Anime & Manga > Lupin III
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Autore: evelyn80    01/06/2016    2 recensioni
Michelle Duval è una giovane donna che, durante la sua adolescenza, ha trascorso alcuni anni con Lupin e la sua banda, innamorandosi perdutamente di Jigen. Quando viene abbandonata nelle mani di Zenigata, giura a sé stessa di vendicarsi del pistolero.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jigen Daisuke, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quattro – Lupin entra in azione
 
Dopo aver riposato per qualche ora, Zenigata e Michelle tornarono al museo. La ragazza aveva fatto una doccia che l’aveva aiutata a calmarsi poi, invece di indossare la divisa, si era vestita con abiti civili.
«Voglio rimanere nella sala in cui è esposto il “Blue Hope”, ma senza attirare l’attenzione» spiegò all’ispettore quando questi gliene chiese il motivo. Zenigata annuì, approvando la sua scelta. Anche secondo lui era un bene che qualcuno rimanesse di guardia proprio davanti al gioiello, e chi meglio di lei poteva farlo?
Una volta giunti nuovamente nel giardino entrambi fecero un ultimo giro di perlustrazione e di controllo, verificando la posizione dei mezzi di supporto e dei poliziotti in rinforzo. Quando l’ispettore fu completamente soddisfatto i due presero posizione: l’uno nella sala di controllo interna, davanti ai monitor delle telecamere di sorveglianza, e l’altra nella sala espositiva dove, oltre alla leggendaria pietra dalla storia secolare, erano esposti alcuni quadri di pittori famosi, protetti dall’umidità brasiliana da teche in vetro antiproiettile.
In piedi davanti ad una di esse Michelle riusciva a controllare, riflessa nel vetro spesso, la scena che si svolgeva alle sue spalle: le persone entravano quasi con deferenza e, con altrettanta lentezza, sfilavano davanti alla campana che conteneva il cosiddetto “diamante maledetto”. La ragazza si era documentata ed aveva scoperto che quel gioiello, che pareva fosse stato sottratto dall’occhio di un idolo in un tempio indiano, era passato in diverse mani, spesso famose – come i re di Francia Luigi XIV e Luigi XVI – lasciando dietro di sé una scia di morti misteriose. Non la meravigliava il fatto che anche Lupin lo volesse: Arsenio aveva sempre avuto un debole per i monili stregati.
Controllò l’orologio. Data l’eccezionalità dell’evento, il museo sarebbe rimasto aperto fino a tarda ora. Era più che probabile che Lupin e soci aspettassero l’ora di chiusura, per colpire, ma Michelle sapeva per esperienza che, da loro, c’era sempre da aspettarsi delle sorprese. 
Per un attimo si lasciò distrarre dal quadro che aveva davanti. L’aveva scelto semplicemente perché, dalla sua posizione d’angolo, riflesso nella sua teca poteva vedere meglio ciò che accadeva nella stanza. Era una piccola tela quadrata di Gustav Klimt, rappresentante un bosco di betulle in autunno. Le foglie cadute formavano un tappeto rosso che contrastava con le cortecce bianche degli alberi. Quell’immagine la colpì come un pugno in pieno stomaco, portandola di colpo indietro nel tempo, ad un altro bosco autunnale di undici anni prima.

Da quando Jigen le aveva regalato la pistola, Michelle si esercitava ogni volta che poteva. Ed il tempo, in effetti, non le mancava quasi mai, visto che Arsenio, Daisuke e Goemon avevano l’abitudine di lasciarla spesso e volentieri di guardia al loro rifugio. A volte aveva insistito così tanto per avere la possibilità di seguirli che Lupin era stato costretto a cedere, ma la cosa era talmente rara da potersi contare sulla punta delle dita.
Quel giorno non avevano fatto eccezioni: l’unica differenza consisteva nel fatto che Jigen era rimasto al rifugio con lei. 
Decisa a sfruttare il tempo libero, Michelle uscì dalla baracca nascosta, ancora una volta, in mezzo ad un bosco. Prese di mira un vecchio albero secco e cominciò a sparare un colpo dietro l’altro, mandando tutti i proiettili in un raggio di pochi centimetri. Così occupata com’era, non si era accorta che anche Jigen era uscito.
Il pistolero si era sdraiato sul tappeto di foglie cadute, togliendosi la giacca per farne una sorta di cuscino improvvisato, appoggiando la testa contro il tronco d’albero più vicino. Con il cappello calato sugli occhi pareva che dormisse, mentre in realtà osservava attentamente la sua “allieva” all’opera. Era migliorata decisamente dalla prima volta in cui aveva sparato ed era diventata brava, molto brava; forse persino troppo per la sua giovane età.
«Non pensi di esserti esercitata abbastanza?» le chiese quindi, facendola sobbalzare.
«Daisuke… Ero talmente concentrata che non mi ero nemmeno accorta che eri lì.»
«Ho visto, infatti.»
«Perché dovrei smettere? In fondo non ho nient’altro da fare!»  rispose Michelle, voltandosi a guardarlo maliziosa. «O forse tu hai in mente qualcosa di più divertente?»
Jigen alzò la tesa del cappello, fissandola negli occhi. Ogni volta che lo faceva la ragazza si sentiva sprofondare in quei due pozzi neri che, dannazione a lui, mostrava solo di rado.
«Chissà…» le rispose, con il tono di voce più basso di un’ottava del solito.
«Non provocarmi, Daisuke! Lo sai che riesco a trattenermi a stento dal saltarti addosso!»
Gli occhi del pistolero non smisero di fissarla, facendole correre un brivido lungo la schiena. Lentamente, Michelle mise via il suo revolver, avvicinandosi poi all’uomo e cadendogli accanto in ginocchio. Jigen non aveva mai smesso di osservarla attentamente e non parve affatto sorpreso né dispiaciuto quando lei gli salì a cavalcioni, appoggiandosi con la schiena alle sue gambe accavallate.
Con un rapido gesto Michelle gli tolse il cappello e se lo mise in testa, strappandogli un’esclamazione di stupore. «Ehi! Il mio cappello!»
«Sta tranquillo, non te lo mangio mica! E poi, cos’avrà mai tanto di speciale?»
«Lo uso per mirare» rivelò il pistolero, tranquillo.
«Cosa?! Tu usi la tesa del cappello per mirare?!»
«Sì» rispose semplicemente, stringendosi nelle spalle. «È così che ho imparato dal mio maestro.»
Michelle lo fissò per qualche minuto senza parlare. «Daisuke Jigen…» riprese infine, «hai un nome giapponese, ma i tuoi occhi non sono a mandorla» e, mentre parlava, con l’indice gli sfiorò l’angolo esterno dell’occhio destro.
«Sono americano»  rispose lui, «ma, a causa di… divergenze… sul lavoro, ho dovuto abbandonare il mio nome e la mia nazionalità, rifugiandomi in Giappone.»
«Che passato misterioso…» mormorò Michelle, incuriosita. «Allora qual è il tuo vero nome?»
«Non esiste più. Io sono e rimango Jigen Daisuke.»
«Non puoi rinnegare ciò che eri!» esclamò la ragazza, stupita ed anche leggermente delusa. Era così curiosa di saperne di più…
«Io l’ho fatto, invece» replicò il pistolero in tono secco, facendola ammutolire.
Per alcuni istanti rimasero entrambi in silenzio, poi la ragazza si chinò verso di lui, andando a cercare le sue labbra. Jigen rispose dolcemente al bacio, passandole una mano tra i lunghi capelli castani. Con la barba le solleticò il mento, strappandole un risolino che fu subito soffocato dall’incontro tra le loro lingue. Daisuke cercò di attirarla ancora di più a sé ma Michelle fece resistenza, interrompendo il bacio. 
L’uomo la fissò sorpreso e lei, sorridendo maliziosamente, prese a sciogliergli il nodo della cravatta che poi fece roteare sopra la testa lanciandola via. Prese quindi a slacciare, con una lentezza quasi estenuante, i bottoni della sua camicia azzurra, scoprendogli il petto. La carnagione ambrata di Jigen risaltò sullo sfondo chiaro della stoffa. 
Il pistolero, col respiro ansimante, allungò le braccia sfiorandole la vita morbida. Michelle cominciò a carezzarlo a sua volta sui capelli, sul viso, sui pettorali. Il corpo di Daisuke reagì involontariamente alla sua stimolazione e, ben presto, la ragazza cominciò ad avvertire la sua virilità che premeva contro di lei. Si sfregò leggermente su di lui, strappandogli un cupo gemito.
«Vorresti… vorresti farlo proprio qui?» riuscì a domandare il pistolero, tra un ansito e l’altro.
«Non vorrai dirmi che l’uomo che ha fatto l’amore in una cassa da morto si fa dei problemi a farlo in un bosco» rispose la ragazza con un pizzico di sarcasmo. «Ed ora non puoi più nemmeno usare la scusa che sono minorenne, visto che ormai ho quasi diciannove anni! Voglio farlo, Daisuke, non ne posso più di aspettare, non l’hai ancora capito?»
Con uno scatto fulmineo, Jigen ribaltò le loro posizioni. Fece sdraiare Michelle al suo posto, dove le foglie conservavano il suo tepore, e si mise a spogliarla a sua volta, baciandola dolcemente su tutto il corpo e carezzandola con ruvida tenerezza. 
Michelle si infiammò a quelle attenzioni, cui non era mai stata abituata, ma quando Jigen si adagiò su di lei, pronto per penetrarla, al suo viso si sovrappose quello del direttore dell’orfanotrofio e la ragazza cominciò a tremare come una foglia. Il pistolero se ne accorse subito.
«Se non te la senti, non sei obbligata a continuare» mormorò, preoccupato.
Lei alzò il viso per fissarlo negli occhi. «Non fermarti, Daisuke… Ti prego, non fermarti.»
E così, lentamente e con tutta la dolcezza di cui era capace, Jigen la penetrò e la fece sua. Tra le sue braccia, Michelle si sentì finalmente una vera donna. Questo era amore, riuscì a riflettere incoerentemente, mentre si muoveva a ritmo con lui in una sorta di danza fatta di pura estasi. I baci di Jigen, le sue mani, il suo corpo la risvegliarono da quella specie di stasi in cui era inconsciamente entrata a seguito delle violenze subite. Quando raggiunse l’apice del piacere, il primo della sua vita, si sentì come esplodere. Non riuscì a trattenersi e gridò il nome del pistolero che, travolto pure lui dall’amore che provava nei confronti di quella ragazzina, così dolce ma determinata al tempo stesso, si lasciò andare, riversandosi come un fiume in piena dentro di lei.
Dopo alcuni minuti necessari per riprendere fiato, entrambi si rivestirono. Jigen si stese di nuovo a terra, con la testa appoggiata alle radici dell’albero e Michelle si accoccolò contro di lui, affondandogli il viso nell’incavo del collo, per inebriarsi del suo odore.
Fu così che Lupin e Goemon li trovarono al ritorno dal loro sopralluogo…


La potenza di quel ricordo così vivido destabilizzò Michelle che, improvvisamente, ebbe un capogiro. Fu costretta ad appoggiarsi alla parete per non cadere e, per alcuni istanti, perse il controllo di ciò che avveniva intorno a sé. Mentre la vista si schiariva pian piano, riuscì a notare con la coda dell’occhio tre uomini, dall’aspetto singolare ma che le sembravano terribilmente familiari. Raddrizzandosi con fatica li vide avvicinarsi alla campana contenente il diamante e chinarsi su di essa come normali curiosi, eppure c’era qualcosa che non la convinceva. Quando il più magro si mosse, capì cosa l’aveva insospettita: avrebbe riconosciuto quell’andatura dinoccolata ovunque! Quello era Lupin!
Fece appena in tempo a recuperare l’equilibrio che già il ladro aveva estratto alcune piccole bombe fumogene che, con un gesto teatrale, sparse per tutta la sala. Al contatto con il pavimento, le bombe sprigionarono il loro fumo acre, confondendo la vista e stordendo i presenti.
Michelle si coprì il viso con la manica, gli occhi che lacrimavano a contatto con il fumo al punto tale da impedirle quasi di vedere ciò che succedeva a pochi metri dal suo viso. All’improvviso un forte boato esplose nella sala. Voltandosi alla sua destra la giovane donna vide una sezione perfettamente circolare della parete della stanza cadere fragorosamente al suolo, alzando una nube di polvere che andò a mescolarsi al fumo. Subito dopo, il trillo acuto e penetrante del sistema d’allarme del museo le perforò le orecchie: Goemon aveva tagliato la campana di vetro e Lupin si era impadronito del diamante. 
Tossendo e lacrimando, Michelle si fece strada tra le macerie, scansando a gomitate i visitatori che, ancora increduli, si guardavano intorno spaesati, lanciandosi all’inseguimento della banda di ladri. Non doveva assolutamente perderli di vista. Correndo da una sala all’altra, la giovane donna attraversò le pareti tagliate dalla spada del samurai, arrivando all’esterno giusto in tempo per vederli salire sulla loro Fiat 500.
Lì si ricongiunse con l’ispettore Zenigata che, non appena aveva sentito scattare l’allarme, era uscito come una furia dalla sala di controllo facendo roteare le manette sopra la testa.
«Fermati Lupin!» gridò, saltellando sul posto come un ossesso, per poi lanciarsi all’inseguimento del suo acerrimo nemico, accompagnato da una fiumana di poliziotti federali. La scena era così simile a quella in cui aveva incontrato Lupin & Company per la prima volta che Michelle fu quasi tentata di mettersi a ridere. Mantenendo a stento la compostezza anche la giovane donna si buttò al volante di una delle gazzelle della polizia, partendo prima che qualcun altro potesse salire con lei.
Stringendo con fermezza lo sterzo si mise all’inseguimento dei suoi ex amici, deviando su una strada che, proseguendo a mezza collina, le consentiva di vedere meglio i movimenti degli altri. La Fiat 500 di Lupin stava percorrendo a tutta velocità una delle strette viuzze del centro della capitale, tallonata a breve distanza dalla volante da cui Zenigata si stava sbracciando e che era seguita, a sua volta, da una decina di altre auto stracariche di poliziotti. Michelle percorse ancora un breve tratto di strada in salita, fermandosi in una specie di piazzola sovrastante proprio la scena dell’inseguimento. Estrasse la sua Smith & Wesson e, mettendosi in posizione come le aveva insegnato Jigen, sparò due colpi in rapida successione, centrando entrambe le ruote dal lato sinistro della macchina dell’ispettore. Il poliziotto alla guida perse il controllo e l’auto, dopo aver compiuto un testacoda, si incastrò tra due edifici vicinissimi tra loro, ingombrando la carreggiata ed impedendo la prosecuzione dell’inseguimento. Zenigata scese dall’auto tentando di seguire correndo Lupin e gli altri, ma dopo soli pochi metri di strada fu costretto ad arrendersi, le mani premute sul petto ed il fiato corto.
Con un sorriso sghembo di soddisfazione, Michelle risalì a bordo e ripartì, recuperando ben presto il contatto visivo con la piccola automobile.


Lupin, convinto di aver seminato i suoi inseguitori, rallentò la corsa.
«Chissà cos’è stato a farli fermare così di botto?» si chiese, grattandosi il mento.
«Che te ne frega. L’importante è che non siano più alle nostre calcagna» gli rispose Jigen, accendendosi una sigaretta rigorosamente storta. Non espresse però a parole il timore che potesse essere accaduto qualcosa a Michelle. Anche se era diventata una poliziotta, non poteva comunque negare a sé stesso di esserne ancora innamorato. «Ora non ci rimane che tornare al nostro nascondiglio» disse invece, tentando di reprimere il desiderio di far fermare Lupin e tornare indietro.
Non appena terminò la frase udirono una piccola esplosione: era scoppiata una gomma. Lupin riuscì a mantenere a stento il controllo della macchinina, che si fermò alcune centinaia di metri più avanti.
«Eh? Ma che è successo?» si chiese Arsenio, mettendo la testa fuori del finestrino ed accorgendosi di avere una gomma a terra. Dallo pneumatico spuntava qualcosa di stranamente scintillante. «Mi sa che ci hanno sparato ad una ruota!» aggiunse, scendendo e prendendo in mano l’oggetto. Era un proiettile modificato ed al suo interno il ladro vide un piccolo foglio di carta arrotolato. Lo prese, gli dette un’occhiata e poi si sporse dentro l’abitacolo. «Questo è per te, Jigen!» rise, porgendo il messaggio al suo socio.
Il pistolero lo afferrò delicatamente tra pollice ed indice poi si mise a leggerlo e, per lo stupore, alzò il cappello fino a scoprire gli occhi sgranati.
«“Se sei un uomo, fatti trovare domani mattina all’alba ai piedi del Redentore. Firmato Michelle Duval”, lesse a mezza voce, a beneficio degli altri due.
«Oh oh! A quanto pare anche la nostra Michelle non ha dimenticato il bel tenebroso pistolero del suo cuore!» scherzò Lupin, pungolandolo con il gomito.
«Smettila, idiota! Non credo che si tratti di un appuntamento galante.»
Dopo essere sceso a sua volta dalla macchina, Daisuke alzò lo sguardo verso la più probabile direzione di provenienza del tiro. Alcune decine di metri sopra di loro si snodava una strada. Ferma sul ciglio c’era un’auto della polizia. La sagoma scura ferma al suo fianco fece un cenno col capo, per poi risalire a bordo e scomparire.
«Michelle…» mormorò di nuovo il pistolero, seguendo con lo sguardo la volante che si allontanava. Lupin lo riscosse dal suo torpore.
«Allora, ci andrai?»
Jigen chinò lo sguardo sul bigliettino che stringeva ancora in mano. «Sì.»
«Vuoi che veniamo con te?» chiese Goemon, in tono quasi premuroso.
«No, questa è una faccenda che devo risolvere da solo.»
«Ok» accondiscese Lupin, «ma se avrai bisogno di noi non esitare a chiamarci!»
Mentre il ladro sostituiva la gomma, il silenzio di quel quartiere fu interrotto dal rombo possente di una motocicletta. Dopo pochi minuti, il mezzo si fermò di fianco alla Fiat 500. Fujiko tolse il casco e scosse la lunga chioma di capelli fulvi.
«Ciao Lupin!»
«Fu-Fu-Fujiko?! Che cosa ci fai tu qui?!»
«Zenigata mi ha detto che volevi rubare un diamante e così ho pensato di approfittarne!»
Con un gesto fulmineo, la donna passò le dita sotto al colletto della giacca di Lupin, il luogo segreto in cui di solito nascondeva la refurtiva di piccole dimensioni. «Scusami se non posso trattenermi. Bye bye!» aggiunse, subito dopo aver trovato ciò che cercava.
Facendo scomparire il gioiello nel solco tra i seni, Fujiko se ne andò facendo rombare il potente motore, lasciando i tre soci a bocca asciutta.
«E ti pareva…» esalò Lupin, incassando la testa nelle spalle. I due soci non gli risposero: Goemon pareva in profonda meditazione, ma forse stava solo pensando al modo migliore per redimere quella donna, di cui era profondamente innamorato; Jigen, invece, era già con la testa sul Corcovado, ai piedi della gigantesca statua del Cristo. Che cosa aveva intenzione di fare Michelle? E lui, come avrebbe reagito? L’amava ancora, era innegabile. Benché in quei dieci lunghi anni non fosse certo stato a digiuno di donne, quella ragazzina l’aveva comunque stregato. Ma non era forse vero che tutte le donne di cui si era perdutamente innamorato avevano fatto una brutta fine? 



Spazio autrice:
Ecco il nuovo capitolo della storia. Ormai siamo quasi agli sgoccioli. Ne manca più soltanto un e l'epilogo. Spero che anche questo sia di gradimento!

 
  
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