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Autore: ElaineAnneMarley    31/05/2016    1 recensioni
È il primo giorno d’estate e Agata viene avvicinata da un ragazzo dall’aria smarrita. È la prima volta che incontra qualcuno di Levante, il continente al di là delle montagne. Lui ha i tratti tipici dei levantini: la pelle olivastra e gli occhi a mandorla. Gli occhi. Occhi di un colore simile non esistono, neanche a Levante. Sono di un blu intenso con scaglie ambrate e sembrano racchiudere la storia del mondo.
«Ti ho trovata» e il ragazzo lascia andare un sospiro di sollievo «appena in tempo.»
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 26

PONENTE, 5 ANNI E 331 GIORNI FA – La catena montuosa tra Ponente e Levante

 
Il pilota aveva mollato le spesse cime che legavano la mongolfiera al suolo. Agata si era sporta per guardare il porto diventare sempre più piccolo, fino a sembrare come un foglio increspato punteggiato di segni colorati. Era la prima volta che volava e la sensazione istantanea che provò fu un'improvvisa pace interiore. I dubbi che l'avevano torturata per giorni furono avviluppati dalle nuvole fino a divenire un ricordo lontano, lontano come era la terra in quel momento. Non appena raggiunsero una certa altitudine, il conducente porse loro delle coperte di pelle di orso dei ghiacci, uno dei tessuti più caldi dei due continenti.
Tseren fece un cenno col capo, come a dire che non ne aveva bisogno. Era la prima volta che Agata posava lo sguardo sul ragazzo Drago da quando erano partiti, a tal punto era stata rapita dal panorama. Tseren era felice, l'aria era chiaramente il suo elemento. Sembrava voler saltare nel vuoto da un momento all'altro, tanto che il pilota lo osservava di sottecchi preoccupato. Il vento gli spettinava i capelli scuri, dandogli un aspetto ancora più selvatico.
Al tramonto l'uomo riempì la cesta di cuscini gonfiabili. Dal momento che non c'era abbastanza spazio per sdraiarsi, la notte dormivano seduti in mezzo alle borse e ai cuscini. Ad Agata sembrava una sistemazione di gran lungo più comoda della terra fredda su cui avevano riposato nel corso del viaggio lungo il fiume. Tseren non aveva ovviamente bisogno della sua coperta, l'Ascendente poteva quindi utilizzarle entrambe e non soffrì mai il freddo, nonostante le temperature toccassero picchi ben al di sotto dello zero.
Erano in volo da tre giorni pieni, le giornate trascorrevano lente e silenziose. Il frastuono delle voci del cielo e gli stridii causati dalla mongolfiera rendevano faticosa la comunicazione. Il pilota aveva preventivato altre quindici ore di volo per arrivare a destinazione. Nei momenti in cui le nuvole si diradavano, i ragazzi potevano osservare le cime innevate puntellate di qualche albero scuro.
“Non posso credere che le hai attraversate a piedi...” sussurrò Agata nell'orecchio di Tseren, una volta che erano affacciati fianco a fianco.
Il ragazzo rimase un attimo assorto, forse rivivendo i momenti più ardui di quell'avventura.
“Diciamo che ero motivato dalla disperazione... dovevo trovarti in tempo lo sai…” rispose lui, con un sorriso triste.
 
Nel cuore della terza notte, Agata fu svegliata da un rombo che parve durare secondi interminabili. Quasi contemporaneamente una secchiata d’acqua gelida la bagnò dalla testa ai piedi. La ragazza aprì gli occhi spaesata, cercando di ricordare dove fosse. Prima che potesse mettere insieme gli elementi che la guidassero alla risposta, una raffica violenta fece ondeggiare la cesta della mongolfiera e la ragazza rotolò contro le gambe del pilota che cadde imprecando.
Tseren le fu subito accanto e la aiutò a legarsi a una delle imbracature d’emergenza, che servivano appunto a legare l’equipaggio alla mongolfiera in caso di maltempo. Tseren aveva già indossato la propria e con prontezza la legò a quella della sua Ascendente.
La pioggia continuava a picchiarli impetuosa ed era talmente fitta che la ragazza aveva l’impressione di annegare. Ogniqualvolta apriva la bocca per respirare era costretta a sputare fuori l’acqua che vi entrava senza pietà.
Tseren non temeva per la propria vita, ma per quella dell’Ascendente. Aveva vissuto situazioni ben più rischiose di quella e sapeva che il suo colpo di Drago era fatto per resistere alla forza bruta della natura. Al contrario di quello delicato della ragazza da cui dipendeva il corso che avrebbe preso il resto della sua vita. Da un lato un’esistenza centenaria tranquilla, il suo segreto protetto tra i pendii del monte Ariun; dall’altro una vita solitaria con l’impossibilità di contenere la sua natura di drago, la sua metà incontrollabile assetata di distruzione. Il ragazzo strinse Agata a sé e appoggiò il capo di lei sul proprio petto.
Agata stringeva con forza le corde di cui era composta l’imbracatura di Tseren, anche in quel momento in cui rischiava di morire, il suo cervello continuava a macinare senza sosta. Tenersi stretta a lui invece che alla cesta non era razionalmente la scelta giusta. Era chiaro che la decisione più sicura era evitare a tutti i costi di venire catapultati fuori dall’abitacolo, eppure l’istinto la portava a non staccarsi dal Drago. Per nulla al mondo poteva separarsi da Tseren.
Il lampo successivo illuminò il cielo e i due ragazzi si accorsero che avevano perso quota. Erano pericolosamente vicini alle montagne e la pioggia si era trasformata in nevischio.
“Dobbiamo tornare indietro!” il vento spinse la voce del conducente fino alle orecchie di drago di Tseren.
“NO!” gridò lui in riposta “Non possiamo tornare indietro!”
“Non abbiamo scelta, proseguendo in quella direzione rischiamo di finire direttamente nel vortice della tempesta, dove si frangono i fronti!”.
Tseren sapeva che non potevano permettersi di tornare indietro, mancavano solo due giorni alla fine della settimana di luna nuova e non poteva rischiare di affrontare la traversata senza il vantaggio di potersi trasformare in drago. In caso di pericolo non sarebbe stato in grado di proteggere la sua Ascendente.
“Ho detto di no!” gridò ancora. “NO!” ripeté in ponentese.
“La decisione è mia, sono io che guido questa mongolfiera” e il pilota prese a trafficare con gli strumenti che servivano a governare la mongolfiera.
“Facci scendere qui!” gridò Tseren mentre l’ennesimo scossone fece volare i cuscini gonfiabili fuori dal cesto.
“Ma sei impazzito? Vuoi che vi faccia scendere nel bel mezzo della catena montuosa? Non so neanche dove siamo, potremmo aver già varcato il confine con Levante!”
Tseren si avvicinò minaccioso alla postazione di comando della mongolfiera, trascinando Agata con sé. La ragazza si chiese se avesse capito bene, il ragazzo aveva per caso chiesto di essere lasciato lì? Nel mezzo del nulla?
“HO DETTO DI FARCI SCENDERE QUI!” e tirati fuori gli artigli, il Drago prese ad armeggiare con i comandi. La mongolfiera ondeggiò violentemente, fuori controllo.
“TU SEI MATTO!” gridò il pilota. “Vuoi morire qui?! E va bene! Ma non ho la minima intenzione di accompagnarti nell’aldilà”.
L’uomo riprese la guida della mongolfiera e la fece discendere verso un pendio innevato.
“Vuoi scendere? E allora scendi!” continuava a gridare, ormai fuori controllo. Con rabbia afferrò le borse dei due ragazzi e le scaravento fuori bordo.
Agata non riusciva a seguire la conversazione per via delle urla del vento e poiché i due parlavano in levantese. Era certa che Tseren avesse chiesto di scendere e la reazione furiosa del conducente le fece intuire che dopo essersi opposto, l’uomo aveva infine accettato di condannarli a quella che ai suoi occhi doveva sembrare una morte certa. Non poteva sapere che Tseren era già sopravvissuto ai pericoli di quelle montagne.  
Nel momento in cui la mongolfiera scese di nuovo verso la distesa innevata, Tseren usò con prontezza i suoi artigli per tagliare le corde che li legavano alla cesta e salì in piedi sul bordo.
L’ultima cosa che vide Agata, prima di cadere nel vuoto, fu la faccia atterrita del pilota. Quella vicenda l’avrebbe probabilmente perseguitato per sempre.
La ragazza non era riuscita a stimare l’altezza da cui si erano tuffati, doveva essere almeno una decina di metri. Si strinse ancora di più a Tseren e chiuse gli occhi. Stranamente non aveva paura, sapeva che il ragazzo Drago l’avrebbe protetta.
L’impatto fu attutito dal corpo di Tseren. Il ragazzo non ebbe problemi ad atterrare su un ginocchio, nonostante la violenza del vento e il nevischio che pungeva loro la pelle.
Agata si sentiva congelare, era completamente bagnata e il freddo le faceva gelare i vestiti addosso. Tseren li liberò delle corde e recuperò una delle due borse, la ragazza sperò che fosse la sua, sarebbe stato un peccato aver perso la mappa di Levante. Fortunatamente una delle coperte di pelle di orso era caduta con loro e il ragazzo la avvolse attorno ad Agata, la cosa non parve cambiare la situazione. La ragazza batteva i denti in modo incontrollato e aveva le labbra e le mani viola. Si infilò anche lui nella coperta e prese la sua Ascendente sulle spalle. Agata si avvinghiò con gambe e braccia a lui, attratta dal calore che bruciava nel suo petto.
Dopo un tratto che parve interminabile i due ragazzi si trovarono di fronte a un muro di neve alto un paio di metri e spesso almeno cinque. Il ragazzo Drago posò delicatamente Agata a terra e cominciò a scavare freneticamente nella neve.
Agata lottava per rimanere sveglia, non aveva mai sentito tanto freddo in vita sua. Pensò alla sua famiglia, i fratellini che si rotolavano sulla sabbia, i genitori che scendevano dalla barca con le reti piene di pesci, gli occhi colmi di stanchezza mista a serenità, le zuppe calde che preparava sua nonna, le ore trascorse con la zia a ripetere quello che aveva imparato a lezione. Pensò alle sue compagne di dormitorio, Holly Dee, la persona che la conosceva meglio al mondo, Giuditta e i suoi vestiti sempre perfetti, Kanzi che prendeva la matita da dietro l’orecchio per appuntarsi chissà cosa, le freddure di Anika…
Tseren le era di nuovo accanto.
“Non chiudere gli occhi, Agata, non chiudere gli occhi…” le ripeteva. Chiudere gli occhi era proprio quello che desiderava di più in quel momento. Il ragazzo la trascinò nella neve fin dentro la buca che aveva scavato nel muro di ghiaccio. Aveva creato un abitacolo nella neve, stretto quanto la fossa in cui avevano cercato fossili per una settimana. Portò dentro anche la borsa e freneticamente prese a rovistare all’interno finché non trovò i vestiti di ricambio della ragazza. Infondo era stati fortunati a recuperare proprio quella borsa.
Aiutò Agata a liberarsi dei vestiti bagnati e indossare quelli rimasti più asciutti all’interno del bagaglio. Era buio pesto per Agata, mentre gli occhi di Tseren potevano vedere come se fosse giorno. Era il cuore della settimana di luna nuova, la luna era sparita dal cielo e i suoi sensi di drago erano all’apice delle loro potenzialità.
Una volta che fu avvolta nei vestiti asciutti, la ragazza tastò nell’oscurità per trovare Tseren e si strinse a lui, bramosa del calore che il suo corpo emanava. Lui si fece attanagliare in quell’abbraccio disperato e continuò a ripeterle che doveva rimanere sveglia.
“Mi piace la tua voce, hai una voce profonda ma al tempo stesso squillante…” rispose Agata, incapace di distinguere i pensieri dalle parole.
“Mia madre dice…” si fermò. “Mia madre diceva che la mia voce è un misto della sua voce squillante e di quella profonda di mio padre. Mia madre aveva una di quelle risate argentine che mette il buon umore solo a sentirle…”.
“Mi piacerebbe sapere qualcosa di tua madre… raccontami di lei…” disse Agata, sicura che come ogni volta che chiedeva del suo passato, il ragazzo avrebbe cambiato discorso.
E invece quella volta Tseren cominciò a raccontare.
 
   
 
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