schiette parole nella testa. Erano dure sì, ma mi rendevo anche conto che erano utili. Mi posò una mano sulla spalla, guardandomi negli occhi e sorridendomi, stavolta non con spavalderia, ma con gentilezza e sincerità. “E ricordati che per quanto possa fare il figo con la Porsche o il deficiente alle feste e per quanto possano chiamarmi tutti il Kaiser, io resto sempre Karl, il tuo primo amico che hai avuto qui in Germania. Posso cambiare auto e donna anche tre volte al mese, ma non cambio i sentimenti di amicizia che provo per i miei compagni. Potrai sempre contare su di me, lo sai.”

Lo guardai dritto negli occhi azzurri e alla fine sorrisi, un po’ rincuorato dopo quella conversazione. “Lo so.” In quell’istante si aprirono le porte dell’ascensore ed entrarono un bel gruppetto di compagni di squadra, tutti con qualche bottiglia in mano. Cormann, bravissimo centravanti danese, ci salutò spalancando le braccia tutto contento. Vedendo i miei compagni mettersi a chiacchierare del più e del meno, con Sho che faceva il perfetto uomo di casa con Liu e Levin stranamente rilassato e disposto a conversare pensai che forse dovevo provare a vedere il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto. Sì, c’erano un sacco di cose che avevo lasciato ad Amburgo e che mi sarebbero mancate, ma altrettante ne avrei ricevute in futuro grazie al Bayern. Fu proprio in quel momento che le porte dell’ascensore si spalancarono di nuovo, questa volta varcate da tre paia di tacchi a spillo e caviglie sinuose. Una la riconobbi subito, era il volto del nuovo profumo di Dolce e Gabbana e il suo spot andava in onda su qualsiasi canale della televisione. Modelle che la maggior parte della gente vedono solamente in tv o sui cartelloni pubblicitari, mentre io me le ritrovavo in un soggiorno con una fontana. Schneider mi guardò allegro, mi diede una pacca sulla spalla e mi disse sorridendo: “Buon debutto nella bella vita, amico!”

Altro che bicchiere mezzo pieno… Questo è un bicchiere strapieno…” Non potei fare a meno di pensarlo.

Appartamento di Adrian

Ore 23:30
 

Dai, ancora una mezz’oretta e poi potrai andare a dormire…” Cercavo di farmi forza mentre osservavo la foto postata da Shunko Sho che lo ritraeva elegantemente avvinghiato a Liu Zhang con una stranissima e esageratissima fontana di champagne stile “Matrimonio gipsy” da una parte e il più grande schermo tv a cristalli liquidi che avessi mai visto dall’altra. Sorridente, con quel suo bel faccino fresco come una rosa e l’espressione da gentiluomo. Chiaramente era stata scattata come minimo due ore prima, così come le foto di Schneider. Anche lui avvinghiato in una maniera meno elegante e tipicamente più esuberante a due famose personalità del mondo della moda, molto in voga a quel tempo, la tedesca Birgit Klein e l’inconfondibile irlandese dai capelli rossi Eva Walsh. Valentino da una parte e Gucci dall’altra. Anche quello un trio troppo sobrio per essere quasi mezzanotte. I furbetti postavano le foto scattate all’inizio durante l’arco della serata per far credere che quella fosse una tranquilla serata di gala, quando invece non era così. Infatti di solito dopo la mezzanotte non giungeva più alcuna notizia, nemmeno uno straccio di foto, probabilmente perché il mix di champagne e vodka (cautamente nascosta in occasione delle foto, ne sono sicuro) iniziava a fare effetto e si scordavano di noi poveri comuni mortali. Dopo una ventina di minuti decisi di spegnere il computer e andare a dormire. Posai il cellulare sul comodino, così nel caso in cui mi fossi svegliato durante la notte avrei potuto dare un’occhiata. Ero peggio delle quattordicenni follemente innamorate dei loro campioni.

Loft di Sho

Ore 00:15
 

“Ragazzi, non so voi ma io sono ancora lucido!” Schneider si avvicinò al tavolo della cucina con un’espressione cupa, mentre io stavo stappando l’ennesima bottiglia di Absolut. Avevo fatto bene a portarne di più, i miei compagni ne avevano già finite cinque, non so come. Arrivarono anche Sho e Genzo, entrambi ancora ben messi. Schneider aveva ragione, non eravamo nemmeno allegri. Ormai il nostro fisico era abituato ai ritmi della squadra, sia sportivi che alcolici. Certo, non bevevamo ogni giorno, anzi, le feste erano praticamente le uniche occasioni, altrimenti eravamo sempre ad ammazzarci sul campo da gioco. Sarà stato qualcosa di psicologico, non lo so. So solo che facevamo sempre più fatica a sballarci. Non che io mi ubriacassi come un idiota, sia chiaro. Essendo l’unico della squadra a non finire in qualche stanza o angolo buio della casa a farmi una delle invitate, avevo un ruolo fondamentale: salvavo i miei compagni dal coma etilico. Sì, di base ero più o meno una specie di babysitter, anche se a volte alcuni della squadra, ormai immersi nel limbo della tequila fino al collo, mi prendevano per un’infermiera sexy. Io mi vedevo più semplicemente come il martire protettore del Bayern. Mi verrebbe quasi da dire che mi preoccupavo per i miei compagni…strano eh? Sì, fa venire la pelle d’oca anche a me ora che ci penso.
Mi riempii un altro bicchierino di vodka. Stavo per buttarlo giù quando Sho me lo strappò via dalle mani e lo sbatté sul tavolo. Lo guardai con un istinto omicida, ma lui mi fece cenno di stare zitto, dopodiché posò le mani sul tavolo e ci disse serio.

“Ragazzi, ho io la soluzione.” Ricordo che Schneider scambiò un’occhiata dubbiosa prima con Genzo e poi con me, come per chiederci “ma voi vi fidate?”. La risposta era no, ovvio, ma non avevamo altra scelta. Shunko prese quattro bicchierini da shot, ci fece cenno con la testa di seguirlo e insieme lasciammo il soggiorno senza che nessuno se ne accorgesse. Percorremmo il corridoio infinito e dalle mille porte per poi entrare in camera sua. Lui si diresse verso un quadro appeso alla parete, lo tirò giù con delicatezza e poi si girò verso di noi con un sorriso mesto. Dietro c’era una cassaforte degna di una banca. Genzo era a bocca aperta, mentre Karl continuava a guardarmi dubbioso. Shunko digitò il codice su un piccolo display touch, che probabilmente riconosceva solo le impronte digitali di quel pazzo. Con un click i meccanismi della cassaforte si mossero e l’anta si aprì. Non è che vidi molto, c’erano solo vari documenti, alcune chiavi di riserva e dei pacchetti. Niente droga e niente pistole, grazie al cielo. Rimase lì a cercare per un po’ tra le varie scartoffie con un intero braccio infilato nella cassaforte e mugugnando “Mmh..”  con gli occhi socchiusi fissi su un punto non ben definito del soffitto. Più che un calciatore milionario in quel momento sembrava un Sherlock Holmes scapestrato che cercava l’arma di un omicidio in un cassonetto della spazzatura. E poi ecco il suo volto illuminarsi ed esclamare “Aha! Trovata!” Ciò che tirò fuori ci lasciò a bocca aperta. Una minuscola bottiglietta di vetro marrone, senza etichetta né logo sul tappo, simile alle bottigliette dei vecchi sciroppi per la tosse. In effetti dava l’impressione di avere parecchi anni.

“Sho…”, chiese Schneider titubante, indicando col dito la bottiglietta, “Da dove salta fuori quella cosa?”

“Dalla Cina!”

Perfetto!” pensai, mettendomi le mani nei capelli mentre Karl sbiancò. Non c’era risposta peggiore. Le cose che portava Sho dalla Cina erano sempre pericolose. Ricordo ancora quando prima della pausa di Natale provò ad accendere in mezzo al campo di allenamento del Bayern un fuoco d’artificio artigianale fatto da suo zio, che viveva in una di quelle immense regioni rurali cinesi dimenticate da Dio e che si chiamava Ping. Minchia, un nome un programma. Non so nemmeno come abbia fatto a passare la dogana e non lo voglio nemmeno sapere. So solo che se il mister è ancora vivo è solo perché quel giorno è stato graziato dal Signore. Il razzo era grazioso, colorato, sembrava un giocattolo, ma non aveva assolutamente alcuna sicura. Figuriamoci se il buon vecchio zio Ping ci aveva pensato… Già stava in piedi dritto per miracolo, ma quando Sho accese la miccia diede i primi segni di cedimento. La miccia arrivò fino alla fine, ma il razzo non partì. Tutta la squadra, mister compreso, era rimasta a fissarlo imbambolata, non capendo bene che cosa bisognava fare. A quel punto Sho si avvicinò, ma quando era a due passi dal razzo questo si inclinò. Lì ebbe inizio il cataclisma. Con uno scoppio luminosissimo che fece urlare Shunko dalla spavento il razzo partì come un missile dritto verso la panchina, dove il mister si era seduto per ammirare lo spettacolo. Altro che spettacolo, se si fosse spostato un secondo dopo ora il Bayern avrebbe un altro allenatore e probabilmente non sarebbe in finale di Champions League. Da degno fuoco di artificio quando colpì una delle sedie esplose in mille colori, mentre noi vedevamo il nostro mister volare a terra.

“PAPA’!!!” Karl si fiondò verso suo padre come nella scena di un film drammatico, mentre Sho in ginocchioni si stava ancora strofinando gli occhi accanto a una macchia nera di erba bruciata. Lo scoppio doveva averlo momentaneamente accecato e quando li aprì di nuovo e vide la panchina mezza distrutta e il mister spalmato a terra dalla sua bocca uscì un innocente  “Oh mannaggia!”
Alla fine sopravvivemmo tutti. Qualcuno potrebbe dire che in fondo è stata una scena divertente. Io dico solo che nella mia vita sono davvero poche le volte in cui mi sono cagato sotto dallo spavento. Quella fu una di queste.

“Non dirmi che è di tuo zio Ping!” Gli dissi minaccioso, già sul punto di incazzarmi. Per carità, il loft era suo e poteva farci quello che voleva, ma c’eravamo anche noi lì dentro.

“No, è di mia nonna Ying!” esclamò Sho tutto contento. Lo guardai esterrefatto. Cazzo, ma avevano tutti lo stesso nome in famiglia? Come diamine faceva lui a chiamarsi “Shunko”? Per caso i suoi genitori avevamo bevuto anche loro dalla magica bottiglietta della nonna come anche noi stavamo per fare? A volte quel cinese mi mandava fuori di testa. 
Dopo alcune difficoltà riuscì a svitare il tappo incrostato e versò un liquido viscoso e scuro nei bicchierini. A vederla quella melma era tutto tranne che invitante.

“Che…cos’è?” chiese Genzo afferrando il bicchierino e osservando il liquido colloso con timore.

“Eh, se solo sapessi! Ci sono tipo erbe cinesi e una specie di grappa distillata tipica della regione in cui vivono i miei parenti. È una roba che fa solo mia nonna!”

“Ovviamente..”, dissi io a bassa voce ormai esasperato, cercando di annusare quella roba. In effetti l’odore di erbe c’era, ma era un odore strano e dannatamente forte. Se la sniffavi più di una volta ti andava dritto in testa. Alzammo i quattro bicchierini poco convinti e il fatto che anche Shunko fosse un po’ titubante ci preoccupava parecchio.

“Alla coppa dei campioni!”, esclamò Schneider ottimista.

“Alla mia carriera nel Bayern!”, lo seguì Genzo, anche lui parecchio speranzoso.

“A mia nonna Ying!”, urlò entusiasta Sho, mentre tutti e tre ci voltammo verso di lui con gli occhi sgranati. Poi gli sguardi si posarono su di me, che non sapevo davvero a che cosa brindare. Alla mia vita? Proprio no. A quella sera? Ancor meno. Alla fine dissi quello che si dice sempre a un brindisi e che forse può apparire scontato, ma che in quel momento non era scontato per nulla, visto la schifezza sconosciuta che stavamo per bere.

“Alla salute” , dissi sospirando per nulla ottimista e toccando i bicchieri dei miei compagni.

Che se ne va…”, pensai poi tra me e me.

Buttammo giù quell’obbrobrio tutti insieme contemporaneamente. Due secondi dopo stavamo morendo agonizzanti.

“Porca puttana!!!”, urlò Schneider tossendo, mentre Genzo si era fiondato in bagno a sciacquarsi la bocca. Io non riuscivo nemmeno a parlare. Con un unico bicchierino nonna Ying ci aveva fatto fare un viaggio tra le fiamme dell’inferno, andata e ritorno. Sentivo la gola, i polmoni e lo stomaco in fiamme e per un attimo pensai davvero di essermi ustionato qualche tessuto interno. Poi facevo anche fatica a respirare, perché inspirando l’aria aumentava quell’effetto di bruciore rendendolo davvero doloroso. Se avessi avuto le forze, giuro che avrei strozzato Sho. Sho che era rimasto come pietrificato con la bottiglietta ormai quasi vuota in mano e la bocca spalancata. Guardandolo meglio notai che aveva gli occhi lucidi e quando li sbatté una lacrimuccia gli scese lungo la guancia. Tutto quello che riuscì a dire fu: “Accidenti! Brucia!” Lì non riuscii a trattenermi.

“Brucia?! BRUCIA?!? Abbiamo l’inferno in bocca, coglione!”

“Shunko, adesso mi dici di preciso che cosa c’era lì dentro!”, disse Genzo uscendo dal bagno reggendosi con un braccio sul muro.

“Ma ve l’ho già detto!”, rispose lui innocente, mentre noi gli urlammo in faccia incazzati neri: “No, non ce l’hai detto!”

“Ma come no! Vi ho detto eh, se lo sapessi!” Vidi il braccio di Genzo cedere e lui accasciarsi contro il muro con un tonfo, mentre Schneider sbiancò di nuovo incredulo.

“Quindi.. tu prima non parlavi di me”, sussurrò Genzo, “Parlavi di te! Che non hai la più pallida idea di che cosa c’è davvero lì dentro!” Sho fece le spallucce e cercò di sminuire l’accaduto.

“Avanti ragazzi, ne abbiamo passate tante, figuriamoci se sarà ‘sta roba di nonna Ying a farci problemi!”, poi guardò la bottiglietta, notando che ne era rimasta ancora un po’, “Qualcuno vuole finirlo?” Non gli risposi neanche, mi presi e uscii dalla camera. Percorrendo il corridoio , seguito a ruota da Karl e Genzo, lo sentii gridare: “Allora lo tengo per la prossima occasione!!” Tutti e tre ci voltammo per un istante atterriti e d’istinto iniziammo a correre per il corridoio come se stessimo scappando da Satana. Beh, più o meno il sentimento era quello.

Quando arrivammo in soggiorno ci ritrovammo di fronte al devasto totale. Bottiglie per terra, incastrate tra i bracci dei lampadari, sotto i divani, dietro la tv che non so come era ancora intera, ragazze mezze nude che ballavano sui raffinati tavolini per il thè in cristallo, altre sedute in modo ben poco casto sulle gambe dei nostri compagni ai quali iniziavano a sbottonare le camice. Vidi Karl e Genzo raggiungere il gruppetto, mentre io rimasi lì in disparte, appoggiando la schiena al muro, senza sapere bene che cosa fare. E proprio in quel momento, quando ancora facevo fatica a deglutire normalmente, si aprirono le porte dell’ascensore e fecero capolino un paio di All Stars nere. Mi parve strano, perché tutti i miei compagni erano già in casa da un pezzo, ma poi quando vidi i jeans neri avvolgere due gambe lunghe e sinuose capii che si trattava di una ragazza. Proprio mentre mise piede nel loft le passò davanti una con mezzo culo di fuori, uno spettacolo orribile. Poteva anche essere una modella strapagata, ma per quanto mi riguardava era solo volgare. E a giudicare dal sopracciglio alzato e dall’espressione schifata che fece la nuova arrivata osservandola camminare via sculettando in maniera esagerata credo che anche lei pensasse più o meno la stessa cosa, o forse anche peggio. Anzi, sicuramente peggio, perché io avevo capito chi era. Lei era la dolce Sarah Martini.


Salve!
Ecco a voi un capitolo un po’ più corposo rispetto a quelli precedenti. Dopotutto è cominciata la festa e, per la gioia di Adrian che nel frattempo dorme alla grande, la notte è ancora giovane! L’ “arpia” Martini è appena arrivata, ma deve ancora arrivare la bella Tanja. I loro nomi e quelli di altre eventuali modelle / ragazze sono inventati da me, mentre i nomi degli altri giocatori, come Cormann, appartengono al manga Captain Tsubasa.
Ringrazio tantissimo i lettori e coloro che hanno o vorranno lasciare una recensione.
Buona lettura, spero vi piaccia!

Blue :)

   
 
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