Notte.
Tarda notte di un'estate particolarmente calda e afosa.
Per tutto il giorno non aveva tirato un alito di vento, come anche in quel momento, dopotutto.
A quell'ora la maggior parte delle finestre dei condomini erano chiuse e con le tapparelle abbassate.
Non si poteva dire che fosse una bella zona, anzi, non lo era per niente, ma come base temporanea per dei mafiosi poteva andare più che bene.
Le uniche luci che illuminavano le vie erano quelle dei pochi lampioni presenti per strada.
Non c'era un'anima in giro a quell'ora, né persone, né cani o gatti randagi. Nessuno.
Regnava la pace più completa in quel momento e, assieme ad essa, si sentiva nell'aria uno strano senso di solitudine, che rendeva tutto più caldo, afoso e stranamente opprimente.
Era come se quella piccola porzione di città si fosse improvvisamente spenta e distaccata dal resto del mondo, diventando una cosa a parte, governata da strane leggi a sé stanti.
Era tutto così irreale.
Ma c'era qualcuno che a quelle serate ormai aveva fatto l'abitudine, aveva imparato ad ignorare il caldo e la mancanza d'aria ed era ancora sveglio, nonostante l'intera giornata passata ad allenarsi faticosamente, tanto da vomitare sangue.
L'unica fonte luminosa dell'appartamento pressoché spoglio proveniva dall'abat-jour sul comodino di fianco al letto, la cui luce fioca e giallognola si proiettava sul profilo di un ragazzo seduto sul letto, le gambe incrociate e la schiena appoggiata ad un guanciale contro il muro.
Regnava il silenzio più assoluto e nessuno avrebbe potuto distrarlo, neanche Dazai, sdraiato al suo fianco e parzialmente coperto da un lenzuolo, addormentato ormai da un paio d'ore, la testa appoggiata sul cuscino .
Le dita sottili di Akutagawa percorrevano lentamente le pagine pregiate di un libro dall'aria antica, dove le lettere erano state incise a mano con inchiostro e pennino una dopo l'altra, con pazienza e immensa precisione.
Quei libri lo affascinavano; li esaminava a fondo, a partire dalla copertina fino all'ultima pagina, cercando di coglierne anche le minime imperfezioni. Faceva attenzione a tutto: se le lettere erano state troppo caricate di inchiostro o troppo poco, quali tipi di pennino erano stati usati e quale era la qualità della carta utilizzata.
Perdeva volentieri le ore dietro a tutto questi dettagli, esaminandoli uno per uno, sempre più affascinato parola dopo parola, lettera dopo lettera.
In quel modo si ritirava nel suo mondo, escludendone momentaneamente tutti coloro che non ne facevano parte, rimanendo da solo.
Sfiorava appena le pagine mentre leggeva, immerso nel silenzio più totale, poi girava pagina e quel silenzio veniva rotto da un lieve fruscio che durava pochi istanti, poi di nuovo la stanza veniva inghiottita nel silenzio più totale per un altro tempo indefinito, fino a quando non girava di nuovo pagina.
Più andava avanti e più si immergeva in quel mondo fatto di calligrafie antiche in cui lui era l'unico che poteva accedere, e una volta lì riusciva a dimenticarsi perfino di Dazai, della mafia, del suo passato.
Macinava le pagine una dopo l'altra, nella quiete più totale, andando avanti fino a quando l'altro non si svegliava; allora alzava pigramente la testa e lo salutava con un sorriso accennato.
Ma a quel punto Akutagawa non poteva far altro che tornare alla realtà; chiudeva con attenzione e delicatezza il libro e lo posava sul comodino.
E da quel momento tornava a pensare alle cose materiali; quale incarico gli sarebbe toccato, quanto tempo si sarebbe dovuto di nuovo allenare, quanti altri lividi sarebbero poi comparsi sulla sua pelle chiara in seguito a quegli allenamenti, e poi pensava a Dazai, e questa era forse la cosa che in assoluto gli faceva più male.
In quel momento gli sarebbe bastato allungare una mano di pochi centimetri per poterla posare sui suoi capelli castani in un'accenno di carezza.
Ma non avrebbe mai compiuto un gesto del genere, non avrebbe mai fatto niente che avesse potuto esporlo in questo modo, mettendo a nudo i propri sentimenti.
Per questo alla fine tornava ad isolarsi a quel modo, passando le notti in bianco pur di non essere costretto a pensare al ragazzo più grande, ora disteso nel suo stesso letto; sarebbe bastato un niente per poter far nascere qualcosa, positivo o negativo, ma, nonostante a dividerli ora ci fossero solo pochi centimetri, in realtà erano probabilmente distanti anni luce l'uno dall'altro.
Così vicini, eppure tanto lontani.
Grazie per aver letto fino a qui