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Autore: Luce_Della_Sera    28/05/2016    2 recensioni
(Sequel di “L’amore è sempre amore” e di “La vera essenza delle famiglie”)
Dal terzo capitolo: "L’amore per i figli è l’amore più grande: è infinito, così infinito che ti lascia senza fiato".
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 4: Tensioni

“So, we’re after something either simple or elaborate, with sleeves or strapless, possibly with beading and/or embroidery and either with a train or without”. 
Irene dovette controllarsi per non sorridere, mentre leggeva il brano che doveva tradurre: era troppo divertente!
“E’ parecchio indecisa, questa ragazza”, pensò. “Io non sono mai stata una tipa facile con i vestiti, ma almeno sul vestito da sposa avevo le idee chiare!”.
Per un attimo, lasciò perdere la tastiera del computer e ripensò a quel giorno di quindici anni prima: non era stato facile, perché molti suoi parenti non erano stati entusiasti e le avevano detto che non avrebbero mai partecipato ad un “evento contro natura” e persino i suoi genitori all’inizio non erano stati entusiasti della cosa, sollevandole mille dubbi legati alla sua vita futura e a quella di Vittoria che allora aveva appena tre anni … ma alla fine, lei e Sara avevano vinto. Il loro amore era stato più forte di tutto il resto, e così avevano coronato il loro sogno.
Dopo la cerimonia, era così felice che aveva raccontato dell’evento a tutti i suoi colleghi; ovviamente, non tutti avevano capito, e le era toccato subire occhiate piene di disgusto, battutine a volte nemmeno troppo velate dei colleghi maschi su possibili menage à trois che la vedevano coinvolta insieme a loro e alle loro mogli o compagne, oltre a vedersi evitare come la peste da persone che fino a qualche tempo prima aveva ritenuto ragionevoli … ma quelli che non si erano rivelati omofobi le avevano risollevato il morale. L’ignoranza era ancora tanta, ma per fortuna sempre più gente iniziava a ragionare con la sua testa: non tutti erano come il suo ex!
“Non pensarci!”, si impose, ma non poté fare a meno di avere dei flashback molto dolorosi: lui che le diceva di abortire e la metteva di fronte all’obbligo di scegliere tra sé e Vittoria … e quella sera di dieci anni prima, quando da gentiluomo qual’era per poco non l’aveva violentata, con la scusa di farla tornare eterosessuale.
Rabbrividì. In seguito si erano rivisti, ovviamente, perché nel frattempo Vittoria aveva saputo chi era suo padre, e avevano mantenuto rapporti civili, per il bene della piccola; ma spesso la donna si chiedeva cosa ci avesse trovato in un tipo del genere vent’anni prima.
“Le uniche cose buone che ha fatto Dario nella sua vita, sono stati Vittoria e Kevin. E anche Isabel, pure se non è biologicamente sua figlia!”, pensò.
Poi con un grande sforzo di volontà, tornò al lavoro. Rilesse velocemente la frase che doveva tradurre, e cominciò a battere sulla tastiera del computer.
 
 

Al suono della campanella che annunciava l’inizio della ricreazione, Vittoria si alzò dal suo banco, con l’intenzione di andare a cercare Davide: non lo cercava spesso quando erano a scuola, per timore che qualcuno, della sua classe o di quella di lui, si accorgesse di quel che provava, e potesse quindi creare imbarazzi. Però, quando ci andava, le sembrava quasi di volare! Proprio per questo, si accorse che c’era qualcuno che la stava chiamando solo quando era quasi fuori dell’aula.
“Che c’è?”, chiese, bloccandosi di colpo sulla soglia.
“Finalmente mi hai sentita!” Una delle sue compagne di classe, che si chiamava Paola, la stava fissando con aria torva.
“Scusami. Avevo altro per la testa!”.
“Ma dai? Non me ne ero accorta! Comunque, volevo solo chiederti: ma è vero che vuoi candidarti come rappresentante per il consiglio d’istituto?”.
“Sì, è vero. Perché me lo chiedi? Eppure mi pare che ne ho parlato, durante l’ultima assemblea di classe!”.
“Lo so che l’hai fatto, ma ho voluto comunque domandartelo per sicurezza. E perché volevo dirti che io e la maggioranza della classe abbiamo deciso di non votarti”.
“E allora?”.
Vittoria guardò la compagna dritta negli occhi. Il fatto che la maggioranza della sua classe improvvisamente non volesse più votarla la feriva, visto che tutti le avevano assicurato più volte che l’avrebbero sostenuta, ma non voleva farlo notare! E sapeva che ci sarebbe riuscita: la sua mamma biologica le aveva detto spesso che era molto brava nel non mostrare i suoi veri sentimenti, quando voleva, e le aveva sottolineato più volte come questa caratteristica l’avesse ereditata dal padre …
“Così…”. Paola, evidentemente colpita dall’indifferenza della sua interlocutrice, per qualche istante parve non sapere come continuare; ma poi si riprese.
“Non vuoi proprio sapere perché?”.
“Perché?” chiese Vittoria, con il tono di chi sta facendo una concessione; in realtà, però, era ovviamente curiosa di conoscere il motivo dell’improvvisa ostilità dei suoi coetanei verso di lei.
“Perché hai due madri”.
“Ah”.
Vittoria sentiva che stava iniziando ad innervosirsi; quando qualcuno nominava le sue madri come se fossero un qualcosa di sbagliato o un problema, si metteva sempre sul chi va là. Temeva quindi che entro breve avrebbe smesso di fingere … e sentendosi punta sul vivo, non poté fare a meno di continuare:
“E perché, di grazia, questo per voi sarebbe un problema? Sono io che mi candido, mica le mie due madri!”.
“Ma noi non riteniamo che tu sia adatta: la figlia di due lesbiche non può rappresentare la scuola, a nostro parere. Se gli altri studenti vorranno votarti, bene: ma non contare su di noi!”.
“D’accordo, come vuoi. Ma posso sapere, ora”, chiese Vittoria, con gli occhi verdi che ormai dardeggiavano verso tutti gli altri che fissavano la scena in silenzio, “in quanti la pensate in questo modo? Fatevi avanti, se ne avete il coraggio!”.
Come prevedeva, nessuno si mosse; ma la sua amica Priscilla, forse sconvolta quanto lei, si fece avanti per difenderla.
“Paola, smettila! Di’ la verità: vuoi candidarti anche tu, per questo stai facendo tutte quelle storie! E voi, tutti, dovreste vergognarvi: il fatto che Vittoria abbia due mamme non vuol dire che non sia una candidata adatta! Deve soltanto portare avanti gli interessi della nostra scuola di fronte al preside, mica deve fare una perorazione a favore delle famiglie omogenitoriali!”.
Paola, sentendosi chiamata in causa, si vide costretta a spiegare ancora:
“Stavo pensando di candidarmi, è vero. Ma è anche vero che lei non è adatta a diventare la nostra rappresentante d’istituto! Bisogna essere rappresentati da qualcuno che abbia una famiglia normale, non da qualcuno che vive ogni giorno una realtà che non si può neanche chiamare ‘famiglia’! Io non la voglio una rappresentante di istituto lesbica, mi fa schifo solo l’idea”.
“Cosa ti fa pensare che io sia lesbica?” saltò su Vittoria, incapace di trattenersi.
“Hai due madri. Come puoi essere eterosessuale?”.
“Ti ricordo che sono stata fidanzata già due volte … e con dei ragazzi! Se questo vuol dire essere lesbica, allora lo sono”.
“Capirai, hai fatto solo sei mesi con uno e otto con l’altro! Magari ancora non lo sai, ma sei lesbica: non può essere altrimenti, con l’esempio che hai avuto”.
“Ma ti rendi conto di quello che dici? Le tue parole non hanno un briciolo di logi …” Priscilla, indignata, si era lanciata di nuovo in difesa della sua migliore amica, ma l’altra la bloccò: la cosa riguardava lei, e lei sola quindi doveva affrontarla.
“Hai ragione: io forse sono lesbica perché ho due madri. E tu invece sei eterosessuale perché hai un padre e una madre e da piccola vedevi le principesse Disney, vero? Quindi, lo sei diventata per emulazione!”.
“Per me il discorso è diverso: io sono normale!”.
“Ah, sì? Beh, lascia che ti dica questo: vivere la propria sessualità è normalissimo, ma interessarsi a quella degli altri e pensare che questa possa condizionare tutto il resto ha un che di morboso. Riflettici, se ti è rimasto almeno un quarto di neurone funzionante! Ne dubito, ma non si sa mai”.
Detto questo, uscì sparata dalla stanza, facendo del suo meglio per non tremare di rabbia.
 
 
“Capito cosa mi ha detto, quel puffo nevrotico? Almeno però lei ha parlato: gli altri sono stati zitti! E io che pensavo che almeno la mia classe mi avrebbe appoggiata … non vincerò mai le elezioni, mi sa!”.
Kevin, appoggiato al cancello della scuola, guardò la sorellastra, mentre intorno a loro gli altri ragazzi li superavano: le lezioni erano appena finite, e loro due sembravano gli unici a non essere particolarmente impazienti di tornare a casa.
“E quindi? Che vorresti fare? Lasci perdere?”.
“A dirti il vero, per un attimo ho pensato di mollare tutto … ma poi mi sono detta che no, non ne valeva la pena. Se mi ritirassi, in pratica è come se la dessi vinta a Paola e a chi la pensa come lei, no?”.
“Giusto. E brava la mia sorellona! Comunque dovesse andare, il mio voto ce l’hai, lo sai benissimo”.
“Voto? Ma se staremo nella stessa lista! Si può fare una cosa del genere?”.
“Certo che sì! Figurati che ci sono studenti che si votano persino da soli!”.
“Ma non è giusto!”.
“Forse no, ma quando anche solo un voto può fare la differenza, perché non darlo, anche se si tratta di darlo a se stessi?”.
“Sarà, ma a me non pare giusto ugualmente!”.
Kevin stava per rispondere, quando fu interrotto dall’arrivo di Davide.
“Buon pomeriggio, signori futuri rappresentanti … come mai siete ancora qui?”.
“Niente, stavamo giusto discutendo delle elezioni; ma io credo che andrò via, perché sennò chi la sente mia madre? Anzi, è strano che ancora non mi abbia chiamato per sapere dove sono finito!”.
Kevin filò via, dopo aver fatto solo un lieve cenno di saluto alla sorella e al loro amico; così, Vittoria e Davide rimasero soli.
“Ehm … allora, hai avuto qualche problema riguardante le elezioni?”, chiese Davide alla ragazza, piuttosto imbarazzato. Aveva letteralmente tirato ad indovinare, ma senza saperlo aveva azzeccato il problema!
“Una mia compagna mi ha detto che non sono adatta a fare la rappresentante, perché ho due madri. Io davvero non capisco … cosa c’entra il fatto che ho due madri con la mia candidatura? E’ incredibile che ci siano ancora certi pregiudizi, nel ventunesimo secolo!”.
“Hai ragione, ma purtroppo ci sono! Io ne so qualcosa, anche se non mi sono mai candidato alle elezioni scolastiche …”
“Posso immaginarlo. Per un ragazzo con due padri, le cose sono ancora più difficili!”.
“Già … ma ora non me la sento di parlarne, e comunque dovremmo andare! Ho parcheggiato il motorino qui vicino, se vuoi posso accompagnarti”.
Davide, sorridendo, si mise al fianco di Vittoria, ed entrambi si lasciarono alle spalle il cancello della scuola.
 

 
“Sei stata bravissima, tesoro. Io non avrei saputo fare di meglio, eppure sopporto certe cose da più anni di te!”.
Sara, che era rimasta a casa per prendersi cura di Gabriele che si era ammalato la sera prima, guardò la figlia adottiva con autentica ammirazione.
“Grazie, mamma. Però a volte mi chiedo: quanto tempo ancora dureranno questi pregiudizi? Io, Gabriele, Davide e tanti altri, siamo ragazzi normali! Perché c’è ancora gente che non lo capisce? Eppure ormai il nuovo millennio è iniziato da un bel pezzo!”
“Lo so tesoro … ma certi tipi di mentalità sono duri a morire. Figurati che giusto qualche tempo fa ho sentito delle mie colleghe chiedersi come mai io sono sempre così femminile, nonostante conviva con una donna da anni”.
“Insomma, pensano che tu sia un maschio mancato? Tipico!”.
“Eh già. Sarà tipico, ma non per questo fa meno male! Quando non attaccano me, attaccano Irene: a volte le sento dire che, se io sono la donna della coppia, allora l’uomo è lei. Ho provato a spiegare loro che se entrambe abbiamo un seno e una vagina evidentemente siamo due donne, non un uomo e una donna, ma loro continuano a fare questi commenti quando pensano che io non le senta”.
“Perché non le licenzi? Sei la responsabile del tuo reparto, no? E questo è razzismo!”.
“I licenziamenti li decide il titolare del negozio, non io. E se anche avessi questo potere e lo usassi, loro appellerebbero alla libertà di opinione: gli omofobi lo fanno spesso”.
“Cioè, ti hanno detto che fai schifo, e questa sarebbe una opinione?”.
“Non hanno detto questo: hanno solo affermato che è strano che non sia un uomo mancato, e che se io sono una lipstick lesbian allora mia moglie deve per forza essere una camionista. Non sono state affatto carine, ma sono le classiche affermazioni che fa la gente ignorante: le offese vere sono ben altre. Se avessero detto una cosa tipo ‘quella lesbica di m… mi fa schifo’, allora sarebbe stato diverso, ma anche lì a parte una citazione per diffamazione non avrei potuto fare granché! Devi imparare certe differenze, Vee: è su questo che tanti omofobi attaccano gay e lesbiche, e in misura minore quindi anche i bisessuali come me e Irene. Dicono che noi facciamo sempre le vittime, e che lediamo la loro libertà di opinione … mica vorrai dar loro ragione, no?”.
“Assolutamente no!”.
“Ecco, appunto. Ma ora basta parlare di questo. Andrò a controllare Gabriele in camera sua, anche se credo stia ancora riposando, e poi ti preparo la merenda, d’accordo? Però poi dopo tu vai a studiare! Fai il quinto, quest’anno avrai …”
Gli esami di stato, e non puoi permetterti di andare male. Lo so, lo so … tu e mamma Irene me lo dite praticamente quasi tutti i giorni, che noia! Come se potessi dimenticarmelo”.
“Ecco una delle tante cose per cui famiglie etero e famiglie omogenitoriali sono identiche: i genitori rompono sempre le scatole ai figli sui compiti, in un modo o nell’altro!”, pensò qualche secondo dopo sbuffando, mentre apriva il diario per vedere con quale materia le convenisse cominciare per prima.
 

 
“Allora Kevin, come sono andati gli allenamenti?”. Jasmine guardò il figlio, mentre portava gli ultimi piatti della cena in tavola.
“Insomma … non un granché”.
Sentì su di sé lo sguardo curioso della sorellina adottiva, Isabel: la poverina aveva di sicuro capito ben poco di quel che lui e sua madre si erano detti, anche se stava imparando l’italiano velocemente, grazie all’aiuto dei suoi coetanei e delle maestre della scuola materna che frequentava. Peccato per lui però che ci fosse un’altra persona nella sua famiglia, la quale non solo conosceva bene la lingua, ma spesso la interpretava anche a modo suo!
“Ancora non hai segnato neanche un gol?”, chiese infatti Dario, con espressione schifata.
“Guarda che non è mica facile. Non gioco da solo, e la vita sui campi di calcio non è come quella di Holly e Benji, chiaro?”.
“Holly e Benji?” chiese Isabel, con aria interrogativa.
“Es un dibujo animado japonés, Isabel”, le spiegò Jasmine, sperando che la sua frase in spagnolo servisse ad incuriosire un po’ la bimba e a calmare gli animi degli altri due; ma riuscì nell’intento solo a metà.
“Oh, un dibujo animado!” fece infatti la bimba, annuendo. Stava per aprire di nuovo bocca, forse per fare un’altra domanda sulla natura del cartone animato in questione, ma fu interrotta bruscamente dai due maschi della sua nuova famiglia.
“Non sarà come Holly e Benji, ma non capisco proprio come mai tu non riesca mai a segnare. Eppure, sono anni che ci vai!”.
“Già. Chissà per colpa di chi!”.
“Non fare lo stupido: lo sport è importante!”.
“Lo so benissimo, ma per quel che mi riguarda sarebbe anche importante fare uno sport che piace a ME, non a te!”.
“Io ti ho chiesto quale sport volevi fare, mi sembra!”.
“Sì, in terza elementare! A quell’età a malapena conoscevo tutti gli sport, quindi ho scelto il calcio perché era il primo che mi era venuto in mente, e l’unico che sentivo nominare spesso anche dai miei compagni di classe. Ma tu non hai visto l’ora, vero? Non ti sei mai chiesto neanche per un istante se il football faceva davvero per me o no”.
“Come può non fare per te? Qualsiasi ragazzo sa tirare calci ad un pallone! A meno che tu non sia una…”.
“OH, STAI ZITTO! Mamma, io vado a mangiare in camera mia”.
“Ma Kevin, perché non puoi restare qui? Dovresti dare l’esempio ad Isabel!”, esclamò Jasmine, cercando di riportarlo alla ragione.
“Sono certo che Isabel mi perdonerà”, disse il ragazzo, guardando la sorellina che gli restituì uno sguardo curioso e allarmato insieme. “Ma io quel tizio lì non lo sopporto, quando fa certi discorsi! E lo sopporto ancora meno quando fa certi sottintesi assurdi!”, continuò, indicando il padre.
Dopodiché, prima che uno qualsiasi dei suoi familiari potesse replicare, prese il suo piatto e le sue posate, andò in camera sua e vi si chiuse dentro, non prima di aver sbattuto violentemente la porta per segnalare, semmai ce ne fosse stato bisogno, quanto si sentiva arrabbiato. Sapeva bene cosa pensava il padre: il calcio è un gioco maschio, e se lui non sapeva giocare allora voleva dire che non era un vero uomo. Alla luce di questo, come avrebbe mai potuto confessargli che l’unico sport che gli piaceva davvero era la pallavolo, che nonostante avesse anche squadre maschili era uno sport notoriamente associato alle donne?
“Anche se Vittoria deve scontrarsi spesso con la realtà legata all’essere figlia di due madri, almeno non deve dimostrare di continuo di essere donna; io invece devo costantemente dimostrare di non essere una femminuccia. E’ un problema che hanno un po’ tutti i ragazzi, credo, ma nessuno dei miei coetanei è chiamato a dimostrare una cosa del genere al proprio padre!”, rifletté amaramente, mentre mangiava.

 
 

“Hai provato a parlare con Kevin?”.
Jasmine, in camera da letto, fissò il marito.
“Ci ho provato. Ma lo sai come è fatto: da quando è entrato nell’adolescenza, sembra considerarmi il suo principale nemico! Ogni scusa è buona per attaccarmi”, le rispose Dario, alzando le mani in segno di resa.
“Beh, è normale. Un ragazzo è sempre in lotta con il padre, no? E le ragazze lo sono con la madre … è la natura. Lui deve diventare uomo, e per farlo deve mettere in discussione te”.
“Deve diventare uomo, dici? Lo spero per lui”.
“Che intendi dire?”.
“Non ti pare che dimostri scarso interesse per qualsiasi attività tipicamente maschile? A volte gioca persino con le bambole di Isabel!”.
“Non essere ingiusto, lo sai che non è così: lui gioca con Isabel. Lei gioca con le bambole come qualsiasi bambina di cinque anni, e quindi anche lui ci gioca. Ma lo fa per lei, mica perché gli interessano i suoi giocattoli! E il fatto che non si precipiti a guardare il campionato di calcio ogni domenica e non impazzisca per gli allenamenti non vuol dire che sia gay”.
“Se lo dici tu! A me risulta che se un uomo non si comporta come tale, è gay. E lo stesso dicasi per le donne … guarda la mia ex, per esempio: si sarà truccata sì e no un paio di volte in vita sua, e infatti convive con una donna!”.
“Vorresti dire che io sono una donna vera solo perché mi trucco e vivo con te che sei un uomo?”
“Esatto. Tu mica ti senti uomo, no?”
“E’ vero, ma neanche Irene si sente tale, secondo me. Transessualismo e omosessualità non sono la stessa cosa!”
“Sì, certo. E tu sei un’esperta sull’argomento, vero?”.
“Non credo di esserlo, ma di certo ne so più di te. E so anche che Kevin non è gay: me lo sento! Quindi, non devi preoccuparti …”.
“E’ mio figlio: non posso fare a meno di preoccuparmi!”.
Jasmine alzò gli occhi al cielo: era inutile. Quando suo marito si metteva in testa una cosa, non c’era proprio verso di farlo ragionare!
“D’accordo, pensala come vuoi: io non so proprio più cosa dirti. Forse, dovresti iniziare a pensare cosa è davvero bene per nostro figlio invece di farti problemi inutili, non trovi?”, gli fece, seccata. E per fargli capire che non aveva intenzione di continuare la conversazione, si infilò sotto le coperte e si girò su un fianco, in modo da dagli le spalle.

  
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