Serie TV > The Musketeers
Segui la storia  |       
Autore: AnyaTheThief    07/06/2016    1 recensioni
Roman Kozlov fissava quella palazzina da alcuni minuti. Gli sembrava incredibile che fosse rimasta in piedi, visto il destino crudele nel quale era incorsa Vienna intera.
“Quanto tempo è passato? Quanto tempo dall'ultima volta che mi hai baciata e senza parlare mi hai promesso una vita assieme?”
Athos si svegliò all'improvviso con un sussulto ed ansimò forte, in un letto di sudore. Si portò le mani tra i capelli fradici e fissò il vuoto per alcuni minuti.
Sbroglierò i nodi che ho creato nei due capitoli precedenti di Crossed Lives, spero li abbiate letti!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Milady De Winter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Suonami qualcosa.” le disse Roman accarezzandole la schiena nuda. Lei si era tirata su a sedere sul letto, il lenzuolo che le copriva il corpo dalla vita in giù, i lunghi capelli scuri sciolti sulle spalle. Gli sembrava una scena tanto romantica e sensuale che quasi si era dimenticato che poco prima si stavano praticamente urlando addosso. Non riusciva a ricondurre quella poesia che aveva preso forma tra le lenzuola alla presunzione e alla freddezza che gli aveva dimostrato.

Vanessa si voltò e gli sorrise in maniera sbarazzina, di nuovo vittoriosa.

“Suono solo per me stessa.” rispose glaciale, cambiando espressione ed alzandosi in piedi per andare a rinfilarsi nel vestito che aveva abbandonato sul pavimento. E lui che credeva di averla addolcita un po' durante quelle due ore consecutive tra le lenzuola. Si ritrovava invece mentalmente esausto, deluso dalla sua risposta e dal fatto che lei fosse così orgogliosa da non aver cambiato di una virgola il suo atteggiamento. Dopo tutta quella passione, quel desiderio che era nato all'improvviso ed all'improvviso era finito in un gelido sospiro che l'aveva allontanata di nuovo... Dopo tutte le parole che aveva sprecato per lei, ancora si permetteva di trattarlo come se fosse inferiore.

Bene: se era la guerra che voleva, la guerra avrebbe avuto. Lui era un soldato e non c'era nessuna chance che una ragazzetta impertinente avesse potuto vincere su di lui. Se voleva farsi desiderare così tanto, lui si sarebbe fatto desiderare ancor di più.

La imitò, rivestendosi velocemente. Vanessa lo guardò inizialmente sorpresa, come se invece sperasse di essere lei a congedarlo, ma poi fece finta di niente e gli voltò nuovamente la schiena, infilandosi le scarpe ai piedi.

Roman si alzò in piedi determinato, e riprese il fucile con sé; poi stette a guardarla, ad aspettare un segno, un saluto da parte sua. Vanessa si voltò con aria ingenua e indifferente.

“Beh?” gli fece, scuotendo la testa.

Lui non disse una parola. L'avrebbe voluta prendere a schiaffi fino a farla supplicare di smettere, ma ovviamente non lo fece. Arrivò a desiderare di avere a che fare con un uomo, per poterlo affrontare ad armi pari; invece era una donna, la più stronza e bella donna che avesse mai conosciuto, e gli stava facendo fumare il cervello di rabbia. Se ne andò senza dire una parola, sbattendosi la porta alle spalle.

 

 

 

“Perché sei arrivato soltanto ora?”

Milady lo guardava con aria di rimprovero, corrucciata. Poi la sua espressione si addolcì.

“Non qui...” gli disse, allungando una mano agguantata verso il suo volto. Un forte profumo di nontiscordardime gli giunse alle narici, così dolce da risultare quasi nauseabondo, e non appena lo toccò, Athos rinvenne.

Si trovava nella stessa posizione nella quale era collassato la sera prima, ma il sole lo stava piacevolmente riscaldando. Dopo un attimo di smarrimento, si ricordò improvvisamente tutta la conversazione avuta qualche ora prima con il barista e i due francesi, e scattò, riprendendosi dal torpore in men che non si dica. Lei continuava a portare quel guanto. Voleva essere ritrovata, sapeva che lui sarebbe andata a cercarla, anche a distanza di tutti quegli anni.

Camminò verso il porto a passo svelto, nonostante in testa ancora gli rimbombassero fastidiosamente le parole che lei gli aveva detto in sogno.

Non prese molte precauzioni. Sapeva che una volta che si sarebbero ritrovati, nient'altro sarebbe importato. Chiunque fosse stato quel Mr. Matthews, o come si chiamava, non avrebbe potuto niente contro loro due assieme, lo avrebbe sconfitto in un batter d'occhio pur di riportarsela a casa.

Il bordello era enorme e vistoso, affacciato direttamente sul porto. Tutti gli odori più sgradevoli provenienti dal fiume e dal ristagno delle sue acque si annullavano di fronte a quell'edificio, sostituiti da profumi esotici ed aromi mescolati.

Fuori dalla porta un violinista stava suonando una melodia lenta e malinconica ed Athos trovò ironico il contrasto tra il motivo e quel posto. Non si rese nemmeno conto che nel momento in cui varcò la soglia, il musicista cambiò completamente registro, ed iniziò ad intonare la Foscarina di Marini.

Una donna dal seno prosperoso gli si piazzò subito davanti con aria sensuale.

“Niente armi qui dentro, occhi belli.” gli disse con un sorriso malizioso.

“Mr. Matthews.” disse Athos con gli occhi arrossati e l'aria stanca, guardandosi attorno. Ma vedeva soltanto ragazze aggirarsi mezze nude, chi per dedicarsi al prossimo cliente, chi per sbirciare in sua direzione e rivolgergli complimenti poco celati.

La sua interlocutrice parve indisporsi nell'udire quel nome.

“Ti conviene girare al largo, occhi belli.” gli rispose lei in un francese quasi perfetto.

“No, a Voi invece conviene rispondermi! Una donna...” mormorò ansante e confuso. “Una donna con un guanto come questo...” ed estrasse dalla tasca la metà della coppia che Milady aveva abbandonato al crocevia. La donna sgranò gli occhi, ma non ebbe tempo di rispondergli. Una serie di urletti striduli attirarono la loro attenzione; le altre ragazze sussultavano quando un uomo corpulento passava in mezzo a loro a passo pesante. Era diretto proprio verso di Athos e la sua faccia non prospettava nulla di buono.

La donna si dileguò in un battibaleno ed il moschettiere portò la mano sull'elsa della spada. Quel tizio era enorme, calvo e grosso il doppio di lui; oltretutto, non sembrava molto propenso al dialogo. Gli arrivò di fronte e senza esitare gli rifilò una ginocchiata nello stomaco.

Athos ricadde a terra dolorante, tossendo e cercando di realizzare cosa fosse appena successo, ma non ne ebbe il tempo: si ritrovò per strada, probabilmente con qualche costola rotta, tutto dolorante ed impolverato.

“A-Anne...” rantolò, tossicchiando e sputando terra, mentre il violinista continuava ad intonare la Foscarina. “Anne...” si rialzò sulle gambe tremanti. “ANNE!” urlò in un verso quasi animalesco che fece trasalire persino il violinista, che stonò una nota.

“ANNE!” continuò Athos, urlando verso le finestre, affollate da ragazze incuriosite che lo guardavano bisbigliando tra di loro, con i seni in bella vista. “ANNE!” non demordeva lui. Non temeva quell'energumeno, non temeva di venire arrestato o di finire ammazzato e gettato nel fiume: doveva ritrovarla, e se lei era lì glielo avrebbe fatto capire in qualche modo.

Si fiondò sulla porta chiusa. “Apri!! Apri, bastardo, cane di un vigliacco!! Ridammela, lei è mia!!” si sfogò con i pugni contro quel legno massiccio, finché non sentì più nessun dolore alle mani, allo stomaco, alla schiena; finché persino la Fornarina gli sembrò sfumare nel nulla, lontana, e la voce di lei gli ripeteva “Non qui”, fino a farlo imbestialire ancora di più.

“DOVE, ALLORA?!” gridò, sferrando un ultimo calcio alla porta.

“Sei arrivato tardi.” un'affermazione in un francese stentato lo fece voltare di scatto, furente. Era il violinista che aveva davvero smesso di suonare e lo fissava scuro in volto. Athos gli fu addosso, lo prese per il bavero e lo spinse contro il muro.

“Cosa sai? Dimmi cosa sai!!” gli ringhiò a due centimetri dalla faccia.

“Devo suonare, lasciami! Se non suono, lui poi sospetta!” Athos riprese fiato, ma negli occhi gli brillava ancora un guizzo di follia che avrebbe potuto uccidere il musicista soltanto guardandolo.

“Suona, allora, ma parla per Dio!” lo rilasciò, adirato ed impaziente.

L'uomo riprese a suonare la melodia nostalgica, e dopo pochi secondi parlò.

“Era qui fino a due settimane fa, poi è sparita. Dicono che lui l'ha uccisa. Dicono che lei era spia. Lui odia suo nome. Una ragazza faceva domande, lui l'ha picchiata e mandata via. Senza lavoro, per strada.” spiegò l'uomo, visibilmente agitato, continuando a suonare mentre teneva un occhio sull'ingresso del bordello per controllare che Mr. Matthews non uscisse. “Vai via ora, se no ti ammazza.”

“Chi è la ragazza?” domandò Athos, ben piantato sui suoi piedi.

“Liz la rossa. A Coventry.” tagliò corto lui, incitandolo con lo sguardo ad allontanarsi rapidamente.

Athos indugiò ancora per un attimo, poi diede un'ultima occhiata al palazzo, come se si aspettasse di vedere il viso di lei tra quello delle ragazze affacciate, ma nessuno stava più guardando dalle finestre.

Si incamminò rapidamente, non mancando di voltarsi a lanciare un ultimo sguardo alle proprie spalle come se bastasse quello per capire se le parole del violinista fossero sincere.

 

 

“Vanessa. Sono io, apri.”

Roman stava bussando alla porta della cantina da alcuni minuti, senza ricevere risposta dall'interno. Avrebbe potuto semplicemente entrare, ma il pudore lo tratteneva dal farlo senza essere sicuro che lei fosse effettivamente lì dentro. Iniziava a preoccuparsi, il sole era calato da parecchio tempo e se la ragazza non era lì, allora era in giro da sola o nella peggiore delle ipotesi poteva essere finita in guai seri.

Alla fine non ce l'aveva fatta a stare senza Vanessa per più di due giorni di seguito ed aveva ceduto. Aveva inghiottito l'orgoglio ed era tornato da lei a testa bassa, determinato ad ignorare gli atteggiamenti bruschi e freddi che aveva nei suoi confronti. Dopotutto, ne aveva passate di tutti i colori, non poteva biasimarla se ancora non riusciva a fidarsi pienamente.

Per quanto gli riguardava, invece, i suoi sentimenti verso di lei erano limpidi e li avrebbe persino esternati se lei avesse smesso di fare la stronza per un attimo.

“Vanessa, sto entrando.” si annunciò, prima di aprire la porta lentamente.

Il posto era deserto. Soltanto il violino abbandonato sul divano lo benediceva con l'illusione che lei sarebbe tornata. Mosse alcuni passi all'interno, incuriosito da alcune carte appoggiate sul tavolo. Non avrebbe voluto, non avrebbe dovuto, ma lo fece.

Quando intravide un biglietto del treno in bella vista, non poté fare a meno di sbirciare. Mancavano solo tre giorni alla data riportata, e quando Roman lesse la destinazione finale su un salvacondotto lì accanto, non poté fare a meno di sgranare gli occhi.

Non fece in tempo a leggere cosa c'era scritto nella lettera fitta di parole sotto al biglietto ferroviario, perché una voce lo fece sobbalzare.

“Cosa fai?!” Vanessa era in piedi davanti alla porta che lo guardava severa. A grandi passi raggiunse il tavolo, raccolse le carte avidamente e le andò ad infilare nel cassetto, poi tornò a guardarlo in cagnesco. “Come ti sei permesso?” era furente, ed era anche vestita da uomo. Indossava ancora la giacca di suo padre, i pantaloni da uomo ed il cappello. Roman notò degli schizzi di sangue sulla parte superiore del vestito che portava sotto, ma aveva una questione ancora più spinosa da sottoporle.

“Stai partendo.” disse lui, ancora sconvolto.

“La cosa non ti riguarda.” tagliò corto Vanessa.

“Cosa ci vai a fare in Spagna? Lo sai che c'è Franco là?” la ammonì in un tono che usava spesso con Ninochka, quando faceva qualcosa di sbagliato.

“Oh, pensavo ci fossero soltanto arcobaleni e fiori in Spagna.” gli fece il verso lei, ironica. “Certo che lo so che c'è Franco! E so anche che la Francia vuole chiudere i confini, quindi conviene che mi dia una mossa.”

Lui la guardò attonito, senza parole, arreso, impotente: ancora una volta, sconfitto.

“Non farlo.” supplicò, in un fil di voce disperato.

Lei rise; non capiva, minimizzava l'importanza di quello che c'era tra di loro, di quello che c'era sempre stato tra di loro, dal primo momento.

“Vediamo se ho capito: dovrei rimanere qui, in questa cantina, invece di studiare violino al Conservatorio, solo perché me lo dice un porco soldato russo?”

Lui sbatté le palpebre incredulo. Non riusciva a comprendere come potesse essere tanto insensibile e distaccata emotivamente, nonostante lui le stesse aprendo il suo cuore.

“Per andare da un porco soldato austriaco che ti ha abbandonata?!” replicò con rabbia. La domanda ancora risuonava nella desolazione della cantina, quando uno schiaffo gli colpì la guancia. Si rese subito conto dell'errore: era pur sempre suo padre, l'unico familiare che le rimaneva, e stava cercando di riscattarsi nei confronti di sua figlia. Roman si massaggiò il viso dolorante.

“Vattene.” gli sibilò lei.

“Ti amo.” mormorò lui, e poi non riuscì a capire se lo sguardo stupefatto di lei fosse in reazione alle sue parole o al rumore della porta che si apriva nuovamente.  

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Musketeers / Vai alla pagina dell'autore: AnyaTheThief