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Autore: evelyn80    30/05/2016    2 recensioni
Michelle Duval è una giovane donna che, durante la sua adolescenza, ha trascorso alcuni anni con Lupin e la sua banda, innamorandosi perdutamente di Jigen. Quando viene abbandonata nelle mani di Zenigata, giura a sé stessa di vendicarsi del pistolero.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jigen Daisuke, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo tre – Il Museu Nacional 


Prima di atterrare all’aeroporto di Rio de Janeiro, il piccolo jet privato dell’ICPO sorvolò il Pan di Zucchero ed il Corcovado, con la statua del Cristo Redentore. Michelle li osservò attentamente, socchiudendo gli occhi per proteggerli dal riverbero del sole, per poi rivolgere lo sguardo verso il cuore della città pulsante. Individuò anche il Museu Nacional, grazie al meraviglioso giardino in cui era immerso. 
All’arrivo, trovarono ad attenderli una delegazione della polizia federale brasiliana che li accompagnò fino al Museo, dove furono accolti con tutti gli onori dal direttore in persona.
La giovane donna si guardò attentamente intorno, studiando l’ambiente circostante e tutti i vari nascondigli che il giardino poteva offrire. Se conosceva bene Lupin e la sua banda sapeva che, molto probabilmente, erano appostati lì attorno da qualche parte per mettere a punto la loro strategia.
Quando vide baluginare qualcosa tra i rami frondosi di un grosso pernambuco (1) capì di aver fatto centro. L’ispettore Zenigata stava guardando da tutt’altra parte, mentre spiegava animatamente al direttore del museo come aveva intenzione di contrastare il celebre ladro e Michelle si guardò bene dal rivelargli la sua scoperta. Aveva assolutamente bisogno che Jigen e gli altri fossero a piede libero per fare ciò che aveva in mente. 
«Venga ispettore, le mostro la sala di controllo» annunciò il responsabile, facendo un ampio cenno con la mano.
I due si incamminarono verso l’interno, varcando uno degli enormi portoni verdi e la ragazza li seguì, lanciando un’ultima occhiata in tralice verso l’albero.


Non appena i tre furono spariti all’interno, Lupin abbassò il binocolo.
«Uh uh! A quanto pare il nostro paparino si è trovato una nuova assistente!» annunciò a Jigen che stava appollaiato malamente sul ramo accanto, nel tentativo di evitare di conficcarsi nel sedere le grosse spine legnose di cui era ricoperto quel dannato albero. «Ed è anche una donna intelligente, oltre che affascinante!»
«Che cosa te lo fa pensare?» bofonchiò il pistolero, facendo sobbalzare la cicca spiegazzata che aveva tra le labbra.
«Il fatto che ci ha visto!»
«Come sarebbe a dire, ci ha visto?!»
«Beh, sì... credo che un raggio di sole abbia riflettuto su una lente del binocolo, prima…»
«A volte sei proprio un idiota, Lupin» sospirò Jigen, scuotendo piano la testa.
Nel frattempo Arsenio aveva ripreso a controllare la scena, osservando l’interno del museo attraverso le immense finestre. Il gruppetto – composto dal direttore, Zenigata e la giovane donna – si stava appena affacciando da uno dei terrazzi che ornavano la facciata principale.
«Guarda, eccola là!» esclamò il ladro, porgendo il binocolo all’altro.
Jigen lo portò agli occhi e sussultò.
«Oh mio Dio…» esalò, gli occhi e la bocca spalancati per lo stupore, al punto che la sigaretta gli sfuggì dalle labbra. Nonostante fossero passati dieci anni e nonostante la sua fisionomia fosse cambiata molto – non aveva più i capelli lunghi fino alla vita, non indossava più gli occhiali dalla leggera montatura di metallo, non aveva più le forme spigolose di una ragazzina ma le curve morbide di una donna – non avrebbe mai potuto dimenticare quel volto così delicato e determinato al tempo stesso.
«Niente male, eh?» gli diede di gomito il socio, ma il pistolero lo scacciò.
«Non l’hai riconosciuta?!» chiese, restituendo il binocolo a Lupin.
«No. Perché, chi è? La conosciamo?» 
«Guardala bene!» lo incalzò Jigen, mentre il ladro tornava a guardarla con il binocolo.
Non appena realizzò chi era la ragazza che gli stava di fronte, Arsenio cominciò a balbettare.
«Ma… ma… ma quella è Michelle! Che cosa diavolo ci fa in compagnia di Zenigata?»
«Prova ad indovinare! Non l’abbiamo forse lasciata nelle sue mani, dieci anni fa?»
«Beh, sì ma… doveva proprio diventare una poliziotta?!»
«Perché, secondo te aveva altre alternative?» chiese sarcastico il pistolero, per poi esalare un lungo sospiro. Mentre Lupin continuava ad osservare la scena bofonchiando tra sé e sé, Jigen fu travolto da un’infinità di ricordi. Il giorno in cui si erano conosciuti, la prima volta in cui le aveva insegnato a sparare, la prima volta in cui avevano fatto l’amore. Durante i quattro anni in cui avevano vissuto insieme, quella ragazza era riuscita a fare breccia nel suo duro cuore da gangster, lasciando un segno indelebile. All’improvviso un ricordo si fece strada, prepotentemente, nella sua mente. Incapace di contrastarlo, Jigen appoggiò la testa contro il tronco e chiuse gli occhi.

Nonostante Lupin e gli altri le avessero raccomandato più volte di non muoversi dal nascondiglio e di aspettare pazientemente il loro ritorno, Michelle aveva fatto di testa sua e li aveva seguiti di nascosto. La ragazza si era fatta beccare proprio nel bel mezzo di una sparatoria tra la banda di ladri e le guardie del corpo del miliardario che avevano ripulito, ed ora si contorceva come un’anguilla tra le braccia di un energumeno, nel vano tentativo di liberarsi.
Trattenendo a stento un’imprecazione Jigen si sporse dal suo nascondiglio, sparando al maggior numero di gorilla possibile tentando di attirare l’attenzione su di sé, mentre Lupin aggirava la ragazza e l’omaccione che la tratteneva.
Purtroppo per lui, Michelle strepitava e si agitava al punto che il gorilla, nello sforzo di tenerla ferma, voltò il capo e si accorse della sua presenza. Con un ruggito, lasciò cadere la ragazza a terra e si accanì contro Arsenio, sparandogli diverse raffiche di mitra e facendolo ballare sul posto come una marionetta mentre schivava i colpi.
Come comparso dal nulla, Goemon si parò davanti al socio, respingendo i proiettili con la spada. Ad ogni fendente i pallettoni cadevano al suolo, tagliati a metà come se fossero stati di burro.
Vedendo che il suo mitra poteva ben poco contro quel formidabile spadaccino l’energumeno cessò il fuoco, tornando indietro a recuperare la ragazza che era rimasta lievemente intontita dalla caduta e quindi non si era mossa per fuggire. Se la issò sulla spalla, trattenendola per le gambe, e fece per allontanarsi quando Jigen gli si parò di fronte, la pistola puntata dritta alla testa. Lungi dal lasciarsi intimidire, l’omaccione rialzò il mitra e sparò una sventagliata di colpi. Il pistolero fu lesto a buttarsi di lato, ma non abbastanza da evitare l’ultimo proiettile che lo colpì di striscio al braccio sinistro.
«Daisuke!» urlò Michelle, vedendo lo spruzzo di sangue colare tra le dita dell’uomo.
Lottando per non perdere la lucidità, Jigen si rialzò e, con le spalle coperte da Lupin e Goemon, prese lentamente la mira. 
«Non muoverti, Michelle!» le intimò, prima di sparare il suo ultimo colpo. Il proiettile si conficcò nel collo dell’energumeno, a pochi centimetri dal volto della ragazza che non riuscì a trattenere un grido di orrore. L’uomo che la sosteneva si abbatté al suolo senza neanche un gemito e finalmente Michelle fu libera di raggiungere i suoi amici.
«Daisuke, sei ferito!» urlò, gettandosi sul pistolero ed abbracciandolo. L’uomo ricambiò la stretta stringendo i denti per contrastare il dolore.
«E’ solo un graffio…» le rispose.
«Michelle! Non ti abbiamo forse ripetuto fino all’esasperazione di non seguirci?!» sputacchiò Arsenio, apparendo alle spalle del pistolero, con i pugni sui fianchi e lo sguardo serio.
«Questo non è il momento adatto» lo interruppe Goemon. «Torniamo prima al rifugio.»
Una volta di nuovo al sicuro, mentre Lupin rimproverava Michelle per la sua sventatezza, Jigen andò a farsi una doccia. Aveva bisogno di lavarsi da dosso la polvere ed il sangue. Si insaponò lentamente, dedicando grande attenzione al braccio ferito. Ad un esame più attento si rese conto che il proiettile gli aveva strappato un bel brandello di carne: una cicatrice in più che si andava ad aggiungere a quelle che già segnavano il suo corpo in vari punti. Si risciacquò accuratamente, lasciando che l’acqua gli appiattisse i lunghi capelli sulla nuca e le spalle, poi si avvolse un asciugamano intorno alla vita ed uscì dalla doccia.
Michelle lo stava guardando, seduta sulla tazza del water.
«Ehi! Ma che…» esclamò sobbalzando e, per poco, l’asciugamano non gli scivolò via di dosso. «Che cosa diavolo ci fai, qui?»
«Volevo scusarmi per come mi sono comportata. E solo colpa mia se oggi sei stato ferito.»
«E’ solo un graffio» ripeté lui, ma la smorfia di dolore che gli contorse le labbra convinse la ragazza del contrario.
«No! Non è affatto solo un graffio! Fammi vedere.»
Con un gesto deciso lo afferrò per il braccio sano e lo fece voltare verso di lei. Allungò le dita tremanti verso la ferita, poi si ritrasse prima di toccarla.
«Devo medicarti» disse, alzandosi di scatto e mettendosi a cercare garze e disinfettante.
«Faccio da solo…»
«No, ci penso io. Mi pare il minimo, dopo quello che hai fatto per me!»
Lo fece sedere sulla tazza poi, con grande delicatezza, pulì la lacerazione con l’acqua ossigenata ed infine la bendò perché non si infettasse.
«Grazie» mormorò Jigen, ma quando tentò di rialzarsi Michelle glielo impedì, mettendosi a sedere sulle sue gambe. Il pistolero si irrigidì involontariamente, il sedere a mandolino della ragazza molto – troppo – vicino al suo inguine coperto dalla sola spugna leggera dell’asciugamano.
Per un lungo istante lo sguardo di lei indugiò sul suo petto, magro ma dalla muscolatura ben delineata, coperto da una fitta e minuta peluria bruna che, dai pettorali, convergeva verso la linea alba per scendere verso il basso fino all’ombelico e poi ancora più giù, oltre l’orlo del telo, dove si andava a ricongiungere con quella più fitta del pube. Poi, con un sospiro, Michelle alzò di nuovo lo sguardo fino ad incrociare i suoi occhi e gli posò una mano sul viso, carezzandogli dolcemente la guancia ispida di barba per poi far scivolare le dita tra i suoi capelli ancora umidi, adagiati sulle sue spalle.
Lentamente, ma con fermezza, Jigen le prese le mani tra le sue, bloccandole davanti a sé. 
«Daisuke, io… credo di essermi innamorata di te…» esalò a quel punto Michelle dopo un altro sospiro tremolante e, mentre parlava, le sue guance si imporporarono. 
Lo stesso successe a quelle del pistolero che, trattenendo a stento un fremito di piacere, si costrinse a replicare.
«Ne sono lusingato, Michelle, ma… tu sei ancora minorenne, ed io sono troppo vecchio per te.»
La ragazza abbassò lo sguardo in un moto di delusione poi, all’improvviso, rialzò gli occhi risoluta e fece un’altra richiesta.  «Insegnami a sparare!»
«Cosa?!»
«Insegnami ad usare un’arma! In questo modo potrò difendermi e… aiutare anche voi, se necessario!»
«Non se ne parla nemmeno!» replicò Jigen, deciso, «le armi non fanno per te.»
«E perché no? Insegnami a sparare e poi lo vedremo se fanno o no per me!»
Gli avrebbe fatto quella richiesta molte volte, prima che lui si decidesse ad accontentarla…


«Jigen? Che cosa fai, dormi?»
Il tono canzonatorio di Lupin riscosse il pistolero dalle sue reminiscenze del passato.
«No. Stavo solo pensando» rispose, raddrizzandosi sul ramo.
«A Michelle? Ritorno di fiamma, eh?» sghignazzò Arsenio, dandogli di gomito.
«Non dire scemenze!»
«Oh, beh, allora se sei pronto possiamo anche scendere e riprendere il nostro giro di perlustrazione. Zazà e Michelle se ne sono appena andati».
Jigen annuì e, dopo essersi calato di nuovo ben bene il cappello sugli occhi, seguì il socio verso il retro dell’edificio, dove scivolarono silenziosi e furtivi come ombre.


All’uscita dal museo, dopo le verifiche ed i controlli di tutti i sistemi di sicurezza, Michelle aveva nuovamente lanciato un’occhiata furtiva al nascondiglio di Arsenio e Daisuke. Non si era meravigliata di trovarli ancora lì e, per un attimo, era stata tentata di rispondere al gesto di saluto che il ladro in giacca rossa le aveva rivolto. Sorrise tra sé e sé: allora anche loro l’avevano riconosciuta. Allungando il passo raggiunse Zenigata, per evitare che l’ispettore si insospettisse ed alzasse gli occhi sulla volta arborea del giardino, ma il poliziotto era talmente impegnato a tessere le lodi dell’Interpol che non si sarebbe accorto della presenza di Lupin nemmeno se gli fosse passato davanti. 
Michelle era molto legata a Zenigata. Era l’unico uomo che si fosse preso cura di lei dopo che Lupin & Company l’avevano abbandonata, ma non per questo era così cieca da non rendersi conto che l’ispettore, invecchiando, stava perdendo molti colpi. Oramai sull’orlo della settantina, Koichi Zenigata aveva perso molta della sua agilità e della sua lucidità, anche se niente al mondo avrebbe mai potuto distrarlo dall’unica cosa per cui aveva vissuto per tutti quei lunghi anni. Si sarebbe fermato solo quando avesse messo Lupin in gattabuia ma, Michelle ne era più che convinta, purtroppo per lui una cosa del genere non sarebbe mai successa.
Cercando di non sorridere troppo a quel pensiero la ragazza scivolò al suo fianco, sul sedile posteriore dell’auto della polizia federale che li portò al loro albergo.
Dopo aver ritirato le chiavi delle loro stanze, nel passare nella vasta hall, arredata con bellissime poltrone di pelle bianca, entrambi notarono una figura femminile vestita elegantemente, seduta con una valigetta poggiata sulle ginocchia nude.
Michelle fu la prima a riconoscerla ed, involontariamente, si lasciò sfuggire un sibilo serpentino di rabbia: Fujiko Mine. La donna che aveva sempre odiato, l’unico membro della banda di Lupin con cui non era mai riuscita a legare e con cui, forse, si era sempre sentita in competizione.  
Richiamato da quel suono così furioso anche Zenigata si voltò in quella direzione. Non appena anche lui la riconobbe i suoi occhi si ridussero a due fessure, poi avanzò a passo di marcia verso di lei, tirando fuori dalla tasca dell’impermeabile una delle numerose paia di manette che si portava sempre dietro.
«Fujiko Mine! Non riuscirete ad impossessarvi del diamante! Ti dichiaro in arresto!»
«Oh, buonasera ispettore. Mi dispiace deluderla, ma io sono qui in veste di rappresentate di una ditta di investimenti finanziari e sto aspettando il mio cliente! Non so niente di qualsiasi cosa abbia in mente Lupin» disse voltando il capo, sdegnata, e mettendo in mostra la vertiginosa scollatura del suo abito. «La pregherei quindi di non disturbarmi oltre!»
«Non mi fido di te, perciò ti terrò d’occhio!» la minacciò Zenigata, puntandole contro l’indice, per poi retrocedere e tornare al fianco di Michelle che aveva seguito la scena senza muoversi. Fujiko non l’aveva nemmeno degnata di uno sguardo e quindi le era passata totalmente inosservata. La cosa non le dispiacque: non voleva che quella donna le mettesse i bastoni tra le ruote. Mentre riprendeva a camminare al fianco dell’ispettore non riuscì però a trattenersi.
«La odio» sibilò tra i denti, lasciando trapelare i suoi pensieri, «non l’ho mai potuta sopportare!»
«Non farti venire il sangue amaro per lei. In fondo è solo una puttana arrivista anche se, devo ammettere, è molto difficile resistere al suo fascino.» La ragazza si voltò a fissare il suo superiore, sbalordita dalle sue parole, e Zenigata continuò. «Beh, sì, è successo anche a me… Ed ho potuto constatare di persona che a volte non è così brava come crede, nel mentire. Mi resi conto subito che il suo orgasmo era finto…» disse, rimuginando sul passato, grattandosi il mento squadrato.
Michelle inorridì. 
«Ispettore! Anche lei! Mi meraviglio del suo comportamento!» esclamò ed accelerando il passo raggiunse la sua stanza, per poi chiudersi dentro a chiave.
Zenigata la fissò sbattere la porta con sguardo stupito.
«Perché? Che ho detto?» si chiese, titubante, prima di raggiungere la propria camera.
Schiumante di rabbia e disgusto Michelle spalancò la finestra e si appoggiò al davanzale. Il vento caldo proveniente dall’Oceano Atlantico le sferzò il viso, facendo ondeggiare i suoi corti capelli a caschetto. Strinse i pugni e serrò gli occhi, mentre le lacrime le sfuggivano da sotto le palpebre. Possibile che Fujiko avesse il potere di rovinare sempre tutto? Anche Zenigata, l’uomo che aveva veramente amato come un padre, si era lasciato tentare dalle sue “grazie”? Aveva già provato una delusione come quella, forse ancora più forte…

Rinchiusi dentro il piccolo nascondiglio, una misera capanna celata tra gli alberi di una fitta foresta, senza niente da fare nell’attesa che si calmassero le acque smosse dall’arrivo imprevisto di Zenigata, Lupin si lasciò andare ad uno sbadiglio enorme per poi appoggiare le lunghe gambe, magre e dinoccolate, sul tavolo.
«Uffa, mi sto annoiando a morte! Facciamo un gioco?» propose, guardando speranzoso i suoi compagni.
Solo Michelle aveva annuito. Gli altri tre si erano stretti nelle spalle ma non avevano interrotto le loro attività. Jigen, stravaccato sul divanetto, non aveva smesso di leggere il giornale; Fujiko aveva continuato a passarsi lo smalto sulle unghie e Goemon non aveva aperto gli occhi per interrompere la sua meditazione.
«Che mortorio!» commentò Arsenio, per poi rivolgersi alla ragazza. «Intanto cominciamo noi. Conosci “Obbligo o verità?”»
Michelle scosse la testa.
«Se sceglierai obbligo dovrai fare qualcosa; se sceglierai verità ti farò una domanda e dovrai rispondere sinceramente. Se penserò che stai mentendo ti obbligherò comunque a fare qualcosa. Ci stai?» spiegò il ladro con il suo solito tono canzonatorio e la ragazza accettò.
«Allora: obbligo o verità?»
«Verità» rispose Michelle senza indugio.
«Mi vuoi spiegare una buona volta perché hai lasciato l’orfanotrofio e ti sei appiccicata alle nostre gonnelle?»
La ragazza si incupì per un istante e la sua espressione indusse Lupin a sedersi più comodo.
«Il direttore dell’istituto era un tipo che non aveva molto rispetto per le ragazzine sue ospiti» rispose dopo alcuni istanti di silenzio mentre Goemon, già a conoscenza della storia, serrava i pugni attorno alla sua spada. «Diciamo che ero stufa di essere abusata da lui…»
«Ti ha violentato?!» esclamò Arsenio, facendo sobbalzare anche gli altri tre, e Michelle annuì semplicemente in risposta.
«Che farabutto» commentò Jigen con voce cupa. Quando la ragazza alzò lo sguardo su di lui vide che Daisuke aveva alzato la tesa del cappello e la guardava, serio.
Dopo alcuni minuti di silenzio, Michelle si strinse nelle spalle. «Beh, ormai è passato molto tempo… Possiamo anche continuare a giocare, se vi va.»
«Ok, allora adesso tocca a te. A chi vuoi fare la domanda?» riprese Lupin, in tono più leggero. 
La ragazza annuì, voltandosi verso il samurai. «Goemon, obbligo o verità?»
«Obbligo.» 
«Potresti tagliare qualcosa? Mi piace così tanto, quando lo fai!»
Senza neanche aprire gli occhi Goemon estrasse la spada dal fodero e, con fendenti rapidi e precisi, tagliuzzò un foglio di carta posato sul tavolo fino a farne una fila di bamboline che si tenevano per mano, per poi porgerlo a Michelle con la punta della zantetsu-ken. Lei lo prese, ammirandolo meravigliata e ringraziando il samurai, soffiandogli un bacio sulla punta delle dita.
«Bene bene, ora tocca a te, Goemon!» disse Lupin fregandosi le mani, contento di svagarsi almeno un po’.
«Fujiko, obbligo o verità?»
La donna alzò lo sguardo dalle sue unghie. «Cosa? Stai dicendo a me? Uhm… verità.»
«Ti sei mai innamorata veramente di un uomo?»
La domanda suscitò un’ondata di mugolii da parte di Arsenio e Daisuke. Il samurai arrossì suo malgrado.
«Uh, ma che domande! Certo che sì!» rispose Fujiko, senza comunque riuscire a nascondere un vago disagio.
«E chi è il fortunato?» la incalzò subito Lupin. «Dimmi che sono io!» 
E, protendendo le labbra, il ladro tentò di strapparle un bacio, ricevendo al suo posto uno schiaffo talmente forte che gli lasciò l’impronta della mano della donna sulla guancia.
«Non è il tuo turno!» replicò lei, incrociando le braccia e fingendosi offesa. «Jigen, obbligo o verità?» chiese subito dopo, voltandosi verso il pistolero che chiuse lentamente il giornale.
«Verità.»
«Qual è il posto più strano in cui hai fatto l’amore?»
Lupin si voltò di scatto verso l’amico, curioso di conoscere la risposta ad una domanda così piccante. Anche Michelle non riuscì a nascondere la curiosità e, con il cuore che le batteva all’impazzata, si protese sopra il tavolo per sentire meglio, benché temesse le parole che stava per udire.
Daisuke si raddrizzò sul divano, togliendosi la cicca spiegazzata dalla bocca e schiacciandola nel posacenere stracolmo prima di rispondere.
«In una bara» disse, in tono cupo.
«Cosa?! Una bara?!» esclamò Lupin, sobbalzando. «Mi auguro almeno che la fortunata fanciulla non fosse morta!» aggiunse per sdrammatizzare, mettendosi a ridere.
«No, era viva e vegeta.»
«Mio Dio, che orrore!» gridò Fujiko, inorridita. «Ed io che credevo che fosse stato già abbastanza strano quando l’abbiamo fatto in quella stanzetta in cui ci avevano rinchiuso legati insieme, e tu la prima volta sei venuto nelle mutande soltanto al pensiero delle mie tette schiacciate contro di te!» (2)
Jigen arrossì vistosamente e, per nasconderlo, calò ancora di più il cappello sul volto. Lupin, che stava ancora sghignazzando, si bloccò all’improvviso nell’udire quelle parole, mettendosi a balbettare.
«Ma… Ma… Ma… Fujiko?! Mi stai dicendo che tu… e Jigen…»
«Tze, sai quante volte…»
A quel punto il ladro si voltò di nuovo verso Jigen che aveva ripreso il giornale. «Jigen?! Proprio tu?! Ed io che credevo tu fossi il mio migliore amico!»
«Lo sono, infatti.»
«Proprio un bell’amico! Sei andato a letto con la mia fidanzata!» urlò Arsenio, saltellando in piedi sulla sedia come uno scimmione.
«Io non sono la tua fidanzata…» rimarcò Fujiko, ma la sua frase fu interrotta dallo sbattere violento della porta. 
Quelle parole avevano spezzato il cuore di Michelle, ormai perdutamente innamorata di Daisuke. Le lacrime presero a scorrerle copiose sul viso mentre correva fuori dalla capanna, inoltrandosi tra gli alberi. Si sentiva una stupida. E, soprattutto, non riusciva a sopportare il fatto che avesse avuto rapporti proprio con Fujiko, quella donna che la considerava al pari di un insetto e che lei odiava con tutte le sue forze. Quanto avrebbe voluto liberarsi di lei!
Senza riflettere, la sua mano corse alla schiena dove, da quando Jigen gliel’aveva regalata, teneva la sua pistola. La estrasse e, con rabbia, si mise a sparare contro gli alberi che le venivano incontro mentre correva, svuotando in pochi secondi il piccolo tamburo.
Con ancora la pistola stretta tra le dita cominciò a prendere a pugni la corteccia del tronco che aveva di fronte, sbucciandosi le nocche, mentre ormai le lacrime le inondavano il volto.
All’improvviso una mano la afferrò per il polso sinistro. Con uno scarto istintivo si voltò per fronteggiare il suo assalitore, puntandogli contro la pistola ormai scarica. Jigen, che lo sapeva avendo contato gli spari, gliela tolse di mano per poi farla sparire dietro la schiena.
«Lasciami andare! Mi fai schifo!» gridò Michelle, tentando di divincolarsi, ma la stretta ferrea del pistolero non si allentò. «Hai fatto l’amore con Fujiko, ma non vuoi farlo con me!» urlò ancora, in preda ad una furia che la accecava al pari delle lacrime.
«Io non ho fatto l’amore con Fujiko» rispose con calma l’uomo, senza scomporsi.
«Ah no?»
«No. Io e lei abbiamo semplicemente fatto sesso.»
«E dov’è la differenza?!» strepitò la ragazza, ancora strattonando il braccio nel vano tentativo di liberarsi.
«Quello che il direttore dell’orfanotrofio ti obbligava a fare era forse amore?»
Quelle parole la fecero fermare di colpo, ferita nel profondo. Jigen ne approfittò per passarle il braccio libero dietro la schiena, facendola aderire al suo corpo. Michelle alzò il viso per guardarlo ed i suoi occhi si fissarono nei pozzi neri di Daisuke. Il pistolero accostò il volto a quello di lei, baciandola con tenera passione. Quando Michelle sentì che l’uomo stava socchiudendo la bocca la testa prese a girarle, ed il cuore le batté così forte che temette potesse scoppiargli. La lingua di Jigen scivolò, lenta e suadente, contro la sua, esplorando con lentezza e metodo la sua bocca ancora inesperta e digiuna di veri baci. Sentì le gambe piegarlesi e, se l’uomo non l’avesse sorretta, sarebbe scivolata a terra come un sacco vuoto. Daisuke fremeva contro di lei, come se si stesse trattenendo a stento dal compiere un passo più audace. Poi, lentamente le loro labbra si separarono.
«Questo è amore…» ansimò Jigen, a pochi millimetri dalle sue labbra, la barba a solleticarle il mento. «Ora capisci la differenza?»
«Allora mi ami, Daisuke?» chiese la ragazza, con voce tremolante.
«Più della mia stessa vita…»


Il dolce suono di quelle parole le risuonava ancora nelle orecchie. Michelle aprì nuovamente gli occhi, asciugandoseli rabbiosamente. Lei aveva creduto ciecamente a quelle parole, ed invece… Invece dopo pochi mesi l’avevano abbandonata nelle mani di Zenigata, quell’uomo che l’aveva sì trattata come una figlia, ma che ora invece l’aveva a sua volta delusa. Non riuscì a trattenersi e lanciò un grido che si perse nel tramonto di Rio de Janeiro.



(1) Pernambuco: tipico albero brasiliano, principalmente usato a scopi ornamentali nei giardini, il cui tronco, specialmente nei rami più giovani, è ricoperto di spine.
(2) Questo riferimento è tratto dalla storia presente in questo fandom “Lupin III – Legati” (che consiglio vivamente di leggere), il cui utilizzo mi è stato gentilmente concesso dalla sua autrice, Fujikofran, che ringrazio ancora per avermi permesso di fare questo accenno. 

Spazio autrice: Eccovi il nuovo capitolo. Lo so, è lungo, forse troppo, ma spesso quando scrivo mi lascio prendere la mano.

 
  
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