Capitolo XVI
Il nostro dopoguerra
Sangue. Un rosso liquido che continuava a sgorgare dalle nostre ferite nonostante la fine della battaglia, e con il dolore che ci pervade, il nostro viaggio progrediva senza alcuna sosta. Eravamo gli uni assieme agli altri, stanchi ma uniti. Le mie ferite bruciavano dolendo come mai prima, e guardandomi intorno, scelsi di prendermi una pausa e riposare, sdraiandomi in terra e posando lo sguardo sui miei congiunti. Feriti e stanchi proprio come me, non desideravano altro che dormire, ma al contrario di tutti loro, mia figlia Cora appariva preoccupata. Essendo sua madre, mi preoccupavo a mia volta, e guardandola negli occhi, scossi leggermente la testa, desiderosa di spiegazioni. “Ace.” Mormorò guardandomi con aria addolorata. “Che è successo? Cosa ti ha fatto?” chiesi, tacendo nell’attesa di una sua risposta. Alcuni attimi di silenzio seguirono quell’istante, e curiosa, non facevo che attendere, pur evitando di farle pressione. “Se n’è andato, mi ha lasciata durante la guerra.” Disse poi, rompendo il silenzio creatosi fra di noi e scoppiando in lacrime. “Cosa come ha osato?” esclamai, incredula. “C’è di peggio.” Aggiunse, cogliendomi di sorpresa. Guardandola con aria seria, la incoraggiai a parlare, e nulla potè prepararmi alla frase da lei pronunciata. “Xena gli vuole bene. Lo crede suo padre, ha deciso di seguirlo, e…” la frase le morì in gola, soffocata da un nodo di pianto unito a un fiume di calde e amare lacrime. Un leggero ringhio abbandonò le mie labbra pochi istanti dopo. La rabbia mi pervadeva, e non riuscivo a credere a ciò che avevo appena avuto la sfortuna di sentire. Non volevo crederci. Parlandomi, Ace aveva ammesso di amare mia figlia, promettendo poi di continuare a farlo fino al giorno in cui il tempo li avrebbe separati per sempre, eppure da insensibile codardo, l’aveva lasciata, spingendola in una spirale di tristezza e dolore. Affranta, Cora non cercava che conforto nelle mie parole unite a quelle della nonna, che sorprendentemente, non ebbe nulla da dirle. “Il cuore non sbaglia mai, la mente è l’unica a farlo.” Questa l’unica frase che le rivolse prima di abbassare il capo e abbeverarsi al fiume come era solita fare ormai da lungo tempo. Sorridendo debolmente, trasse conforto da quelle parole, e sdraiandosi ai piedi di un albero, rifiutò di muoversi fino a sera. Era arrabbiata? Delusa? Non lo sapevo, né avevo modo di scoprirlo. Per qualche arcana ragione, Cora risultava spesso imprevedibile. Poteva apparire folle, ma tutto lasciava presagire che la mia amata figlia si stesse lasciando andare, seguendo le orme dell’ormai attempata nonna e ritenendosi pronta a lasciare la verde foresta e l’intero mondo. Ero sua madre, l’avevo vista nascere, e cresciuta sin da allora. Una sola cosa era certa. Non potevo permetterlo, e per quanto fosse stato in mio potere, avrei riportato un sorriso sul suo volto, ammirando di nuovo lo splendere delle sue azzurre iridi. Tutto in quello che definivamo il nostro dopoguerra.