Capitolo XVIII
Cuccioli d’uomo
Un altro lunghissimo mese colmo di emozioni ed eventi ha lasciato silenziosamente la vita di noi tutti, e mentre la foresta si sveglia con il levarsi del sole, che occupa il suo posto nel terso e azzurro cielo di questo calmo mattino, una moltitudine di voci mi distrae. Sono di nuovo impegnata in una delle mie solite passeggiate mattutine volte a scaricare lo stress e la tensione, e quell’insieme di voci, unite in un coro di gioia e gran festa, mi attira come il sangue di un animale ferito farebbe con un qualsiasi predatore. Un minuto scorre svanendo dalla mia esistenza, e correndo, li raggiungo. I miei amici umani sembrano chiamarmi, ed io non voglio farli attendere. Mia figlia Cora mi segue, con la piccola Xena appena dietro di lei, impegnata a tenere il nostro passo annusando l’erba e il terreno alla ricerca di impronte. Ad ogni modo, la fortuna ci assiste, e in pochi minuti, giungiamo alla nostra destinazione. È quindi questione di un singolo istante, e ciò che ho la fortuna di vedere, mi meraviglia, lasciandomi letteralmente senza parole. La mia amica Saskia è accompagnata dai genitori e dal marito Truman, che stringe la mano dell’amata guardandola con occhi colmi d’amore e orgoglio. Il villaggio è di nuovo in festa, e stavolta per un motivo ancora più importante. Sapevo bene che la mia amica era in attesa di un figlio, e finalmente oggi quella sorta di miracolo si compiva, proprio davanti agli increduli occhi miei e della sua intera comunità. Sorridendo, Saskia stringe fra le braccia un fagotto, e spostando leggermente quella morbida coperta, mostra a tutti quell’adorabile creatura. Il frutto del loro sconfinato amore, il motivo della loro gioia, e il concreto seme del loro sicuro avvenire. Il bimbo che tanto avevano atteso, e di cui perfino io ero felice. Nonostante la gran festa in onore di Saskia, gli umani non tardarono a notare la presenza mia e di parte dei miei congiunti, e avvicinandomi, mi lasciai accarezzare. Chinandosi leggermente, la mia amica mi passò una mano sulla testa, e leccandola, sorrisi. “Hai visto? È mia figlia, e si chiama Lyuba.” Sussurrò, trovando ancora non poche difficoltà a smettere di sorridere e trattenere la contentezza. “E guarda, non è sola.” Disse il marito, avvicinandosi a me e lasciando che strofinassi leggermente il muso contro il viso della loro bambina. Appena un attimo dopo, scoprii la verità. L’uomo stringeva infatti un secondo fagotto, e il colore della coperta, azzurro come i miei occhi e il ciondolo che sua moglie mi aveva regalato, mi portò ad intuire il sesso del piccolo. Un bellissimo bambino. Forte e sano quanto entrambi i genitori, portava un nome che valorizzava la sua nascita unita alla sua esistenza. Duncan. Un nome corto e semplice, recante nella loro lingua, un sapiente misto di russo, hindi e rumeno, il significato di guerriero. In quel preciso istante, un secondo sorriso mi illuminò il volto, ma la mia felicità si spense non appena il mio sguardo cadde sul mio ciondolo. Ricordavo bene il giorno in cui Saskia ne aveva regalato uno ad ogni membro del mio branco, e sapere che si era spezzato, mi avviliva. Chinando lo sguardo in segno di vergogna, mossi una zampa al solo scopo di toglierlo, per poi prenderlo in bocca e mostrarglielo. Stando al suo giudizio, la pietra era in buone condizioni, ma lo stesso discorso non appariva applicabile alla sottile catenina a cui quel gioiello era appeso. “Dallo a me.” Disse, parlando in tono calmo e al contempo serio. Mantenendo il silenzio, mi limitai ad obbedire, e alcuni attimi più tardi, mi accorsi che un accurato lavoro manuale aveva riportato il mio gioiello al suo antico splendore. “Non lasciarlo mai, capito?” mi avvisò, seria. Annuendo con decisione, la guardai, e lasciandomi abbracciare sia da lei che dal marito, la salutai con calore, per poi voltarmi e congedarmi da entrambi. Quel pomeriggio, tornai alla foresta in compagnia di Xena e Cora, e una volta arrivata, mi sdraiai fra l’erba, sfinita dalla stanchezza. Addormentandomi, mi rifugiai nei miei stessi sogni, immaginando, con un gran sorriso sulle labbra, l’avvenire di quei dolci cuccioli d’uomo.