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Autore: Eleanor_    14/06/2016    0 recensioni
Rose Weasley ha quindici anni, è una Grifondoro ed è la figlia di Ronald Weasley e Hermione Granger. E questo lo sanno tutti.
Ha i capelli rossi, gli occhi azzurri, la passione per i guai e per il Quidditch ereditati dal padre.
Il covo di ricci che si trova in testa, l'astuzia e la bontà d'animo, invece, li ha presi dalla madre.
Ma la somiglianza finisce qua.
Non è intelligente come Hermione, né coraggiosa come Ronald.
Rose Weasley non è sola, per fortuna.
Nella sua situazione si trovano quasi tutti i suoi cugini: lo scapestrato James, innamorato da sempre della bella e malinconica cugina Dominique, che si trova in una situazione complicata; Albus, spirito libero intelligente e decisamente affascinante; la dolce e furba Lily, il fratello Hugo, il freddo e apatico Louis, gli instancabili Fred e Roxanne.
Ognuno di loro sa cosa vuol dire avere il peso di un cognome sulle spalle.
E lo sa, scoprirà Rose, anche il biondissimo Scorpius Malfoy, il misterioso, arrogante e sensibile ragazzo che imparerà a conoscere, per un caso più o meno fortunato.
In breve, Rose Weasley sono io e vi voglio raccontare le nostre storie.
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, Nuovo personaggio, Rose Weasley | Coppie: James Sirius/Dominique, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Unexpectedly
 

Don’t tell me that I’m wrong
I’ve walked that road before
I left you on your own
And please believe them when they say
That it’s left for yesterday

-I Bet My Life, Imagine Dragons
 



Il secondo incontro con Malfoy giunge molto prima di quanto vorrei. Oggi è stato il primo giorno dei provini di Quidditch e arrivo in ritardo di cinque minuti in biblioteca, coi capelli bagnati e la borsa dei libri pesantissima che mi impedisce di correre senza farmi un male cane alla coscia. Lo trovo seduto nello stesso posto allo stesso tavolo in cui ci eravamo visti martedì.
«Sei in ritardo, Weasley» sbotta. «Ti avevo esplicitamente detto che dovevi essere puntuale!»
Perdo la pazienza ancora prima di fingere di averne un briciolo.
«Ci sono stati i provini per la nuova squadra, sono riuscita solo a fare la doccia e non ho cenato» grido arrabbiata. È dall’una che non mangio, e dopo aver passato due ore a rincorrere il boccino, sono sfinita ed esausta.
«Ti ho detto che non valevano nemmeno le scuse» risponde beffardo.
Mi siedo di fronte a lui, buttando la borsa sul banco e sbuffando. Sembra stanco, o annoiato. O tutti e due, più probabilmente.
Passiamo quasi un’ora e mezza a studiare Rune Antiche. Man mano che andiamo avanti mi rendo conto che è davvero bravo a spiegare e a farmi ricordare i simboli, anche se è comunque molto noioso ascoltarlo parlare, soprattutto perché si tratta di una materia che non mi va molto a genio.
Mi aiuta a fare i compiti per domani e mi promette che, prima della verifica, studieremo il doppio perché possa prendere un voto sufficiente.
Quando arriva l’ora di andarcene, mi alzo dalla sedia con le gambe e il sedere doloranti. Sento il mio stomaco brontolare e mi metto una mano sulla pancia, nel tentativo di alleviare il dolore. È evidente che anche lui ha sentito il rumore perché apre una tasca esterna della borsa e ne estrae una manciata di caramelle rosse, verdi e blu: Api Frizzole.
«Non saranno granché ma almeno è qualcosa» dice atono.
«Grazie, ma non voglio» rispondo freddamente. Anche se quel gesto si avvicina davvero molto a qualcosa di simile alla gentilezza, non dimentico che Malfoy si vergogna di me a tal punto da non voler far sapere a nessuno che mi dà ripetizioni.
Lui stringe gli occhi e mi fissa, per poi rimettere le caramelle nella borsa nera di pelle di drago.
«Non pensavo fossi così male, Weasley» dichiara, poi si volta e se ne va dalla biblioteca.
«Rose. Chiamami Rose» dico, ormai all’aria che mi circonda.
 
Appena fuori inspiro l’odore di pietra e pittura, così contrastante con quello di legno e libri che c’è all’interno della biblioteca. Mi dirigo dritta al settimo piano e una volta in Sala Comune, mi lascio cadere sulla poltrona più lontana dal camino. Celeste scende in Sala qualche minuto dopo, con un paio di pagnotte di zucca.
Deve avermi aspettata alzata per tutto questo tempo e le sono veramente grata.
«Oh Merlino e Morgana, grazie!» dico strabuzzando gli occhi quasi il cibo che ho davanti fosse un miraggio e addentando il pane. È come se non mangiassi da anni e vorrei ingurgitarlo in fretta, ma mi costringo a mandarlo giù piano piano per riempire un po’ il vuoto.
«Rose, ma dove sei stata? Il coprifuoco è alle dieci e sei appena appena puntuale. Vuoi di nuovo finire nei guai?» mi chiede lei, con il tono di una madre che sta cercando di spiegare al figlio perché non deve combinare disastri.
Ingoio un pezzetto di pane dolce e la guardo. Ha i capelli castano chiaro acconciati in due trecce che le arrivano appena sotto il mento e indossa un pigiama rosso e oro di almeno una taglia più grande di lei. Ha le mani intrecciate sul tavolo e si sta mordendo il labbro inferiore, un tic nervoso di cui penso non si renda conto.
«Prendo ripetizioni. Non posso dirti da chi, mi ha chiesto di non dirlo a nessuno. Oggi è stata la seconda volta in cui ci incontravamo» confesso, sperando che lei percepisca il mio tono alla “non mi fare altre domande”.
Celeste annuisce e si passa la lingua sulle labbra.
«Mi dispiace non poter essere del tutto sincera» aggiungo dopo una lunga pausa, ingollando l’ultimo pezzo della prima pagnotta.
Una volta in bagno, sollevo la testa per pettinarmi e mi guardo un attimo allo specchio. Ho un aspetto terribile: sono pallida e sotto gli occhi ho cerchi viola, ho le guance spruzzate di lentiggini e scavate e i capelli sono un groviglio di ricci rossi. Commento con un ‘ehw’, mi faccio una treccia per domare i capelli e poi mi butto sul letto.
 
Oggi abbiamo lezione di Storia della Magia e sono davvero agitata al pensiero di rivedere Rüf, ma cerco di sembrare più calma possibile. Sì, cerco, perché non funziona molto bene.
Esco dalla Sala Grande in compagnia di Dominique che mi saluta e segue le sue amiche in giardino.
Dietro di me, Scorpius raggiunge Al, e insieme a due ragazzi che dovrebbero essere i loro compagni di stanza, si avviano verso qualche aula ai piani superiori.
Malfoy non mi degna di uno sguardo, non accenna a conoscermi né mi saluta. Non che me lo aspettassi.
Una volta davanti alla porta dell’aula di Storia, prego perché quel malefico uomo trasparente non si ricordi di me.
Come a voler esaudire il mio desiderio, appena Rüf entra in classe posa gli occhi proprio sulla sottoscritta.
«Oggi vuole seguire la mia lezione o preferisce starsene di nuovo fuori, Weasley?» chiede, con la bocca che accenna a curvarsi in un sorriso.
«Sto bene qui» mi limito a dire. Lui fa un cenno con il capo e tutti ci sediamo ai nostri posti. Oggi siamo un gruppo misto di Tassorosso e Grifondoro e spero con tutto il cuore che i compagni non capiscano di cosa stesse parlando il professore.
Le mie speranze vengono sciolte come neve al sole non appena una ragazza di Tassorosso, con il naso all’insù e una brutta acne, mi passa accanto e si complimenta per la risposta data a Rüf. È mai possibile che in questo Castello le parole privacy e affari altrui non abbiano il benché minimo significato?!
Passiamo entrambe le ore di lezione a parlare di Troll, folletti, Goblin e altre schifose creature, i cui soli nomi mi fanno venire i brividi. Rüf ci assegna il compito di cercare informazioni su tre famose rivolte dei folletti e scriverne un tema di una pagina, che dovremo consegnare il venerdì successivo.
Quando si congeda, mi lancia un’occhiata che per me vale come un “buona fortuna” sarcastico e io mi volto accettando la sfida e seguendo Celeste fuori dall’aula.
 
Le due ore prima di pranzo sono dedicate a Trasfigurazione. Il professore ci accoglie come al solito con un grande sorriso e un sacco di entusiasmo.
Wessex è il professore che da ormai vent’anni ha sostituito la McGranitt come insegnante di Trasfigurazione. È un uomo oltre la quarantina, con i capelli brizzolati e ispidi e scuri occhi castani. È davvero un bravo professore, anche se spesso si infuria fino a diventare color pomodoro maturo se non riusciamo in qualche incantesimo basilare, poiché lui vuole sempre che diamo il massimo. È alto e muscoloso e deve aver giocato a Quidditch per molti anni, viste le varie ed evidenti fratture che si è procurato al naso, ai polsi e alle caviglie.
Quando cammina zoppica un po’ ma fa tutto parte del suo fascino da uomo di mezza età grazie al quale, nonostante porti la fede al dito, metà delle ragazze di Hogwarts gli sbavano dietro.
Nemmeno un secondo dopo essersi seduto alla sua scrivania di mogano, scatta in piedi come una molla, e ci annuncia di volerci insegnare un nuovo incantesimo, che tratteremo per una settimana circa, e che sarà quasi sicuramente materia d’esame ai G.U.F.O come I.N.V1.
Ognuno di noi prende una piccola tazzina da tè in una scatola in fondo all’aula e poi torna al suo posto, mentre Wessex continua a spiegare in cosa consista l’incantesimo che praticheremo oggi.
«Come sapete, la Trasfigurazione di un oggetto inanimato è un procedimento molto complesso. Entrano in gioco, oltre alla magia, le particelle di materia di cui è composto un determinato corpo. Esse mutano, si spostano, creano nuovi agglomerati di particelle che danno vita a un essere vivente. Sembra una cosa da niente, ma vi assicuro che ci vuole pratica e una buona dose di capacità. Vi avverto che Trasfigurare un essere vivente in un oggetto inanimato è molto diverso dal suo opposto ed è relativamente più semplice, quindi non aspettatevi di riuscire a trasformare quelle tazzine in uccelli al primo tentativo» espone.
Ci mostra come muovere la bacchetta per lanciare l’incantesimo e ci dice di pronunciare la formula ”Avifors”.
Ci alleniamo per entrambe le ore sui movimenti del braccio, sullo studio teorico delle particelle di energia e sulla magia che viene applicata, e dieci minuti prima della fine della seconda lezione, Wessex ci consiglia di provare a Trasfigurare le tazzine.
«Avifors » sussurro, muovendo seccamente il polso verso sinistra. Per circa due secondi non accade nulla ma dopo, improvvisamente, la tazzina inizia a vibrare e muta per diventare un canarino giallo con il becco arancione. Osservo l’uccellino inclinare la testa e guardarsi attorno con gli occhi spalancati, proprio mentre Wessex mi si avvicina.
«Complimenti Rose!» esulta battendomi una mano sulla schiena. «Prova a prenderlo in mano, non dovrebbe avere paura.»
Io faccio come mi ha detto e accarezzo la testa piumata della creatura, sorridendo.
Lancio un’occhiata a Celeste, qualche banco dietro di me e vedo che mi sta fissando con gli occhi azzurri interrogativi e un sopracciglio sollevato.
È mio! scandisco con le labbra. Lei scuote la testa e ride, tornando a guardare la sua tazza da tè, ancora immutata.
 
«Oh mio Dio, questo pasticcio è una delle cose più buone che esistano al mondo» borbotto con la bocca piena di verdure.
James scoppia in una sonora risata provocatoria e addenta un pezzo di pasticcio di rognone.
«Se sul campo da gioco perdi le forze perché non mangi carne, ti giuro su Merlino che non vengo a vedere di te» mi minaccia brandendo la forchetta.
Alzo gli occhi al cielo, sbuffando.
«Come stanno andando i provini?» chiede Roxanne a James.
Roxanne, che ha la stessa età di James, è la persona in assoluto più legata a lui. Mentre un tempo lui e Dominique condividevano tutto e ho i miei dubbi che fosse un rapporto solo familiare, l’amicizia che unisce Roxy e Jamie è profonda e indissolubile. Non li ho mai e poi mai sentiti litigare, e forse è proprio questo che li rende così legati.
Hanno due caratteri completamente diversi e credo che nessuno mai crederebbe che quei due hanno dei geni in comune. Roxanne è una ragazza tosta, forte, emancipata e indipendente, la persona più impulsiva che io conosca. Nonostante questo, però, è una pacifista di prima categoria, e non alzerebbe mai e poi mai le mani contro nessuno.
Amo il suo carattere spontaneo e allegro e la sua perseveranza.
James, al contrario, è più aggressivo e meno tollerante, ma allo stesso tempo è un ragazzo profondamente sensibile e pensieroso, anche se non lo dà mai a vedere. Devi conoscerlo molto bene e ottenere la sua fiducia se vuoi comprenderlo. Non sorride spesso e se lo fa sembra quasi un sorriso spento e lontano.
Gli unici aspetti che hanno in comune sono la totale dedizione a sport e famiglia, e la passione nel combinare guai.
«Be’, la squadra è completa per metà. Rose è la Cercatrice, tu e Fred i Battitori, io il Portiere. David Lodge è una delle riserve dei Battitori, quindi ci mancano tre Cacciatori» spiega.
James, per l’appunto, è un fanatico di Quidditch. Non dico che supera Rosier ma quei due sono praticamente testa a testa. Anche Rosier è un portiere e tra i due c’è sempre stata moltissima competizione a partire dal primo anno. Sono gelosi l’uno dell’altro e spesso nelle partite che disputiamo contro i Serpeverde, uno dei due viene espulso per scorrettezze verso l’altro, appena termina il match.
«La prossima estate c’è la Coppa del Mondo di Quidditch! Mio padre mi ha promesso che ci porta alla finale, sta già cercando i biglietti» dice James, un guizzo di allegria.
Roxanne si passa una mano tra i capelli talmente ricci che non credo le sue dita scorrano facilmente e si sporge in avanti sul tavolo, masticando qualcosa.
«Ti assicuro che se mia madre non mi lascia partire con voi, scappo di casa» sentenzia, rivolta a James.
Lui sorride e anche io lo faccio, aggiungendomi al discorso.
«Io devo andarci. E se per ottenere il permesso mi toccherà stare zitta e buona tutto l’anno allora lo farò» assicuro.
James mi guarda disgustato e io gli faccio una smorfia.
 
«Non mi sento più il culo, James!» strillo verso le sette e mezzo di sera. Sto cavalcando la mia scopa da due ore e sono stremata: oggi ho dovuto dimostrare che non ci sono Cercatori più bravi di me a Grifondoro, così sono potuta rimanere in squadra. Mi rifiuto di vedere anche un solo altro boccino d’oro e atterro al suolo con poca eleganza. Dopo qualche secondo mi si affianca Dave, senza dire una parola. Anche lui ha passato entrambe le ore a giocare, poiché Roxanne non è potuta venire ai provini a causa dei compiti. Sembra che stia prendendo la storia della finale della Coppa del Mondo molto seriamente, come me.
Ho deciso che domani mattina scriverò a mia madre, per farle sapere che sono viva. Eviterò in tutti i modi possibili di parlarle del viaggio con i cugini, perché riguardo a questioni di Quidditch è a papà che devo rivolgermi, visto che detiene lui il potere almeno su queste decisioni. Cammino velocemente verso gli spogliatoi, separandomi da David. Mi svesto, mi faccio la doccia in tempo record e, senza aspettare nessuno, torno dentro al castello.
Mancano pochi minuti alle otto e la Sala Grande è mezza piena, ma gli studenti per lo più stanno chiacchierando. Raggiungo Celeste, Belle e Margaret al tavolo di Grifondoro, cercando di nascondere le mie condizioni, anche se non è molto facile: capelli bagnati e divisa sudicia, scopa alla mano e sacca da Quidditch nell’altra.
Appena mi siedo accanto a Celeste, lei apre la bocca per chiedermi qualcosa, ma io le lancio un’occhiata e alzo stancamente la mano per fermarla, scuotendo la testa.
Sono certa di avere uno sguardo a metà fra il sto-per-compiere-un-omicidio e lo stremato.
 
Quando entro in Sala Comune non mi sento più le gambe e abbandono le braccia doloranti e piene di lividi lungo i fianchi. Appoggio la Firebolt in un angolo della stanza e lancio la sacca da Quidditch su un tavolo. Celeste mi avverte che mi aspetta in camera nostra e io annuisco con un piccolo sorriso forzato.
Da quando sono arrivata in Sala Grande a questo momento, non ho ancora proferito parola.
Quando anche James, in compagnia di Philip Thomas, entra dal cubicolo del ritratto, lo fulmino con un’occhiataccia, a cui lui non sembra badare, e prosegue oltre, salendo le scale a destra. Appoggio la schiena alla poltrona su cui sono seduta e giro la testa dalla parte del fuoco spento, poi chiudo gli occhi.
Vengo risvegliata da una voce familiare e da una mano che mi cinge dolcemente la spalla destra.
«Rose, svegliati, c’è la lezione di Astronomia» mi avverte Celeste.
Io annuisco e mi stiracchio, sbattendo gli occhi più volte per assicurarmi di vederci bene, nonostante abbia la vista appannata.
Io e tutti i ragazzi del quinto anno ci ritroviamo fuori dalla Sala Comune, dove la professoressa Sinistra ci sta aspettando con espressione corrucciata.
«Ci siamo tutti? Andiamo, andiamo, andiamo» ordina la donna, senza attendere risposta.
Saliamo fino in cima alla Torre di Astronomia e poi usciamo nello spiazzo dove sono stati piazzati una decina di telescopi. L’aria è fredda ma non fastidiosa e il cielo, oltre a qualche nuvola grigia sparsa qua e là, è una tela blu costellata da puntini luminosi. Mi avvicino al muretto della Torre e guardo giù, verso il giardino del castello, rimanendo quasi senza fiato per la vista meravigliosa.
Vedo la capanna di Hagrid, una doppia costruzione di pietra e legno, rimodernata dopo essere stata bruciata, poco più avanti rispetto al margine della Foresta Proibita, la quale si estende a perdita d’occhio.
A destra si intravede uno sprazzo del Lago Nero, la cui superficie è una lastra d’acciaio calmissima, circondata da cespugli e bassi alberi. Di fronte al Lago c’è l’entrata della scuola che da questo punto non è visibile. L’elemento più bello del panorama però, si trova di fronte a me, oltre la foresta e dietro al Lago: ci sono montagne, tantissime montagne che sembrano nascere e svanire nel nulla, circondate da una nebbia fittissima. Assomigliano al dipinto di un paesaggio malinconico, una fotografia fatta durante una notte stellata.
È davvero difficile per me riuscire a tenere gli occhi aperti durante l’ora di lezione, ma quando finalmente la professoressa Sinistra ci avvisa che possiamo tornare a dormire, non me lo faccio ripetere due volte e schizzo verso la mia camera.
Mi sveglio che è il giorno dopo e leggo l’orario sull’orologio di Belle: 12.36.
«Oh cazzo» sussurro, massaggiandomi gli occhi. Ho un martellante mal di testa e mi sento il naso tappato. Dopo aver indossato vestiti puliti ed essermi sistemata, scendo in Sala Comune, dove trovo solo Lizzie o Livvie o Qualcosadelgenere.
«Ehi, scusa, ciao» la saluto cordialmente. Lei non risponde e si limita a scrivere qualcosa su un foglio, non dando segno di avermi vista.
«S-sai dirmi dov’è Dominique?» le domando più dolcemente possibile.
Lei alza la testa dal libro che ora sta leggendo e mi guarda con circospezione.
«Penso sia in giardino» risponde, strascicando le parole. Annuisco e la ringrazio, ma lei è già tornata a leggere.
Prima di scendere le scale mi siedo al tavolo più vicino alla finestra, prendo carta e penna e scrivo una lettera ai miei genitori:
 
Per Ronald e Hermione Weasley
12, Phoenix Road
Brentford, Londra, Greater London
 
Scusate se non vi ho scritto prima ma sono stata molto occupata con la scuola e i provini. Vero fino ad un certo punto visto che non volevo scrivere a mia madre per principio – Come state? Qua tutto bene, naturalmente. Sto prendendo ripetizioni da un ragazzo di Serpeverde e, mamma, a Natale dobbiamo parlarne. – Tanto so che liquiderà tutto, come suo solito –
Tra un po’ inizia il campionato di Quidditch quindi, papà, ti prego di raccontarmi la situazione dei Falcons, grazie. Come stanno Victorie e Teddy? Lucy, Molly – Come se mi interessasse della sua salute – e gli zii? I nonni? Salutate tutti.
Rose
 
Quando mi ritengo soddisfatta del falsissimo risultato ottenuto, imbusto la lettera ed esco dalla Sala. Non trovo i miei cugini da nessuna parte ma visto che è quasi ora di pranzo, entro in Sala Grande e prendo posto di fronte a Ginger Bates, una ragazza del sesto anno con le orecchie a sventola e i capelli biondi. Ho conosciuto Ginger durante una festa in Sala Comune, due anni fa, per festeggiare la vittoria della Coppa delle Case. Quando mi avvicino noto che indossa un ciondolo che rappresenta la metà di un cuore argentato, con la lettera “B” incisa sopra. Ginger si accorge che sto guardando la sua collana e comincia a ridere.
«B sta per Bates?» domando curiosa.
Lei continua a ridere e poi posa i grandi occhi castani su di me.
«No, B sta per Benjamin, il mio ragazzo» trilla, con la sua voce sottile.
«Oh… cavolo, non lo sapevo!» balbetto, sbalordita.
«Sì be’, usciamo da tipo luglio». Guarda oltre me, verso il tavolo dei Tassorosso e poi con il mento mi fa segno di girarmi. Un ragazzo alto e magrissimo si sta sedendo accanto a dei suoi amici, salutandoli con una stretta di mano. Non è brutto ma nemmeno una grande bellezza, e quando si gira verso il nostro tavolo noto che ha il naso e i denti storti.
Torno a voltarmi verso Ginger, ma lei è sparita e si sta già avviando verso il tavolo di Benjamin.
Alza la mano nella mia direzione e io le sorrido.
Ho frequentato un solo ragazzo da quando sono a Hogwarts: si chiama Tristan ed è un Corvonero con cui sono uscita sì e no un mese, al terzo anno. Il mio primo ragazzo, grandi aspettative, no? E invece è stato un disastro. Il lato positivo è che in quel periodo ero molto brava a scuola, chissà perché… Ci siamo lasciati perché diceva che ero ancora una bambina e io dicevo lo stesso di lui. Nessuna storia vera quindi, e la cosa mi fa pensare che non sono adatta a delle relazioni.
Vicino a me si accomodano Celeste, Belle e Meg, seguite involontariamente da Dominique e Jonah.
Mi accorgo che James è seduto molto più indietro rispetto a noi e ci sta lanciando delle occhiatacce. Dom si siede vicino al suo ragazzo che le sussurra delle parole all’orecchio mentre lei ride. Poi lui le prende il mento tra le mani e inizia a baciarla al che io distolgo lo sguardo, solo per notare che almeno una decina di ragazzi di ogni casata li sta fissando, ridacchiando e sussurrandosi qualcosa all’orecchio.
 
Al pomeriggio esco in giardino e cammino un po’ nel parco del castello, da sola. A volte mi ci vogliono questi momenti di tranquillità, lontana dal casino. Non che non mi piaccia, anzi, ma a volte ci vuole una pausa, ecco. È da quando sono piccola che passo praticamente ogni istante circondata da un sacco di persone: la nonna Molly che non approva la mia scelta di essere vegetariana ma mi riempie comunque il piatto di esperimenti e verdure; il nonno Arthur, che è così affascinato dai Babbani che a volte si mescola con loro nell’intento di capirne modi e abitudini; i nonni materni li vedo molto di rado, ma quando riusciamo a incontrarci non fanno che riempire me e mio fratello di regali. Poi ci sono naturalmente tutti gli zii: Bill e Fleur mi hanno fatto passare tantissime notti a casa loro con Victoire e Dominique, sorbendosi le lamentele di Louis secondo cui non lo facevamo giocare assieme a noi, Harry e Ginny che non hanno mai tempo per i figli, figuriamoci per una delle tante nipoti, Percy e Audrey, le due persone più tranquille della famiglia, George e Angelina, che devono essere due genitori davvero fantastici, perché oltre a non stare mai fermi, hanno anche la mentalità di due ragazzi di sedici anni. Zio Charlie invece è un single con una casa tutta sua e una calvizie incipiente non da poco.
Arrivo alla Guferia e salgo le scale della Torre, infreddolita per la gelida aria autunnale che si insinua fra gli spazi vuoti dei miei abiti.
Quando arrivo in cima mi irrigidisco appena vedo un ragazzo magro e alto, con i capelli biondi, che sta dando da mangiare ad alcune civette. Appoggio un piede sull’ultimo scalino e provoco uno scricchiolio dell’asse di legno, leggero, ma non abbastanza perché il ragazzo non si volti, spaventato.
«Malfoy?!» dico sorpresa quando lo riconosco, ancora sulla porta. Lui non risponde, si limita a respirare pesantemente e a nascondere dietro alla schiena il cibo per gufi. Una civetta nera come il carbone vola dentro alla stanza e gli si appoggia sulla spalla, mentre lui inizia ad arrossire leggermente e la scaccia via in malo modo.
L’animale, offeso, si appoggia alla finestra.
«Ti piacciono gli animali?» chiedo, prima di riuscire a trattenermi, con una sfumatura canzonatoria.
«E quindi?» borbotta con la sua solita voce fredda e pragmatica.
«Era solo una domanda…» sbuffo.
Mi avvicino alla civetta che sta ancora appollaiata sul muretto dietro a lui e, piano piano, porto la mano verso la sua testa e poi l’accarezzo, mentre lei socchiude gli occhi gialli.
Fuori, osservo le cime degli alberi, che a quanto pare sono un ottimo luogo in cui riposare: decine e decine di gufi vi stanno appollaiati. Scelgo la civetta carbone, le affido la lettera accarezzandola e la guardo volare via. Quando mi volto, Malfoy non c’è più.
Io e le ragazze siamo sedute in Sala Comune. Le uniche altre persone presenti sono Lily e la sua migliore amica. Io e Margaret giochiamo agli scacchi dei maghi e siamo concentratissime. O almeno lei lo è.
«Pedone in F5» sussurra. Il suo pedone si sposta in avanti di una casella, distruggendo il mio e lasciando scoperto il re.
Alzo la testa per guardarla e vedo che sta ridendo di gusto, perché sa anche lei che sono totalmente incompetente per quanto riguarda giochi del genere.
«Ti toccherà scrivere il mio compito di Storia» cinguetta, alludendo alla scommessa che avevamo fatto a inizio partita.
«Non riuscirò a scrivere nemmeno il mio, figurati!» rido, ma un pensiero mi attraversa la mente e mi fa chiudere lo stomaco.
Compito. Storia della Magia. Brutto voto. Ripetizioni. Malfoy. Sabato.
Con il cuore in gola lancio un’occhiata al vecchio orologio fissato sopra al camino e trattengo il fiato: sono le otto e diciassette. Ci vogliono dieci minuti per raggiungere la biblioteca, così mi precipito in camera senza dare alcuna spiegazione a Maggie. Nella foga del momento rovescio la scacchiera e annullo la nostra mezz’ora buona di gioco. Lancio dentro alla borsa il libro di Storia della Magia e quello di Pozioni, poi esco dalla Sala Comune sotto gli sguardi perplessi delle mie amiche.
Corro fino a non avere più fiato e arrivo proprio mentre Malfoy sta uscendo dalla stanza.
Appena mi vede, serra le labbra e fa per girare, ma io lo prendo per un polso, costringendolo a voltarsi.
«Scusa, io… io mi sono dimenticata» farfuglio col fiatone. Lui mi guarda con superiorità per qualche secondo.
«È questo il tuo problema, non riesci a capire la differenza tra ciò che è importante e ciò che non lo è. Non lo so… non so nemmeno perché ho accettato questa cosa, io dovevo solo stare nel mio, e lasciare che ti arrangiassi da sola» sibila.
«Ti prego, non succederà più. Ho bisogno del tuo aiuto» ribatto, in tono supplichevole.
«Non è vero. A te basta qualcuno che ti faccia i compiti. Tu non hai bisogno delle persone, tu le usi » sputa.
Mollo la presa dal suo polso, lui si gira e io non provo più a fermarlo.
 
* * *
 
Albus è davvero bravo a giocare a scacchi. A metà della terza partita io ho solamente mosso tutte le pedine, a caso, sulla scacchiera. I nuvoloni che coprono il soffitto della Sala Grande creano un’ombra triste sui tavoli e rendono tutto più inquietante: le figure dei ragazzi che camminano su e giù per i corridoi, i quadri appesi ai muri, le candele e perfino i fantasmi che svolazzano in cerca di qualcuno da importunare con i loro discorsi paradossali.
«Albus» lo chiamo, abbassandomi per tentare di guardarlo negli occhi. Lui non risponde e dalla ruga di concentrazione che appare sulla sua fronte, so che non mi ha sentita.
«Albus?» ritento, più incerta, tamburellando le dita sul tavolo.
«Al, ho combinato un casino con Malfoy?» mormoro piano, alla fine.
Lui pare ancora estremamente concentrato sul gioco e rimane zitto per molto tempo. Stavolta però sono sicura che mi abbia ascoltata. Quando si decide a fare la sua mossa, dà scacco matto al mio re. Dopo avergli raccontato cos’è successo ieri sera, lui non ha ancora detto una parola.
«No, ma ha ragione» sospira lui, con un sorriso trionfante sul volto. Alza la testa e io incollo i miei occhi ai suoi, per quella che pare un’infinità di tempo.
«Lo so. Vorrei parlargli ma dubito che lui me lo concederà. È Malfoy, per la miseria, non so nemmeno perché abbia accettato di darmi una mano» sbuffo esasperata.
«Non lo so nemmeno io, sinceramente. So che è una persona molto generosa e altruista.»
«Ma io me ne sono dimenticata, non l’ho fatto apposta. Ora mi odia ancora più di prima!» piagnucolo.
«No, non ti odia.»
«Okay, però si vergogna di me, non vuole che nessuno sappia che mi dà ripetizioni» chiarisco il concetto, sbuffando.
Albus emette un suono a metà fra un gemito e una risata, poi cambia argomento.
 
Lunedì mattina, poco dopo aver iniziato a fare colazione, entra in Sala Grande uno stormo di gufi, civette, barbagianni e uccelli tra le più varie specie. Stanno portando pacchi, scatole, regali, giornali e riviste.
La civetta che avevo scelto per inviare la lettera ai miei, plana sul tavolo, lasciando cadere la missiva a due centimetri dal porridge.
Rompo la busta e leggo velocemente:
 
Rose, abbiamo saputo da Hugo che sei viva ma fatti sentire più spesso. – Certo mamma. Contaci. – Qua stanno tutti bene. Spero che le ripetizioni ti siano d’aiuto. – Estremamente utili – Papà ha assicurato che ti avvertirà dei risultati dei Falcons e mi ha costretta ad aggiungere un caloroso “FORZA CANNONI!”. Comportati bene e studia, studia tanto. – Bla bla bla –
Un bacio, mamma
 
Con una smorfia appoggio la lettera sul tavolo e continuo a mangiare la mia colazione. Quando sto per alzarmi, mio fratello si avvicina piano, con gli occhi castani ancora assonnati e i capelli ricci come i miei scompigliati. Ora è più alto di me e quasi mi viene un groppo alla gola nel constatare quanto sia cresciuto negli ultimi mesi.
«Buongiorno Rosie» borbotta.
«Ciao Hugo» lo saluto. «Mi hanno scritto mamma e papà». Gli leggo la lettera e poi me la infilo in tasca.
«Forza Cannoni!» esulta, riprendendo un po’ del solito entusiasmo. Gli poggio un veloce bacio sulla testa castana.
 
 
Verso le sette e mezzo del mattino successivo sono già in Sala Grande, in compagnia di una esuberante neo-quindicenne. Ogni volta che qualcuno le fa gli auguri lei si apre in un sorriso a sessantaquattro denti e ringrazia.
Uno dei barbagianni che occupano la posizione di Postino-Per-La-Gazzetta-Del-Profeta, mi lancia la copia del giornale e io lo prendo con molta agilità, facendolo quasi finire nella brocca del tè.
Sulla prima pagina troneggia un titolo scritto a caratteri cubitali: TENTATA RAPINA ALL’UFFICIO MISTERI, MORTI DUE INDICIBILI e poi il sottotitolo, più piccolo “Ieri notte dei misteriosi malfattori hanno tentato di penetrare nella Sala Proibita, situata nell’Ufficio Misteri, uccidendo due Indicibili e seminando il panico tra i lavoratori del Ministero. (Ewald e Lindberg alle pagine 7, 9, 10, 11)”.
 
Apro in fretta il giornale, chiedendo col labiale a James, seduto a qualche metro da me, se sa di cosa parla. Lui si avvicina e strabuzza gli occhi stupito, poi leggiamo:
 
   Sembra che non si siano fermati i tentativi di ignoti maghi o streghe di rapinare il Ministero della Magia. Stavolta è toccato alla Sala Proibita, situata all’interno dell’Ufficio Misteri, al nono piano dell’edificio. Non si sa chi siano né cosa vogliano questi maghi, tantomeno se ne conosce il numero. Si pensa che agiscano in gruppi formati da circa tre o quattro persone, e siano davvero dei geni del crimine, visto che non hanno lasciato nessuna traccia che possa condurre alla loro incolpazione.
  Questo è già il secondo, spiacevole episodio verificatosi in meno di due mesi. Il primo, ricordiamo, avvenne il 3 luglio scorso, e colpì la Divisione Animali, antica ma sempre funzionante sezione dell’Ufficio Regolamentazione e Controllo delle Creature Magiche. Durante l’attacco, anch’esso avvenuto durante la notte, rimasero feriti Cliodna Acker e Boggart Bladvak e vennero uccisi i due coniugi Bernardette e Cyril Hunter. I due feriti non ricordano assolutamente nulla dell’episodio, poiché sostennero di essere stati Obliviati appena fallita la missione dei misteriosi malfattori. Questa versione dei fatti venne confermata dai Medimaghi accorsi sul luogo, che dissero di aver trovato i due impiegati in stato confusionario e in preda al panico accanto ai corpi senza vita degli Hunter.
   La scorsa notte erano in servizio Alberic Bletchey ed Elmaros Moran e durante la solita routine di veglia notturna, probabilmente allarmati da un rumore sospetto, i due si sono avvicinati alla Sala Proibita (che non si sa cosa contenga, poiché è un segreto custodito gelosamente dagli Indicibili). Si presume che, una volta visti i volti degli attentatori, Bletchey si sia mosso velocemente verso le scale, per scendere ad avvisare gli altri guardiani notturni. Inutile dire che non ce l’ha fatta. Il suo corpo è stato ritrovato senza vita in fondo alla prima rampa di scale, irrigidito dall’effetto dell’Anatema Che Uccide. Il cadavere di Moran, invece, riporta diverse lesioni, il che fa presagire che abbiano prima torturato l’uomo, sperando di estorcergli qualche informazione, e poi ucciso, giacché ritenuto inutile.
   Il Ministro della Magia Kingsley Shacklebolt si definisce “scosso e addolorato” dopo gli avvenimenti della scorsa notte, e si unisce al dolore per le perdite delle famiglie dei due Indicibili. Inoltre assicura che lavorerà senza posa con tutti gli Auror di cui dispone per scoprire chi sia l’artefice di un così spietato attacco.
   Chi sono dunque i misteriosi malfattori? E cosa stanno cercando di fare? Dopo un lungo periodo di tranquillità post-guerra, si pensava di essere al sicuro ma a quanto pare non è così. Sorge quindi spontanea un’ultima domanda: che questi maghi o streghe stiano cercando di seguire le orme del Signore Oscuro?
 
L’articolo continua con le interviste alle famiglie degli Indicibili e lunghe condoglianze da parte di amici e colleghi.
Guardo James senza sapere esattamente cosa dire. Lui scuote la testa.
«Non ci posso credere. Sappiamo tutti cosa sia successo vent’anni fa, durante la Guerra. Perché dovrebbero esserci persone ancora disposte a commettere crimini simili? È paradossale» sbotta infervorato.
«C’è scritto Signore Oscuro» osservo. «Non Voldemort, ma Signore Oscuro. La gente ha ancora paura di lui, anche se si sa per certo che sia morto. Ormai è un incubo comune, Jamie, nelle menti della gente è inculcato un ricordo indelebile, mi pare più che sensato che il primo pensiero vada a lui.»
James volta la testa dall’altra parte, sentendo un fruscio di vesti, e accanto a noi si siede Albus.
«Avete letto dell’attacco al Ministero?» chiede serio. Annuiamo entrambi, mostrandogli il giornale.
«Dobbiamo chiedere a papà cos’è successo. Lui è tra gli Auror che sicuramente indagheranno, e io voglio tenermi aggiornato» dichiara James. Io annuisco di nuovo, poi nascondo il giornale e mi volto verso Celeste, che a quanto pare non si è accorta di nulla.
 
Dopo aver bevuto il tè del pomeriggio in compagnia della mia amica, trovo la scusa di un incontro con Dominique e riesco a sgattaiolare fuori dalla Sala Grande senza tante domande.
In realtà non è Dominique che sto cercando, ma Malfoy, per parlargli e cercare di sistemare la situazione. Okay, lo ammetto, è colpa mia che sono arrivata in ritardo all’incontro, ma può succedere. E poi era sabato, e a quell’ora io mi stavo già immaginando la lunga dormita che mi sarei fatta la sera.
Al posto di salire le scale di pietra, svolto a destra e percorro il lungo corridoio di pietra che conduce alla Sala Comune dei Serpeverde. È quasi totalmente coperto da quadri e candelabri, i quali danno un’aria piuttosto spettrale al passaggio, che non a caso viene chiamato “il Buio”. Scendo le rampe fino ad arrivare nei sotterranei della scuola, quindi cammino finché non mi trovo davanti al grande mascherone che funge da porta d’ingresso per la Sala Comune. Ho costretto Albus a rivelarmi la parola d’ordine stamattina, ma non gli ho detto il perché.
«Tu non fai parte della nobile casata dei Serpeverde. Vattene, prima…» borbotta il mascherone, con la sua voce ruvida come carta vetrata.
Non lo lascio terminare la frase e gli dico: «Barone Sanguinario.»
«Entra, Mezzosangue» sputa riluttante. Poi si trasforma di nuovo in un muro e io appoggio i palmi delle mani sulla parete, per farla scorrere. Prima di chiudermi la porta alle spalle, dico: «Suvvia, ancora così razzisti?»
La Sala Comune dei Serpeverde, messa a confronto con quella di Grifondoro, è un bello schifo. È tetra, tutta verde e argento e buia.
Non è la prima volta che ci entro, ma sembra che ci siano stati dei cambiamenti dall’anno scorso: le pareti sono ricoperte da stemmi che rappresentano un serpente grigio su sfondo verde smeraldo; sopra al camino, anch’esso di una vaga sfumatura verdognola, troneggia il ritratto di Piton, con i lunghi e unti capelli neri pettinati da una parte. Una targhetta sotto il quadro riporta “Severus Piton (9 gennaio 1960-2 maggio 1998) astuto, leale, saggio e coraggioso Preside di Hogwarts”. Sono sicura che questi particolari l’anno scorso non ci fossero.
Percorro la Sala, sotto gli sguardi curiosi, giudici e arroganti dei ragazzi di Serpeverde, fino a raggiungere l’entrata ai dormitori maschili. Apro la porta e mi fiondo lungo il corridoio. Prima rampa e subito a sinistra, ripeto a mente. Mi trovo davanti la porta di legno massiccio, a cui è stato appiccicato un foglio scritto in piccolo che dice: Camera di Scorpius Malfoy, Albus Potter, Christopher Skyes, Caleb Unwin, Gabriel Rush. BUSSARE PRIMA DI ENTRARE.
Ignoro apertamente l’indicazione, pentendomene mezza frazione di secondo dopo: nella stanza c’è Scorpius, ma non è solo. Una ragazza magra, con i capelli color grano raccolti in una lunga treccia è avvinghiata a lui e ha la bocca sulla sua.
 
 
Note:
1) Incantesimo Non Verbale
 
che ne pensate di questo capitolo? Okay, i luoghi dove si svolgono le azioni, se così possono essere chiamate, sono sempre quelli, ma sono i fondamentali. Più avanti amplierò i miei orizzonti. È troppo se vi chiedo un commentino su come mi è venuto fuori l’articolo della Gazzetta del Profeta?
Questo è l’ultimo capitolo che pubblicherò oggi, aggiornerò verso la fine del mese, penso.
Grazie ai già tanti lettori silenziosi
Ellie

 
  
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