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Autore: ilcielopiangequalchevolta    11/06/2016    1 recensioni
A volte, per ricominciare da capo e ammettere i propri sbagli, è necessario scappare per poi tornare indietro.
Sabrina Vacciello è una ragazza timida, abituata a contare esclusivamente sulle proprie forze e con un grande segreto sulle spalle. Ha una sublime conoscenza delle lingue e tanta voglia di viaggiare; comunque partire e abbandonare tutto è difficile, così si ritrova bloccata in Italia fino ai vent'anni. Un giorno una domanda la sprona ad allontanarsi dal suo paese per riscoprire sé stessa.
Proprio Sabrina si scontra con James Harrison, un ricco imprenditore dall'animo saccente. Quando l'amore si interpone prepotentemente sulla sua strada, egli deve solo farsi trasportare dalla magia di questo sentimento.
James vuole avvicinarsi a Sabrina, l’unica donna che riesce a fargli battere il cuore, però lei non è ancora pronta a lasciarsi il passato alle spalle e a gettarsi in quel turbine di emozioni quale è l’amore. O forse si?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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10) She was my first thought in the morning when I used to open my eyes.

SABRINA’S POV
Trascorse una lunghissima settimana, durante la quale non uscii dalla mia camera fatta eccezione per le poche volte in cui tentai di ingerire un pasto decente. Ricevetti un numero infinito di chiamate di James, tuttavia non risposi neppure ad una. Me lo ritrovai persino sotto casa, nonostante ciò l’imprenditore non varcò mai la soglia del mio portone. Fortuna che mi erano rimaste ancora le amiche: Alexis ed Amber rimasero appiccicate a me alla pari di due sanguisughe. In pratica non restavo mai sola nel mio appartamento. Quando la mia coinquilina lavorava, l’altra cercava di farmi compagnia, malgrado i miei grugniti di risposta ai suoi tentativi di instaurare una conversazione. Al contrario, nel momento in cui la ragazza doveva correre a scuola, Alexis la sostituiva, fermandosi con me  e guardando un film oppure allontanando in un altro modo la mia tristezza. Varie volte mi ero chiusa in me stessa, pensando alla gentilezza di quelle due donne e avevo rivissuto quei sette giorni straziante costituiti da silenzi e pianti mal celati, a partire dal momento in cui avevo capito che tipo fosse veramente James Harrison.

Dopo aver corso a perdifiato per la Grande Mela ed esser giunta sul mio letto svuotata di tutte le mie forze, sentii un ticchettio  provenire dalla porta della mia stanza. Credendo fosse il bastardo non aprii, anzi affondai maggiormente nel cuscino per attenuare i miei singhiozzi convulsi.  Successivamente mi domandai come fosse entrato senza chiavi e scartai immediatamente la possibilità di aiuto da parte di Lexy. Racimolai un po’ di coraggio  e mi trovai difronte  ad Alexis ed Amber. Mi abbracciarono di slancio all’unisono e, di nuovo, le lacrime sgorgarono disperatamente dai miei occhi per andare a morire sulle loro spalle. Passammo la nottata a vedere commedie sdolcinate e mangiare chili e chili di gelato. Discutemmo e scherzammo insieme fino alle luci dell’alba quando, ormai stremate, ci addormentammo strette l’una all’altra per non cadere dal mio materasso. Non mi recai neanche mezza volta al locale per timore di poter incontrare il ragazzo dal quale ero fuggita. Se me lo fossi trovato davanti, non avrei saputo proprio come comportarmi.

Quel breve arco di tempo era stato sufficiente per farmi comprendere che ero innamorata persa di lui. Lo avevo accolto nella mia vita timorosamente, avendo già giocato con il fuoco ed essendomi scottata in precedenza; in seguito, però, aveva acquisito un ruolo fondamentale per me. James aveva fatto il suo ingresso nella mia quotidianità in un periodo di stallo, nel quale mi trovavo catapultata in un nuovo mondo senza alcuna compagnia. In lui avevo visto un faro da cui orientarmi in caso di naufragio, una persona fidata a cui rivolgermi in caso si necessità; ma avrei dovuto ricredermi. Non immaginavo avesse assunto tanta importanza per me, invece la situazione era più complicata di quanto credessi. Mi aveva fatta cadere ai suoi piedi con semplici gesti, come una cenetta, una battuta qua e là e la sua presenza costante al “Ryan’s New York”.  Mi aveva ferita, umiliata, calpestata, distrutta, demolita, eppure non riuscivo ad odiarlo o a lasciarmelo alle spalle. All’opposto, continuavo a pensare a lui. Nella mia mente, soprattutto prima di prendere sonno, si creavano immagini di lui avvinghiato ad un'altra ragazza e il mio povero cuore sanguinava al solo pensiero. Quel martedì era l’ultimo giorno che avevo libero e l’indomani sarei tornata alla normalità, andando a lavoro.

Mesi prima non avrei mai avuto quell’idea, però stufa di poltrire senza un obbiettivo, volli svagarmi un po’. Decisi di chiamare Amber per uscire e respirare un po’ di aria fresca, magari rilassandomi e dimenticandomi per un ora della realtà che mi circondava. A tentoni alzai il viso dalla federa ed agguantai il mio telefono. Regolai immediatamente la luminosità, poiché l’immensa luce che lo schermo emanava contrastava con l’oscurità presente fino a quel frangente nella mia camera. Scorsi i miei contatti in rubrica e, quasi all’inizio di essa, trovai il numero da me desiderato. Lei rispose appena al secondo squillo:
- Ciao tesoro, a cosa devo la tua chiamata?-  mi chiese con tono gentile la sua voce, mentre avvertivo dei rumori in sottofondo. Erano circa ottanta giorni che vivevo a New York, perciò non faticai molto a realizzare che quel frastuono era il chiasso tipico della metropolitana.
-Ciao, Amber! Avevo voglia di uscire e volevo sapere se volevi accompagnarmi in centro…- ammisi,  sedendomi più o meno composta sulla coperta e stiracchiandomi le ossa indolenzite. 
-Scusa, non posso! Sono contenta che tu abbia deciso di uscire, ma ho un impegno!-
-Che impegno? Se vuoi ti accompagno!- proposi contenta, pronta per fiondarmi in bagno e prepararmi alla meno peggio. Chiacchere e passeggiate tra amiche: era questo ciò di cui avevo bisogno!
-Oh no, no meglio di no. È una cosa…ehm…personale.- rivelò a stento, balbettando con un tono talmente isterico e falso che anche uno stolto non le avrebbe creduto. Non sopportavo che mi nascondesse qualcosa. Probabilmente risultai presuntuosa, sfacciata ed indiscreta, comunque non tolleravo che mi dicesse menzogne, quindi insistetti:
-Avanti sputa il rospo! Che hai da fare?- domandai con più audacia di quanta mi aspettassi e mi tappai immediatamente la bocca con una mano, certa di sentire la ragazza dall’altro capo della linea troncare la conversazione con poca grazia.
-Devo aiutare un componente della famiglia con il lavoro.- affermò, sbuffando irritata senza compiere nulla di tutto ciò che mi ero immaginata.
-Un componente della famiglia?- interrogai ancora pensierosa. Tutti i parenti degli Harrison, eccetto la madre, vivevano a Los Angeles. Me lo aveva detto Kevin in una conversazione passata. Avevo, ormai, capito che si trattasse di James e sapevo perfettamente che se avessi continuato ad avere contatti con i suoi fratelli, prima o poi, avrei sentito il suo nome in giro. – Che tipo di componente?-
-Beh, uno…zio. Si, uno zio di secondo grado!-
-E cosa devi aiutarlo a fare?- continuai imperterrita sulla mia strada, sorridendo lievemente e curiosa di scoprire quali altre scuse avrebbe accampato.
-Ehm…deve riordinare casa.- sbottò e avvertii che il rumore della ferrovia sotterranea  era stato sostituito da un vociare più orecchiabile e meno asfissiante.
-Amber, fai pena come bugiarda! Hai detto di avere un impegno personale e poi inventi di tuo zio. Hai detto che lo devi aiutare con il lavoro, ma dici di aiutarlo a mette a posto casa! Puoi dirmelo se si tratta di lui!- strepitai stizzita, alzandomi e dirigendomi a grandi falcate verso la cucina.
-Okay, James mi ha chiesto una mano per aiutarlo in ufficio. Non ha ancora assunto una segretaria!- confessò, sconfitta. Parlare di lui come se non fosse successo nulla, provocò la comparsa di alcune stille che mi pungevano violentemente gli occhi. Non ero pronta per proseguire il discorso, tuttavia non lo ero neppure per abbandonare la conversazione.
-Perché non ha ancora assunto nessuno?- dissi flebile, intanto che il cuore scalpitava e lo stomaco si attorcigliava su sé stesso, immaginando le sue gemme color oceano e le sue labbra rosee come petali.
-Ha fatto dei provini, ma nessuno lo convince… Adesso dovrebbe ritornare in ufficio, io sono appena arrivata qui. La verità è che vorrebbe te come segretaria, Brina!- confessò candidamente, supplicandomi quasi di fare qualcosa oltre i limiti delle mie possibilità.
-Okay, allora sei impegnata. Ciao tesoro, ci sentiamo dopo!- conclusi sbrigativa, socchiudendo le palpebre.
-Okay, ciao tesoro.- esalò comprensiva.
 
JAMES’POV
-Per favore, Ryan!- urlai nel bel mezzo del marciapiede. –Ho bisogno di parlarle!- strepitai, sperando di far placare la furia di quel bestione che mi stava trascinando per un orecchio fuori dal suo locale.
-Ti ho già detto che non è qui!- replicò lui, spintonandomi e facendomi quasi cadere. Barcollai e mi sorressi in piedi. Lisciai i miei vestiti sgualciti e mi scrollai di dosso le sue enormi mani.
-Non puoi chiamarla? Io non riesco ad avvicinarmi a lei!- gridai, arpionando le sue spalle e scuotendolo con forza.
Quell’omone arrabbiato mi fissò con un cipiglio imbestialito e si avvicinò pericolosamente a me. Arrivai alla conclusione che non mi avrebbe mai fatto quel favore e scappai a gambe levate.

Era la prima volta, dopo un’intera settimana, che uscivo dalla mia villa, eccetto quando avevo tentato di spiegare a Sabrina come erano andate le cose. In azienda mi stava sostituendo mio fratello. A volte persino mia madre aveva preso il mio posto, prodigando ordini a destra e sinistra e, nel momento in cui mi si parò davanti leggermente stranita per mio comportamento, incolpai una finta febbre di Dicembre. Amber non aveva tutti i torti, anzi ci aveva indovinato alla grande: io ero cotto della ragazza italiana.Lei era il mio primo pensiero alla mattina quando aprivo gli occhi,   chiamavo altre persone con il suo nome e la sognavo pure di notte. Mi agitavo nelle lenzuola irrequieto, immaginando di baciare ogni singolo millimetro della sua pelle candida. Io le toglievo lentamente la maglia e liberavo il suo seno stupendo. I suoi gemiti arrivavano ovattati alle mie orecchie, poiché la mia mente era annebbiata o stordita dalle sue labbra perse nei meandri del mio corpo. Le sue gambe si stringevano attorno al mio bacino, facendo sfregare le nostre intimità. Sbottonava la mia camicia per mordere, leccale o succhiare il mio petto. Fantasticavo sempre di giungere quasi all’apice del piacere e mi svegliavo nel cuore della notte sudato ed accaldato.

La questione era molto semplice: dovevo farmi perdonare da Sabrina, conquistarla, assumerla come segretaria e mettere la testa a posto. Non avevo mai avuto una relazione lunga e duratura, però con lei sentivo che poteva veramente funzionare. I suoi pozzi color caramello, le sue gote che si tingevano spesso di rosso, la sua timidezza che le faceva abbassare lo sguardo timorosa, la sua femminilità che sgorgava dalla sua carne sensuale mi trasmettevano sicurezza. Avrei voluto carezzarla, abbracciarla, affondare dentro di lei, far scivolare le mie dita tra i suoi capelli lucenti, incollare la mia lingua alla sua, riempire i miei polmoni del suo profumo inconfondibile e bearmi della sua vista ogni minuto.

Controllai l’orologio e dovetti ritornare alla “Harrison’s Industries” per svolgere dei provini per assumere la mia nuova assistente.

I colloqui furono un vero disastro e, demoralizzato,  mi diressi in ufficio. Stando ancora in corridoio scorsi mia sorella parlottare da sola e gesticolare nervosa. Accostandomi capii che stava discutendo con qualcuno al telefono. Mi fermai incuriosito. Trasalii all’improvviso e mi sembrò di non avere più la terra sotto la suola delle mie scarpe, ma di star sprofondando verso il suolo. Un vuoto d’aria mi colpì lo stomaco e dei polpastrelli invisibili strinsero la mia gola, impedendomi di respirare. Annaspai in cerca di ossigeno, quando udii Amber pronunciare il nome della creatura più bella sulla faccia del Pianeta. La parola “Sabrina” fluì dalle sue labbra con naturalezza, sfiorando la mia bocca dolcemente, per poi pugnalarmi all’addome rabbiosamente. Io dovevo cambiare il  mio destino, non potevo permettere che lei se ne andasse per sempre.
 
- Amber, puoi farmi una cortesia?- le domandai, entrando nella stanza un attimo dopo che staccò la chiamata.                                               
  -Certo, fratellone!- esclamò. Le scoccai un rapido bacio sulla fronte e mi accomodai sulla mia scrivania.               
  -Ho un mal di testa assurdo, mi servirebbe un’aspirina. Purtroppo nello scaffale dei medicinali non ci sono più. Ho chiamato  Kevin, ma dice che non può aiutarmi adesso, così mi chiedevo se avevi qualcuno che mi potesse comprare la medicina.- annunciai disinvolto, scoprendo le mie carte.
-Oh tranquillo, ne ho una in borsa!- mi sorrise rassicurante. Mi porse la bustina e tentai di mascherare al meglio il mio disappunto. Adocchiai la data impressa sull’involucro e notai che era buona per altri due anni.
  -Sorellina, ma è scaduta!- affermai e, prima che potesse pronunciare una sola sillaba, la buttai nel cestino.                                                                          
 -Ma come? Sei sicuro? Fammi vedere!-  starnazzò sconvolta, dirigendosi verso la spazzatura. Sobbalzai di scatto e mi parai difronte a lei, intralciando il suo cammino.                                                        
 -Amber, non puoi mettere le mani nel cestino, che schifo! E poi ho visto bene… allora non puoi mandare nessuno a comprarle?-                  
 -Vado io!-
 -Veramente io e te non possiamo muoverci da qui! Ho una riunione importante e mi servi tu!- dissi con voce ferma, che non ammetteva repliche.
 -Davvero? Ma sulla tua agenda non c’era nessuna riunione!- asserì confusa, prendendo l’oggetto in questione e sfogliando solo due pagine. Glielo strappai dalle mani e lo tenni stretto tra le mie.
 -Amber, fai meno domande! Insomma hai qualcuno da mandare a comprare un’aspirina?- ringhiai stizzito ed esasperato per poi sgranare le palpebre ad una sua risposta negativa.  -Come no? Alexis? Io sto male!- affermai con la voce piagnucolosa,  molleggiando le braccia avanti e indietro e distendendo i muscoli facciali in un’espressione infantile.
-Lexy è a lavoro…ma, forse, posso rimediare una persona!- concluse, sbuffando e prendendo il suo cellulare. Formulò velocemente un messaggio e ne attese la risposta. -Okay, una mia amica può!-.
 
Feci chiamare mia sorella dalla hall e attesi che se ne andasse, lasciando il telefono sul tavolo. Mi fiondai vicino a quell’aggeggio incriminato e lessi tutta la conversazione. Scoprii che Sabrina si stava dirigendo alla farmacia vicino Times Square per prendere una medicina per Amber. Aveva inventato che la malata era proprio lei, non mettendomi in mezzo. Le mie pupille scivolarono tra le lettere dei loro sms frenetiche, sopraffatte dal timore di essere scoperto e dalla frenesia di poterla finalmente rivedere.
Mi precipitai fuori dal edificio e sfrecciai tra i monumenti di New York, sentendo il freddo gelido della Grande Mela penetrarmi le ossa visto che, per la fretta, non avevo indossato un giubbotto. 

NOTE DELL’AUTRICE:      
Per prima cosa mi scuso immensamente con tutti per il ritardo. Oggi è esattamente un mese che non aggiorno e mi ero ripromessa di aggiornare almeno una volta a settimana. Tuttavia non ci sono stata e non ho potuto scrivere nulla né tantomeno collegarmi ad internet. Ormai è iniziata l’estate e mi auguro che i miei aggiornamenti saranno più frequenti. Comunque, venendo al capitolo, confesso che non mi convince poi molto. Ammetto che è un capitolo di stallo, anche abbastanza corto. Non succede nulla e non abbiamo neanche un piccolo dialogo tra i due protagonisti. Solo nella parte finale si avvicinano in minima parte. Ovviamente, da come si capisce, il prossimo capitolo inizierà proprio con il loro incontro dopo questa lunga settimana di silenzi. Non vi anticipo assolutamente nulla, ma sarà probabilmente il capitolo che state aspettando da una settimana. Se lo state aspettando. Forse il capitolo appena postato è una delusione per tutti quelli che volevano scoprire quello che succederà tra Brina e James e credo che la lunga attesa non abbia aiutato, però non ho saputo fare di meglio. Se avessi messo anche la conversazione tra i due sarebbe stato un capitolo infinito e non voglio annoiare il lettore. Sicuramente sto annoiando con le “note dell’autrice” infinite, quindi la finisco qui e ci vediamo nel prossimo capitolo. Alla prossima spero, ciao SS. 
   
 
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