Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance
Segui la storia  |       
Autore: MySkyBlue182    03/06/2016    1 recensioni
Le persone che amava, Gerard le amava sul serio.
Seguito di Trust me
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bob Bryar, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve! C:
Inizio dicendo che mi dispiace per l’immenso ritardo, ammettendo anche che il capitolo era pronto e non l’ho pubblicato fino ad oggi. Non inventerò scuse, voglio essere sincera e semplicemente non posso dire di esser il ritratto della salute e quindi ecco, ogni tanto ho qualche periodo no, ma proprio no, no, no e la cosa principale che mi viene a mancare è l’attenzione, la concentrazione e di conseguenza non riesco a fare cose che necessitano di impegno mentale. Riesco a fare solo cose passive in cui non devo mettere niente di mio. La realtà è che non riuscivo a scrivere nemmeno un’introduzione per questo capitolo.
Volevo ringraziare tantissimo le persone che si sono sentite di scrivermi e dirmi che ne pensavano del capitolo scorso, vi ringrazio di cuore perché, anche se non mi è tornata la voglia e l’ispirazione, mi sono sentita comunque compresa e in un certo senso amata. Quindi mi scuso essenzialmente con voi per il ritardo.
Poi, per fortuna sono successe anche cose belle in questo periodo e …
MI SONO INNAMORATA! Il fidanzato è sempre il solito , ma sono stata adottata da una gatta completamente nera che sembra una pantera e che un bel giorno di tipo quasi due mesi fa si è presentata nel mio giardino, continuando a tornare ogni giorno, decidendo che io sarei stata sua amica, o che lei sarebbe diventata la mia padrona, chi ha gatti mi capirà!! Ahahaha
E niente, ci tenevo a dirvelo perché ci sarà una parte di questo capitolo che… vabbè non spoilero, ma comunque è stato un fatto curioso, dal momento che questo capitolo lo avevo scritto mesi e mesi fa.
Per il resto… ah, sì, il titolo è una canzone dei the killers che ho ascoltato fino a consumarmi le orecchie, mi piace e forse, bah, potrebbe essere legata al capitolo, in qualche modo.
Ringrazio ancora le persone che mi stanno seguendo, preferendo e scrivendo e voglio ribadire che tutto questo per me è molto importante.
Spero più di voi di essere più celere la prossima volta!
-SkyBlue-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
PRTGMOIcap 4
On top
 
 
 
 
 
La famiglia Way, un tempo aveva posseduto un gatto.
Sì, Gerard aveva avuto un gatto.
Non viveva in casa, lui ne era allergico, ma aveva scelto da sé il loro giardino come casa sua. Forse perché non c’erano cani o altri animali che avrebbero potuto disturbarlo o forse li aveva semplicemente scelti come famiglia, come amici, come compagni con cui condividere la vita e a cui rivolgere le sue attenzioni, le sue fusa e donare le sue coccole.
C’era stato per tanto tempo, era sempre lì fuori, a dispetto di chi sostiene che i gatti siano dei traditori per definizione e cerchino sempre una vita migliore di quella che già hanno. Quel gatto era stato sempre fedele e, quando Gerard tornava a casa, poteva vederlo dormire sul portico, sui muretti che delimitavano la recinzione oppure affilarsi le unghie sui tronchi degli alberi lì intorno. A volte lo aveva anche accarezzato, per poi andarsi a lavare le mani velocemente, prima che gli occhi iniziassero a gonfiarsi o cominciasse a starnutire.
Non aveva mai neanche avuto un nome vero, perché i piccoli Mikey e Gerard erano soliti cambiarglielo di tanto in tanto, ogni volta che si appassionavano ad un nuovo supereroe. Alla fine, una volta sua madre li aveva sentiti chiamarlo Bat e aveva cominciato a chiamarlo anche lei così, facendolo diventare il suo nome ufficiale.
Bat aveva l’abitudine, durante la notte, di dormire sullo zerbino davanti alla porta di casa e, dopo le prime volte che, per sbaglio, gli avevano pestato una zampa o la coda, avevano imparato a fare attenzione e a tenere a mente che il micio potesse trovarsi lì.
Così, quando Gerard usciva di casa e la luce non c’era o comunque non si poteva vedere bene l’esterno, allungava una gamba e con il piede sospeso tastava il pavimento davanti a sé, cercando di localizzare Bat e non schiacciarlo. Lui era sempre lì e quando si sentiva sfiorare con la punta della scarpa non si muoveva neppure ed iniziava a fare quel verso appagato che faceva sempre quando riceveva delle carezze.
Poi era morto, perché la vita di un gatto, per quanto la leggenda narri che ne abbiano sette, in realtà è più breve di quella di un essere umano e quello zerbino era rimasto vuoto. Nessuno dormiva più lì, nessuno occupava quello spazio, nessuno faceva le fusa quando Gerard allungava il piede per tastare la superficie buia davanti a sé, affilando lo sguardo.
Non c’era stato più nessuno, ma Gerard aveva continuato ad allungare la gamba e a muovere cautamente il piede, prima di uscire definitivamente da casa. Era stata un’abitudine per talmente tanto tempo, che sembrava non volesse saperne di smettere di esistere. Ogni volta che accadeva sorrideva, pensando che nessuna palla di pelo avrebbe corso il rischio di essere schiacciata dal suo peso e a causa di questo dettaglio aveva pensato, molte volte, che le abitudini sono davvero dure a morire, che a volte sono più forti dei sentimenti, più forti dei desideri, più forti del coraggio di poterle eventualmente lasciare andare e crearne delle altre.
Per Gerard erano sempre state importanti, le abitudini. Gli creavano quella condizione mentale di sicurezza in cui era certo di quel che sarebbe successo, quello che avrebbe fatto, dove sarebbe potuto scappare in caso di necessità. E alcune erano come quel gatto: non esistevano più le basi sulle quali portarle avanti, ma non riusciva a fare altrimenti.
Era abitudinario in maniera quasi ossessiva.
Era un ragazzo abbastanza famoso, con una band e dei fan amorevoli che lo stimavano e lo seguivano, non era più quello in sovrappeso, criticato e preso in giro, non era più quello che poteva rifugiarsi nella sua stanza e chiudere il mondo fuori, eppure lui si sentiva ancora quel ragazzino timido, chiuso ed introverso, quello invisibile e troppo irrilevante per essere preso in considerazione.
Era come la storia del gatto, erano solo fantasmi di cose passate ed abitudini che avrebbero dovuto essere morte e sepolte, eppure era ancora lì ad odiare chi era e a pensare che le abitudini sono uno di quegli aspetti logoranti, altroché rassicuranti!
Nella testa restano certe cicatrici e le abitudini, con la loro forza e continuità, non fanno altro che farti ricordare chi sei veramente, da dove vieni e quello che non sarai mai.
 
Da quando erano tornati dal tour, era cambiato tutto.
Era stato nel centro di riabilitazione per quei tre mesi, in cui si era ripetuto ogni giorno, tra sé e sé, che era solo una condizione temporanea, che sarebbe tornato a casa, che avrebbe trovato di nuovo il proprio equilibrio, quella serie ordinata di eventi e persone che facevano parte di lui, come era sempre stato. Abitudini.
Ma poi a casa c’era tornato davvero e aveva dovuto accorgersi, con grande tristezza, che niente era realmente più come prima, che il tour era finito, che a casa non si sentiva più se stesso, perché era mancato da tanto tempo e aveva perso ogni consuetudine con cui aveva vissuto prima della fama.
Aveva dovuto arrendersi alla realtà che non era stato lui ad andarsene, come aveva finto a volte, Elena se ne era andata, lei, non Gerard. E quindi anche quello era un aspetto nuovo, vivere la normalità senza di lei.
Aveva dovuto fare i conti con se stesso, capire che non era più il ventenne impaurito dalla vita, ma un quasi trentenne fatto e finito, che avrebbe dovuto rispondere alle sue responsabilità e ai suoi compiti.
Era tutto diverso, non viveva più con gli altri ragazzi, Bob non era nemmeno più a portata di mano, dato che non abitava da quelle parti come gli altri. Ognuno aveva la propria vita e la stava vivendo nel migliore dei modi possibili.
Frank…
Lui nemmeno era quello di prima, ma tutto dipendeva dal fatto che Gerard quel “prima” lo aveva vissuto in modo distorto, con pochi ricordi e molti bisogni, bisogni che cercava nella droga e nell’alcool, in stordimenti programmati e tra le braccia del ragazzo che non gli aveva mai negato niente.
Gli mancava, era vero, sentiva di amarlo e di essere in grado di spaccare il mondo per lui, di reprimere i suoi stessi sentimenti per il suo bene e di guardarlo da lontano e desiderarlo, ma… Ma se anche Frank fosse stato parte di quelle abitudini che gli avevano trasmesso la sicurezza e l’equilibrio che aveva cercato? Se anche lui avesse fatto parte di quei bisogni che aveva cercato disperatamente ovunque, di quella normalità a cui aveva aspirato anche quando di normale non c’era nulla?
Ecco cosa si chiedeva, ecco cosa si stava domandando, cercando di concentrarsi per darsi una risposta.
Si disse che forse avrebbe dovuto chiamare lo psichiatra che lo aveva seguito al centro, come anche lui stesso gli aveva consigliato, si convinse di avere bisogno di qualcuno che gli spiegasse le cose, di qualcuno che potesse capirlo al posto suo, ché tanto lui non ce l’avrebbe mai fatta.
 
L’etichetta iniziava a fare le prime pressioni e questo non aiutava la condizione mentale dell’umore di Gerard.
Il fatto era che le idee le aveva, che ne avevano parlato durante tutto il tour di Revenge, con gli altri, ma aveva una dannata paura. Le solite, in realtà.
Aveva scoperto, durante i mesi in giro per il mondo, che c’erano persone che non solo stavano ad ascoltarlo, ma che credevano nelle sue parole. C’era gente lì fuori che lo prendeva come esempio, come modello, come qualcuno di importante a cui ispirarsi.
Certo, un tizio che teneva concerti da sballato perché se la sarebbe fatta sotto ad affrontare milioni di sguardi puntati su di lui, un cazzone che evitava gli incontri con i fan perché era certo di non avere nulla di interessante di cui parlare. Bel modello, gran bell’esempio, pensò.
Dei  fatidici trent’anni che in effetti aveva, non riusciva a sentirsene nemmeno la metà. Si sentiva intrappolato dentro quel dannato corpo che cominciava ad invecchiare, che avrebbe dovuto essere maturo e colmo di esperienze che lo avevano portato ad essere chi era, ma lui si vergognava come un ladro di oltre la metà delle cose che aveva fatto. Era stato un disastro e aveva coinvolto tutti in quel viaggio verso il baratro.
Pensò a Frank e invidiò i cinque anni di vita che aveva in meno di Gerard.
Poi pensò che si era perso di nuovo, che stava pensando troppo, che la testa gli sarebbe potuta esplodere. Pensò che forse, con tutti quei pensieri, se fosse successo non se ne sarebbe stupito.
Prese una decisione: chiamò lo psichiatra, mettendosi d’accordo per vederlo almeno una o due volte alla settimana e poi prese anche coraggio, di tanto in tanto riusciva a trovarlo, e chiamò Mikey in camera sua, perché voleva spiegarli ciò che aveva in mente per la band.
 
 
-Io dico che è un’idea figa, secondo me piacerà a tutti e poi insomma, lo sai che già erano tutti entusiasti quando eravamo in tour e hai raccontato un po’ che avevi in mente, mostrandoci i disegni!- disse Mikey raggiante, ci credeva più di Gerard stesso nei suoi progetti. Che fossero fumetti o canzoni, qualunque cosa lo faceva esaltare perché sosteneva che Gerard era un genio.
- Vi ho fatto vedere i disegni?- chiese Gerard spalancando gli occhi. Questa gli era nuova.
-Sì, una sera in cui non eri particolarmente sobrio.- sghignazzò Mikey prendendola alla leggera, senza fargli pesare i suoi vecchi errori.
-Oddio.- si espresse Gerard ancora visibilmente colpito.
Chissà quante cose come quella non ricordava, chissà quanti ricordi con Frank erano andati perduti per colpa dei suoi vizi di merda.
-“Oddio” cosa?- gli chiese suo fratello scacciando l’aria in un gesto che sarebbe dovuto servire a sminuire la sua preoccupazione.
-Guarda che sono piaciuti a tutti, Bob ci mancava poco e ti avrebbe sequestrato l’album!- gli raccontò ancora.
Gerard rise ed immaginò i visi dei suoi amici animati dalle smorfie di eccitazione che gli descriveva Mikey.
Poi accostò la parola eccitazione al viso di Frank e smise di pensare alla sua di espressione, tornando a concentrarsi sul discorso con suo fratello. Ne sapeva troppo delle smorfie eccitate di Frank, di qualunque tipo di eccitazione si trattasse.
-E quindi? Quali vi ho mostrato?- domandò curioso.
-Quelli dell’esercito di scheletri!- lo informò suo fratello alzando pure il tono della voce, con un gran sorriso.
- Ah, okay.- sospirò sollevato Gerard.
-Cosa credevi, cos’hai disegnato? Cosa mi nascondi?- cominciò a chiedere rapidamente.
-No, nulla. Ce n’erano alcuni che vi avrei risparmiato, meno male che non ve li ho mostrati!- continuò ad essere sollevato. Lo era, non poteva farci niente.
-Ah, ho capito di quali parli. Li abbiamo visti!- fece Mikey con un ghigno.
-Quali? Cosa? Non è vero!- controbatté confusamente.
-Io penso proprio di sì, invece!- suo fratello continuò a prenderlo in giro bonariamente, cantilenando la risposta e alzando le sopracciglia con aria saccente e derisoria.
-E allora dimmi quali?- chiese per testare la veridicità delle sue affermazioni.
-Per caso –e dico per caso- quelli dei ritratti di Frank nelle sue varie forme e misure e mise?- scoppiò poi a ridere.
Gerard avrebbe voluto sotterrarsi. Al centro di riabilitazione quei disegni erano valsi come le foto di Frank che non possedeva. Li aveva guardati in continuazione, ne aveva consumato i tratti a matita per quante volte li aveva sfiorati.
-Già, erano quelli.- disse abbattuto. Non che fosse chissà quale dramma, ma disegnare era la sua più grande passione e mostrare quelle tavole a qualcuno era come raccontargli qualcosa di sé. Se non a parole, con le immagini. Quindi si era sputtanato per bene, raccontando a tutti che non faceva altro che pensare a Frank.
-Comunque, se hai notato, era sempre vestito in modo diverso.- gli fece notare per riprendersi, -Stavo facendo delle prove per le divise che vorrei che indossassimo per questo album.- gli spiegò sicuro che sarebbe riuscito a togliersi dalla situazione imbarazzante.
-Certo!- continuò a ridere Mikey.
-Ovviamente siamo in cinque e –fatalità- tu fai prove di costumi addosso a Frank. Mi pare ovvio!- non smetteva di ridere e Gerard, ormai, stava per lasciarsi andare e far unire le sue risa a quelle di suo fratello.
Aveva ragione, aveva disegnato Frank perché, dio, ne era ossessionato.
Lo aveva disegnato anche giorni prima, dopo aver visto i suoi capelli un po’ cresciuti, aveva pensato che non aveva ricordi di lui con dei capelli tanto lunghi e aveva rimediato.
Il fatto era che Frank era un così bel soggetto da disegnare…
-Lo hai detto anche in un’intervista che Frank ha un’anatomia perfetta, che è bello disegnarlo. Hai pure chiesto all’intervistatore: “Non lo trovi adorabile?”- gli raccontò Mikey come se si fosse trovato nel bel mezzo dei suoi pensieri e gli avesse confermato che era una cosa che aveva sempre pensato.
- Quando dici certe cose su un soggetto che disegni… quel soggetto ti piace un po’ troppo!- disse ancora sorridendo. Non lo stava prendendo in giro, diceva cose vere, parlava con quel sorriso amorevole che lo contraddistingueva da tutti i sorrisi falsi che era abituato a vedersi rivolgere. Lui non lo giudicava, scherzava e basta. Forse voleva donargli un po’ di spensieratezza, anche se il soggetto del discorso era Frank.
Gerard scoppiò a ridere per quanto doveva essere sembrata buffa ed innamorata quelle domanda che aveva rivolto all’intervistatore. Aveva trovato il coraggio di chiederglielo perché non era in grado di controllarsi, ma lo pensava anche lucidamente. Frank era adorabile. E non lo era soltanto per i sentimenti che lo legavano a lui, anche la prima volta in cui l’aveva visto l’aveva pensato.
E le nottate ad arrovellarsi il cervello, riflettendo su quanta attrazione provava nei suoi confronti, erano state il campanello che avrebbe dovuto allarmarlo, eppure quando pensava a lui smetteva di crearsi problemi, almeno nella testa, e lo vedeva per ciò che era: uno splendore.
Frank era bellissimo, Frank era nato per stare su di un palcoscenico, per catalizzare l’attenzione… e poi era nato per fargli venire in mente pensieri perversi. Quante volte si era ritrovato a baciarlo quando in realtà avrebbe dovuto allontanarlo, quante volte avrebbe quasi voluto mangiarselo per la troppa voglia che aveva di lui. Frank non gli bastava mai e, da quella volta in cui lui era andato via e tornato con quella puttana che non osava nemmeno nominare, non aveva mai smesso di insultarsi e maledirsi perché lui ed i suoi errori avevano fatto sì che lei esistesse nella vita di Frank. Era stata colpa sua, colpa sua come per altri miliardi di motivi.
-Frank è adorabile.- confessò a Mikey con un sorriso.
-Frank è solo un ragazzo normale, tu lo ami e lo vedi perfetto.- gli disse con sicurezza e naturalezza.
Gerard sgranò gli occhi. Era troppo doverlo pensare e sentirselo pure dire. Era come avere la conferma verbale che Babbo Natale non fosse mai esistito. Un trauma.
-Io non lo amo. Io… Mikey… colgo quest’occasione per chiederti aiuto. Lo so che sei suo amico, lo so che vorresti vederlo felice, ma io non sono la sua felicità. Sono tuo fratello quindi cerca di tenerlo a mente e aiutarmi a farglielo capire. Lui può essere felice con quella, vero?- gli spiegò e poi chiese conferma.
-La chiami “quella”, hai un’alta considerazione di lei. Eppure dovrebbe essere la persona che donerà la felicità al tuo amato Frankie.- gli fece notare con calma, - Tu la odi, non lo pensi che saranno felici. Tu vuoi che siano felici ed è ben diverso.- mise in chiaro con serietà.
Gerard scattò impercettibilmente, forse non scattò affatto, ma dentro sé sentì una vampata incendiaria di gelosia, rabbia e tutto il resto invaderlo.
-Certo che la odio, cazzo. Certo che la odio,Mik. Lei può avere quello che io non avrò mai, lei è giusta, lei è normale, lei va bene.- quasi gridò mentre ringhiava amaramente l’ultima frase e sentiva gli occhi in procinto di annegare tra le lacrime.
-Lei non va bene, Gee. Lei non va bene affatto, altrimenti Frank già starebbe con lei da un pezzo, non credi?- gli domandò addolcendo il tono e accarezzandogli in modo rassicurante il braccio.
Gerard lo guardò confuso.
-Come sarebbe a dire che starebbe con lei già da un pezzo? Loro stanno già insieme!- gli spiegò sentendosi stupido nel dire un’ovvietà del genere.
Mikey lo guardò sobbalzando e poi scosse la testa.
-Non stanno insieme. Jamia è sempre con lui, è vero, ma perché Frank non ha le palle di allontanarla definitivamente, ma non vuole stare con lei, non l’ha mai voluto.- disse, e Gerard gli lesse negli occhi la frase che non aveva detto, “lui vuole te”.
Ingoiò il groppo che sentiva in gola e che lo stava facendo respirare a fatica.
Gerard questo non lo aveva capito. E sì che Frank glielo aveva pure detto. Aveva creduto che fossero le frasi false con cui trarlo a sé senza farlo sentire in colpa per il fatto di mettersi tra due persone che stavano insieme. Per Gerard era quasi scontato vederlo con lei, lei c’era sempre. Lei lo adorava, stravedeva per lui, si notava. Frank le aveva sorriso in quel suo modo sincero e trasparente, l’altra sera. Gerard non riusciva a capacitarsene.
Ma forse dipendeva dal fatto che Frank era diverso da lui, che Frank non sorrideva mai quando non ne aveva voglia e se lo faceva era perché lo sentiva davvero. Non era come lui che nascondeva le proprie emozioni anche con se stesso, erano diversi. E forse era proprio questa diversità che li avrebbe tenuti lontani e legati. Si attraevano, ma non potevano realmente passare la vita insieme, due calamite hanno sempre qualcos’altro frapposto tra di loro, che sia un foglio o un intero oggetto. Sono poche quelle calamite che se ne stanno attaccate al loro magnete per sempre e senza nulla di mezzo, e succede perché sono belle calamite, di quelle significative e giuste, quelle che è un piacere vedere attaccate lì per sempre.
Gerard non lo era, lui non era bello, non era un piacere avere a che fare con lui per sempre.
-Non lo immaginavo.- rispose a scoppio ritardato.
-Infatti… perché tu immagini, non sai!- gli fece notare suo fratello e -cazzo- se era vero.
Avrebbe dovuto smetterla di pensare e credere ai suoi stessi pensieri. Non lo avrebbe portato mai da nessuna parte.
Gerard non ebbe più il coraggio di dire nulla, Mikey lasciò cadere il discorso, convinto che forse, per quel giorno, aveva sconvolto Gerard già abbastanza.
 
 
Il giorno dopo era giovedì e Gerard aveva pregato Mikey di chiamare gli altri per vedersi quel pomeriggio.
Aveva preso il coraggio a due mani e stava radunando tutti i fogli con le canzoni che aveva scritto e i disegni che ne erano strettamente connessi, così, se qualcosa non fosse stata chiara, le immagini avrebbero parlato grazie a linee o colori, anche se i colori, come al solito, erano pochi.
Era agitato, lo era sempre quando doveva esporsi, ma la sua band non era formata da gente qualunque, erano prima di tutto amici e quindi, in un certo senso, riusciva a tranquillizzarsi in fretta ogni voltache il suo cervello tentava di far scattare l’allerta di intrusione sconosciuta nella sua sfera personale.
Si incontrarono a casa di Ray, nel garage che avevano usato a volte agli inizi per provare e fare cover.
Aveva sperato di non arrivare per ultimo, ma, come al solito, le sue speranze erano sempre vane, così era entrato nella stanza quando erano già tutti seduti e non aveva potuto guardare indisturbato Frank muoversi e parlare, nemmeno per un secondo. Lo guardò con la coda dell’occhio per un attimo, mentre ascoltava la sua voce che si fondeva con quella di Mikey in qualche discorso.
Come al solito non si era soffermato sul discorso, ma aveva ascoltato quella voce come fosse un pezzo strumentale di qualche canzone che amava tanto, così, quando suo fratello lo coinvolse nel discorso con un “vero Gee?” non seppe cosa rispondere e lo guardò un po’ perso e stralunato.
Per fortuna che Mikey lo conosceva e così ripeté la domanda e basta.
-Dicevo che hai portato i disegni e i testi.- gli fece presente.
-Sì… sì, li ho portati.- disse insicuro, indeciso fino all’ultimo.
-Dio, non vedo l’ora di suonare qualcosa di nuovo.- fece Frank in preda all’esaltazione; non era per Gerard, Frank amava essere un musicista e suonare, amava comporre ed eseguire ciò che gli frullava per la testa. Frank era uno splendido spirito libero. Un magnifico artista.
Forse Gerard si perse un po’ troppo a guardarlo e a notare le dita tatuate che tenevano la lattina di coca-cola e la portavano alle labbra. Forse si concentrò un po’ troppo su quegli occhi lucenti, su quella pelle liscia e quel ciuffo ribelle di capelli che si arricciava sulle punte.
Frank incontrò il suo sguardo e Gerard lo distolse in fretta.
Tirò fuori il materiale che aveva portato prima di ripensarci per l’ennesima volta. Aveva tolto gli innumerevoli disegni di Frank dall’album e aveva lasciato solo quelli pertinenti alle idee per il nuovo disco.
Posò tutto sul tavolo.
-Ecco, questo è tutto quello che ho.- disse per poi guardare, ad una ad una, le facce dei suoi amici, forzando la sua volontà a non soffermare la sua attenzione su Frank.
Si alzarono e andarono intorno al tavolo, Mikey compreso, come se non avesse già visto tutto.
Ray gli disse che aveva qualcosa anche lui e sentì Frank dire lo stesso.
Ora era di schiena, così, anche se non avrebbe potuto ammirare gli occhi cangianti o le labbra rosee e invitanti, lo guardò lo stesso e studiò la sua schiena e il sedere, che non poteva mai ammirare a causa della sua ostinazione a portare solo jeans larghi, gli guardò le gambe, tornò su e si soffermò sulle spalle, si concentrò sul centro, come se facendolo avesse potuto far smaterializzare la maglia e portarsi davanti agli occhi il tatuaggio. Il loro tatuaggio.
-Terra chiama Gerard, terra chiama Gerard.- sentì dire da Ray per poi scoppiare a ridere.
Voltò lo sguardo verso Ray, ma era su un altro mondo, uno di quelli paralleli in cui avrebbe adorato vivere, dove stare con Frank sarebbe stata la cosa più giusta del mondo. Quel mondo dove non esistevano i giudizi altrui e Gerard si comportava bene, perché aveva il potere di tornare indietro nel tempo e cambiare le cose, quando si accorgeva che non erano state perfette. Lì c’era sempre la seconda possibilità, nella realtà mai.
-Sì, dimmi!- rispose sorridendo cercando di concentrarsi. Era un’impresa, per Gerard, restare concentrato.
-Dicevo che hai un sacco di materiale, che le idee di cui ci avevi parlato tempo fa le stai portando avanti alla grande!- si complimentò con lui e Gerard fece uno di quei suoi sorrisi storti ed imbarazzati.
-Beh, sì…diciamo che ho avuto un bel po’ di tempo per pensare.- spiegò scompigliandosi i capelli e ridendo sommessamente, riferendosi ai suoi tre mesi di esilio.
Ray gli si avvicinò con un gran sorriso e lo abbracciò istintivamente, come se fosse proprio quello di cui aveva bisogno. Posò la testa sulla sua spalla ed iniziò a parlare.
-Gee, ecco… io volevo dirti che sono fiero di te!- gli confidò con la voce un po’ emozionata, -Lo siamo tutti, sei stato grande, sei stato forte e spero che da oggi in poi ci siano solo cose belle nella tua vita, perché te lo meriti.- continuò a dirgli a bassa voce accanto all’orecchio, -E le tue idee sono fantastiche, come al solito. Ti voglio bene.- terminò il suo discorso solitario battendogli pacche amichevoli sulla spalla.
Ray era davvero un ragazzo fantastico. Un amico insostituibile, come lo era Bob.
Ovvio che poi per Mikey e Frank ci fosse un posto a parte, nel suo cuore. Uno era suo fratello, l’altro beh…era Frank, era tanto, troppo, era una parte della sua vita a cui forse non sarebbe mai stato in grado di dare un nome, ma era meravigliosamente lui e, anche se non aveva un nome in cui racchiudere ciò che rappresentava per lui, si rendeva conto che era diverso dall’affetto che provava verso i propri amici, anche quelli più stretti.
Mikey era semplicemente un discorso a parte, era la sua famiglia, la sua casa, il suo compagno di viaggio, il suo compagno di vita e per la vita.
Ricambiò la stretta sentendosi soddisfatto di quello che suscitava in Ray ciò che aveva fatto e il suo impegno per tornare a stare bene. Si sentì orgoglioso di se stesso ed erano quei momenti, grazie a quelle parole, che Gerard riusciva ad accorgersi che aveva le persone giuste accanto.
-Ehi, cosa sono tutte queste smancerie?!- saltò su Bob sorridendo giocoso.
Scoppiarono tutti a ridere.
-Eh,sai, l’amore…- ammiccò Ray con fare fintamente serio.
-Ops!- fece poi schioccando le dita.
-Frank, dovremo battercela, il fascino di Gerard è irresistibile!- scherzò tornando a ridere di nuovo.
Gerard, col sorriso stampato sulle labbra, rivolse la propria attenzione su Frank, cercando di cogliere cosa stesse pensando. Cercando di capire se gliene importava qualcosa.
Ma Frank non li stava ascoltando, aveva un disegno in mano e lo guardava assorto e un po’ preoccupato, come se sopra ci avesse trovato descritta la rivelazione dell’intera vita.
Alzò gli occhi dal foglio ancora perso nei suoi pensieri. Li guardò confuso.
-Cosa?- fece facendo saettare lo sguardo da un viso all’altro. Si soffermò negli occhi di Gerard e Gerard cercò di reggere, tentò di essere forte e sostenere i suoi occhi. In fondo avrebbero dovuto passare la loro vita insieme, per via della band, doveva abituarsi a scontrarsi con quegli occhi senza rimanere senza fiato.
-Niente, Frank! Studiati i disegni, tu, mentre ti rubano il tuo frontman proprio sotto al tuo naso!- lo prese in giro Mikey e non usò la parola “frontman” a caso. Lui era al corrente di tutto e non voleva creare imbarazzi, non più di quanti già non ce ne fossero.
-Oh…- sospirò il chitarrista. Restò con le labbra socchiuse e in quel momento Gerard immaginò ardentemente una scena del tipo: uno schiocco di dita che avrebbe bloccato il tempo, lui che ribaltava il tavolo e tutto ciò che vi era sopra e raggiungeva quelle labbra. Baciava quella bocca che sembrava essere fatta su misura per la forma delle sue labbra. Ecco cosa accadeva nella sua testa quando non era nella realtà. Creava scene posticce per essere felice e sentirsi appagato, almeno nei pensieri.
Ovviamente non fece niente di tutto ciò e nel frattempo Frank aveva anche risposto qualcosa e lui non aveva ascoltato. Stupido sognatore che non era altro.
Comunque, vide Mikey voltarsi verso di lui e Gerard lo guardò senza saper interpretare la smorfia un po’ imbarazzata di Mikey. Forse Frank aveva detto qualcosa di brutto, forse aveva fatto qualche battutina, si stava odiando per non aver prestato attenzione.
-Vabbè, anche tu hai Jamia…- sentì dire da Ray.
Frank si voltò a guardarlo in modo duro.
-Lo volete capire o no che non ho un cazzo di nessuno, eh? Che non sto con Jamia e mai ci starò?- quasi gridò quelle domande retoriche.
Gerard ripensò al discorso fatto appena poche ore  prima con Mikey. Si soffermò a riflettere sulla risposta di Ray ed immaginò che Frank aveva dovuto fare qualche allusione al fantomatico “altro” di cui gli aveva parlato. Certamente non poteva saperne nulla riguardo al fatto che mentre parlava con Mikey, dopo lo svenimento fuori dal pub, avesse sentito tutto e sapesse che Frank era al corrente della sua bugia. Forse aveva usato quella storia per ritorcergliela contro, per farlo sentire in colpa, per avercela apparentemente con lui per quel motivo, quando invece lo odiava per ben altre ragioni.
Era un ragionamento contorto, ma non avrebbe saputo cos’altro pensare.
-Ehi, dai, non arrabbiarti, stavo scherzando!- lo tranquillizzò Ray, -Tu hai detto che Gerard aveva già affascinato un altro e io volevo consolarti ricordandoti chi hai vicino.- gli spiegò con tranquillità. Ray ci teneva molto a Frank. Così come ci tenevano tutti. Così come tutti tenevano a tutti.
Non ascoltava mai un cazzo, si perdeva interi discorsi, a volte, ma evidentemente aveva una certa dote nell’ipotizzare cosa potesse essere successo. Aveva pensato giusto, Frank lo aveva voluto ferire, in qualche modo e Ray aveva semplicemente detto la cosa sbagliata al momento sbagliato.
Certe circostanze capitano.
-Va bene.- tagliò corto Frank con fare rabbioso, -Siamo venuti qui per scambiarci le idee ed iniziare a concepire il nuovo album. Ecco, facciamolo!- disse forzando un sorriso. Ray fece un segno di assenso sorridendo a sua volta: solo Gerard, evidentemente, riusciva a riconoscere i sorrisi falsi di Frank.
 
Provarono parti di chitarra e basso, Gerard lesse alcuni passaggi scritti di alcune canzoni e cercò di spiegare al meglio l’idea della parata e la storia del paziente. Non era tra gli argomenti più allegri su cui basare un album, ma ne furono tutti entusiasti, sia perché era un argomento di cui nessuno osava parlare –e loro sembravano nati apposta per trattare temi poco blasonati-, sia perché era uno di quei temi in cui si poteva spaziare molto, sia in versi che in musicalità. Sarebbe stato qualcosa di libero e liberatorio. Un album in cui sfogare tutto.
Frank sembrava aver ritrovato la calma: dopo quel veloce scambio di battute un po’ troppo caldo, aveva suonato, aveva esposto le sue idee, espresso le sue impressioni. Ray aveva tirato fuori dei fogli con delle parti di chitarra che Bob e Mikey avevano provato ad accompagnare con la batteria e il basso.
Insomma, era stata una bella sessione di gruppo, uno di quegli incontri armonici tra i componenti di una band.
-Ah, poi volevo dirvi delle divise. Sono tipo…- iniziò a cercare tra i fogli sparsi sul tavolo e ne recuperò uno su cui c’erano raffigurati degli scheletri che marciavano, -Queste!- esultò poi, alzando il foglio dal tavolo.
-Oh, queste le conoscevamo già, sappiamo pure le versioni che avevi ipotizzato!- fece Bob con un sorrisone.
Gerard sorrise e lo guardò senza capire. Poi ci ripensò e stava per controbattere, quando Ray si intromise.
-Gee, sì, abbiamo visto gli innumerevoli disegni delle prove delle divise!- disse cantilenando e poi sghignazzò.
Gerard sarebbe arrossito per ciò che aveva lasciato intendere, ma l’imbarazzo, quello vero, doveva ancora provarlo.
-Altroché se li abbiamo visti!- precisò Bob sorridendo sghembo anche lui.
Mikey alzò le mani in segno di discolpa.
-Te l’avevo detto, Gee.- si difese ricordandogli di quel che gli aveva raccontato.
-Frank con la giacca corta, Frank con la giacca lunga, Frank con tutti i bottoni chiusi, Frank con la giacca mezza sbottonata. Sì, sì, ci è sembrato tutto molto chiaro!- elencò Bob facendo ridere tutti.
Suo malgrado rise anche Gerard, doveva essere stato divertente, per loro, vedere quei disegni tutti incentrati su Frank. Spostò l’attenzione su Frank e lo vide guardare la scena con un sorriso imbarazzato.
-Vabbè, mi serviva uno di noi come modello!- ritentò ancora con quella scusa.
I suoi amici si guardarono vicendevolmente prima di scambiarsi quelle occhiate pregne di intesa.
-Frank non è adorabile?- domandarono in coro tutti e tre, imitando quella frase detta da Gerard nell’intervista, scoppiando a ridere subito dopo.
Gerard avrebbe quasi voluto sprofondare o essere invisibile, in caso, ma non era un mago, un supereroe, e nemmeno un illusionista. Era semplicemente un ragazzo imbarazzato da morire che restò dov’era, cercando di non arrossire troppo, mentre i suoi amici lo prendevano in giro allegramente.
Frank non disse nulla, aveva un piccolo sorriso indecifrabile sul viso e guardava verso il basso, poi alzò di poco gli occhi, guardando Gerard da sotto le ciglia e lì, in quel momento, partì il batticuore.
Dio, quanto gli piaceva… quanto avrebbe voluto che fosse tutto semplice.
Le risate scemarono pian piano e ognuno di loro continuò a confrontarsi con gli altri per idee o consigli, Frank continuò a passarsi tra le mani tutti i disegni che Gerard aveva portato con sé e disposto sul tavolo.
C’era qualcosa che lo incuriosiva, qualche immagine che catturava la sua attenzione. Lo vide sistemare ogni foglio sul tavolo, per poi prenderne uno e cambiargli posizione, più volte. Sembrava come se li stesse disponendo con un filo logico, come se, in effetti, avessero un filo logico, o cronologico.
Gerard non gliene aveva mai dato uno. Disegnava quello che aveva in mente, a volte i disegni avevano a che fare l’uno con l’altro, a volte no. Poteva capitare che il tema fosse lo stesso, soprattutto per quelli che riguardavano l’idea per il nuovo album, ma in generale non avevano mai a che fare l’uno con l’altro, o almeno così gli sembrava. A volte era capitato che se n’accorgesse dopo, riguardandoli dopo un po’ di tempo, sfogliando l’album casualmente, osservando le immagini raccontare una storia precisa, una parte della sua storia.
Lo vide far scorrere lo sguardo sui fogli dei testi, e poi avvicinarli a dei fogli dell’album da disegno. Notò la sua fronte corrugata, il suo viso dipinto in espressioni curiose e preoccupate.
Forse Frank stava interpretando qualcosa, forse, a differenza sua, stava capendo la storia che tutto quel materiale raccontava. In fondo, era capitato già altre volte che si accorgesse prima ancora di Gerard di qualche ragionamento contenuto in una canzone o in un disegno. Era un ragazzo intelligente, Frank.
E bellissimo.
Vide il suo sguardo rabbuiarsi, i suoi occhi scattare da sopra ai fogli verso l’ambiente circostante, verso nessuno in particolare. Posò tutto sul tavolo e si passò le mani tra i capelli in modo agitato. Gerard si agitò di conseguenza.
Spalancò gli occhi senza sapersi dare spiegazioni e, lentamente, sentì una forza attrarlo verso il tavolo, lì dove c’era anche Frank, in piedi, perso nei suoi pensieri tormentati.
Quando si avvicinò notò come i disegni seguissero azioni precise, insomma, le conosceva bene, le aveva pensate e poi rese in delle illustrazioni, ma Frank le aveva disposte in un ordine strano, sembrava che, messi in quel modo, raccontassero davvero qualcosa, una parata nera formata da scheletri e persone, un orologio che tiene il tempo in modo quasi angosciante, come se, chiunque lo tenesse d’occhio, lo facesse sperando di essere abbastanza fortunato da poterlo guardare di nuovo il giorno successivo.
Le espressioni dei visi delle persone dei primi disegni erano fiere, quasi orgogliose ed eccitate per la marcia che stavano per intraprendere, come quando un aspirante soldato guarda con occhi speranzosi il fronte in cui sarà portato a combattere. Poi quei visi iniziavano a cambiare, a deformarsi e a piegarsi in pose dolorose, sofferenti, come quelle dell’ipotetico soldato, che dopo aver guardato e scoperto cos’era la guerra, sentiva lentamente sfumare dal proprio petto la speranza iniziale.
Ogni persona che era partita da quella marcia mutava, nei disegni seguenti l’esercito di schelettri aumentava, mentre quello delle persone continuava a diminuire, accrescendo numericamente l’esercito di scheletri. Stavano morendo, pensò Gerard.
Due individui, a capo della fila, si guardavano indietro e si lasciavano la mano. Uno dei due guardava l’altro e lo spingeva via, l’espressione risoluta e decisa.
Nell’ultimo disegno, restava solo un uomo, indietro rispetto alla parata che lo aveva sorpassato e continuava inesorabile. L’ultimo sopravvissuto ad una guerra distruttiva, ad una sequenza di situazioni che avrebbero dovuto far presagire tutto, fin dall’inizio.
Gerard si ritrovò a boccheggiare perso in una storia che la sua testa aveva creato dettagliatamente guardando quelle illustrazioni messe in fila. Era sicuro che l’ordine con il quale le aveva create non fosse certo quello, ricordava addirittura che quello che Frank aveva disposto per ultimo era stato, invece, il primo.
Forse, era come la lettera a se stesso che aveva scritto al centro riabilitativo, tutto partiva dalla fine, tutto quello che creava avrebbe avuto una fine, sarebbe stato bello ed infine lo avrebbe distrutto.
Era così che funzionava.
Gerard portò la propria attenzione sul viso di Frank, era visibilmente shockato, sorpreso, colpito.
-Che c’è?- gli domandò senza sapersi trattenere.
Frank fece scorrere gli occhi con le iridi cerchiate di nero su di lui e lo squadrò come se lo stesse guardando per la prima volta.
-C’è che me lo stai facendo capire in tutti i modi.- gli rispose in modo enigmatico. A Gerard sfuggiva il senso di quella frase.
-Che vuol dire?- domandò quindi, il tempo e lo spazio non esistevano più. C’era solo Frank e il suo modo di fare disperato.
-Forse dovresti spiegarmelo tu.- controbatté senza staccargli gli occhi di dosso.
-Non so cosa credi di aver capito, sono solo idee per la parata nera di cui parleremo nell’album.- disse senza entrare nei dettagli.
-C’è anche altro e lo sai.- rispose Frank al volo ed iniziò a stropicciarsi una mano con l’altra.
-Non c’è altro.- confermò anche se non lo sapeva.
-Vuoi stare solo.- si espresse Frank e da cosa lo avesse capito Gerard non ne aveva idea.
-Non mi ami più come ieri.- sussurrò abbassando lo sguardo.
Gerard sussultò. Non erano rivolte a Frank quelle parole, al limite avrebbe sperato di sentirsele dire da lui. Lui non doveva amarlo più.
-Non è come credi.- disse rendendosi conto di aver pronunciato quella classica scusa che si usa quando invece è proprio così, come l’altro crede.
-Certo.- sbuffò il chitarrista.
- Frank... - disse istintivamente.
Io ti amo. Ecco cosa avrebbe voluto dire. Ma fu abbastanza forte e non se lo fece scappare.
-Io ti odio.- gli disse Frank.
Gerard sentì scricchiolare qualcosa nel suo petto, come un pezzo di ghiaccio che si stacca dal suo iceberg. Come un piccolo granello di neve che inizia a rotolare e ha forti potenzialità di coinvolgere la neve su cui si muove, l’inizio di una valanga, quella da cui Gerard prevedeva di essere trascinato.
Gerard restò impalato a guardarlo, forse la sua espressione esprimeva tutta la sofferenza che stava provando, forse, invece, era diventato abbastanza bravo da riuscire a contenere i pensieri e i sentimenti solo dentro di sé, senza lasciar trasparire nulla fuori, senza che nessuno potesse accorgersi di quello che realmente stava succedendo nella propria testa.
Questo era il primo dei suoi obiettivi, essere forte o almeno sembrare tale. E dallo sguardo di disprezzo che Frank gli rivolgeva, forse, stava riuscendo nel suo intento.
-Ragazzi, io me ne vado.- fece con un moto di rabbia, raccogliendo le sue cose, senza rivolgersi a nessuno in particolare. Teneva la testa bassa e Gerard immaginò, che al contrario di quello che succedeva a lui, Frank non era in grado di trattenere dentro sé ciò che provava.
-Hai da fare, Frank?- chiese Mikey in modo affabile.
-Sì, no. Cioè…- si ingarbugliò con le sue stesse parole.
-Tanto sono ore che siamo qui, abbiamo parlato, più o meno, di tutto. Posso andare.- gli spiegò nervosamente, le mani che sferzavano l’aria in movimenti agitati, il viso arrossato, gli occhi fin troppo lucidi.
-Sì, beh… okay- acconsentì Mikey, guardando il suo amico un po’ sospettosamente e sospirando preoccupato. Fece saettare rapidamente il suo sguardo sulla figura di Gerard e poi tornò di nuovo a rivolgerla a Frank.
-Senti, allora ci vediamo domani, okay? Così iniziamo a buttare giù qualcosa di più definitivo. Ti mando un messaggio più tardi con l’orario.- gli spiegò i programmi che gli altri avevano fatto mentre loro due si dicevano bugie a vicenda.
-Va bene.- tagliò corto il chitarrista.
-Ciao ragazzi.- salutò muovendosi velocemente verso l’uscita, senza nemmeno aspettare che gli rispondessero.
-Ciao Frank.- risposero tutti.
Il ragazzo gli rivolse un’occhiata intensa prima di voltarsi, di quelle occhiate profonde, quelle che ti fulminerebbero, ti farebbero sul serio male, se ne avessero la capacità.
Gerard aveva sperato che a Frank sarebbe passata in fretta, che sarebbero tornati presto amici, invece, dati i fatti, l’odio di Frank aumentava ogni giorno di più, quel travagliato periodo di sofferenza e lontananza sarebbe durato più del previsto.
Gerard doveva solo cercare di essere forte.
Trattenne l’impulso di seguirlo, di inseguirlo. Avrebbe tanto voluto poterlo abbracciare, senza fare nient’altro, senza dirgli che lo amava e che era la persona di cui più gli importava al mondo.
In quel momento si sarebbe accontentato di essergli amico, di poter parlare e scherzare con lui, di poterlo stringere a volte, quando ne aveva voglia, esattamente come faceva con gli altri.
In fondo, tutti sapevano quanto aveva bisogno di contatto umano, tutti loro ne avevano bisogno, tutti avevano quei gesti di slancio di cui non riuscivano a fare a meno. Frank per primo.
E ciò che temeva era che non sarebbe più tornata quell’abitudine, che sarebbe rimasta solo un lontano e bellissimo ricordo e che Gerard sarebbe rimasto per sempre tagliato fuori dagli abbracci di Frank.
Aveva paura che l’unico rapporto che aveva avuto con Frank, e che non aveva più, fosse stato l’unico che li aveva tenuti uniti e sarebbe stato sempre l’unico con il quale quei gesti sarebbero stati naturali. Frank non lo avrebbe mai voluto come amico.
Si alzò dalla sedia dove aveva preso posto appena qualche secondo prima e mosse dei passi verso la porta senza pensare, senza dire niente, senza sapere nemmeno lui stesso cosa stava per fare.
Allungò il passo frettolosamente, poi quasi iniziò a correre. Erano trascorsi due minuti, sì e no, Frank doveva essere ancora lì nei paraggi. E Gerard voleva abbracciarlo. Ora, subito, non c’era tempo.
Capitava molto spesso che provasse quelle voglie impossibili da zittire e tenere a bada.
Nella mente di Gerard spesso si succedevano scene immaginarie in cui non avrebbe avuto una seconda possibilità. E non che fossero vere, non che sarebbe accaduto davvero qualcosa che gli avrebbe impedito di farlo in un altro momento, ma percepiva quello strano mix di troppe emozioni insieme, quelle sensazioni che non riusciva a gestire, che lo risucchiavano e lo facevano boccheggiare in preda a battiti cardiaci troppo veloci. Doveva farlo e basta, qualunque cosa fosse.
Così non avrebbe mai avuto rimpianti, ne aveva fin troppi.
Affannato si guardò intorno, vide Frank, di spalle, camminare verso la fine della strada. Era stato fortunato, era a piedi, non era andato molto lontano.
Avrebbe quasi voluto urlare il suo nome, gridare ed attirare la sua attenzione, ma non disse nulla e camminò verso la sua figura. Si stagliava controluce nel bagliore aranciato della luce del tramonto, si muoveva stancamente con le mani affondate nelle tasche e con la schiena curva, come se non valesse la pena di affrontare il mondo a testa alta.
-Frank.- sussurrò arrivato alle sue spalle. Allungò una mano sulla sua spalla, gli veniva quasi da piangere.
Si voltò a guardarlo e la sua espressione era qualcosa di indescrivibile. La tristezza che fino a pochi attimi prima dipingeva il suo volto venne spazzata via da una smorfia stupita, incredula, incuriosita, forse un po’ sofferente, gli occhi che vagavano sui lineamenti del viso di Gerard in cerca di una spiegazione alla sua presenza lì. Poi, l’espressione smarrita ben presto mutò in una rabbiosa, il principio di un’esplosione di nervi.
Gerard non voleva vederla. Chiuse gli occhi e sospirò prima di buttargli le braccia al collo e stringerlo, affondando la testa nel suo collo e respirando forte, a pieni polmoni, quell’odore che era come avere la certezza di essere a casa, al posto giusto, sempre e comunque.
Frank restò fermo, immobile nella posizione di chi è rimasto spiazzato.
-Ti voglio bene.- sospirò Gerard appena sotto l’orecchio del suo chitarrista. E lo strinse più forte.
Sentì il respiro trattenuto da Frank venire rilasciato in un sospiro calibrato. Uno sbuffo d’aria che svuotava i suoi polmoni cercando di trascinare con sé anche un po’ di tensione.
Gerard, troppo preso a tentare di respirare regolarmente, senza svenire ai piedi di Frank, non si curò delle braccia del suo chitarrista che erano rimaste inermi lungo i fianchi.
A volte, certi gesti vanno subiti, anche se fa piacere riceverli. Gerard pensò questo, non volle credere all’ipotesi che lui non avesse voglia di ricambiare.
Poi, le mosse, quelle braccia e le usò per inframmezzarle i loro petti uniti.
-Gee…- iniziò debolmente.
-Gerard.- lo chiamò con più convinzione.
-Togliti.- gli disse spingendolo delicatamente.
Gerard lo lasciò andare, quella parola era brutta, era un invito poco cortese volto a porre fine ad un gesto indesiderato. Ma forse aveva intenzione di dirgli qualcosa guardandolo negli occhi, magari non aveva badato al vocabolo che aveva usato.
Si allontanò di poco, lasciando le braccia rilassate lungo i fianchi. Aveva il fiatone ed era impaziente.
-Mi dici che vuoi? Che vuoi da me?- domandò Frank alzando la voce e allargando le braccia verso il cielo.
-Io…- provò a spiegare, ma era un po’ difficile ammettere di avere paura di non poter avere una seconda possibilità. Era una spiegazione folle e senza ragione d’esistere, sarebbe stata l’ennesima prova della sua instabilità mentale e del fatto che dava troppo credito ai pensieri che il suo cervello gli proponeva come ipotesi realistiche.
-Io… Frank, io ho bisogno di te.- glielo disse così, senza troppi giri di parole. Lo voleva davvero.
Si rese conto che forse suonava un po’ troppo come una frase sdolcinata, come una piccola dichiarazione d’amore, di un sentimento a cui non riusciva a fare a meno di smettere di pensare. Forse sarebbe potuta apparire una richiesta disperata. Era ciò che sentiva, era vero, ma non poteva esporsi in quei termini, non poteva dirgli certe cose, lasciando che fraintendesse.
-Vorrei tornare ad essere tuo amico.- si sentì di precisare. Era un enorme falsità, però era per il bene di Frank, così la disse.
Frank lasciò scorrere lo sguardo sul viso teso di Gerard, sembrò studiarlo mentre respirava visibilmente affannato. Poi serrò la mascella, Gerard vide i suoi muscoli facciali contrarsi, gli occhi assottigliarsi.
-Non siamo mai stai amici.- disse Frank con convinzione. Si notava che stava cercando di mantenere la calma.
-Mai!- gridò non riuscendo a controllarsi pienamente.
-Non è vero.- controbatté Gerard.
-Lo siamo stati ed eravamo felici.- provò a spiegare, ma Frank riprese subito la parola, proprio come se non avesse aspettato altro che una dichiarazione del genere per dare il via libera alla rabbia che stava cercando di tenere a bada.
-Già, hai detto bene, eravamo felici. Prima che tu decidessi di sconvolgermi la vita, prima che tu decidessi che sarei diventato un burattino nelle tue mani, quello da prendere e lasciare a tuo piacimento, quello a cui dichiararti per poi rimangiarti tutto. Già, eravamo felici. Pensaci la prossima volta prima di rovinare la vita alle persone, facendole innamorare di te.- sputò tutto con rabbia, la gola in fiamme, gli occhi lucidi.
Gerard si sentiva morire, il solito batticuore gli faceva vorticare il mondo che aveva intorno, il respiro era corto, i polmoni faticavano ad espandersi non permettendogli di compiere una respirazione regolare. Il solito attacco di panico lo stava per cogliere, praticamente, ma Gerard aveva imparato, più o meno, a gestirli, e poi doveva essere forte. Doveva fingere che stesse andando tutto bene e, anche se sarebbe stato più comodo lasciarsi andare al malessere e svenire, voleva prendersi tutte le responsabilità delle sue azioni, voleva affrontare la realtà ed i suoi errori, quella era l’ora di dimostrare quanto valeva.
-Lo sai che non è andata così.- disse con fatica, sussurrando.
-E invece sì. Io non c’avevo mai pensato a te in quel senso, ho iniziato a farlo quando tu mi hai baciato la prima volta, quando hai continuato a farlo mentre eri ubriaco- sorrise sarcastico, lasciando intendere che sapeva che non corrispondeva esattamente alla realtà.
-Quando hai cominciato a farmi sentire importante grazie a tutte le cose che mi dicevi (e che smentivi, puntualmente, il giorno dopo), quando mi hai detto chiaramente che mi amavi, quando evidentemente non era così, ero solo uno stupido ragazzo qualunque a cui credevi di tenere, in un momento in cui non capivi un cazzo perché eri perso in te stesso.- continuò ad imperversare iroso.
-Sì, Gerard, se tutto questo non fosse accaduto saremmo amici senza problemi.- gli spiegò con gli occhi gonfi di lacrime trattenute per orgoglio.
Gerard lo guardò confusamente, cercando di trovare un appiglio a suo favore in tutta quella storia che aveva raccontato Frank, cercando di ricordare se le cose erano andate proprio così.
E, in effetti, erano andate proprio così.
Era stato lui ad avvicinarsi pericolosamente a Frank, lui non aveva avuto la forza per smettere di immaginare baci profondi e appaganti con lui e lo aveva assalito, mentre tenevano uno dei primi concerti, facendo finalmente scontrare le loro labbra in un contatto che aveva desiderato per mesi. Lui lo aveva coinvolto in quel turbinio di gesti folli e non ragionati, lui lo aveva fatto cadere nel baratro della sua pessima personalità e nei suoi innumerevoli problemi. E Frank non aveva fatto altro che seguirlo ed assecondarlo. Forse anche lui aveva avuto certi desideri, ma era un ragazzo più forte ed equilibrato rispetto a Gerard ed era riuscito a trattenersi. Ed una volta trovatosi nella situazione, nel bel mezzo della loro travagliata storia, aveva adoperato tutte quelle forze che lo contraddistinguevano per aiutarlo e per farlo sentire amato. Aveva usato tutte le sue energie per spiegargli in cosa stava sbagliando, tutto il suo amore per convincerlo a rivalutare stili di vita ed abitudini che lo stavano distruggendo.
Si rese conto che Frank non aveva affatto torto e che, come al solito, la colpa era stata sua.
L’unica cosa a disturbarlo era l’ultima parte delle considerazioni di Frank: lui non era uno stupido ragazzo qualunque a cui credeva di tenere, Gerard ci teneva sul serio, ci teneva perfino ora, mentre lo accusava di un rapporto che avevano costruito insieme. Questo voleva dirglielo.
- Okay, ho sbagliato.- ammise.
-Ho commesso un errore.- aggiunse, annuendo senza interrompere il contatto visivo tra loro.
-Ma ci tengo veramente a te.- concluse.
E poi venne di nuovo travolto da quella voglia, quella che, a suo tempo, aveva tenuto le redini mentre si avvicinava a Frank guidato solo dall’istinto e dalla disinibizione. Gerard aveva creduto davvero di averlo fatto solo perché in quel periodo beveva molto e non riusciva a controllare esattamente le sue azioni; ripensandoci, si era quasi convinto che, se non avesse avuto problemi con dipendenze gravi, sarebbe riuscito a rimanere al suo posto e a lasciare in pace Frank, ad essergli solo amico.
Tutte balle.
Lucidamente era ancora più forte, quella voglia.
Forse Frank stava per replicare, o forse aveva già iniziato quando Gerard gli prese il volto tra le mani.
Era uno di quei gesti che non si sarebbe potuto interpretare in un altro modo se non in un imminente bacio. Uno di quei baci sentiti, quelli desiderati e voluti ardentemente, ma non avrebbe potuto.
Gli occhi di Frank, sorpresi ed interrogativi, saettavano sul suo viso, nei suoi occhi, in cerca di spiegazioni e forse in attesa che quel gesto avesse il finale che chiunque si sarebbe aspettato.
Gerard gli aveva appena detto che avrebbe voluto che tornassero amici, e amici non significava prenderlo a tradimento per il viso e baciarlo disperatamente. Essere amici significava altro, significava volergli bene, non amarlo. Significava stargli lontano.
Con le mani che fremevano, ancorate a quel viso dolce, Gerard avrebbe tanto voluto lasciarsi andare, avrebbe tanto voluto mangiare quelle labbra e sentire affetto da parte sua, anche attraverso un bacio rabbioso.
Ma questo non rientrava nei piani, questo non era giusto, doveva comportarsi nel modo corretto, essere coerente con ciò che aveva detto e pensato, soprattutto, non doveva essere egoista.
Col fiato sospeso continuò a guardarlo, allentò un po’ la presa e pose fine quel gesto accarezzandogli le guance.
-Io…- provò a dire e sospirò.
 -Scusami.- pronunciò in modo sofferente. Gli dispiaceva davvero di averlo rincorso senza motivo, spinto da un bisogno irrazionale, e di averlo coinvolto in quel gesto di cui si stava vergognando.
Frank lo studiò con espressione basita, forse anche lui avrebbe voluto che quel preludio di bacio arrivasse proprio lì, ad un bacio. Gerard non sopportava di deluderlo di nuovo, ancora una volta. Non riusciva a pensare di avergli fornito un nuovo motivo per spingerlo ad odiarlo.
Lo lasciò andare abbassando lo sguardo, pentito di ciò che aveva fatto e, allo stesso tempo, felice di averlo fatto, appagato almeno po’ di aver avuto perlomeno la possibilità di respirare il suo odore.
Non alzò di nuovo lo sguardo su Frank, non voleva sapere l’entità della sua rabbia, l’espressione d’odio che sicuramente gli stava rivolgendo.
Si voltò e se ne andò da dove era arrivato, come un codardo, sentendosi come uno di quei tipi di persone che odiava, quelli che illudono gli altri. Si sentì anche fin troppo presuntuoso a pensare di poter stare illudendo Frank, magari non contava così tanto, non gli piaceva darsi troppa importanza.
Comunque Frank non disse nulla, non lo richiamò, Gerard non sentì la sua voce dire qualcosa, forse era rimasto sconvolto, forse non aveva nessuna voglia di capirlo. Non più.
 
Tornato a casa, trascorse la serata chiuso in camera sua, come una tredicenne qualunque delusa e sconfitta dai suoi sentimenti presi troppo sul serio e troppo sbagliati.
Poi passò la notte a piangere, ormai non sapeva fare altro per contrastare tutto il dolore che sentiva dentro, e lo psicologo gli aveva detto che era importante sfogarsi, perché affrontare le proprie emozioni ci rende più leggeri, riesce a scrollarcele da dosso. Sfogarsi è un comportamento maturo, è un comportamento coraggioso, avrebbe reso Gerard più forte.
Con gli occhi gonfi e il naso chiuso decise che quei momenti sarebbero stati solo suoi, che non li avrebbe mostrati a nessuno, che si sarebbe scaricato in solitudine e poi agli occhi del mondo avrebbe ostentato la sicurezza che non gli apparteneva, la forza che gli mancava, la risolutezza che avrebbe tanto voluto possedere, ma che non conosceva neanche.
Quando Mikey bussò alla porta di camera sua, tentò di darsi un tono e andò a far scattare la serratura, tornando sui propri passi e lasciando a suo fratello il compito di aprirsela da sé.
Finse di sistemare il marasma di vestiti, fogli e oggetti sparsi per la sua stanza e Mikey si annunciò con uno dei suoi “buongiorno” pieni di gioia di vivere.
Pensò che sua madre doveva essere davvero grata di avere Mikey come figlio, di aver concepito anche lui; se avesse avuto solo Gerard, sarebbe stata proprio una delusione. Nessuno le avrebbe regalato quei sorrisi sinceri, non avrebbe avuto nessuno che vedesse la vita con positività e che le regalasse motivi di orgoglio.
Non che a Gerard piacesse pensare di non essere abbastanza per i suoi genitori, ma si rendeva conto che non aveva fatto altro, da tutta la vita, che creare problemi e preoccupazioni e quindi era felice che esistesse Mikey a compensare tutto ciò in cui lui aveva sempre mancato.
-Allora, stamattina ti va di raccontarmi quello che è successo ieri?- domandò sedendosi sul letto.
-No.- disse secco e tranquillo, voltandosi verso suo fratello e notando che aveva due tazze in mano.
-Oh, grazie Dio.- sospirò avventandosi sulla sua tazza fucsia e togliendola dalle mani di Mikey.
Forse il fucsia era un colore un po’ troppo femminile, pensò.
-No, Gee, sono solo Mikey!- scherzò suo fratello pavoneggiandosi.
Gerard lo guardò e scoppiò a ridere.
-Sei il dio del caffè.- inneggiò Gerard prendendo un gran sorso soddisfatto.
Ridacchiarono insieme come due ragazzini e poi Mikey ritentò, facendo leva sulla sua importanza di dio del caffè.
-Quindi, di ieri che mi dici?-
-Niente, Mik, non ti dico niente. Non ne voglio parlare.- mise in chiaro sbuffando e tornando a fingere di rassettare le sue cose.
Mikey sbuffò a sua volta, forse era stufo dei suoi silenzi, era stufo di dover avere a che fare con lui e con il suo modo di fare. Era difficile tollerarlo.
-Frank si è arrabbiato per qualche motivo e se n’è andato. Tu lo hai seguito senza dire niente a nessuno, poi sei tornato a casa e ti sei chiuso qui dentro. Sentivo i tuoi singhiozzi, stanotte. Ho la camera sopra alla tua, ricordi? Sono tuo fratello, puoi dirmi tutto. Perché non vuoi?- cercò di spiegargli e capire.
-Perché no.- rispose Gerard al volo.
-Non ho voglia, mi sono sfogato, mi è passata.- elencò cercando di essere credibile.
- Certo.- rise.
-Sono proprio certo che ti sia passata.- continuò ironico.
-Non capisco perché non mi parli, cazzo.- sbottò suo fratello. Sembrava che il suo umore fosse mutato in un batter d’occhio. Gerard lo guardò corrugando la fronte in un’espressione interrogativa.
-Perché no, Mik—iniziò a dire cercando di spiegargli il proprio punto di vista, ma lui lo bloccò.
-Sono tuo fratello, Gee- disse di nuovo con una ritrovata calma.
- Potrei aiutarti, sono amico di Frank, lui con me ci parla e…- Mikey continuò a parlare e probabilmente ad elencare motivi con i quali convincerlo a raccontare ciò che sentiva, ma la mente di Gerard restò bloccata alla prima frase.
Non era mai stato invidioso di Mikey, non lo aveva mai considerato un rivale e non aveva mai bramato ciò che era o aveva. Gli era successo di guardarlo e stimarlo, di essere fiero di lui, di esserne orgoglioso, anche se la sua vita in quel momento faceva davvero schifo, se l’avesse paragonata alla sua, ma non aveva mai provato gelosia, non si era mai sentito così insicuro in confronto a lui.
Invece, il quel momento, qualcosa gli si era mosso nello stomaco, una sensazione di vuoto si era fatta spazio, facendogli risalire qualcosa di molto simile alla bile. Per la prima volta avrebbe voluto essere al suo posto, per la prima volta aveva odiato ascoltare le parole di suo fratello raccontare l’amicizia che lo legava a Frank, mentre a lui non era permesso nemmeno di guardarlo.
Ora Mikey lo stava guardando interrogativo, forse si aspettava una risposta al discorso che Gerard non aveva neppure ascoltato, forse era davvero stronzo da parte sua pensare certe cose, ma non riusciva a controllarsi.
-Beato te, Mikey.- rispose senza avere nient’altro di meglio da dire.
-Sono felice per te che Frank venga da te a parlare e che vi sentiate per telefono e che possiate contare l’uno  sull’altro.- disse socchiudendo gli occhi per quella sensazione pessima che stava provando. Poi decise di essere sincero.
-No, non sono affatto felice, okay?- si ritrovò quasi a gridare.
 -Mi fa sentire così misero il pensiero di non meritarmi neanche la sua amicizia.- abbassò di nuovo il tono di voce, portando lo sguardo a terra e prendendo un respiro in più.
- Ho sbagliato.- ammise.
-Ho fatto un mucchio di errori che non basterebbe una vita per redimermi, non ce la farei mai, lo so, ma non credevo di meritarmi solo il suo odio.- disse con il cuore in lacrime ed il viso contratto in un’espressione sofferente.
-Frank non ti odia.- mise in chiaro Mikey interrompendolo nuovamente.
-E invece sì, me l’ha pure detto.-
-Gli esseri umani dicono un sacco di cazzate per proteggersi e reagire alla vita.- sbuffò Mikey, come se stesse parlando con se stesso, come se ne fosse consapevole, come se ci fosse passato e sapesse perfettamente di cosa stesse parlando.
-Tu puoi essere suo amico.- considerò come se lo avesse appena scoperto.
-Lui ci tiene davvero a te, forse è proprio vero che conta molto di più l’amicizia che l’amore. A questo punto avrei fatto meglio a tenermi per me la voglia di avvicinarmi troppo a lui e restare solo un suo amico.- ragionò un po’ arrabbiato con se stesso.
-Non dire cazzate.- lo rimproverò suo fratello.
- Sarebbe successo comunque qualcosa tra di voi.- gli spiegò come se fosse un’ovvietà.
-Vi siete attratti fin dal primo momento, era solo questione di tempo, o di coraggio da parte di uno dei due.- puntualizzò.
-Io non so cosa succederà.- riprese Mikey tornando a guardare Gerard negli occhi.
-Ma sono certo che si sistemerà tutto, in un modo o nell’altro.- disse con sicurezza, Gerard si accorse che non era la solita e stupida frase di circostanza.
E avrebbe voluto crederci, davvero, lo avrebbe fatto sentire meglio, lo avrebbe tranquillizzato per un po’, però il fatto era che, purtroppo, si rendeva conto che si sarebbesolo ingannato e forse sarebbe stato solo più male. Doveva affrontare la realtà, tenere ben aperti gli occhi sul mondo reale e non rifugiarsi in mondi immaginari, uno di quelli in cui Frank avrebbe smesso di essere ostile con lui.
-Già, si sistemerà tutto.- sussurrò senza convinzione, voleva solo rassicurare Mikey, ma era certo che suo fratello non l’avrebbe mai bevuta.
 
 
 
 
Era già mezz’ora che stavano provando, Gerard cantava senza interesse e senza impegno, nulla suonava come aveva immaginato, nessuna parola pronunciata riusciva a fargli credere in ciò che stava dicendo. La situazione non andava bene.
I suoni degli strumenti si interruppero dopo la richiesta di Ray di fare una pausa. Disse che doveva accordare la chitarra in un altro modo,perché quello attuale non gli piaceva;  Gerard sbuffò nel microfono senza nemmeno rendersene conto.
-Dai, vedrai che tra poco arriverà.- pronunciò Bob rivolgendoglisi.
Si voltò a guardarlo e non rispose, ancora perso nei suoi pensieri e nelle innumerevoli preoccupazioni che gli stavano affollando la mente.
Frank non c’era, non era arrivato e, dopo averlo atteso inutilmente per circa un’ora, avevano deciso di iniziare a provare qualcosa. Ma purtroppo mancava qualcosa. E non era solo la chitarra di Frank ciò a cui stava pensando. Mancava proprio Frank, la sua presenza, senza di lui i MyChem non erano completi, senza di lui Gerard non si sentiva completo.
-Avete provato a richiamarlo?- si intromise Mikey.
- Io ci ho provato dieci minuti fa, ma è ancora spento.- gli rispose Bob mentre giocherellava con le bacchette tra le mani.
-Ci riprovo io. Sono passati dieci minuti.- osservò Mikey con l’evidente speranza di ottenere finalmente una risposta.
Frank non era mai mancato ad una delle loro riunioni. Mai una volta aveva saltato le sessioni di gruppo, men che meno in quel momento, che la casa discografica gli stava facendo una pressione enorme affinché sfornassero questo nuovo album al più presto. A Gerard suonava strana quella sua assenza e, più che strana, la sentiva pericolosa.
Come al solito, nella sua mente si erano create tutta una serie di situazioni catastrofiche e ansiogene a causa delle quali Frank non era lì con loro, ma disperso chissà dove, oppure svenuto da qualche parte.
Non aveva mai dato credito a tutti quei pensieri tristi e immotivatamente tragici che gli proponeva il suo cervello o, perlomeno, lui tentava sempre di non prenderli in considerazione, ma erano forti, erano potenti e coinvolgenti, erano convincenti, soprattutto. Quante volte si era ritrovato a singhiozzare in preda ad ansie prepotentemente trascinanti, quante volte non era riuscito a fare a meno di scrollarsele di dosso e smettere con tutto quel pessimismo. La questione era che lui era fatto così, non poteva farci niente.
C’era stato un periodo in cui aveva avuto un’irrefrenabile ed infondata paura di perdere Mikey, bastava che lui uscisse di casa e la sua mente iniziava a viaggiare in direzioni improbabili, si materializzavano ipotesi assurde con suo fratello come sfortunato protagonista. Essenzialmente aveva paura che gli potesse succedere qualcosa e non si limitava semplicemente ad immaginare certe situazioni orribili, no, il suo cervello gli proponeva anche ciò che sarebbe potuto accadere in seguito, il dolore dei suoi familiari, la vuotezza che sarebbe stata la sua vita senza più la presenza di Mikey.
E viveva tutto questo con talmente tanta enfasi e coinvolgimento, che si struggeva, si ritrovava a disperarsi a volte, a pensare che la sua esistenza non avrebbe avuto più senso, niente avrebbe avuto più importanza.
Poi Mikey tornava puntualmente a casa, ovviamente incolume, felice e appagato della serata tra amici appena trascorsa, e allora Gerard tornava a respirare normalmente. Il suo cuore riprendeva la marcia di battiti scanditi e lenti e i suoi occhi vagavano su uno dei visi che amava di più al mondo. E, se avesse potuto, avrebbe ricominciato a piangere, avrebbe abbracciato suo fratello e gli avrebbe detto che era felice di rivederlo ancora tutto intero. Ma questo avrebbe significato che gli avrebbe dovuto delle spiegazioni e Gerard proprio non se la sentiva di raccontargli le assurdità che concepiva quella sua cazzo di mente malata e depressa.
Aveva sempre sospettato, però, che Mikey sapesse, che Mikey potesse leggergli dentro e un po’ gli dispiaceva per l’empatia di cui era dotato perché, forse, poteva immaginare la sua sofferenza, perché, probabilmente, Mikey era come lui e la sua testa funzionava allo stesso modo. Aveva sempre sperato di sbagliarsi. E a volte se lo chiedeva ancora…
-Comunque, a momenti dovrebbe tornare Linda a casa, la chiamiamo e le diciamo di controllare dove diavolo si è rintanato a dormire, quell’animale da letargo che non è altro!- scherzò Ray apparentemente tranquillo. O forse lo era davvero e l’unico paranoico e perennemente preoccupato era sempre e soltanto lui.
Si voltò a guardare Mikey e beccò il suo volto dipinto in una delle sue migliori espressioni agitate, ma quando incrociò lo sguardo di Gerard cercò di dissimulare quell’ansia che gli aveva deformato i lineamenti e gli fece un piccolo sorriso che sarebbe dovuto essere rassicurante, ma a Gerard mise soltanto ancora più inquietudine.
Dov’era Frank? Ecco cosa domandava in eco il suo cervello.
 
 
Trascorsero altre due ore.
Ore nelle quali Gerard aveva continuato a tentare di impegnarsi, avevano continuato a provare, interrompendosi di tanto in tanto per attaccarsi ai rispettivi telefonini, nella speranza che Frank avesse acceso il suo e rispondesse. Ma la segreteria con la voce di Frank che scherzosamente diceva che in quel momento, evidentemente, era a farsi i cazzi suoi, era l’unica cosa che a rotazione stavano ascoltando tutti quanti. A casa ancora non rispondeva nessuno.
-Ehm… Buonasera signora Iero.- disse la voce di Mikey un po’ titubante, dopo ore di telefonate senza risposta forse non sperava più che qualcuno rispondesse.
-Sì, sono Mikey.- sorrise.
-No, in realtà volevo chiederle per favore di andare a svegliare Frank- rise e stette ad ascoltare.
Forse Linda stava dicendo qualcosa riguardo la capacità di Frank di dormire ovunque e di non riuscire a svegliarsi nemmeno al passaggio di un carro armato sotto alla finestra della propria camera, perché suo fratello continuò a sorridere ed annuire contro la cornetta.
-Già ed ha il cellulare spento.- le disse ancora sorridendo.
-Sì, okay, aspetto.- le assicurò.
E Gerard immaginò quella donna che conosceva da sempre, minuta e con i capelli scuri e gli occhi cangianti come quelli di Frank, salire le scale che portavano al piano di sopra, la vide bussare alla porta della stanza di suo figlio, poi aprire la porta e sorridere in modo amorevole verso cosa più bella della sua vita, sdraiato scompostamente sul letto e arrotolato in modo disordinato tra coperte.
Soltanto che in quella sua merdosa proiezione Frank non si risvegliava, sua madre continuava a scuoterlo e a chiamare il suo nome e lui non rispondeva.
Ricacciò indietro le lacrime che sentiva venirgli su e ingoiò con un sospiro tutto lo schifo che provava. E non gli faceva schifo semplicementeciò che stava pensando, alla base c’era la forte repulsione che provava verso la capacità del suo cervello di inventare certe scene disgustose.
La ripugnanza era verso se stesso, per il modo in cui era fatto, per come funzionava lui e quella sua dannata testa.
È che aveva paura della morte, forse era quello il punto.
In tutta la sua vita gli avevano sempre insegnato a temerla. Gli avevano insegnato che era un affare così semplice, un’eventualità così scontata, così facile da veder accadere.
E lui, da bravo bambino indottrinato e plagiato, ne aveva sempre avuto paura. Forse era per quello che ne era ossessionato, la pistola fredda e minacciosa puntata contro la sua tempia, quella volta al negozio di fumetti, aveva reso solo tutto più reale, più tangibile, quelle situazioni che ti fanno pensare che allora è vero, che non era solo una fantasia, poteva succedere in qualunque momento, quando meno te l’aspetti, e sarebbe stato così semplice che il suo corpo senza più vita si accasciasse al pavimento in una pozza di sangue. Sarebbe bastato che quel ladro avesse mosso il proprio indice posato sul grilletto.
Ma non era accaduto e così Gerard aveva iniziato a maturare l’idea che fosse stato risparmiato, “Dio, evidentemente, ha un progetto più grande per te”, come gli aveva detto un mucchio di volte sua nonna. E non ne era stato davvero certo finché, quel maledetto 11 settembre non era accaduta la sventura di proporzioni cosmiche proprio sotto ai suoi occhi impauriti ed increduli.
Lì, con gli occhi che gli bruciavano per la polvere e le lacrime incontrollate, che gli rendevano la visuale ancora più confusa, si era reso conto di essere scampato ancora una volta alla morte. Che doveva esserci anche lui lì vicino, ma aveva fatto tardi, perché Gerard era un ritardatario puntuale, talmente tanto che era riuscito a salvarsi la vita.
In quel momento aveva capito che la fatalità e la semplicità della morte che gli faceva tanto paura, sarebbe potuta essere il punto di partenza, avrebbe potuto elaborarla, spiegarsi quei concetti ed affrontarli in modo maturo. E la musica era la strada incerta e sdrucciolevole che avrebbe potuto intraprendere, il mezzo giusto con cui esporre le proprie idee.
“Dio, evidentemente, ha un progetto più grande per te”.
-Ah. Uhm. Okay.-farfugliò Mikey abbassando lo sguardo.
-Sì. No.- sospirò guardandosi poi intorno in cerca di qualche fonte d’ispirazione.
-Allora sarà da Jamia.- osservò ancora dopo essere rimasto un po’ in silenzio.
-Ah, che stupido, è vero, me lo aveva detto che sarebbe andato da lei.- continuò parlando con sicurezza, sembrava proprio che le cose stessero così, che ben quattro persone si erano dimenticate di ciò che Frank aveva detto loro.
Il fatto era che non aveva detto nulla, e infatti in quel momento tutti stavano guardando Mikey con le fronti corrugate con espressioni interrogative.
-Sì, grazie mille, scusi per il disturbo.- disse suo fratello con voce tranquilla.
-A presto, arrivederci.- la salutò e poi si passò il telefonino tra le mani, ponendo fine alla chiamata.
-Ma quando te l’ha detto Frank che stava da Jamia?- domandò Ray quasi infastidito.
Mikey sospirò.
-Infatti non me l’ha detto.- gli rispose ovvio.
Ray lo guardò stralunato. Anche Bob, in effetti, stava prestando attenzione come se avesse voluto porgli le stesse domande.
-Ray, ma certo che non è da Jamia.- gli si rivolse spazientito.
-Ma hai appena detto che—tentò di dire Ray, ma suo fratello lo interruppe.
-Stavo parlando con sua madre!- fece presente esasperato.
-L’avrei fatta preoccupare se le avessi detto che avevamo un appuntamento e non si era presentato e che non abbiamo completamente idea di dove sia e cosa gli possa essere successo.- disse tutto d’un fiato in modo agitato.
Il respiro di Gerard si fece più corto ed accelerato e scrutò il viso di Mikey in cerca di qualcosa che nemmeno sapeva.
-Ah, okay, hai ragione.- convenne Ray.
-Sì, okay, ma dove cazzo è Frank?!- chiese Bob retoricamente, un po’ preoccupato.
Mikey si voltò a guardare Gerard e colse lo sguardo speranzoso con cui lo stava guardando.
-Io… io non ne ho idea.- sospirò in risposta guardando Gerard negli occhi, come se si stesse rivolgendo soltanto a lui. Gli piantò negli occhi quella sua aria quasi colpevole, come se ne avesse lui qualche responsabilità.
-Proviamo a chiamare Jamia, magari è sul serio da lei.- propose Ray.
-Già, è vero.- gli rispose Bob cercando il proprio cellulare nella tasca dei jeans.
Sapevano tutti che neanche Jamia avrebbe saputo nulla di Frank, ma nessuno lo disse e attesero come se credessero davvero che la ragazza avrebbe risposto al telefono e avrebbe smentito le loro previsioni.
Nel frattempo, Gerard iniziò a pensare, o almeno, la sua testa lo fece da sé.
Immaginò che Frank non fosse da Jamia, lui non era quel tipo di persona che non mantiene i propri impegni e Jamia non era quel tipo di persona che lo avrebbe fatto cambiare. Così sperava e credeva, perlomeno.
Ascoltò la voce di Bob iniziare la conversazione con Jamia, ma come al solito non prestò attenzione, era fin troppo certo che anche lei non ne sapesse nulla, anzi, ora avrebbero avuto un altro problema, un’altra persona in ansia per Frank, oltretutto una persona che non aveva nessun diritto di essere preoccupata per lui, perché Frank non era suo, non le apparteneva e avrebbe dovuto stare fuori dalla sua vita. Ecco cosa Gerard pensava realmente, cazzate di circostanza a parte.
Non lo avrebbe mai detto a nessuno, era già tanto riuscire ad ammetterlo con se stesso, ma era davvero geloso. Neanche uno di quei tipi di gelosia normali, legittimi, di quelli che possono essere ipoteticamente considerati accettabili dalla società e sembrare quasi “giusti”, no, al contrario, quel sentimento che provava era più intenso, più logorante, subdolo. Sarà stata colpa di quel loro rapporto quasi inesistente, di quella lontananza forzata e così dolorosa, delle loro azioni e comportamenti, che erano inversamente proporzionali a ciò che avrebbero voluto fare realmente.
E allora odiava tutti,  anche chi riusciva a strappargli un sorriso, anche chi poteva guardarlo e fissarlo mentre parlava, senza ricevere in cambio una sua occhiataccia accusatoria. Chi poteva telefonargli e scambiare quattro chiacchiere con lui, sentire la sua voce raccontare anche cose di poco conto. Chi poteva viverlo, in sostanza.
-Non è nemmeno da Jamia.- confermò Bob, riponendo il proprio telefono nella tasca.
-Era ovvio.- sospirò Mikey stancamente stropicciandosi il viso con una mano.
-Che fine ha fatto, ragazzi?- domandò Ray iniziando a prendere seriamente la situazione.
-Io non lo so.- rispose retoricamente suo fratello con aria triste.
-Potremmo andare a vedere nella fabbrica abbandonata di quella volta.- propose Ray annuendo con aria grave.
-Di che fabbrica abbandonata state parlando, di quale volta state parlando?- chiese Gerard in preda al panico. Pensò quelle domande e le porse.
Interrogò i propri amici con lo sguardo, il cuore che galoppava freneticamente.
-Ti spiego per strada.- lo rassicurò suo fratello abbassando lo sguardo mentre raccoglieva le sue cose, imitando i gesti degli altri.
Gerard si prese la briga di prendersi almeno il telefono e seguì suo fratello e i suoi amici senza riuscire ad aggiungere domande o considerazioni.
Sentiva soltanto una grande agitazione espandersi nel petto e nello stomaco, un senso di paura lo invase completamente.
Forse il fato si stava prendendo gioco di lui e delle sue decisioni, forse, la realtà lo stava mettendo di fronte all’ipotesi verosimile di un futuro senza Frank, pensò tragicamente. Si sentì tremare in un brivido.
-Gee, non preoccuparti, è tutto okay.- suo fratello tentò di tranquillizzarlo.
Gli strinse la mano. Gerard fece lo stesso, istintivamente, gli occhi completamente sbarrati dal terrore e dall’agitazione.
-Andrà tutto bene.- gli disse ancora.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance / Vai alla pagina dell'autore: MySkyBlue182