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Autore: heather16    31/05/2016    0 recensioni
"Ma ora me ne vado; tu, lurida, tu, che eri la mia pura dea e ora giaci su di me, nuda e sporca di sesso. Io sono il mio nuovo dio; e al tuo risveglio con te ci saranno solo vergogna e polvere." 1500. ascesa al potere di Giuliano De Gasperi, fra sesso, imbrogli e notti insonni a riflettere. fatemi sapere cosa ne pensate, il vostro parere è importante!
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mio nome è Giuliano. Sono il figlio bastardo dei conti De Gasperi. Il lurido figlio bastardo, a detta della mia matrigna, Luisa De Gasperi. Di nobile la mia famiglia ha solo il titolo. Siamo poveri, viviamo in un palazzotto che sta lentamente andando in rovina, e sempre meno sono i nostri possedimenti nelle campagne. Ho quindici anni, e mio padre dice che sembro una spiga di grano. E ovviamente non è un complimento. Non so perché abbia scelto questo nomignolo, forse per le mie gambe scheletriche, per i miei capelli biondo cenere, perché sono molto alto, o forse per tutte queste ragioni insieme. In ogni caso il sogno della mia matrigna era che io andassi in convento, più per levarmi dai piedi che per una mia propensione monacale, ma mio padre mi ha protetto, permettendomi di continuare i miei studi. Ho un fratellastro, di vent’anni, e poi ho Beatrice. È la mia sorellastra, ha diciotto anni, e presto andrà in moglie a qualche uomo facoltoso. Almeno, questo è quello che spera mio padre, dato che abbiamo bisogno di soldi. Diventare parassiti di qualche ricco signore recentemente è una delle più grandi aspirazioni di Ferdinando De Gasperi, e la cosa mi contraria non poco, perché ho una grande stima del genio di mio padre. Forse è vero che l’amore per la cultura e il disprezzo per gli affari economici punisce l’uomo con la mancanza di denaro.  Dunque, Beatrice è bella. Bellissima. Assomiglia a sua madre, che sembra un altero fiore appassito e gonfio d’odio, ma i suoi occhi celesti sono buoni e dolci come quelli del padre. È piccola e minuta, sul suo viso spiccano sempre due gote rosse deliziose. È gentile e intelligente, ed è la mia unica amica.
Voglio ora sfogare il mio genio, che talvolta stimo più di quello di mio padre. Sono frustrato, perché sono giovane, debole e fallito in partenza. Quando ero piccolo, e Beatrice per volere del padre già studiava la letteratura e la filosofia, e si poneva i primi quesiti sull’esistenza, mi diceva che la fortuna di ogni essere umano è semplicemente quella di esistere. Per una cagione o per l’altra, gli sfortunati non sono mai nati. Le sue parole erano così confortanti, mi davano l’illusione di essere speciale. Credevo ad ogni sua riflessione, e mi gustavo quei discorsi come un bambino, che dopo pianti disperati e vagiti acuti, finalmente poggia la bocca sul seno della madre, e succhia. Ma sono cresciuto, ho assaggiato l’amaro sapore delle lacrime, e ho capito che i veri sfortunati sono quelli che vengono al mondo dal nulla. Un bambino senza un padre o una madre è un bambino mai nato. Tutti lo odiano solamente per il suo esistere, quasi pensassero che questa fortuna tanto millantata da mia sorella fosse stata data alla persona sbagliata. Mio padre in fondo è convinto che io non valga nulla, la mia falsa famiglia mi detesta, e io sono costretto a vestire i panni del giovane fallito quando dentro voglio solo essere un re. Sì, perché ho la dolorosa consapevolezza che sono intelligente. Non sono superbo, so la verità. Perciò voglio riscrivere sulle pagine del destino  il mio futuro. Domani mattina me ne andrò di casa, nessuno saprà della mia partenza.  Troverò la mia via, e regnerò sul mondo, dimostrando a tutti che un figlio di nessuno è paragonabile a Gesù Cristo, perché come lui è definibile generato e non creato, e ne ha le stesse forze. Blasfemia? No.
Mi sveglio da un sonno agitato, pieno di progetti per il futuro, ma appena i miei occhi vengono irrorati della luce del mattino, come se la stessa fosse un’ondata di realtà, mi rendo conto che ancora niente è stato concluso, decido. E mi sento un fallito. Mi vesto, e mi rimiro nello specchio. Sono magro, i vestiti sembrano sempre troppo larghi, ho un volto triste, sciupato. Sono brutto. Scendo al piano di sotto. Nessuno mi ha aiutato a prepararmi, o mi ha svegliato con parole gentili. La mia matrigna non vuole. Mio padre non lo sa che sono trattato come un misero servetto, ma io non dico nulla. Ho paura di sentirgli dar ragione a lei. Anche perché ormai, date le difficoltà economiche, abbiamo problemi anche con la servitù. E poi ho troppa paura di quello che quella donna potrebbe farmi. Così sono stato costretto a tenere le tende tirate, e a percepire la luce dell’alba. Quella è la mia sveglia. Al tavolo della grande sala da pranzo siedono i miei fratelli e la mia matrigna. Mio padre, come al solito, sarà già chiuso nel suo studio a leggere di questioni aristoteliche eideologie platoniche, passando da un libro (e argomento) all’altro con notevole disinvoltura. La luce di una grande finestra illumina la tavola di un chiaro bagliore dorato. Saluto,e a malapena ricevo una risposta. Sedutomi poi in silenzio, inizio come tutti giorni a studiare i miei commensali. Mi piace percepire quella quotidianità di cui io in realtà non faccio parte, per poi nei sogni più intimi fingere, illudermi, di essere uno di loro. Mio fratello Tommaso sta sbocconcellando del formaggio, la bella Beatrice imburra un pezzo di pane. E poi c’è lei, la mia matrigna. Lei non mangia mai alla mattina. Si crogiola nell’osservare i suoi bei figli, e nel guardarmi con disapprovazione. Quando allungo una mano per prendere una fetta di pane mi fulmina con lo sguardo, e quando immergo il cucchiaio in una ciotola di porcellana di conserva, mi guarda come fossi un ratto che, salito sulla tavola, inizia a contaminare tutti i cibi di una lorda peste che presto dilagherà fra tutti i commensali. Mando giù a fatica il mio pasto. Ogni giorno è così. Quando non c’è mio padre, quella donna mi fissa con i suoi bellissimi e crudeli occhi neri, e mi toglie il respiro. Dio solo sa quante volte ho cercato il suo amore, quante volte dopo una caduta ho agognato un corpo caldo e morbido in cui potermi accoccolare per essere confortato. Ma nulla, lei mi odia e mi odierà per sempre. Beatrice sa cosa provo. Lei, con quel viso innocente che a volte pare quasi assente, vede e percepisce ogni cosa. Si alza-
-Vieni Giuliano, ho bisogno di prendere una boccata d’aria. Madre, possiamo andare?-
Luisa De Gasperi è una donna cattiva. Ma ama suo figlio. E suo figlio ama Beatrice, più di quanto lei da madre possa farlo. Quindi, sebbene disapprovi il suo rapporto con me, e odi a morte quel bel visino fresco e senza difetti, annuisce con aria greve.
-Grazie, non credo che avrei resistito un minuto di più.-
-Vuoi sapere una cosa? Nemmeno io.- ride lei. Camminiamo per un po’ in silenzio. Lei di cose da dire ne avrebbe, ma il suo obbiettivo sembra sempre quello di volermi far parlare. Lei vuole che io mi apra con lei, che le confidi ogni mio dolore e segreto. Perché tutto ciò che lei vuoleè aiutarmi, farmi star bene. Ma io sono un fallito, un idiota, un incapace, e sebbene siano tante le parole che vorrei sussurlarle all’orecchio, dirle ad alta voce, o gridare al mondo intero, non riesco a esprimermi. Sono un codardo.
La guardo, e lei mi dà la forza e la soluzione. Nei suoi occhi vedo cosa devo fare.ora so dove devo andare. Domani all’alba partirò. Ma oggi è ancora oggi, io sono ancora io, e la mite e bella Beatrice è ancora sull’erba verde a passeggiare con me, e ho ancora un giorno per dirle con gli occhi tutto ciò che vorrei.
 
Nota: ecco il primo capitolo vero e proprio…  fatemi sapere cosa ne pensate. Lo dedico (uauh, che altezzosa, che fa le dediche come le autrici nei libri) alla mia amica Beatrice, domani è il suo compleanno e se mi leggerà vorrei solo dirle che le voglio bene…. Spero che con la descrizione di questa Beatrice, lei possa capire quanto è speciale…
  
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