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Autore: Adeia Di Elferas    04/06/2016    2 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ “Come sarebbe a dire che ha dato le dimissioni?” chiese Bianca, sconvolta, le mani strette attorno al calice di vino che Caterina le aveva appena versato: “E poi adesso dov'è?”
 La sorella maggiore sospirò, e fece una mezza confessione: “Al momento è al torrione della Porta, perché era uscito dal perimetro della rocca e sai che questo è reato, se il castellano esce senza aver ceduto anche solo momentaneamente la sua carica a qualcun altro.”
 Bianca strinse gli occhi, smettendo subito di bere il vino. Appoggiò il bicchiere sulla credenza e guardò la sorella di sottecchi. Non riusciva a capire come, ma era certa che quelle dimissioni non fossero spontanee.
 “Hai fatto in fretta a trovare un sostituto.” insinuò Bianca.
 “Era la scelta più logica.” si schermì la Contessa.
 Nella voce di Caterina c'era un qualcosa che accese la mente di Bianca. Proprio non capiva come, ma era più che sicura che fosse stata proprio sua sorella a fare qualcosa per cui suo marito ora non solo non era più castellano, ma era anche in cella.
 “Come hai potuto...?” sussurrò Bianca, le mani che tremavano appena lungo i fianchi.
 La Contessa stava zitta, il viso tramutato nella maschera che indossava nei momenti più bui della sua vita. Appariva insensibile, imperturbabile, incapace di provare anche la più elementare delle emozioni, quando invece nel suo animo si sentiva morire.
 “Lui ti è sempre stato fedele, ti ha sempre aiutata e sostenuta... Come hai potuto liberarti di lui così?!” inveì Bianca, alzando improvvisamente la voce.
 “E tu, allora? Come hai potuto sposare un uomo sapendo che non ti ama?!” ribatté Caterina, senza molta logica, sperando che un attacco così diretto mettesse a tacere la sua giovane sorella.
 “Non pretendo di capire le tue fini mosse politiche, ma una cosa la so. Tu e Giacomo vi siete costruiti una gabbia d'oro e non ne volete uscire per nessun motivo.” rispose Bianca, in quello che era poco più di un sussurro: “Quindi ora dovrete restarvene dietro le vostre amate sbarre fino a che non capirete il vostro errore e finirete per beccarvi l'un l'altro fino a che non sarà troppo tardi.”
 Caterina non riuscì più a sopportare la vista della sorella, che la puntava con rancore e diffidenza, così annunciò: “Dovrete lasciare la rocca entro sera, perciò prepara tutte le vostre cose per tempo.”
 Bianca alzò il mento e, dando una spallata a Caterina, mentre le passava accanto per uscire dalla camera, le sibilò: “Stai attenta, Caterina. Sei mia sorella e non posso che provare affetto per te, quindi credimi, quando ti dico che stai sbagliando tutto.” poi lasciò cadere l'occhio sul ventre della Contessa: “E sappi che i tuoi figli di vedono. E ti giudicano.”
 E con quelle parole la giovane moglie di Tommaso Feo uscì dalla porta, diretta alle sue stanze per fare i bagagli.
 
 Caterina fece un respiro molto fondo, prima di permettere a Ghetti di aprire la porta della cella.
 Tommaso stava in piedi in un angolo, il viso nero e le mani strette l'una nell'altra dietro la schiena, in una sorta di volontario ammanettamento.
 “Cosa mi farete?” chiese subito l'uomo, appena Ghetti si spostò di qualche metro, per dare un po' di privatezza all'incontro, come richiesto dalla Contessa.
 “Nulla. Dovrete solo andarvene dalla rocca assieme a Bianca, prima che sia sera. Io non farò parola con nessuno di quello che è accaduto e tutti sapranno solo che voi, stanco della vita alla rocca, mi avete chiesto gentilmente di poter ritirarvi a vita privata.” disse Caterina, con freddezza.
 Tommaso strinse i denti: “Avete detto a mia moglie quello che ho fatto?”
 La Contessa scosse subito il capo: “No e non intendo farlo. Se vorrete parlargliene, sarete voi a farlo, non io.”
 Tommaso si grattò il mento, con un peso in meno sullo stomaco. Forse non cambiava molto la sua posizione, ma almeno così avrebbe potuto cercare in Bianca un appoggio, mentre se la moglie fosse stata a conoscenza della sua condotta, difficilmente l'avrebbe perdonato.
 “Devo andarmene, quindi.” disse lentamente Tommaso, cominciando a capire quello che sarebbe accaduto: “Non potrò tornare mai più... Ah! Per un momento di debolezza ho perso tutto quello che avevo...”
 Caterina avrebbe voluto dirgli che non doveva essere tanto drastico. Si trattava di una precauzione, crudele, forse, ma necessaria. Con il tempo e un po' di fortuna, le cose sarebbero cambiate...
 E poi Tommaso non doveva pensare di aver perso tutto. Aveva ancora una moglie, poteva ancora costruirsi la sua felicità.
 “Perché non mi avete mai amato? Cos'avevo di sbagliato, io?” chiese l'ex castellano, accigliandosi e guardando la sua signora in cerca di una risposta.
 Ormai, si diceva, tutto era perduto, tanto valeva essere sfacciato e irriverente quanto voleva. Non c'era rimasto più nulla da salvare...
 Tommaso si lasciò andare a una reazione di collera, dando un forte pugno al muro di pietra, rischiando di farsi male: “Innamorarvi di voi è stato il più grande errore della mia vita!”
 “Tommaso – intervenne Caterina, sperando di farlo calmare – voi siete un uomo di valore, ma da quando ho conosciuto Giacomo...”
 “No, lui non c'entra.” la interruppe l'uomo: “Voi mi eravate del tutto indifferente anche prima di conoscerlo, anche prima di sapere della sua esistenza... Siate sincera, non ho mai avuto speranze con voi, mai.”
 Se voleva la sincerità, la sincerità avrebbe avuto: “Sapete, voi avete ragione su una cosa. Ho riflettuto su quello che mi avete detto poco fa.” fece Caterina, senza badare all'espressione di patimento che prendeva il viso di Tommaso, a richiamargli alla mente quello che era accaduto quello stesso pomeriggio: “Io avrei mille motivi per amarvi, mille 'perché', eppure non vi amo, per il semplice fatto che non vi amo e basta.”
 Le labbra di Tommaso si aprirono in un ghigno quasi folle: “Ebbene, come dite voi, allora. Ma sappiate una cosa: lui vi tradirà. Per un'altra donna, per soldi, per il potere o per...”
 “Non siate infantile, non vi si addice!” lo rimproverò Caterina, incredula nel sentir dire una simile cosa da Tommaso, specialmente dopo che anche Bianca aveva osato metterla in guardia senza farsi troppi problemi.
 “Io conosco Giacomo molto meglio di voi.” ringhiò Tommaso, in un puerile moto di vendetta: “Lui è solo un povero ingenuo... Il potere che gli avete dato e che gli darete senza motivo è troppo per lui... Lo rovinerà!”
 Caterina fu tentata di lasciare la cella all'istante, ma Tommaso non pareva intenzionato a lasciarla andare: “Non vi è bastato vedere quello che il potere ha fatto di vostro marito Girolamo?!” l'attacco l'ex castellano.
 La Contessa non ragionò più: “Girolamo era pazzo e basta!” gridò, muovendo rapida un passo verso Tommaso, come se volesse prenderlo a pugni.
 L'uomo teneva puntate le iridi scure su di lei e sembrava che averla accesa tanto fosse per lui una soddisfazione sufficiente: “Come dite voi.” concesse: “Se siete contenta di un secondo marito che vale meno del primo...”
 A quel punto Caterina non si frenò oltre e gli diede un forte schiaffo in pieno volto.
 Tommaso parve perdere tutte le energie da un momento con l'altro. Si appoggiò alla parete e con un sospiro tremulo si mise lentamente a sedere in terra.
 “Giacomo vi vuole vedere, prima della vostra partenza. Ora raggiungete vostra moglie e aiutatela coi bagagli. Prima di andarvene potrete incontrare vostro fratello direttamente nelle vostre stanze.” decretò Caterina, che voleva sottrarsi a quel pessimo spettacolo che Tommaso stava dando di sé: “Sappiate che la mia gratitudine per tutto quello che avete fatto per me è immutata, ma non potevo più permettermi di avervi alla rocca con me.”
 Tommaso si prese la testa tra le mani e non rispose più.
 Uscendo dalla cella, la Contessa ordinò a Ghetti: “Aiutatelo a rimettersi in piedi e a rientrare alla rocca. Ho deciso di concedergli la grazia per tutte le accuse, quindi esigo che nessuno sappia delle sue colpe.”
 Ghetti fece un profondo inchino ed esclamò: “Come desiderate, mia signora.”
 
 Bianca e Tommaso avevano raccolto tutte le loro cose molto in fretta e, appena un'ora prima del tramonto, la ragazza riuscì a ritagliarsi un momento per andare a salutare i nipoti.
 Tommaso, invece, non volle più vedere nessuno dei figli di Caterina, specialmente Ottaviano. Quel ragazzino, così macchinoso e sospettoso poteva benissimo essere una delle cause dei suoi guai. Chi poteva dirlo? Magari era stato proprio lui a suggerire alla madre di cacciarlo dalla rocca...
 Due colpi alla porta fecero voltare Tommaso di scatto. Doveva essere Giacomo. Non voleva vederlo, per nessun motivo, perché temeva di perdere la testa anche con lui.
 Giacomo, però, era il nuovo castellano. Sarebbe toccato a lui non uscire mai da quella fortezza. Poteva anche essere la loro ultima occasione di vedersi...
 “Avanti.” disse Tommaso, con la voce incerta.
 Giacomo entrò nella stanza titubante, senza la baldanza che aveva mostrato nel accettare le congratulazioni dei soldati alla notizia della sua nuova carica.
 “Sei venuto a dirmi addio?” chiese Tommaso, fingendo di controllare i lacci del baule.
 Giacomo non disse nulla, incrociando le braccia sul petto. I due fratelli non si erano mai trovati in una situazione tanto difficile.
 “Complimenti per la tua nuova carica.” cominciò Tommaso, deciso a levarsi tutti i sassi dalla scarpa: “Goditela, prima che si aprano le porte dell'inferno anche per te.”
 “Che...?” fece Giacomo, arricciando le labbra, interdetto dal suono aspro delle parole del fratello.
 “Lei ti consumerà.” continuò il maggiore, saggiando inutilmente le cinghie dei suoi bagagli: “Ti entrerà nell'anima e te la farà a pezzi. Non lo vedi? Lo fa con tutti...”
 Giacomo, che in realtà ignorava cosa la sua Caterina avesse fatto per convincere Tommaso ad andarsene, si fece sospettoso a quell'affermazione.
 “Non illuderti.” proseguì Tommaso, sempre pretendendo di fare altro, tanto per non essere costretto a incrociare lo sguardo del fratello: “Prima o poi si stancherà anche di te. Sei solo il capriccio di qualche notte, non l'amore della sua vita. Alla fine ti butterà via, come un giocattolo che non le piace più. Tra i due, è lei che ha il potere, è lei che può fare di te quello che vuole. Oggi ti usa perché le piaci, domani ti butterà perché avrà trovato di meglio.”
 “E tu che ne sai?” il tono bellicoso e acceso di Giacomo fece sollevare gli occhi di Tommaso.
 Quando vide l'espressione dura e sicura del fratello minore, l'ex castellano non trovò altre parole. Non lo aveva mai visto tanto sicuro di sé.
 “Che ne puoi sapere, tu?” insistette Giacomo, avvicinandosi al fratello, con aria di sfida: “Tu non l'hai mai avuta. Tu non sai che significa, sentirla agitarsi tra le tue braccia, accarezzarle la pelle nuda mentre ti stringe a sé, sentirsi tanto desiderato da lei da farsi mancare il fiato...”
 Tommaso lo ascoltava come paralizzato. Tutte quelle immagini erano per lui una pugnalata dopo l'altra, una ferita più mortale dell'altra. Sommavano solo dolore al dolore. Perché suo fratello gli stava facendo una cosa simile?
 Giacomo diede in una risatina arrogante e un po' esaltata: “Non lo sai. Ebbene, se lo sapessi, capiresti che è quello, il vero potere. Tutto il resto è niente.”
 “Tu non sei mio fratello Giacomo.” controbatté Tommaso, disgustato: “Io non ti riconosco. Lui non parlerebbe mai così, men che meno di una donna che dice di amare.”
 “Mi hai sempre sottovalutato.” disse Giacomo: “Come hanno sempre fatto tutti.”
 Tommaso inclinò appena la testa, e, sinceramente rattristato dall'evidenza dei fatti, sussurrò: “Lei ti ha già rovinato...”
 Giacomo fece un sorrisetto agghiacciante e, con una breve e ironica pacca sulla spalla, salutò il fratello: “So che vorresti essere al mio posto. Chissà, con il tempo magari te ne farai una ragione...”
 
 Per arginare eventuali pettegolezzi e far credere a tutti che le dimissioni del vecchio castellano fossero in realtà giunte a conclusione di una lunga riflessione e non improvvise, la Contessa ordinò che una scorta di quaranta cavalieri accompagnasse il cognato e la sorella fino alla destinazione da loro scelta, ovvero Bologna.
 Tommaso aveva espresso il desiderio di tornare nelle sue terre natie e di rimando Caterina aveva subito scritto alla corte bolognese, in modo che i Bentivoglio permettessero ai coniugi Feo di soggiornare presso di loro onde riprendere le forze prima del viaggio verso la Liguria.
 Quando venne il momento della partenza, Caterina andò sulle merlature, senza più voler incontrare né la sorella né tanto meno il cognato.
 Il drappello, rumoroso e numeroso, che si era andato a creare, era seguito da qualche carro con gli effetti personali dei Feo.
 Tommaso non si voltò nemmeno una volta, ben deciso a seppellire per sempre la sua vita passata tra le mura della rocca di Ravaldino. Bianca, invece, in sella al suo cavallo chiaro, continuava a voltarsi, per lanciare occhiate di biasimo alla sorella, che ricambiava con il suo solito distacco.
 Caterina, che su quelle merlature aveva fronteggiato gli Orsi e Savelli, si sentiva malferma sulle gambe e si teneva con più forza del necessario alla pietra fredda della rocca.
 Non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma con Tommaso l'unica arma possibile era quella dell'onore. Pur di sfuggire allo scorno che sarebbe derivato da un'accusa tanto infamante come quella di aver cercato la compagnia della sua signora senza averne avuto il consenso, Caterina era certa che lui se ne sarebbe andato senza più voler nulla.
 Quando il gruppo di cavalieri fu abbastanza lontano da sparire nella luce tenue della sera, Caterina chiuse gli occhi e con un sospiro profondo appoggiò la schiena al muro del camminamento. Quella giornata infinita stava finalmente lasciando il posto alla notte.
 Tuttavia era ancora presto per riposare. Doveva immediatamente scrivere a Milano, per informare suo zio del cambio di castellano, prima che qualcun altro gli passasse informazioni tendenziose e rivedute. Poi avrebbe scritto anche a sua madre Lucrezia. Di certo Bianca sarebbe passata per Imola, prima di andare a Bologna, ma Caterina voleva fornire alla madre una sua versione dei fatti, nella speranza che riuscisse a capirla e forse a perdonarla.
 Sentendosi dieci anni di più sulle spalle, la Contessa finalmente si ritirò, andando in quelle che erano le sue stanze all'interno della rocca. Avrebbe, prima o poi, dato il via ai lavori di muratura per collegare il Paradiso a Ravaldino, ma ci sarebbe voluto tempo.
 
 Ottaviano teneva alto il cavaliere di legno preferito dal fratellino Galeazzo Maria, che tendeva le bracciotte verso il giocattolo, piagnucolando.
 “Lasciaglielo.” disse la sorella Bianca, perentoria.
 Ottaviano fece una smorfia, e continuò a tenere lontano Galeazzo, senza troppo sforzo.
 Cesare ridacchiò, spalleggiando il fratello più grande: “Lascialo fare... Anche Galeazzo deve capire chi comanda.”
 Bianca strinse le labbra, in un'espressione risoluta che ai fratelli ricordava molto tanto quella della madre, quanto quella della nonna Lucrezia.
 Senza più passare per le parole, Bianca si mise sulla punta dei piedi e strappò di mano il cavaliere di legno a Ottaviano e lo restituì a Galeazzo, che lo prese tra le braccia, smettendo all'istante di frignare.
 Ottaviano, che con quel gioco stupido stava solo cercando di sfogare la frustrazione di quel giorno, trovò subito una nuova vittima in Livio, che stava pacifico lì accanto a sfogliare un libro pieno di decorazioni.
 “Che leggi?” domandò Ottaviano, molesto, soffiando il volume da sotto al naso del fratello.
 “Smettila!” lo rimproverò Bianca, passando dubito alle vie di fatto, buttandosi sul libro per metterlo in salvo dal fratello maggiore: “O chiamo la balia!”
 “La balia ha da fare con Sforzino, non gliene importa nulla di noi.” sentenziò Ottaviano, che si chiedeva da tempo come mai al più piccolo di loro, che ormai aveva comunque tre anni, le balie si dedicassero ancora con tanta attenzione.
 “Allora chiamo nostra madre!” minacciò Bianca, ancora lottando per tenere stretto al petto il libro di Livio, che seguiva lo scontro incapace di aiutare la sorella o almeno distrarre il fratello.
 Ottaviano sbottò in una risata: “Nostra madre! Ma non l'hai ancora capito che nostra madre non ci ha mai voluti?!”
 Bianca smise per un istante di divincolarsi e anche Ottaviano interruppe i suoi tentativi di furto.
 Cesare guardava il fratello, più grande di lui di poco più di un anno, come se avesse di fronte un uomo grande e potente. Livio aveva fatto finta di non essere più interessato al discorso e si era messo a giocare assieme a Galeazzo con il cavaliere di legno.
 Bianca aveva un'espressione incredula: “Non dire certe cose...” sussurrò.
 Ottaviano assunse un'aria spavalda, simile a quella che aveva il loro signor padre quando voleva mostrarsi sicuro di sé: “Messer Tommaso era l'unico che sapeva cosa fare, in questa rocca.” disse, simulando una conoscenza della politica e degli affari dello Stato che in realtà non aveva: “Nostra madre l'ha cacciato solo perché lui era l'unico che ci volesse un po' di bene, assieme alla nostra povera zia. Ora ha fatto diventare castellano quello stalliere...”
 La voce di Ottaviano tremò appena, mentre le sue piccole mani si chiudevano in due pugni: “Se non lo fermeremo, tempo qualche mese e butterà fuori anche noi, perché per lei ormai esiste solo quell'uomo.”
 Bianca scosse con forza il capo. Non voleva sentire. Quello che suo fratello stava dicendo era tutto sbagliato. Non era vero che la loro madre non li voleva e non era nemmeno vero che messer Giacomo li avrebbe buttati fuori dalla loro casa. Erano tutte fandonie.
 “Dobbiamo fare qualcosa per levarcelo di torno, prima che lui lo faccia con noi.” decretò Ottaviano.
 Queste parole fecero subito presa su Cesare, che annuì e diede un colpo alla schiena del fratello, in segno di solidarietà: “Tutto quello che comandi.”
 Ottaviano chinò appena il capo, rincuorato dalla dichiarazione di fedeltà, e poi guardò Bianca, aspettandosi una reazione simile.
 “No, io non ci sto.” disse invece la bambina, che ancora sentiva rimbombare nelle orecchie le parole di Ottaviano e le sue orribili insinuazioni.
 Ottaviano diede uno sguardo a Livio e Galeazzo. Loro erano troppo piccoli per capire. Non era il caso di coinvolgerli.
 “Pensaci – concluse, con uno sguardo penetrante rivolto a Bianca – ti diamo qualche giorno, poi dovrai dirci se sei dei nostri o meno.”
 La bambina stava per ribattere, ribadendo la sua contrarietà, quando le balie arrivarono nella stanza assieme al piccolo Sforzino e dunque tutti quanti finsero che tutto fosse normale, come sempre.
 All'alba, dalle stanze della famiglia, partirono due lettere. Una per Milano, l'altra per Roma.
   
 
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