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Autore: Kat Logan    31/05/2016    3 recensioni
Paradiso e Inferno; è ciò che si ritroveranno ad affrontare i protagonisti di Stockholm Syndrome in questa nuova avventura.
Hanno amato, realizzato i propri sogni, hanno accarezzato il paradiso nella pacifica Osaka ed ora devono ristabilire l'equilibrio; troppa gioia tutta in una volta è da pagare.
Per uno Yakuza la cosa più importante è l'onore, così, Akira e Haruka seguiranno le proprie tradizioni.
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"Ovunque andrò, sarai con me. E avrei voluto dirlo in modo diverso, in un’occasione differente…magari al lume di candela, su un tetto, sotto alla luna, al nostro terzo matrimonio. Ma sai, un momento giusto non c’è mai. Quello giusto è quando lo senti, ovunque tu sia..quindi…lo dico adesso, forte come non l’ho mai sentito prima d’ora. Ti amo e questo non cambierà, non è cambiato nemmeno nel momento in cui non mi sono più riconosciuta".
[Sequel di Stockholm Syndrome].
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Nessuna serie
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- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Yakuza'
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Capitolo 6
Say goodnight


 
Heaven's waiting for you
Just close your eyes and say goodbye
Hearing your pulse go on and on and on...
I live my life in misery
I'd sacrifice this world to hold you
No breath left inside of me
Shattered glass keeps falling
Say goodnight
Just sleep tight
Say goodnight...

 
Bullet For My Valentine – Say Goodnight
 



C’era stato un rumore assordante. Scintille, lamiere spezzate in due e lo schizzare di vetri rotti in ogni direzione.
Haruka, senza cintura, era sbalzata da una parte all’altra ritrovandosi in un inferno rotante che ora pareva essersi fermato di botto.
In quel caos di fumo, urla e stridere sull’asfalto duro e freddo, aveva visto il viso di Michiru. Non fisicamente ma l’aveva rivista e rivissuto ogni singolo istante nella sua mente eliminando le immagini terribili che i suoi occhi avrebbero dovuto catturare in quel lungo cappottamento.
Aveva pensato che solo una stupida avrebbe sprecato tempo a litigare. La vita non era così lunga da poterla sprecare in liti e rancori. Voleva solo fare pace con lei, vederla ancora una volta, baciarla e non abbandonarla più. Lo aveva capito nel momento in cui Setsuna aveva sganciato la cintura per sporgersi più in avanti e proteggere Rei le cui mani avevano lasciato andare il volante.
Le ombre della sera erano scese su di loro e su quella desolazione sottosopra nella quale si ritrovavano.
Haruka sbatté gli occhi umidi. La sua posizione era innaturale ma la prima cosa che fece di riflesso fu portarsi le mani alle gambe per aria incastrate sotto a un pezzo irriconoscibile di auto.
Si tastò sino al ginocchio, si diede un pugno, poi un pizzicotto alla coscia e capì di essere ancora intera. La sensibilità c’era ed era sicuramente una buona cosa.
«Cazzo» la sua parola preferita le uscì flebile come un sospiro. Era un sussurro appena accennato ma non era sicura di sentirci ancora a dovere. Si sentì confusa e dolorante, aveva come perso il senso dell’orientamento per cui le ci vollero un paio di minuti per riprendere il filo della coscienza e ricordarsi cosa fosse successo.
Scastrò le gambe a fatica emettendo un verso gutturale tutt’altro che femminile dopo di che prese un respiro e decise di controllare il resto.
Era piena di vetri, tentò di scrollarseli da dosso rimanendo sdraiata supina e solo dopo aver compiuto quell’operazione portò le dita sporche alla fronte.  Aveva avvertito qualcosa gocciare e non comprendeva se fosse sangue, qualche fluido indefinito, benzina o pioggia.
La pioggia. Le era tornata in mente in un flash. Il temporale che aveva segnato la fine della suo essere membro effettivo della yakuza continuava a perseguitarla.
“Vai principessa, corri”. Aveva detto così a Michiru.
Ancora lei nella sua testa, ancora lei ovunque.
Haruka riprese coscienza di sé, non sapeva per quale motivo ma voleva piangere e poi vomitare.
«Hey, agenti…» la voce le grattava la gola. Tentò di allungarsi verso i sedili anteriori anche se la vettura era sventrata in alcuni punti e accartocciata in altri come fosse stata fatta di plastica.
«Ragazze…» insistette sentendo il suo battito cardiaco accelerare sino a rimbombarle nelle orecchie.
«Haruka…» la voce era di Rei, il tono basso come se dovesse raccontarle un segreto inconfessabile.
«Haruka sono incastrata e mi sta venendo mal di testa» si lamentò cercando di riprendere vigore quanto meno nella voce.
«Dì alla tua ragazza di darsi da fare e slacciarti la cintura. Credo tu sia a testa in giù».
«La sicurezza innanzi tutto!» ridacchiò Rei per poi tossire rumorosamente e lamentarsi sommessamente per la sensazione di avere ogni singolo organo nel posto sbagliato e le ossa frantumate in migliaia di pezzi.
«Non riesco a capire cosa diavolo sta gocciando. Tu lo senti?» chiese la bionda quasi ossessionata da quel pensiero.
«Lo sento ma non…non arrivo a…oh». Rei non poté continuare a parlare poiché quando riuscì a mettere a fuoco la propria vista si girò verso il suo fianco ma rendendosi conto che qualcosa non quadrava. Mancava un pezzo importante a quel quadro e quando comprese cosa fosse ciò che le era sparito da sotto gli occhi le si annodò la lingua in gola.
«Rei…?».
Haruka non ricevette risposta.
«Rei, tutto bene?» insistette la bionda, compiendo uno sforzo immane per rotolare a pancia in giù e comprendere che il liquido dal quale non riusciva a distogliere l’attenzione non era nulla di buono.
«È benzina. Merda Rei, è benzina dobbiamo filarcela. Dì alla vecchia di-».
«No».
«Cosa?! Ma che caz-».
«No, Haruka. Lei non c’è».
La bionda s’immobilizzò.
«Come non c’è?!». La domanda era stupida ma il panico l’attanagliò come mai prima di quel momento. I suoi occhi azzurri sondarono l’asfalto e nel suo campo visivo riuscì ad intravedere l’altra vettura che non pareva essere in buono stato.
C’era del movimento. Qualcuno stava prendendo a calci o tentando di scardinare una delle portiere per crearsi un varco e nel bel mezzo della strada riconobbe Setsuna.
Aveva le braccia aperte come fosse una stella e il viso rivolto verso la volta celeste.
«Ok, l’ho vista. Ok, ti libero». Haruka strinse i denti e strisciò in avanti. Percepì Rei agitarsi e muoversi.
«SETSUNA!» la mora tentò di recuperare tutto il fiato per farsi sentire ma Haruka la bloccò mettendole una mano sulla bocca.
«Ehy, ssht. Zitta» tornò da prona a supina facendo forza sui gomiti e piantandosi qualcosa nel braccio. Lacrimò frustata e dolorante ma incitò ancora un momento Rei a tacere.
«È sopravvissuto qualcuno e credimi sarà incazzato come una iena. Non attirarli qui, piuttosto fingiti morta». Si augurò con tutta se stessa che l’agente Meiō stesse facendo lo stesso distesa sul cemento.
L’adrenalina le pulsò nella vene, dovevano togliersi da quella trappola che ben presto avrebbe preso fuoco e si sarebbe trasformata nella loro tomba.
«Haruka, è viva?».
«Non lo so» fu incapace di mentire e optò per la verità.
«Sanguini…».
«Pazienza».
«No sul serio sei completamente piena di-».
«Ti prego, non descrivere come sono messa Rei».
«Okay».
«Okay, occhio alla testa ti sgancio».
Rei fece un cenno di assenso col capo e ritrovò la libertà di movimento cercando di attenuare la scivolata a testa in giù, per poi potersi rimettere in una posizione più umana.
«Non hai una bella cera nemmeno tu».
«Abbiamo detto non si commenta» le rispose lei a tono.
Al di fuori di lì qualcuno riuscì a liberarsi dall’altro ammasso di ferro.
«La pistola. Dove cazzo è finita la pistola?».
Rei vide un paio di scarpe che si dimenavano per strisciare fuori e lei, invece, non sapeva nemmeno se le aveva ancora tutte e due ai piedi.
«Là. Una è vicino a Setsuna» la sua voce si macchiò di panico.
«Ok, vado io».
«No». Rei la bloccò con una mano ancorandosi al suo braccio. Doveva essere terrorizzata o forse solamente sotto shock e non voleva rimanere da sola.
«Rei, dobbiamo comunque uscire. Allontanati da questa cosa. Non so quanto tempo ci rimane».
La mora annuì e la spinse leggermente per aiutarla a strisciare all’aria aperta.
Intanto le due scarpe si erano messe in posizione eretta.
Haruka notò un movimento delle dita di Setsuna e valutò che o stava riprendendo coscienza in quel momento o forse si ritrovava agonizzante, ma non fingeva di essere morta, altrimenti si sarebbe ben guardata dal fare qualsiasi minimo movimento e sarebbe rimasta immobile.
Le due scarpe appartenevano all’uomo che era alla guida, lo riconobbe quando si chinò dicendo qualcosa all’interno dell’abitacolo.
Qualcun altro doveva essere sopravvissuto, forse il suo compare, o in una visione più rosea delle cose si sarebbe potuto trattare di Mimì.
Setsuna emise un gemito di dolore e Haruka dovette abbandonare i propri turbamenti mentali.
L’uomo si accorse dell’agente ancora vivo e barcollante si voltò in sua direzione.
La bionda rimase col fiato sospeso.
«Non mi dire…» si alzò e compì un passo. «Stupida puttana sei ancora viva?».
Rei lanciò uno sguardo ad Haruka, stava uscendo dalla parte opposta alla sua per allontanarsi dalla vettura, ma si bloccò.
«Adesso ci penso io a te» lui sogghignò luciferino, le peggior intenzioni gli si leggevano in volto e le due spettatrici nascoste vennero percorse da una scarica di brividi.
A fatica compì altri due passi e le fu vicino. Osservò la donna compiaciuto del suo sentirsi superiore; lui era lì, in piedi a stagliarsi sul corpo ferito di lei.
«Sei rimasta senza parole? Ti è volata via la lingua nell’urto? Non fate più tanto gli stronzi voi poliziotti quando ve la state facendo sotto!».
Il piede si mosse all’indietro caricando un calcio ben assestato nel fianco di Setsuna che gemette di dolore. Non riusciva a sentire null’altro che il sapore ferroso del sangue sulla lingua e un dolore lancinante trapassarla da parte a parte.
«Non implori? Se mi preghi potrei smetterla e porre fine a tutte le tue sofferenze».
Setsuna strinse i denti cercando di respirare, ma i polmoni sembravano aver indetto uno sciopero perché l’aria faticava ad arrivare.
Nella sua testa, l’unica cosa più forte del dolore che aveva invaso ogni fibra nervosa c’era il pensiero di Rei.
Ruotò il capo in direzione della carcassa dell’automobile e gli occhi riflessero l’immagine di Haruka che faceva forza sui palmi per darsi la spinta giusta.
Il secondo colpo rimase a mezz’aria perché la bionda si lanciò come una fiera affamata sulla preda che aveva osservato sino a quel momento.
Il gancio di Haruka affondò nella mascella dell’uomo che le vomitò addosso una valanga di insulti irripetibili.
Setsuna tentò di alzarsi invano dell’asfalto riuscendo ad udire la colluttazione accanto a sé.
Rei tra i vetri dell’auto e il gocciolare della benzina vide il luccichio sinistro della pistola che aveva sparato un colpo a vuoto durante l’incidente. Tentò di afferrarla ma le scivolò dalle dita tremanti della mano al primo tentativo. Aveva sempre avuto uno presa salda al poligono e anche al di fuori delle esercitazioni ma in quel momento era tutto “troppo” per qualsiasi essere umano presente in quel frangente di realtà nel quale erano state catapultate.
Respirò ancora una volta, riuscì nell’intento e si alzò per mirare all’uomo che aveva intrappolato in una morsa il tronco di Haruka che tentava di liberarsi da quel soffocamento.
Si muovevano troppo e il solo minimo margine di errore avrebbe fatto sì che venisse colpito il bersaglio sbagliato.
La bionda cacciò una gomitata ben assestata nello stomaco del malvivente. Urlò di dolore poiché il corpo era fin troppo provato anche senza gettarsi in una rissa da strada. Rei fece per premere il grilletto ma un crepitio di fiamme si levò dalla loro trappola a quattro ruote.
Fu nel momento che anticipò il boato dell’esplosione, quello nel quale lei si gettò in una corsa sfrenata per allontanarsi più in fretta possibile che un solo colpo rimbombò nell’aria.
 
 
Fu come se la corsa delle lancette si arrestasse senza alcun preavviso.
Lo scoppio fu talmente violento che Rei si ritrovò distesa sull’asfalto. Le ginocchia avevano ceduto sotto la spinta dell’esplosione o forse era stata lei a gettarsi d’istinto a terra per poi coprirsi il capo con entrambe le mani.
Le orecchie però avevano distinto nitidamente un colpo. Un sibilo di proiettile che aveva colpito la carne di qualcuno.
Non volle aprire gli occhi subito. Li tenne serrati per qualche istante sino a che le palpebre non furono costrette a riaprirsi nel sentire il grido disperato di Haruka.
Lo yakuza aveva preso per prima la pistola accanto al corpo di Setsuna e compiaciuto aveva puntato la canna verso di lei perché aveva capito che avrebbe causato un danno maggiore colpendo il bersaglio che aveva scatenato la reazione delle due donne.
Haruka riuscì a disarmarlo e senza più alcuna pietà ricambiò con la stessa moneta.
Fu in quel momento, quando le pupille nere dello sconosciuto sembrarono sparire nel bianco dei suoi bulbi oculari e il corpo cadde pesante a terra che riuscì a trascinarsi sino a Setsuna.
«Dio, che ho fatto?» la voce le uscì spezzata mentre le braccia riuscirono a sollevare il capo dai lunghi capelli spettinati della donna sul suo corpo provato.
«Non mi stai mai a sentire…» tossì Setsuna cercando di tamponare con una mano il punto dal quale zampillava sangue per colpa del proiettile. Sapeva benissimo sarebbe stato inutile, come aveva capito dal primo istante in cui aveva ripreso coscienza che le sue gambe erano andate.
«No è che io non l’ho colpito, io non ti ho-».
«Ssht, Rei non è da te» la riprese guardandola negli occhi.
Haruka dovette scostare lo sguardo da quella scena. Sfinita e con ancora la revolver in mano si diresse verso l’auto dei mafiosi per accertarsi che nessuno eccetto Mimì fosse sopravvissuto.
Rei soffocò un singhiozzo e cercò di dire quello che nei film il protagonista dice sempre «tieni duro, arriveranno i soccorsi».
Ma Setsuna non era preoccupata per sé stessa. Aveva passato una vita in ufficio preoccupata sempre per il prossimo e ignorando la propria salute, nonché la vita privata.
«Tu stai bene? Sei ferita da qualche parte?».
Rei non rispose. Era ferita laddove nessuno avrebbe potuto mettere alcun cerotto.
«Devi solo promettermi una cosa…».
«Non voglio fare alcuna promessa mi dirai tutto più tardi».
«Lo sai che non ci sarà un più tardi…».
«È colpa del tuo essere così stakanovista, dovevamo passare il pomeriggio assieme non al lavoro. Stavo venendo a casa ma tu-».
«Promettimi che non ce l’avrai con lei né con te stessa» la interruppe quando la vista le venne meno chiara e tutto si fece sfumato. Sentiva le sue dita sul viso e tra i suoi capelli, sentiva le sue lacrime calde caderle addosso ma sapeva che quegli occhi gli avrebbe visti ancora per poco. Anche se non avrebbe potuto chiedere di meglio in fin dei conti; avrebbe chiuso gli occhi guardando quello che era stato l’amore della sua vita. Un lusso che forse a pochi sarebbe stato concesso.
«È una testa calda, ma potrebbe diventare un bravo poliziotto…».
«Chi?».
«Haruka».
«Questa è forse la nostra ultima conversazione e tu mi parli di un’altra?».
«Te lo devo far promettere perché ti conosco e so benissimo come reagirai quando tutto questo sarà finito, comunque no. Se questa è davvero la nostra ultima conversazione-».
«Non lo è» la mora scosse il capo in segno di diniego. Scossa da un singhiozzo e dal pianto che mano a mano non riusciva più a controllare in alcun modo.
«Non sei brava a nascondere le cose» Setsuna tirò gli angoli della bocca verso l’alto. «Ma sono orgogliosa di te e…ti amo, Rei. Anche se sono stata poco brava a dimostrarlo alle volte o impacciata, ti amo. Ti ho amato come nessun altra…».
Setsuna avvertì il freddo della pallida falce carezzarle il corpo. La guardò e pensò che non avrebbe mai voluto cambiare la sua vita e se quello doveva essere il finale allora lo avrebbe accettato di buon grado. Guardò un’ultima volta la cosa più bella che si era conquistata e poi esalò l’ultimo respiro.
 
 
*** 
 
 
Il tempo non aveva più valora. Nessuna era più riuscita a comprenderlo. Haruka aveva trovato Mimì e dopo esser riuscita a liberarla dall’auto, sfinita, si ritrovò con le ginocchia a terra. Era come tornare a scuola, alle punizioni delle insegnanti che le ordinavano di rimanere in quella posizione il più a lungo possibile e le bacchettavano le mani.
Vide Rei posare le sue labbra su quelle di Setsuna per l’ultimo bacio dopo che la morte l’aveva portata con sé e poi non riuscì a far altro che guardarla piangere e perdere ogni controllo di sé gridando e tenendo stretto il corpo esamine della donna.
Tutto quel dolore era stato interminabile. Furono i lampeggianti di due auto della polizia e dell’ambulanza a farla ridestare.
Non si fece toccare, né tanto meno medicare. Un’unica chiamata al numero di Akira dal cellulare di un agente e rimase ad aspettare ancora.
Non aveva idea di cosa in realtà stesse attendendo. Tokyo forse le aveva divorato il cervello e lei sembrava non preoccuparsene.
I rumori, i suoni, tutto il mondo circostante si ovattò come quella volta sotto lo scrosciare incessante della pioggia.
Un paramedico le si avvicinò per controllarle la reazione pupillare e ancora accecata da quel fascio di luce bianca riuscì ad udire la voce dell’unica che riuscì a riportarla alla realtà.
«Oddio Haruka che ti è successo?» Michiru le corse incontro, mentre Akira fece gentilmente scostare il paramedico cercando di convincerlo a posticipare i controlli sull’amica di ancora qualche minuto.
«Sei ferita? Sei piena di sangue, Haruka stai bene?».
«Mi dispiace, principessa» non l’aveva più chiamata così da un’eternità e le era mancato.
«Cosa?» Michiru parve confusa oltre che preoccupata.
«Hai tutte le ragioni del mondo se non vuoi vivere in quella casa. Troveremo una soluzione anche se io, io sono questa infondo. Forse sono comunque un topo di fogna, ma ti amo e va bene così. Va bene se mi ricordi che io sono una di queste bestie, anche se non vorrei esserlo e-».
«Haruka…»
«Fammi finire».
Michiru soppresse ogni parola e le cinse il collo con le mani ignorando il sangue, lo sporco, i vetri incastrati nella felpa e qualsiasi altra cosa.
«Non voglio perdere più nemmeno un minuto a litigare. Voglio solo essere migliore, almeno per te. Perché se un giorno me ne andassi non voglio che tu faccia incidere sulla mia lapide che sono stata una poco di buono o…».
«Haruka, non sei un topo di fogna e tanto meno una poco di buono, io…mi dispiace. Ho reagito male, ho avuto paura e non ho ragionato ma è tutto ok adesso. Mi fido di te, così come ho sempre fatto».
 
Haruka tirò un lungo respiro quasi fosse stata in apnea per una vita e solo in quel momento si permettesse di respirare.
«Cos’è successo?» le chiese delicatamente Michiru con lo sguardo apprensivo di chi riesce a cogliere quando qualcosa di oscuro ti divora dentro. Non l’aveva mai vista in quel modo, come se si portasse dietro nient’altro che un’anima a brandelli.
«Solo un brutto incidente…».
«E…?».
«Non guidavo io, lo giuro» tentò di minimizzare la bionda.
Michiru capì che quello non era nient’altro che un’armatura di sarcasmo e che evitare ciò che la feriva non l’avrebbe di certo guarita.
«Non scherzare…cos’è successo davvero?».
Non seppe cosa fosse quello che sentiva dentro ma Haruka trattenne malamente un sonoro singhiozzo.
Michiru la strinse senza attendere oltre. Dapprima ebbe paura di farle male, non aveva idea di dove fosse ferita o cosa le dolesse ma poi non poté far altro che avvolgerla in un abbraccio caldo e cercare di calmare quel terremoto che sembrava le stesse lasciando una strana voragine dentro.
«Sono qui…» le sussurrò all’orecchio con voce morbida e rassicurante. «Ci sarò per sempre».
Ma Haruka aveva appreso proprio quella sera che nulla al mondo era eterno, nemmeno l’amore. Perché ci sarebbe sempre stato qualcosa o qualcuno pronto a strappartelo via.
 
 
*** 
 
 
Tokyo sapeva pianger per davvero.
Una cantilena di tuoni aveva accompagnato i passi lenti e cadenzati dei quattro agenti di polizia che portavano in spalla la bara della poliziotta esemplare, caduta combattendo per la giustizia.
Rei sfilava con loro in un abito color borgogna e stretta in un cappotto nero. Non aveva voluto indossare la divisa poiché per la sua donna aveva sempre voluto mostrarsi solo al meglio.
Da dietro le lenti scure del paio di occhiali da sole, indossati solo per nascondere quanto dolore navigava nelle sue iridi, intravide Haruka - accompagnata da Michiru – alle spalle della folla stretta nel cimitero.
Sentì una stretta allo stomaco. La bile sembrò riversarsi nel suo intestino e bruciarle sino in gola.
Haruka era una yakuza e si trovava nel posto meno adatto al momento meno adatto sulla faccia della terra. Ma poi le venne in mente Setsuna. Si ricordò le sue ultime parole e di come aveva previsto ogni suo pensiero futuro.
Per lei Haruka non era più solo un membro della yakuza ma una partner che avrebbe fatto carriera. Qualcuno che avrebbe potuto archiviare e portare a termine il caso che l’aveva uccisa.
Haruka era la rivincita di Setsuna in terra, non qualcuno sul quale vendicarsi inutilmente.
 
La bionda le rivolse un cenno col capo.
Un gesto impercettibile di solidarietà.
Un “sono con te” silenzioso o qualcosa di simile.
Rei non riuscì a risponderle. Poggiò sul legno scuro la bandiera della patria per la quale Setsuna era caduta.
Ricordò la sua voce.
Ricordò il suo tocco.
Poi la lasciò andare. Lo fece sotto strati di terra trattenendo il dolore lancinante che le pizzicava gli occhi e la gola.
Man a mano la folla si disperse. Rimasero pochi intimi fino a che non calò un silenzio simile all’eternità che l’avrebbe separata da Setsuna.
Rei mandò un ultimo bacio poi si voltò fissando le spalle di Haruka incurvate un po’ in avanti e si allontanò da quel luogo.
Tokyo sogghignò con le guance bagnate di pioggia, mentre qualcuno poggiò uno splendido fiore di ricino sulla sua tomba di Setsuna.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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