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Autore: Crilu_98    07/06/2016    2 recensioni
"La prima cosa che noto è che cammina in modo strano: tiene le braccia larghe attorno a sé e procede lentamente, titubante. Le sue mani incontrano lo spigolo di uno dei banconi e mi chiedo perplesso perché abbia dovuto toccarlo, prima di aggirarlo. Poi, quando mi soffermo sui suoi occhi, spalancati e fissi su di noi, comprendo.
-Ma è cieca!- urlo, balzando in piedi. La ragazzina si ferma e fa una smorfia sorpresa, voltando il capo proprio verso di me."
Alexandra Jane Sorrentino: origini italiane, orgogliosa, razionale, talmente sicura di sé e delle sue capacità da iscriversi ad un concorso televisivo di cucina. Unico problema: un incidente l'ha resa cieca. Ed è questo che attrae e insieme spaventa Jake Moore, inflessibile e scontroso giudice del concorso: perché Alexandra è diversa, speciale... Ma è probabilmente anche l'unica in grado di capire il suo modo di fare cucina e, con esso, tutto ciò che ha tentato di dimenticare dietro di sé...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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P.O.V. Alexandra
 
Al mio risveglio mi stiracchio come un gatto e frammenti della conversazione di ieri riaffiorano nella mia mente, permettendomi di localizzare dove mi trovo: sono nel letto di Jake Moore, e qualcuno mi ha anche avvolto con la leggera trapunta satura del suo odore. Non ci vuole un genio per capire che quel qualcuno è la stessa persona che invece di essere stesa accanto a me sta trafficando in cucina, imprecando qualche volta sotto voce. Sorrido mestamente, ripensando a ciò che mi ha rivelato ieri sera, e riflettendo sul grande dubbio che mi attanaglia: che facciamo ora? E' evidente che tra noi c'è qualcosa di più della semplice attrazione, un sentimento a cui né io né Jake vogliamo dare un nome, forse per paura. Vorrei averlo per me, poterlo accarezzare, stringere, baciare... Ma so che finché resterò nella cucina di Chefs non potrò farlo. Problema ancora più grande, un'ex-amante inferocita e un agguerrito quanto stronzo concorrente stanno cercando di rovinarci: eppure sono felice e leggera come non mi sentivo da tempo. Solitamente, aprendo gli occhi la mattina e vedendo il buio, venivo assalita dall'angoscia e dai ricordi dell'incidente. Quella notte maledetta, e tutto l'alcool che avevo in corpo... Scuoto la testa con vigore, aggrappandomi al profumo di Jake che è apparso accanto a me.
-Ti ho preparato la colazione!- esclama, con un'allegria nella voce che non gli ho mai sentito e che mi scalda il cuore.
-Il profumo è delizioso! Cos'è?- chiedo, con già l'acquolina in bocca.
-Vediamo se indovini!- mi provoca lui, sedendosi accanto a me sul letto e trafficando con il vassoio che si è portato dietro.
-Apri la bocca.- ordina, per poi avvicinarmi un boccone di un meraviglioso croissant farcito con una crema sconosciuta. Non so se sono estasiata più per il sapore che mi esplode nella bocca o per il fatto che Jake Moore mi stia imboccando con una dolcezza ed una dedizione che superano anche quelle di mia madre... Mia madre!
-Jake!- esclamo terrorizzata -La mia famiglia non sa dove sono! Saranno preoccupati a morte, Dio...!-
-Stai calma, ragazzina!- mi rassicura lui senza perdere il buonumore -Tyler ha chiamato stamattina e di comune accordo abbiamo deciso di fargli dire ai tuoi genitori che sei rimasta a dormire da Robin Ben Jelloum... Ci pensava tuo fratello ad avvisarla. Ora, con cosa ho farcito questo croissant?-
-Tu e Tyler in accordo su qualcosa? Che peccato essermi persa la scena! Mmm... Arance?-
-Mi deludi profondamente! Ritenta!-
-Oddio, mi stai mettendo pressione!- mi lagno -Come in cucina! Vediamo... Forse mandarini? E' troppo dolce per essere una crema al limone!-
-Accidenti, Alexandra, ci stai girando intorno! Chissà che così tu non capisca...-
Non ho il tempo di chiedergli cosa stia farneticando che le sue labbra sono già sulle mie e di nuovo sento quel sapore dolce e aspro al tempo stesso e sorrido, trovando a tentoni la sua testa e giocando con i suoi capelli.
-Allora?- ansima lui staccandosi.
-Pompelmo...- mormoro stordita. Un nuovo bacio, ancora più appassionato e vorace, mi conferma che ho ragione.
-Come ti è venuto in mente di usare il pompelmo per farcire un croissant!?- esclamo, nonostante quella crema insolita sia buona. Lo sento ridacchiare imbarazzato:
-Triste da dire, ma avevo a disposizione solo quello!-
 
Poco dopo siamo seduti entrambi al tavolo di marmo della sua cucina: c'è un buon odore di pane appena sfornato qui, mischiato al profumo di Jake. Jake... Mi ha tirato su dal letto con una sola mano e prendendomi agilmente in braccio mi ha portata fin qui, e ora aspetta in silenzio che mi decida a parlare.
-Cosa siamo?- chiedo, dandomi mentalmente della stupida per essere stata troppo diretta. Ma Jake non sembra essere colpito più di tanto dalla domanda: evidentemente ci ha riflettuto sopra anche lui.
-Nulla, per il momento. Sei una ragazza bellissima, Alexandra, e ti desidero dalla prima volta che ti ho vista dormire nel mio letto, ma sono consapevole che una relazione con me non farebbe altro che metterti in difficoltà: ora dobbiamo solo concentrarci ad arrivare alla fine di Chefs evitando di cadere nelle trappole di Elizaveta e Smith.-
-Come se fosse semplice, Jake!- esclamo sarcastica.
-Mi piace quando mi chiami per nome...- mormora lui -Di solito le donne mi chiamano così solo durante l'amplesso...-
-Questa me la sarei anche risparmiata!- borbotto a denti stretti. Gelosa? Ebbene sì, forse un pochino lo sono! Lo sento ridere e rilassarsi contro lo schienale della sedia.
-Tranquilla, ragazzina, ho già un piano.-
-Wow, e quale sarebbe?-
-Riprenderò ad andare a letto con Elizaveta.-
Tra di noi cala il gelo e mi rifiuto di credere a quello che ho sentito: dopo tutto ciò che ci siamo scambiati lui mi ripaga così? Mi rialzo in piedi pur sapendo di essere incapace di raggiungere la porta, stringendo forte tra le dita la sedia su cui ero seduta.
-Sei sempre il solito stronzo cinico e...-
La sua mano mi artiglia il polso e con un movimento secco mi ritrovo seduta sulle sue ginocchia, il suo respiro che mi solletica il viso.
-Non mi hai capito: non mi va di fare sesso con lei, ragazzina. Non me ne va neanche un po' e la cosa mi sorprende non poco, qualche mese fa non mi sarei fatto problemi. Ma conosco Elizaveta e so che è una donna impaziente: se noi ci comportiamo bene lei non otterrà le prove che le servono per rovinarti. Perciò io tornerò nelle sue grazie, almeno fino a quando Chefs non avrà un vincitore: a quel punto potrò chiudere davvero questa storia e...-
-E...?- balbetto con voce strozzata. Il pensiero che il piano contorto che ha ideato possa essere l'unica chance di salvare il mio sogno mi sta logorando.
-E a quel punto avrò la possibilità, se tu me lo concedi, di provare ad avere una relazione con te. Una relazione vera, quella che non ho mai avuto con nessuna.-
Aspetta trepidante la mia reazione: quando si tratta di me il Moore arrogante e sicuro di sé sembra sparire nei meandri del suo animo.
-E come faccio io ad aspettare per stare con te?- sussurro con un tono più lamentoso di quanto volessi -Sapendoti tra le braccia di un'altra, poi!-
Jake sghignazza sprezzante e sfiora con il naso l'incavo del mio collo:
-Sono stato a letto con molte donne, Sorrentino. Ma voglio andarci piano, con te.-
Sento un peso opprimente chiudermi la bocca dello stomaco e mozzarmi il respiro.
-Jake, io... Io non sono vergine, se è questo che intendi.-
La presa sui miei fianchi si fa più rigida ed avverto il suo corpo tendersi contro il mio.
-Ah no?- ringhia, irritato.
-Solo perché sono cieca non significa che io non abbia avuto certe esperienze... Prima.- mormoro, a disagio.
-Prima di cosa?- indaga lui, ostinato.
"Sei davvero pronta a dirglielo?" sussurra una vocina cattiva nella mia testa. Inizio seriamente ad odiare il mio subconscio.
-Prima dell'incidente che mi ha privato della vista.-
 
P.O.V. Jake
 
Alexandra Jane Sorrentino non è vergine. E per quanto sia illogico, la cosa mi fa incazzare da morire, perché significa che qualcuno ha già avuto il privilegio di spogliarla, accarezzarla  e farla sua. Qualcuno ha catturato i suoi sospiri, qualcuno ha già sentito il proprio nome sospirato da quelle labbra seducenti durante l'orgasmo... E quel qualcuno non sono io, accidenti!
E poi leggo qualcos'altro nel tono sommesso con cui pronuncia le ultime frasi: un non detto estremamente pesante, che sembra soffocarla. Osservo con attenzione gli occhi tenuti cautamente bassi e le ciocche bionde che catturano la luce del sole mattutino, brillando ad ogni minimo movimento della sua testa. Non riesco ad immaginarla in nessun altro posto se non dietro ad un bancone di cucina e forse è qui che sbaglio: le ho raccontato tutto quello che c'è da sapere sul mio passato, conosce sicuramente ogni dettaglio della mia vita presente grazie ad Internet, le ho appena affidato quanto di più fragile e prezioso ho al mondo... Ma io non so nulla di lei, eccetto il fatto che abbia un difficile rapporto con la famiglia e il fantasma di questo incidente alle spalle. Per la prima volta provo a rendermi conto di quanto debba essere doloroso e difficile non poter vedere più nulla, dopo aver assaporato la bellezza della luce.
"Chi eri, prima?" mi chiedo, spaesato e leggermente in imbarazzo: non ho mai seriamente pensato a lei come una persona normale, in queste settimane. E' cieca, e questo fatto è così castrante nella vita di tutti i giorni che anche sapendo grazie a Tyler che c'è stato un tempo in cui Alexandra vedeva, io non l'ho mai immaginata senza la sua andatura incerta. Senza il suo equilibrio precario. Senza Abigail al suo fianco. Senza l'udito acuto e senza l'olfatto finissimo.
-Jake?- chiede, mordendosi il labbro: deve essere preoccupata per il mio prolungato silenzio, ma mi perdo nell'osservare quel semplice gesto che mi chiude lo stomaco e mette duramente alla prova i miei istinti.
-Jake!- sbotta a questo punto, arrabbiata. La bacio di nuovo, sorridendo incantato:
-Scusami, ma è colpa tua: lo sai che mi fai questo effetto se ti torturi le labbra a quel modo...- sussurro malizioso e mi compiaccio nel sentirla rabbrividire. Dio, quanto vorrei trascinarla in camera di peso e dare sfogo a tutta la mia eccitazione; anzi, perché aspettare di arrivare fino al letto? Anche il divano o il tavolo vanno benissimo! Ma non voglio lasciar cadere quel discorso delicato, perciò torno serio.
-Alexandra, ti va di parlarmi di come... Di come hai perso la vista?-
La ragazzina fa un respiro profondo e le sue labbra si contraggono in una smorfia ironica:
-Tento di dimenticarlo, in verità. Ma so che è impossibile e so anche che tu meriti di sapere, soprattutto dopo ciò che mi hai raccontato stanotte.
Non sono sempre stata così interessata alla cucina. Voglio dire, da piccola sì, moltissimo: aiutavo mia nonna a cucinare ed è da lei che ho imparato molte ricette italiane. Poi, crescendo, ho iniziato a cercare qualcosa di diverso: amavo la mia famiglia, ma tu non puoi capire che cosa significhi vivere con due fratelli e un padre iperprotettivo! Perciò diventai un'adolescente irrequieta, forse un po' ribelle, annoiata dalla scuola e perennemente fuori casa: avevo un giro di amici molto grande, anche se avrei imparato a mie spese quanto questi legami fossero effimeri, e molti di loro erano più grandi di me. Mi vergogno della diciottenne che sono stata: feste quasi ogni sera, voti disastrosi, sbornie da perdere il senno e litigate all'ordine del giorno.-
Mi sento ribollire il sangue nelle vene: ecco quali sono state le sue "esperienze"! Non voglio neanche immaginare con quanti ragazzi abbia scopato, sotto l'effetto dell'alcool.
"Tu non puoi certo biasimarla!" esclama la mia coscienza, beffarda. Ha ragione, ma mi fa male lo stesso.
-Poi cosa è successo?- chiedo, con il tono da giudice inflessibile: non voglio che il mio malanimo interiore la raggiunga e la ferisca.
-Avevo diciannove anni e in quel momento uscivo con un ragazzo di ventisei. Non lo conoscevo bene, ci ero giusto andata a letto un paio di volte e di certo non immaginavo che oltre a bere come una spugna sniffasse anche. Perciò, quando salimmo sulla sua moto entrambi ubriachi fradici, non era difficile immaginare che sarebbe andata a finire male.-
Non sono sicuro di voler sapere il seguito, ma non mi azzardo ad interromperla: si nota che non ne ha mai parlato con nessuno - probabilmente non aveva nessuno con cui parlarne - e so che le farà bene. Io, al contrario, mi sento come se mi stessero prendendo a pugni: uno per ogni dettaglio svelato su quel bastardo che le ha rovinato la vita. Perché ha ragione, non è difficile capire come sia andata, quella notte. Alexandra sospira, prima di concludere con voce appena udibile:
-Potrei dirti che era buio, che aveva piovuto da poco e la strada era bagnata, che quel camion pieno di taniche di petrolio non poteva sostare in quel punto... Ed è tutto vero, ma la colpa rimane comunque nostra. Mia. Kevin non fece in tempo ad evitare l'ostacolo, probabilmente non l'aveva neanche visto: mi ritrovai a terra, bagnata di quel liquido infiammabile che mi era arrivato anche sugli occhi. Mi hanno detto che ho ancora le cicatrici sulla schiena di quando sono rotolata sull'asfalto, ma io non ricordo nulla se non il bruciore e l'oscurità assoluta. Urlai, cercando si sovrastare i rumori attorno a me - il ronzio della moto fracassata, la voce del camionista che chiamava i soccorsi, i gemiti di Kevin - ma l'unica cosa che riuscivo a pensare era che sarei morta.-
Alza lo sguardo su di me e rimango inebetito a fissare quegli occhi così belli eppure così vuoti: adesso che sono ad un palmo da me vedo come una patina sopra di loro, un velo sfocato che le impedisce di vedere.
-Quando mi sono svegliata, in ospedale, credevo di essere in coma: sentivo i miei genitori e i miei fratelli attorno a me e le voci dei medici, ma ero immersa nel buio. Ci ho messo giorni a capire che in realtà avevo gli occhi aperti e quando me ne resi conto scivolai lentamente nella depressione. Ero sola con i miei rimorsi, una famiglia a cui avevo dato solo dispiaceri e degli occhi ormai inutilizzabili. E poi nulla, mi sono buttata sulla cucina: a casa ero un peso morto, perciò diedi una mano a quel modo. Certo, i primi tempi mi facevo male, mi tagliavo, mi bruciavo, non riconoscevo odori né oggetti... Ma con il tempo ho imparato a destreggiarmi anche in cucine sconosciute, ed è stato allora che Tyler mi ha proposto di partecipare a Chefs.-
Sorride, buttando indietro la testa e stringendo le braccia attorno al mio collo.
-La prima cosa che ho sentito è stata la tua voce, sai? Burbero ed insopportabile, come al solito! Ho fatto ricerche su di te, su Martinez e su Elizaveta e pian piano mi sono lasciata convincere da mio fratello in questa follia, a cui, come avrai capito dal comportamento di mia madre, i miei sono decisamente contrari!-
Le sue mani iniziano a percorrermi il collo, titubanti, accarezzandomi la pelle lasciata scoperta dalla t-shirt nera che indosso; sta aspettando che io dica qualcosa, ma ho paura che se solo muovo un muscolo io non sia capace di trattenermi...
-Ci sei?- mormora, confusa. La stringo a me, costringendola a rannicchiarsi contro il mio torace in modo che i suoi capelli mi solletichino il mento.
-Mi dispiace.- sussurro e mi accorgo che la mia voce trema.
-Di cosa? Non è certo colpa tua!-
-Mi dispiace per tutto quello che hai dovuto passare, è una cosa orribile.-
-Forse me la meritavo...- mormora Alexandra sovrappensiero.
-Ehi, non scherzare! Eri una ragazza che amava divertirsi e allora? Non è un crimine, credimi, parlo per esperienza! Probabilmente non eri irreprensibile e sei stata sconsiderata, ma la colpa, se proprio la devi trovare, è di quel coglione che ti ha fatto salire su una moto di cui si è messo alla guida in quelle condizioni! Ti giuro che se me lo ritrovo davanti...-
-Impossibile. E' morto dopo poche ore.- commenta, laconica ed impassibile.
-Posso chiederti una cosa, Jake?-
-Se continui a pronunciare il mio nome in modo così melodioso, dopo tutti quei fastidiosi "signor Moore", non posso dirti di no a nulla!-
-Ho ascoltato la tua voce e riconosco all'istante il tuo profumo, ma... Posso provare a vederti?-
Resto un attimo in silenzio, cercando di capire cosa intenda dire, ma quando vedo le sue mani torcersi e fremere per potermi toccare, comprendo.
-Certo.-
La sua è una carezza delicata, che sfiora appena la mia pelle e mi trasmette un brivido elettrico estremamente piacevole: scorre leggera le dita sui tratti del mio viso, attardandosi sulle guance rese ispide dalla ricrescita della barba, sulle labbra... Si diverte a saggiarne il contorno in lungo e in largo, e un ringhio affannato mi sorge spontaneo dalla gola.
-Ragazzina, tu mi farai impazzire!-
Alexandra si lascia andare ad una breve risata, lasciandomi un casto bacio sulla fronte e sospirando con malinconia.
-Non oggi: hai un'altra donna da soddisfare.-
 
Sono stato a casa di Elizaveta Hobbes solo una volta, per un party angosciante il cui unico risvolto positivo fu che me la portai a letto per la prima volta. Capisco da cosa derivi la sua presunzione di esercitare una continua e costante attrazione su di me, che potrebbe trasformarsi in qualcosa di più: il suo corpo mi ha fatto cedere fin troppe volte, nonostante io cerchi di tenere a distanza le mie amanti dopo due o tre rapporti.
E' alta, longilinea, con i suoi provocanti capelli rossi naturali, le curve al posto giusto e un paio di gambe da brivido... Tutto il contrario della figura minuta della ragazzina, insomma.
"Toglitela dalla testa per un paio d'ore, Jake!" Mi ammonisco mentre suono il campanello: ci mancherebbe solo di sussurrare il suo nome mentre sono con Elizaveta.
Quando apre la porta la fisso cercando di nascondere la mia sorpresa: questa donna si metterà mai una tuta? O un pigiama, come tutte le persone normali? No, lei è impeccabile come al solito, stretta in un vestito firmato e con i capelli racchiusi in una treccia morbida; l'unico dettaglio che rivela un certo rilassamento sono delle eleganti pantofole in stoffa al posto dei quotidiani tacchi.
-Jake!- esclama sbarrando gli occhi, e anche se cerca di mostrare una certa freddezza mi tranquillizzo nel capire che con lei avrò un gioco facile.
-Elizaveta!- replico beffardo, prima di afferrarla per le spalle e baciarla. Lei sembra cedere, ma poi si dimena e mi allontana come se le mie labbra scottassero. Mi guarda sospettosa poggiando le mani sui fianchi.
-Che significa questo?- ringhia.
-Significa che ho voglia di te, Eliza...-
-Non mentire, stronzo! Mi hai congedato senza troppi complimenti nella nostra ultima conversazione!-
Sospiro, valutando bene come muovermi e fin dove posso spingermi in questa farsa: non ho intenzione di rimanere impigliato in qualcosa che sarà difficile da rompere, una volta che potrò finalmente stare con Alexandra.
-Senti, Elizaveta, sappiamo entrambi come sono fatto: ultimamente ti eri messa in testa cose impossibili, lo sai che tra noi non c'era nulla di più di un buon sesso, l'hai sempre saputo! Ti sembro il tipo da relazione stabile?-
-No.- sussurra lei abbassando lo sguardo sul parquet tirato a lucido. Anche la sua casa è perfetta e sempre pulita, spenderà un patrimonio per mantenere l'esercito di cameriere che servono per mantenerla così in ordine!
-Brava. Quindi, cosa dici? Ricominciamo da dove ci eravamo interrotti?-
-E Alexandra Sorrentino?- sbotta d'un tratto, sollevando il mento con aria di sfida. Le luccicano gli occhi, sembra convinta di potermi trarre in inganno.
"Quanto sei ingenua, Elizaveta Hobbes!"
-Sorrentino? Cosa c'entra la ragazza cieca adesso?-
-Le stai sempre intorno e poi ho sentito dire che siete stati sorpresi in atteggiamenti poco... Adatti ai vostri ruoli...-
Mi sento la gola secca e le mani mi prudono dal desiderio di spaccare la faccia di Smith: ha esagerato, cazzo!
-E come mai io non so nulla di queste voci? Dovresti controllare meglio i tuoi informatori, Hobbes, io ronzo intorno a quella ragazzina solo perché mi interessa la sua cucina...-
-Non starai pensando di assumerla, vero?- esclama scandalizzata e divertita. Il mio sguardo si incendia di rabbia.
-E anche se fosse?-
Le sopracciglia di Elizaveta si inarcano, scettiche.
-Ma Jake... E' cieca.-
Vorrei sbatterle in faccia la verità, di come Alexandra sia migliore di lei non solo come persona, ma anche come cuoca, però so di non poter mandare a monte la sua unica occasione di non essere buttata fuori da Chefs con disonore. Devo ignorare questo commento assurdo, lo devo fare per lei.
Perciò sorrido:
-Hai ragione, stavo solo scherzando. Cosa hai deciso per noi due?-
Elizaveta mi guarda provocante e si lascia andare ad un risolino malizioso. Poi, con mia enorme sorpresa, si slaccia il vestito e mi da' le spalle, incamminandosi verso il corridoio.
-Ricordi la strada, vero?-
 
 
Angolo Autrice:
Eccomi qua, e dire che con la fine della scuola avrei dovuto avere più tempo per scrivere! Uff!
Che ve ne pare di questo capitolo? Molto più riflessivo degli altri, è una sorta di "pausa" dal mondo esterno... Almeno fino a quando Jake non va da Elizaveta: so che può sembrare una trovata strana, ma così lui placherà i suoi dubbi e se la rigirerà come vuole. Stronzo, eh?
Aspetto le vostre recensioni!
Alla prossima

Crilu 
   
 
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