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Autore: DarkYuna    09/06/2016    2 recensioni
"Inarca le sopracciglia, livida in viso, sta per dare sfogo alla furia e il malcapitato è il sottoscritto. Se è in fase premestruale posso iniziare a scrivere il mio necrologio. Migé avrebbe potuto cantare al funerale o magari Linde, un’Ave Maria Heavy Metal, con chitarre distorte e voci roboanti."
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.
*Magari il destino cambierà idea*







 
Quando ti fidi degli amici sono due le possibilità o ti va bene o la prendi in quel posto.
Io, puntualmente, la prendo il quel posto.
 
 
Fa un freddo cane, la sera ad Helsinki i gradi scendono precipitosamente sotto lo zero e non si vede un cane per la via. Solo i temerari sfidano l’inverno gelido o i coglioni, come me.
Strofino le mani assiderate, la pelle è diventata dapprima cerea, poi di un blu puffo preoccupante, adesso sembra d’arcobaleno. Mi stringo nel cappotto e tremo. Odio l’inverno, odio il freddo ed odio dover soffrire così durante la brutta stagione.
 
 
Sette e trenta, Migé è in ritardo di tre quarti d’ora e meno male che gli ho detto di non lasciarmi come un fesso per strada. Mannaggia a me e a quando non mi sono preso quella fottuta patente!
Pesto i piedi, provo a riscaldarmi, ma niente, la corporatura scheletrica non è di grande aiuto. Lo studio di registrazione alle mie spalle è chiuso, quindi non posso tornare dentro, sono bloccato su un metro e mezzo di neve, in attesa che lo spazzaneve mi porti via con sé.
 
 
Sbuffo, il fiato si condensa in una nuvoletta di vapore e viene divorata dalla temperatura glaciale. Provo a telefonargli, cinque squilli e subentra la segreteria.
Stupido idiota che non sa nemmeno come si accende un cellulare! Gli mando un messaggio, ma niente, pare sia stato rapito dagli alieni.
Cambio traiettoria dello sguardo, mi perdo in un ricordo piccolo, un ricordo dimenticato, ma non abbastanza. La vista della neve lo fa riemergere dal mucchio del passato. Scuoto la testa, non sono in vena di malinconie, sono incazzato, voglio esserlo, senza dover mutare continuamente l’umore.
 
 
Non riesco a comporre musica, non mi sono calato nell’atteggiamento giusto, sono “scazzato”, parecchio, non sto bene in nessun luogo e nessun luogo è adatto per dare vita alle parole che spiegano, una volta di più, che l’amore fa schifo, l’amore annienta, l’amore è una piaga, una maledizione.
Sto di merda per colpa dell’amore, non per Irina, quello che c’è con lei non è amore. Ci prova, si sforza, vuole compiacermi, finge di essere ciò che non è, mente, continuamente, a se stessa e a me.
Attrae solo la parte bassa del mio corpo. Il cervello è tutta un’altra storia, se non si riesce a prendermi di testa, non c’è alcuna speranza di entrarmi nell’anima. Non è con lei che voglio svegliarmi la mattina, fare colazione, scherzare, raccontarmi, addormentarmi la notte. Fino a quando sarà solo sesso, con Irina, andrà bene, ma inizia a pretendere di più e quella pretesa porterà all’inevitabile fine delle scopate gratis.
 
 
Accendo una Marlboro rossa, una profonda boccata e intirizzisco da capo a piede. Inizio a camminare, se resto fermò lì, finirò sul notiziario delle sei del mattino.
 
 
È strana le mente umana, funziona da sola, come un essere animato e senziente che non ha niente a che fare con il corpo, opera di vita propria, nessun criterio, solo istinto primordiale. Non so il perché, le ho parlato una volta sola, anzi, litigato più che altro, una volta sola, da allora l’ho vista tre volte in due settimane.
La prima, di sfuggita, era su una macchina blu, guidava lei. Bella, sicura di sé al volante, accanto una ragazza. Non mi ha visto, ma io ho visto lei. La vedo bene.  
La seconda, stava rientrando in casa, ha accelerato il passo, poiché le venivo di fronte, non voleva parlarmi o ascoltare battutine pedanti. Ci saremmo comunque divisi, poiché il suo cancello conduceva in strada, mentre io dovevo svoltare all’interno del quartiere.
E l’ultima, forse la peggiore, mi sa che è stata quella sera che ho iniziato a pensarla più spesso. In compagnia di un ragazzo, ridacchiavano davanti casa sua. Passavo in bicicletta e per poco non mi schiantavo sul palo della luce.
 
 
Mi ero riscoperto geloso, come un deficiente, volevo vantare delle pretese, come se l’avessi vista per prima e il tipo stava sconfinando illegalmente. Ero stato infastidito di vederla con un altro, un sempliciotto, uno che si può trovare a fare il cascamorto alla prima che mostra interesse, uno che non batte chiodo manco per miracolo e, talmente infoiato, da volerlo infilare in ogni buco libero. Non se la merita.
 
 
Rifletto sui pensieri disconnessi, fumo piano, sconcertato.
Non se la merita? Ma che diritto ho di giudicare? Che me ne frega poi? Ci ho “parlato” una volta sola, ed è stata pure  una volta di troppo. Una così porta guai, specialmente a me che di guai ne ho a bizzeffe e ne attiro come una calamita.
Ho altro a cui pensare, che perdere il mio tempo dietro ad una ragazzina che può fare della sua vita ciò meglio le aggrada.
 
 
Gli anabbaglianti di una macchina mi accecano. L’auto parcheggia a pochi metri, dal finestrino aperto la faccia paffuta di Migé fa capolinea. Ha la barba da Vecchio Testamento, ci saranno forme di vita aliena tra i peli ispidi.
 
 
<< Alla buon ora, eh!  Mi si è congelato l’uccello. >>. Getto la cicca della sigaretta.
 
 
<< C’era traffico. >>, si scusa. Ha sempre questa mania di scusarsi che mi urta il sistema nervoso, lo fa da quando aveva otto anni. Si scusa per tutto, anche se è lui ad avere ragione.   
 
 
Mi guardo attorno.
<< Me se non c’è manco un cane. >>. Salgo accanto al posto del guidatore. L’interno dell’abitacolo è caldo e accogliente, una manna per chi è stato al freddo intenso. Fatico a ristabilire una normale temperatura. Batto i denti. << C’era traffico al bagno? >>, ipotizzo, per nulla serio.  
 
 
<< Cioè? >>.
 
 
<< Non sei andato a cagare? >>.
 
 
Cade dalle nuvole, non le capisce le mie battute, è inutile. Anche se le mie battute fanno davvero pietà, non sono capace neanche di raccontare le barzellette, dato che parto dalla fine.  
<< No. >>, nega confuso.
 
 
<< Allora va’ a cagare. >>. Scoppio a ridere, riprendo colorito, lo “scazzo” mi passa, ho voglia di una birra fredda, nonostante sia un ghiacciolo dalla testa ai piedi. Coerenza, questa sconosciuta.
 
 
Scuote la testa, non risponde: è abituato. Ingrana la marcia, procede piano, la neve lo spaventa, preferisce essere prudente. Migé è l’altra parte di me, quello buono, sincero e simpatico, mentre io sono l’esatto opposto. Ci compensiamo, in un qualche strano modo. Gli voglio bene, davvero. Uno dei pochi per cui provo affetto sincero.
<< Avevamo programmato qualcosa tra amici, ti va? >>.
 
 
Scrollo le spalle. Non ho voglia di tornare a casa, non ho voglia di uscire, non ho voglia della solitudine, non ho voglia della compagnia.
<< Dove? >>.
 
 
<< Al Corona Bar. Devi ridarmi la rivincita a biliardo. >>, rammenta. È una scusa. Mi conosce fin troppo bene, per lasciarmi da solo, quando sono strano e su di giri, ma silenzioso.   
 
 
<< Vai. Vediamo come va la serata. >>. Scruto Helsinki al di là del finestrino, il respiro appanna il vetro. Neve, negozi, poche persone, molte luci, luoghi in cui sono stato, flashback che vorrei cancellare. Un concentrato di sbagli ed angosce, et voilà, ecco a voi chi è Ville Valo.
 
 
Restiamo in silenzio, è per questo che Migé è il mio migliore amico, sa quando deve chiudere la bocca e quando no. Non è il tipico amico che deve parlarti a tutti i costi o farsi sentire ogni santo giorno per dimostrarti che ci tiene, rispetta le mie paranoie, le asocialità e il bisogno di solitudine perenne. So che non si offende, so che c’è, così come io ci sono quando lui ha bisogno.
Non sono proprio uno stronzo completo, benché io frequenti una persona ogni cent’anni, non ci penso due volte ad aiutarlo, quando è il momento.
 
 
<< Dobbiamo rivedere le ultime registrazioni. Ci sono delle cose che non mi convincono. >>. Non so il perché, il solo ronzio del riscaldamento mi disturba, come se, il silenzio amplificasse i nervi, faccia a faccia con i pensieri profondi, quelli che odio, che rivangano il trascorso, che non mi lasciano in pace, soprattutto la notte. E chi dorme mai!
 
 
Sono sensibile sulle nuove canzoni, lui lo sa, è un campo minato, calcola bene la risposta.
<< Lunedì passo allo studio per le demo e rivediamo le registrazioni. Ci sono novità? >>.
 
 
Scrollo le spalle, gratto inquieto il naso ed aggiusto il berretto.
<< Più o meno… non lo so. >>, rispondo vago. Che novità ci può essere? Sempre l’identica routine, sto solo, faccio schifo, vivo male e sopravvivo pure peggio. << Ci sto lavorando. Come va a casa, la famiglia? >>, cambio discorso, è meglio.
 
 
<< Tutto bene, progettiamo le vacanze natalizie, dopo l’Helldone ci faremo un viaggetto: un secondo viaggio di nozze. Ne abbiamo bisogno. >>. Da qualche mese, Migé e Vedrana hanno problemi coniugali, più che colpa sua è colpa della moglie. Sono di parte. Lei non capisce, malgrado ciò, dopo tanti anni di matrimonio, dovrebbe essere abituata ai ritmi serrati di una band, i concerti, i viaggi e le assenze.
Le donne sono tutte uguali, se non sono al centro delle attenzioni, allora è un casino, protestano, litigano e rompono le palle. Non ce n’è una che si accontenta. Aberro le relazioni stabili, per questo motivo.
 
 
Di nuovo penso alla ragazzina, per un inspiegabile istante, mi chiedo se è davvero come tutte le altre, in fondo, non ha mai accettato l’invito a cena, mentre conosco chi farebbe carte false per una chance così. Poi mi evita, è palese.
Invece di cadermi ai piedi, ha la faccia di una a cui faccio schifo, forse è per questo che mi fomenta, mi incaponisco sempre con chi mi rifugge come se fossi l’ottava piaga d’Egitto.
Mi piacciono le cose intricate, ha ragione mio padre, non sono fatto per la semplicità, io, la vita, me la complico a prescindere.
 
 
La macchina si ferma davanti al Corona Bar. C’è tanta gente, riconosco qualche faccia familiare, amici di sempre, compagni di bevute, c’è anche Linde. La sala da biliardo è affollata, la buona musica si accompagna al cicaleccio brioso e ad ottima birra.
Saluto qualcuno, mi chiedono come sto, non mi si vede molto in giro, specialmente quando sono concentrato su nuova musica, quindi, del mio arrivo, ne fanno un evento biblico, mi infastidisce la baraonda, le mani che mi toccano, le battute allusive su una qualche fidanzata nascosta, che mi tiene in ostaggio. Quante cazzate! Le parole pompose suonano false, sottintese ed ingannatrici.
 
 
Linde mi saluta con un cenno, poi si china sul tavolo da biliardo e due palle finiscono in buca. Burton non c’è, Gas ormai si è trasferito dall’altra parte del mondo. Ci siamo lasciati male con Gas, non gli è andata più a genio il fatto che fossi solo io a comporre, che lui suonasse e basta, si sentiva schiacciato dalla mia presenza, la sua opinione esclusa. Colpa mia, ci sono abituato. Faccio scappare le persone, ho un ego spropositato.
 
 
La confusione mi mette ansia, disturba e resto zitto in un angolo, spettatore passivo di una vita che non mi appartiene. Siedo su uno sgabello all’angolo, un po’ come quando, da bambino a scuola, ne combinavo una delle mie e la maestra mi metteva in castigo. Sono rimasto in punizione da allora.
Dieci minuti e sbadiglio annoiato, puntello i gomiti sulle ginocchia, rannicchiato in una posizione assurda, aggiusto il berretto che mi scivola sugli occhi e lo sguardo cade a tre tavoli da biliardo più in là. Su un caschetto corvino che identifico immantinente.
 
 
La ragazzina è qui.
 
 
Non da sola. Con lei c’è l’amica che ho visto nella sua macchina, altri quattro ragazzi e tre ragazze. Le femmine sono in netta maggioranza. Il coglione che sta frequentando, non c’è.
Ha in mano una stecca, si atteggia sicura, parla spedita, ride allegra, gli occhi brillano di una luce misteriosa. L’osservo meglio, i capelli non sono neri, sono di un castano mogano, qualche ciocca biondo scuro. Il corpo longilineo è risaltato da un paio di pantaloni attillati in similpelle neri, le delineano le gambe agili e un sedere che farebbe resuscitare i morti. La maglietta aderente dello stesso tessuto, tratteggia come una seconda pelle il seno perfetto e i fianchi magri. Ha dei ghirigori gotici sul davanti, che diventano trasparenti sul petto. Gli stivali con il tacco alto sono il tocco d’arte che completa l’abbigliamento sensuale, impossibile da non fissare e molti uomini presenti sono d’accordo con me.
È il suo turno, si protende sul tavolo e… la visuale è delle migliori, i pantaloni stretti le scoprono la schiena rosea, alzo la testa per osservare meglio il sedere da urlo, sodo e rotondo. Un colpo e manda sei palle in buca, lasciando di stucco gli amici. Capisco che la serata è sua, ha vinto più volte ed ha stracciato i ragazzi.
 
 
Sorrido senza motivo, è un sorriso stupido. Se fossi più spontaneo mi sarei avvicinato, a fare non so cosa, preferisco una birra, quindi vado al bancone per ordinarne una. Aspetto il mio turno, c’è una gran folla: è sabato sera.
Qualche giorno ancora ed Helsinki si sarebbe riempita di turisti per Natale, l’Helldone e cazzate varie. Detesto questo periodo, mi mette ansia, più di quanta già ne possiedo e, oltre la cena con la mia famiglia, passerò le vacanze da solo. È fuori discussione stare con Irina, magari una scopata veloce, giusto perché è Natale, ma poi ognuno a casa propria.
A Natale si è tutti più buoni, non io. O si è buoni tutto l’anno o la stronzata per pulirsi l’anima, non funziona con me. Per pulire la mia, di anima, non basterebbe la candeggina ultra sbiancante.  
 
 
Saluto la ragazza al bancone, che arrossisce fin nelle viscere, e chiedo la birra. Parlo poco, non sono in vena. Non sono mai in vena di parlare.
 
 
<< Offro io. >>, annuncia un’energica voce femminile, in inglese, accanto a me. Non l’ho manco vista arrivare, lei, la ragazzina. Il terzo dan, l’esperta di kick boxing, la tiratrice seriale di cinquine invisibili.  
Ha il viso sudato, un trucco pesante che non la penalizza, anzi, la trasforma in una donna matura. Non sono più certo che sia minorenne, è donna, è adulta, capace di provocare fantasie carnali che si affollano brutali nella mente. L’abbigliamento seducente non è d’aiuto per restare lucidi.
 
 
Le getto un’occhiata accesa al fisico allettante, non riesco a non stuzzicarla, è più forte di me. Mi accende.  
<< Vedo che alla fine hai deciso di indossare un completino della tua collezione sadomaso. Chi è il malcapitato stasera? >>.
 
 
Tira la bocca da un lato, un ghigno enigmatico, le labbra di un bordeaux scuro. Le iridi mi trangugiano, è più spigliata, meno austera, audace negli atteggiamenti, qualche birra di troppo ha rotto i freni inibitori.
<< A chi sto offrendo da bere? >>, domanda retorica. Ordina anche lei una birra, si appoggia al bancone e si avvicina. Il seno sfiora la mia mano a penzoloni sulla superficie lucida.   
 
 
Prendo la bottiglia in vetro verde di birra, la sorseggio e non riesco a staccargli gli occhi di dosso.
<< A cosa devo questa gentilezza? >>. Sono diffidente, mi ha evitato come la peste fino ad oggi e questa sera è lei che fa la prima mossa. Come mai?
 
 
Sbuffa sonoramente.
<< Quanto sei pesante, oh! Se non la vuoi la birra, poco male, me la bevo io. >>. Fa per strappare il gentile regalo dalle mani, ma l’anticipo e le tolgo la bottiglia dalla traiettoria.
 
 
<< Non ti sembra di aver bevuto già troppo? >>. Da che pulpito viene la predica!
 
 
È colpita, come se non fosse abituata a ricevere queste apprensioni, sa che ho ragione. Non lo ammetterà mai. Tipico.
<< Non sei mio padre. >>, afferma arcigna. Ho toccato un tasto dolente. Rovista nei pantaloni in similpelle, ne estrae una banconota da cinque euro stropicciata e me la pianta malamente sullo stomaco. << Pagati la birra e vaffanculo. >>.
 
 
Si regge a malapena sugli stivali vertiginosi, afferra la sua di bottiglia e fa per andarsene.
Per la seconda volta sono io a fermarla per un polso, e come l’altra volta, non voglio che se ne vada, specialmente in quelle condizioni pietose. È smodatamente disinibita, attira numerosi sguardi maschili indecenti e ne sembra compiaciuta. Non sono geloso, mi dispiacerebbe se le accadesse qualcosa di brutto, quando posso benissimo evitarlo.
 
 
<< Che vuoi? >>, ringhia irosa, ha così tanto veleno in corpo, che può squagliarmi in un nanosecondo. << Ti ho dato i soldi, che altro vuoi? >>.   
 
 
<< Quietati ragazzina! >>, sbotto esasperato. Non è come le altre donne: è peggio.
 
 
Mi viene sotto il naso, minacciosa, un fuoco corvino, torva, intimidatoria e sto attento: la cinquina è in agguato. Anche il suo profumo è lussurioso, sensuale e mira a stregare.  
<< Ma tu, da me, che cazzo vuoi? >>. Scandisce sillaba per sillaba, calcando le parole in inglese, sono ridicole, impastate. Non è brilla, è ubriaca persa. Le iridi sono scure, brillanti e vedo le fiamme dell’inferno bruciare in esse.
 
 
Le lascio piano il polso.
Che voglio da lei, davvero? Non me lo so spiegare. Non capisco il perché ho pensato a lei varie volte, perché mi ha infastidito vederla con un altro e perché stasera mi preoccupo per lei. In fondo, che diavolo me ne frega?
 
 
<< Vuoi scopare, eh? >>, chiede d’un tratto derisoria, anzi, allude, come se gli uomini incontrati fino ad oggi avessero voluto solo questo da lei.
 
 
Il quesito mi rimbomba nella testa e mi confonde, turba e sconvolge. Non per l’interrogativo esplicito, sono abituato, di proposte così ne ricevo a bizzeffe. Sono sconcertato perché capisco che è quello che voglio io, che è quello che ho voluto sin dall’inizio, che ha suscitato una sequela inspiegabile di emozioni tenebrose e feroci, ha risvegliato la parte meno nobile di me. E più di questo, comprendo che non è solo il sesso che cerco, per quello c’è Irina, dalla ragazzina voglio altro. Qualcosa di carnale, immorale, sangue, intensità violenta, voglio saziarmi, sentirla dentro di me, più che nel corpo, nell’anima e voglio lo stesso, la voglio mia.
Deve essere mia.
 
 
A pochi metri di distanza, intravedo l’amica che è venuta a cercarla.
 
 
Non attende oltre, è impaziente e con un colpo inaspettato, mi lancia il contenuto della bottiglia in faccia. La birra mi inonda il viso, bagna il berretto, la maglia, puzzo peggio di quanto mi sbronzo. La gente ci guarda, stupefatta, la ragazza dietro al bancone è meravigliata e contrariata: lei non mi avrebbe riservato un simile atteggiamento.
 
 
Se ne va, vacillante sulle gambe, alzando un dito medio nella mia direzione.
Mi odia.
Mi piace.
Quella ragazzina, l’esperta di arti marziali, colei che mena meglio di Mike Tyson, l’innaffiatrice di birre, ha risvegliato il mio assopito interesse.
 
 
Sorrido: che la guerra abbia inizio. 









Note: 
Pubblicherò un capitolo al mese, salvo imprevisti. 

Eccoci giunti al secondo capitolo della ff. Se vi state chiedendo se ci si può "invaghire" di qualcuno di cui non si sa neppure
il nome, beh, fidatevi che si può. Comunque la ragazza è un tipo tosto e Ville non avrà vita facile. 

Migé e la moglie non hanno realmente problemi coniugali, l'ho inventato per esigenze di narrazione.

Grazie a chi ha letto la storia, spero che qualcuno mi lascerà un pensiero. 


La storia può presentare errori ortografici.

Un abbraccio.
DarkYuna
 
 
 






 
 
 
 
 
 
  
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