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Autore: Adeia Di Elferas    03/06/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Caterina sapeva di aver aspettato anche troppo. Era già il 30 agosto e ormai il suo stato non si poteva più nascondere in modo soddisfacente. Benché mancassero circa tre mesi alla data del parto, il pancione si profilava già senza fatica anche sotto le gonne più ampie e i vestiti più vaporosi.
 Come si era aspettata la Contessa, quel bambino doveva essere già molto grande, così com'era stato Sforzino.
 Aveva passato tutta la mattina a riflettere su quello che stava per fare. Da giorni, ormai, stava lavorando a un piano che disgustava lei per prima, ma, in fondo, sapeva di non avere altre vie d'uscita.
 Aveva proposto una volta di più a Bianca di convincere Tommaso a dare le dimissioni, ma egli aveva immediatamente rifiutato. Pensare di cacciare con la forza il castellano era assurdo, perché una simile mossa, senza motivazioni valide, avrebbe rovinato la reputazione di Tommaso e avrebbe messo in dubbio la capacità di raziocinio della Contessa, che, agli occhi dei forlivesi, avrebbe cacciato un uomo valido senza alcuna ragione.
 Dunque le era rimasta un'unica carta da giocare: indurre Tommaso a presentare spontanee dimissioni.
 Tuttavia il senso di colpa cominciava già a scavarle un buco nel petto e a poco valevano le giuste mozioni che si ripeteva nella mente.
 Non aveva forse diritto anche lei alla felicità? Sì, ne era convinta.
 E allora, si diceva, l'avrebbe perseguita, anche a costo di prevaricare e calpestare la felicità altrui, perché in fondo era lo stesso metodo che usavano tutti gli altri, nessuno escluso. Perfino Tommaso, che aveva sposato Bianca per puro capriccio.
 Perché mai Caterina doveva essere l'unica a farsi degli scrupoli?
 Perciò aveva preso la decisione e si era subito rivolta a Giovanni Ghetti, il capitano della Porta di Ravaldino. Era una testa di legno e proprio per quello era l'uomo adatto a quella missione. Chiunque altro avrebbe potuto subodorare l'inganno, finendo non solo a disprezzare la Contessa, ma anche a sventare il suo piano.
 Dopodiché, sempre con uno strano senso di nausea, Caterina aveva fatto in modo che Ottaviano e Giacomo stessero fuori dai piedi, per motivi diversi, ma ugualmente importanti.
 E infine, con la morte nel cuore, ma convinta della validità delle sue posizioni, Caterina si apprestò a mettere a frutto quei giorni di preparazione.
 Da quando aveva affrontato seriamente con Giacomo la spinosa questione delle spie che stavano informando Ludovico Sforza su quello che accadeva alla rocca, Caterina aveva cominciato a trattare Tommaso con maggior accondiscendenza, mostrandosi con lui più remissiva e accomodante del solito.
 Finito di svolgere le solite mansioni di ordine pubblico, aveva preso a fermarsi nel suo studiolo a chiacchierare del più e del meno, e così aveva principiato a fare anche dopo gli addestramenti di Ottaviano.
 Aveva portato Tommaso non solo a rilassarsi, ma anche ad abbassare la guardia.
 Il castellano, dapprima molto guardingo nei confronti di quel cambiamento, stava dando i primi segni di cedimento, facendosi sempre meno accorto e lasciandosi trascinare, quando la Contessa pareva permetterlo, da un trasporto che non aveva più osato mostrare da quando si era sposato con Bianca.
 Così, studiatamente, Caterina si portò nello studiolo di Tommaso, appena dopo l'ora del pranzo e lo trovò intento a rilassarsi, seduto su una delle poltroncine, assorto in chissà quali pensieri.
 “Mi chiedevo se...” cominciò a dire Caterina, mentre le guance le si imporporavano per il disagio.
 Ora che si apprestava a mettere in scena il suo teatrino, si sentiva infinitamente piccola e meschina, non meglio di una comune criminale. Aveva, però, giurato a se stessa che avrebbe difeso Giacomo e il bambino che portava in grembo con tutta se stessa, senza pietà per niente e nessuno e non poteva venir meno a un giuramento.
 Tommaso interpretò scorrettamente il rossore della sua signora, pensando che fosse semplice imbarazzo: “Ditemi pure.” la incoraggiò, mettendosi in piedi e sorridendole amabilmente.
 Quella reazione così pacifica e benevola rendeva tutto più difficile. Forse esisteva una scorciatoia per evitare tutta quella penitenza, solo che Caterina non riusciva a vederla.
 Così, cercando di mantenere un tono naturale e leggero, disse: “Mi chiedevo: vi andrebbe di venire a vedere le nuove erbe che ho piantato nel mio orto? Da quando ho cominciato a prendermi cura di quel pezzo di terra, non avete ancora visto da vicino le meraviglie che vi crescono...”
 Tommaso sollevò un angolo della bocca: “Lo farei molto volentieri, ma sapete bene quanto me che non posso uscire dal perimetro della rocca.”
 Caterina abbassò lo sguardo, più per non dover sostenere quello di Tommaso che non per pudore: “Oh, come siete sempre rigido, nella vostra condotta...!”
 “Non ho fatto io le regole, sapete bene pure questo.” sospirò il castellano, allargando appena le braccia.
 “Ebbene, sappiate che un modo ci sarebbe, invece, come quando vi ho mandato a parlare con le truppe di mio zio.” fece Caterina, ripetendo un copione che aveva provato tra sé almeno mille volte quella mattina: “Ovvero lasciare la rocca per qualche tempo a mio figlio, non a me, perché anche io uscirò dalle mura, e poi, appena rientrerete, riavrete la carica, come nulla fosse.”
 Tommaso era molto tentato. Non usciva da Ravaldino da quelli che gli parevano secoli e l'idea di passare qualche momento solo con la Contessa, in mezzo alle erbe aromatiche, lo allettava tantissimo.
 “Se il Conte accetterà...” lasciò sperare Tommaso.
 Caterina si affrettò a dire: “Ma Ottaviano sa già tutto. Avevo già predisposto ogni cosa, nella certezza, anzi, nella speranza che voi accettaste il mio invito.”
 Tommaso aveva fatto un movimento strano con la testa e ora i suoi occhi indagavano in quelli di Caterina. La Contessa aveva capito che il castellano si stava facendo qualche domanda, forse insospettito da quel tono civettuolo che difficilmente aveva sentito dalla sua signora.
 Così la donna optò per parole che le si addicevano di più, giusto per avvalorare la sua recita: “Suvvia, Tommaso! Stare un po' all'aria aperta non vi farà che bene! Siete troppo pallido, ultimamente.”
 Così il castellano si lasciò convincere.
 Erano le due del pomeriggio e il sole era a picco sulla rocca di Ravaldino. L'aria era afosa, ma sotto le fronde del fico che la Contessa aveva fatto piantare da poco si poteva godere di un'ombretta molto piacevole.
 Dopo aver preso visione di tutte le erbe officinali che Caterina aveva personalmente selezionato per il suo piccolo orto botanico, la Contessa e il castellano si misero a sedere proprio sotto al fico.
 Tommaso, in uno slancio di cavalleria, si mise sulla punta dei piedi e recuperò anche qualche frutto dalla pianta: “Per rinfrescarvi un po'.” disse, porgendo i fichi alla Contessa.
 Una volta tanto, i due si lasciarono trasportare dalle parole in terreni quasi inesplorati. In realtà solo Tommaso si stava perdendo, in quel dedalo di chiacchiere. Caterina lo assecondava, senza mai perdere di vista le sue reazioni e il modo in cui il castellano, sempre di più, si appoggiava mollemente al gomito, accarezzando con una mano il manto erboso che sottostava al fico.
 Gli lasciò parecchio tempo, per rilassarsi e perdere il senso del tempo, e attese pazientemente il momento migliore per scattare la trappola.
 “Ho provato il vostro rimedio a base di succo di ortica per le mani – disse a un certo punto Tommaso – devo ammettere che ora va molto meglio.”
 A Caterina non parve vero che quella preda le si stesse offrendo tanto facilmente, perciò dovette combattere contro la sensazione di essere una cacciatrice scorretta, quando fece, con voce bassa e volutamente accorata: “Davvero? Fatemi vedere...”
 Tommaso, deglutendo, si mise a sedere, per farsi più vicino alla sua signora e gli porse entrambe le mani. Caterina le prese tra le sue e per un istante provò sincero interesse per quel fantastico successo.
 I palmi e le dita del castellano, di solito piene di screpolature per via dei lavori manuali ai quali non si sottraeva mai pur potendo, erano tornati lisci e morbidi, come quelli di un uomo che non aveva mai fatto opere di fatica.
 Tommaso tratteneva il fiato, mentre osservava la Contessa concentrata sulle sue mani. Il profilo del suo viso, il colore stupefacente dei suoi occhi e, ancor di più, il rosso pieno delle sue labbra...
 Caterina si riscosse dal suo momento di interesse alchemico e alzò gli occhi, giusto in tempo per accorgersi che il castellano la stava fissando.
 Era il momento di colpire.
 “Sono davvero felice che il mio rimedio abbia avuto successo.” disse: “Mi piacciono gli uomini con le mani lisce...”
 Il castellano schiuse appena la bocca, ma restò senza voce.
 “Potete accompagnarmi nei miei alloggi, al Paradiso?” chiese Caterina, con una piccola smorfia: “Il caldo comincia a darmi un certo fastidio...”
 Tommaso l'aiutò ad alzarsi, ma ebbe la forza di opporsi: “Non dovrei assentarmi troppo dalla rocca...”
 Caterina si lasciò scappare uno sbuffo divertito: “Davvero non riuscite a rilassarvi nemmeno per il tempo d'un rosario, eh?”
 Le orecchie di Tommaso, un po' nascoste dai capelli scuri, presero fuoco per quell'ennesimo rimbrotto, che lo descriveva come un soldatino diligente, ma del tutto privo di iniziativa.
 “Veramente, mia signora... Qualcuno potrebbe vedermi qui fuori e poi dovrei dare delle spiegazioni...” tentò Tommaso, mentre Caterina lo prendeva sottobraccio, come se volesse farsi sorreggere lungo la strada.
 “Spiegazioni, spiegazioni... Ci penserò io, a dare spiegazioni a chi le chiederà.” lo zittì la Contessa, appoggiandosi sempre di più a lui.
 Attraversarono a quel modo di nuovo tutto l'appezzamento di terra coltivato da Caterina in persona, fino ad arrivare in prossimità del Paradiso.
 “Ecco, vi lascio qui.” disse Tommaso, per tutelare se stesso che, con quella breve, ma particolare, passeggiata si era già sentito abbastanza messo alla prova.
 Aver tanto vicino la Contessa, sentire il calore della sua pelle e il suo respiro, andare al suo passo e avvertirne la stretta sul braccio, erano tutte cose che lo ponevano in difficoltà. Se per caso si fosse fermato oltre, avrebbe anche potuto commettere qualche sciocchezza e sapeva che la Contessa non glielo avrebbe mai perdonato.
 “Avanti, venite qui un momento.” lo invitò Caterina, stringendolo un po' di più: “Voglio mostrarvi il Paradiso. Fa fresco, qui, riposatevi un poco...”
 Tomaso scosse ancora una volta il capo. Erano ormai alla porta del Paradiso e il terrore che qualcun li potesse vedere e riconoscere lo stava annebbiando tanto e più del caldo torrido che rendeva l'aria irrespirabile.
 Caterina sentiva il cuore esploderle nel petto, perché sapeva quello che sarebbe accaduto e avrebbe voluto disfare tutto, ma spettava a lei proteggere quello che c'era tra lei e Giacomo e la vita che avevano creato.
 “Avanti, non fatevi pregare. È già difficile così, per me. Non credevo avreste fatto opposizione, dato che avete sempre detto di amarmi.” buttò lì Caterina, sfiorando con le dita il viso di Tommaso: “Che poi, perché mi amate?”
 “Non ci sono perché, in amore. Si ama e basta. Se si cercano tanti motivi, vuol dire che non è vero amore.” ribatté Tommaso, lottando con l'istinto primordiale che lo voleva spingere tra le braccia della sua signora.
 'Lei è di un altro' si diceva: 'ti sta ingannando' si ammoniva da solo. Tuttavia non riusciva a capire perché mai la Contessa dovesse tendergli una trappola del genere e ormai il desiderio lo aveva sconfitto, dunque non gli restava che assecondarlo.
 Con una furia che a Caterina ricordò da vicino l'impeto che anche Giacomo metteva nei suoi slanci, Tommaso la prese tra le braccia e cominciò a baciarla con forza, quasi con rabbia, come se in realtà sapesse che quella era tutta una grande e immensa bugia.
 Più la sentiva tutt'attorno a sé, più Tommaso comprendeva quante falsità ci fossero tra loro. Avvertì il ventre gonfio della sua signora e si diede dello stupido, perché finalmente, dopo settimane intere in cui non aveva voluto vedere, capiva che la Contessa aveva in grembo un figlio, e che quel bambino doveva essere di Giacomo, di sicuro, e che quindi era assurdo che lei gli stesse permettendo di baciarla, eppure non riusciva a fermarsi...
 Caterina con una mano cercò la maniglia della porta, dietro la schiena e appena riuscì ad aprire, mentre ancora il castellano la baciava con tanta veemenza da confonderla, Ghetti, che aveva atteso con la pazienza tipica dei soldati fedeli, afferrò Tommaso Feo per le braccia, intimando: “Lasciate subito la Contessa!”
 Gli occhi di Tommaso mostravano senza filtri non solo la sorpresa, ma anche la delusione e il dolore.
 “Siete in arresto per aver abbandonato il vostro posto di castellano e per aver attentato alla sicurezza della signora Contessa.” disse Ghetti, con serietà, convinto che tutte le panzane che Caterina gli aveva raccontato su come Tommaso da giorni la seguisse in attesa di trovarla sola per approfittarsi di lei e su come lei ne avesse paura e volesse un uomo forte come Ghetti a far da guardia al Paradiso fossero vere.
 “Non fate troppo clamore.” disse in fretta Caterina: “Non voglio che nulla si sappia, almeno finché non deciderò altrimenti.”
 Ghetti annuì con decisione e, afferrando con forza il prigioniero, gli intimò: “Sentito che ha detto la Contessa? Non fare chiasso.”
 Caterina li guardò uscire dal Paradiso, sapendo che erano diretti al torrione della Porta, dove Tommaso sarebbe rimasto in custodia fino a nuovo ordine.
 Quando i passi dei due uomini furono ormai lontani, Caterina si prese un momento per ricomporsi.
 Si sedette su uno dei divanetti di legno e si poggiò il dorso della mano sulle labbra. Non era meglio di Giuda. Con un bacio aveva condannato Tommaso a lasciare la rocca e con lui aveva allontanato anche Bianca.
 Altri, a quel punto, avrebbero semplicemente fatto sapere che Giacomo sarebbe stato il nuovo castellano e che Tommaso e sua moglie dovevano lasciare immediatamente la rocca. Caterina, però, non voleva nascondersi.
 Suo padre le aveva sempre detto molto chiaramente che le cose iniziate vanno portate a termine. E così avrebbe fatto.
 Si sistemò un po' i capelli, che si erano scompigliati nel caos dei minuti appena trascorsi, e si alzò, cominciando a camminare veloce verso la rocca.
 “Tommaso Feo – annunciò a tutti i presenti, non appena ebbe radunato una discreta folla di soldati e manovali della rocca nel cortile – ha appena dato le sue dimissioni da castellano. Per continuità, ho deciso di dare la sua carica a suo fratello, Giacomo Feo.”
 Giacomo, che stava nella folla assieme agli altri, si finse stupito ed ebbe anche lo spirito di simulare imbarazzo e indecisione.
 Caterina lo invitò a raggiungerla, affinché lei lo potesse nominare ufficialmente. Giacomo ricevette la carica sotto gli occhi attoniti di tutti quanti. Certi si chiesero come mai Tommaso, che fino a quel mattino si aggirava per Ravaldino intento come sempre in mille mansioni, avesse deciso di punto in bianco di andarsene, mentre altri restarono più perplessi dalla finta ritrosia del fratello nel prenderne il posto.
 Quando le formalità furono sbrigate, Caterina vide con la coda dell'occhio che da una delle finestre era affacciata Bianca, che la fissava con uno sguardo confuso e perso.
 “Ci vediamo più tardi, devo finire quello che ho iniziato.” fece piano Caterina, a Giacomo, che si apprestava a ricevere le congratulazioni dell'intera rocca.
 Il ragazzo annuì e le disse, di rimando: “Potrò incontrare Tommaso, prima che se ne vada?”
 Caterina stava per dire che era meglio di no, ma poi vide di nuovo Bianca, che stava ancora alla finestra, immobile e si disse che, a parti invertite, lei avrebbe voluto poter parlare a quattr'occhi con sua sorella, prima di vederla partire: “Va bene.” concesse.
 
 
   
 
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