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Autore: AriaAuditore    16/06/2016    1 recensioni
"Torneremo insieme Louis. Non so quando né come, ma so di non avere alcun dubbio. Non potrebbe essere altrimenti. Ho bisogno che anche tu ci creda. Perché credo in te." E Louis crede in Harry, gli crede come non ha mai creduto in nessun altro prima d'ora. Perché Louis non è mai stato innamorato come lo è di lui. Perché il primo amore, quello che ti strappa il cuore e ti lascia senza fiato, è sempre vero. E non importa essere un vampiro, non importa se tutto e tutti sono contrari a questo sentimento. Louis e Harry non vogliono scegliere da che parte stare. Louis e Harry, a sedici anni, tra i corridoi di Evernight, un esclusivo e misterioso collegio, hanno incontrato l'amore. E nessuno potrà portarglielo via.
***
Voglio precisare che la storia in questione non l'ho scritta io ma è un adattamento dal libro 'Evernight' di Claudia Gray.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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A rigor di logica, il ragazzo che sta per andare al primo appuntamento della sua vita dovrebbe avere la priorità sullo specchio. Ma quando giunse la vigilia del viaggio a Riverton, Patrick era così impegnato ad ammirarsi che avrei  anche potuto vestirmi al buio. Non smetteva di studiare il proprio viso e il proprio corpo, incapace di trovare ciò che cercava, chissà se imperfezioni o bellezza. —  Sei carino —  gli dissi.  —  Mangia qualcosa, no? Sei praticamente invisibile.

—  Manca meno di un mese al Ballo d'Autunno. Voglio essere al top.

—  Che senso ha andare al Ballo d'Autunno se non puoi godertelo?

— Me lo godrò ancora di più, così — Patrick mi sorrise. Riusciva a essere condiscendente e allo stesso tempo sincero.  —  Un giorno capirai.

Non mi piaceva quando mi parlava così, ma stava dalla mia parte. Per l'appuntamento, mi aveva prestato un maglione leggero, color avorio, con l'aria di chi concedeva il favore più grande della storia. Forse aveva ragione.

Con addosso quel maglione, la mia linea... be', si vedeva che avevo un corpo, cosa  che i pantaloni e i blazer fuori moda di Evernight non mostravano mai.

—  Voi non venite?  —  domandai mentre cercavo di sistemare i capelli in qualche modo. Non c'era bisogno di spiegare chi fossero "voi".

— Erich dà un'altra festa sul lago. — Patrick alzò le spalle.

Indossava ancora il pigiama di seta blu notte e copriva i capelli con un berretto di lana. Probabilmente la festa non sarebbe iniziata prima di mezzanotte, visto che ancora non aveva cominciato  a prepararsi.  —  La maggior parte dei  professori sarà in città a tenervi d'occhio. Il che rende la prossima una notte unica.

—  Mi rifiuto di credere che l'Accademia di Evernight tolleri notti del genere.

—  Non siamo mica in gabbia, Louis. E comunque, quella pettinatura non ti sta bene.

Feci un sospiro. — Lo so. Lo vedo da me.

—  Stai fermo —  Patrick si avvicinò alle mie spalle, spettinò la sorta di scodella che avevo fatto con i miei capelli, e che mi era costata tanto tempo e fatica, e armeggiò con le dita fra le ciocche. Poi mi pettinò i capelli in modo da creare un ciuffo alto, che riuscì a tenere i miei capelli sistemati. Qualche ciuffo ribelle mi cadeva sulla fronte: disordinato ma bello, proprio lo stile che avevo sempre desiderato. Mentre ammiravo la trasformazione allo specchio, pensai che somigliava a una sorta di incantesimo.

— Come hai fatto?

— Col tempo si impara. — Sorrise, orgoglioso più del suo operato che di me. —  Il colore dei tuoi capelli è meraviglioso, sai. Quando li accosterai all'avorio del maglione risalteranno ancora di più. Vedi?

Da quando il castano era diventato un "colore meraviglioso" per i capelli? Sorrisi alla mia immagine riflessa e pensai che se davvero io e Harry stavamo per uscire assieme, ogni miracolo era possibile.

— Bellissimo — commentò Patrick e stavolta, non so perché, capii che non scherzava. Restava un complimento impersonale, visto che a importargli davvero era l'idea di bellezza, non io. Ma non avrebbe mai detto che ero bello se non lo avesse pensato.

Timido e felice, osservai per qualche altro istante la mia immagine allo specchio. Se Patrick vedeva qualcosa di bello in me, forse anche Harry l'avrebbe colto.




— Stai benissimo! — esclamò Harry.

Io annuii, cercando di non perdere di vista i suoi occhi mentre, come lui, spingevo tra la calca di studenti che tentavano di imbottigliarsi nell'autobus che ci avrebbe portato in città. All'Accademia di Evernight non c'era posto per un normale scuolabus giallo: questo era un minibus di lusso, come quelli degli alberghi più eleganti, probabilmente noleggiato per l'occasione. Io ero riuscito a infilarmi subito dentro ma Harry stava ancora lottando per avvicinarsi al portellone. Se non altro, dal finestrino riuscivo a vederlo sorridere.

— Lussuoso — rise Vic, mentre si lasciava cadere sul sedile accanto al mio. Indossava un cappello di feltro che sembrava uscito dagli anni Quaranta e gli stava piuttosto bene.

Ma non era lui che volevo come compagno di viaggio. Dovevo sembrare davvero affranto, perché mi diede di gomito e disse:

— Non preoccuparti. Sto soltanto scaldando il posto a Harry.

— Grazie.

Non fosse stato per  Vic, non sarei affatto riuscito a sedermi vicino a Harry. La gente faceva a gara per salire sull'autobus e sembrava che almeno due dozzine di studenti  -  in pratica, quasi tutti coloro che non corrispondevano al tipo Evernight  -  avessero deciso di visitare Riverton. Considerato quanto fosse noiosa la cittadina, probabilmente non vedevano l'ora di allontanarsi da scuola, poco importava quale fosse la meta. Sapevo come si sentivano.

Da bravo gentiluomo, Vic cedette il posto quando finalmente Harry riuscì a raggiungermi, ma non fu quello l'inizio del nostro appuntamento. Eravamo circondati da altri studenti, tutti presi a ridere, parlare e strillare, lieti di trovarsi finalmente fuori dal claustrofobico edificio della scuola.

Raquel era a poche file di distanza e parlava animatamente con la sua coinquilina: forse, almeno per il momento, avevo messo a tacere le sue paure. Qualcuno gettava verso di me sguardi curiosi, non esattamente amichevoli. Forse sospettavano ancora che facessi parte del gruppo degli snob, idea tanto sbagliata da sembrarmi divertente. Vic si alzò sulle ginocchia per parlarci dal sedile davanti al nostro, deciso a raccontarci dell'amplificatore che voleva comprare in un negozio di musica che rimaneva aperto fino a tardi.

—  E che ci  fai con un amplificatore?  —  strillai nel chiasso mentre sobbalzando viaggiavamo verso la città.  —  Non ti lasceranno mai suonare la chitarra elettrica in camera.

Vic fece spallucce, il ghigno non se ne andava dalle sue labbra.  — Mi basta soltanto guardarlo, caro! Sapere che ho un aggeggio così eccellente. Roba da svegliarsi tutti i giorni col sorriso.

— Non smetti mai di sorridere. Ridi anche nel sonno.

—  Malgrado il tono canzonatorio di Harry, capii che Vic gli piaceva.

— E' l'unico modo di sopravvivere, sai?

Vic era l'esatto contrario del tipo Evernight e decisi che piaceva anche a me. — Che farai mentre noi andiamo al cinema?

—  Andrò in  esplorazione. A zonzo. Per sentirmi  la terra sotto i piedi — Vic mi rivolse uno sguardo malizioso — E magari conoscerò qualche bellezza, in città.

—  Meglio  che  aspetti  a  comprare  l'amplificatore, allora  — commentò Harry.  —  Sarà un bel  fastidio averlo fra i piedi, se devi portartelo in giro tutto il tempo.  —  Vic  annuì serio, e io mi coprii il sorriso con una mano.

Così io e Harry restammo davvero soli soltanto quando ci ritrovammo a passeggiare per la strada principale di Riverton, a un isolato dal cinema. Entrambi esultammo quando vedemmo il manifesto del film in programma.

Il sospetto —  esclamò lui.  —  Regia di Alfred Hitchcock. Che genio.

— Con Cary Grant. — All'occhiata di Harry risposi: —  Ognuno ha le sue priorità.

Molti altri studenti affollavano la hall. Probabilmente, più che un improvviso ritorno di fiamma del pubblico per Cary Grant, il motivo era che Riverton non offriva grandi divertimenti. Noi, però, non stavamo davvero nella pelle all'idea di vederlo, almeno finché non scoprimmo chi erano gli insegnanti a cui era stato affidato il compito di sorvegliare il cinema.

—  Credimi  —  si scusò mamma  —  siamo sbalorditi quanto te.— Eravamo sicuri che saresti andato a mangiare qualcosa. —  Papà le cingeva le spalle con un braccio, come se fossero loro, non noi, quelli al primo appuntamento. Eravamo fermi davanti al manifesto nella hall e Joan Fontaine ci osservava, allarmata, come se affrontasse il mio dilemma anziché il proprio.  —  Perciò abbiamo deciso di sistemarci qui. A badare alla cena c'è qualcun altro.

In segno di incoraggiamento, mamma aggiunse:  —  Non è troppo tardi per i pancake. Non ci offendiamo.

—  Non preoccuparti. —  Invece sì che era preoccupante passare il mio primo appuntamento in compagnia di mamma e papà, ma cosa dovevo rispondere?  —  A quanto pare Harry adora i vecchi film, perciò.. va bene così, d'accordo?

—  D'accordo  —  rispose lui. A vederlo, non sembrava che gli andasse bene così. Sembrava decisamente più a disagio di me.—  A meno che tu non preferisca i pancake.

—  No. Cioè, mi piacciono anche i pancake, ma i vecchi film di più.  —  Alzò il mento e fu quasi come se sfidasse i miei genitori a intimidirlo. — Restiamo.

I miei, anziché intimidirlo, sorrisero.

Li avevo avvisati già dalla domenica precedente che sarei andato a Riverton con Harry. Non mi ero lasciato scappare altro, per paura che il panico li paralizzasse, tuttavia capirono al volo. Con mia grande sorpresa e sollievo, non subii un interrogatorio: anzi, si scambiarono uno sguardo per valutare le proprie reazioni. Probabilmente era strano scoprire che il loro "figlio miracoloso" era grande abbastanza per uscire con qualcuno. Papà disse che Harry aveva l'aria di un bravo ragazzo, poi mi chiese se mi andava un altro po' di pasta al formaggio.

Per farla breve, nessuna delle reazioni folli e iperprotettive che Harry si aspettava si abbatté su di me. Mamma aggiunse soltanto:  — A titolo informativo, noi siamo diretti in balconata, perché quasi tutti i ragazzi andranno lassù.

Papà annuì.  —  Le balconate sono tentazioni irresistibili che esercitano una forte attrazione gravitazionale sulle bibite nelle mani degli adolescenti. L'ho visto con i miei occhi.

Imperturbabile, Harry replicò:  —  Mi sembra di averlo studiato in qualche lezione di scienze, alle medie.

I miei scoppiarono a ridere. Io mi godevo la calda ondata di sollievo. Apprezzavano Harry, forse prima o poi l'avrebbero invitato a cena da noi, la domenica. Lo vedevo già sempre al mio fianco, in tutti i luoghi della mia vita nei quali c'era posto per lui.

Harry non sembrava altrettanto sollevato mentre mi guidava per la hall del cinema con sguardo circospetto, ma immaginavo fosse la tipica reazione ai genitori.

Scegliemmo due posti sotto la balconata, dove era impossibile che mamma e papà ci vedessero. Harry e io eravamo vicini, quasi incollati, spalla contro spalla e ginocchio contro ginocchio.

— Mai successo prima — commentò.

—  Di frequentare un cinema retro?  —  Diedi un'occhiata di approvazione ai ricami dorati che decoravano le pareti e la balconata, e al sipario di velluto scuro. — Davvero bellissimo.

—  Non è ciò che intendevo.  —  Malgrado l'aggressività, a volte Harry sembrava quasi timido: ma succedeva solo quando parlava con me.  —  Non mi è mai capitato di.. ecco, uscire con un ragazzo, prima d'ora.

— Anche per te è il primo appuntamento?

—  Appuntamento... si dice ancora così?  —  Mi sarei sentito in imbarazzo, se non mi avesse dato subito di gomito per scherzo.  — Voglio dire, non mi è mai capitato. Passare del tempo insieme senza pressioni e senza la consapevolezza di dover traslocare nel giro di una o due settimane.

—  Detto così sembra che tu non ti sia mai sentito a casa, da nessuna parte.

— Non fino a ora.

Gli lanciai uno sguardo scettico.  —  A Evernight ti senti a casa! Ma per piacere.

Il sorriso di Harry si allargò piano. — Non pensavo a Evernight.

In quel momento si abbassarono le luci, per fortuna, altrimenti avrei detto qualcosa di stupido, anziché godermi appieno il momento.

Il sospetto era uno dei film di Cary Grant che non avevo ancora visto. C'è una donna, Joan Fontaine, che sposa Cary malgrado lui sia una specie di tipo spericolato e spendaccione.

Lei lo fa perché, santo cielo, è Cary Grant! Il che lo rende degno di perderci qualche dollaro. Harry non era convinto dal mio ragionamento.  —  Non pensi sia strano che lui faccia esperimenti col veleno?  —  sussurrò.  —  Chi sperimenta con i veleni per hobby? Devi ammettere che è un passatempo assurdo.

— Un uomo così bello non può essere un assassino — insistetti.

— Nessuno ti ha mai fatto notare che forse ti fidi delle persone un po' troppo in fretta?

—  Taci  —  gli diedi una gomitata nel fianco, rovesciando qualche popcorn dal sacchetto.

Il film mi era piaciuto, ma ancora di più stare vicino a Harry. Era straordinario come riuscissimo a comunicare senza dire nulla, con uno sguardo divertito, di sbieco, o la maniera spontanea con cui le nostre mani si sfioravano e lui intrecciava le dita con le mie. Con il pollice aveva tracciato piccoli cerchi sul mio palmo, ed era bastato a farmi galoppare il cuore.

Chissà com'era farsi abbracciare da lui.

Fui io ad averla vinta, comunque. Alla fine Cary sperimentava i veleni nel tentativo di suicidarsi e salvare la povera Joan Fontaine da una marea di debiti. Lei insisteva nel dire che ce l'avrebbero fatta e che sarebbero fuggiti via insieme. Harry scosse la testa mentre l'ultima inquadratura svaniva.  —  Quel finale è posticcio, sai. Nelle intenzioni di Hitchcock, lui era colpevole. È stata la produzione a costringerlo a far redimere Cary Grant per accontentare il pubblico.

—  Il finale non è posticcio se è il finale  —  insistetti io. Le luci si accesero durante il breve intervallo prima dell'ultimo spettacolo.  — Andiamo da qualche parte? Manca parecchio prima di riprendere l'autobus.

Harry guardò verso l'alto e capii che non lo avrebbe infastidito allontanarsi dai genitori-supervisori. — Volentieri.

Procedemmo lungo il piccolo viale principale di Riverton, dove ogni negozio o ristorante aperto sembrava invaso dai profughi dell'Accademia di Evernight. Io e Harry ci passavamo davanti in silenzio, in cerca della destinazione più ambita: un posto in cui stare soli. L'idea che Harry desiderasse un po' di privacy mi faceva sentire sia elettrizzato che intimorito. La notte era fresca e le foglie d'autunno crepitavano sotto i nostri passi, mentre passeggiavamo chiacchierando e lanciandoci sguardi.

Finalmente, oltrepassata la stazione degli autobus che segnava il termine della via principale, dietro  l'angolo trovammo una vecchia pizzeria che aveva l'aria di non essere stata più ristrutturata dal 1961. Anziché ordinare una pizza intera, ci accontentammo di qualche trancio al formaggio e due bibite e sgattaiolammo dietro un separé. Eravamo seduti uno di fronte all'altra, a un tavolino con la tovaglia a scacchi bianchi e rossi e una bottiglia di Chianti sepolta sotto la cera delle candele. Nell'angolo, un jukebox suonava un pezzo di Elton John uscito prima che noi nascessimo.

— Mi piacciono i posti come questo — commentò Harry.

—  Li trovo autentici. Di sicuro non sono progettati dall'ufficio marketing di chissà quale multinazionale.

—  Sono d'accordo.  —  Pur di essere d'accordo con lui, sarei arrivato a dire che mi piaceva mangiare melanzane sulla luna.

Per il momento, però, stavo dicendo la verità.  —  Qui ti puoi rilassare, essere quello che sei.

— Essere quello che sono. — Il sorriso di Harry sembrava lontano, come ridesse di una battuta che non conoscevo.  —  Dovrebbe essere più facile di quanto lo sia davvero.

Sapevo cosa intendeva.

Eravamo soli nella pizzeria: all'unico altro tavolo occupato sedevano quattro tizi che sembravano reduci da un cantiere.

Indossavano magliette sporche di vernice e un paio di caraffe vuote davanti a loro segnalavano tutta la birra  che avevano appena bevuto. Ridevano sguaiati delle proprie battute, ma li ignorai. Era una buona scusa per sporgermi sul tavolo e stare un po' più vicino a Harry.

—  Perciò, Cary Grant  —  continuò lui, mentre spargeva del pepe sul suo trancio — a quanto pare è l'uomo dei tuoi sogni, eh?— Più o meno è il re degli uomini dei sogni, non trovi?

Sono pazzo di lui da quando vidi Incantesimo, a cinque o sei anni.

C'era da aspettarsi che Harry il fanatico di cinema fosse d'accordo, invece no:  —  La maggior parte dei ragazzi, di solito, è pazzo di stelle del cinema che, ecco, girano film adesso. O di qualcuno della TV.

Addentai la pizza e per qualche secondo mi ritrovai impelagato in una difficile lotta contro il formaggio filante. Dopo essere riuscito a ingoiare il  boccone, mormorai:  —  Mi piacciono un sacco di attori, ma chi non amerebbe Cary Grant più di tutti?

—  Malgrado  sia  totalmente  d'accordo  nel  considerarlo  un  fatto tragico, prendiamone atto: un sacco di gente della nostra età non ha mai sentito nemmeno parlare di Cary Grant.

—  Criminali.  —  Cercai di immaginare l'espressione della Bethany se le avessi suggerito un corso facoltativo di storia del cinema.  —  I miei genitori hanno sempre cercato di farmi conoscere i libri e i film che piacevano a loro, di prima che io nascessi.

—  Cary è stato un mito degli anni Quaranta, Louis. Girava film settantanni fa.

—  E da allora i suoi film vengono trasmessi in TV. È facile imbattersi nelle vecchie pellicole, basta provarci.

Harry restò in silenzio e io mi sentii punzecchiare dalla paura, dal bisogno urgente e immediato di cambiare argomento e parlare d'altro, di qualsiasi altra cosa. Arrivai con un secondo di ritardo, perché Harry aggiunse:  —  Hai  detto  che  i  tuoi  genitori  ti  hanno portato a Evernight per conoscere altre persone e avere una visione più ampia del mondo. Ma a me sembra che abbiano speso un sacco di tempo a controllare che il tuo mondo fosse il più piccolo possibile.

— Scusa?

—  Come non detto  —  fece un sospiro mentre buttava nel piatto la crosta della pizza. — Non avrei dovuto parlarne. Siamo qui per divertirci.

Probabilmente avrei dovuto lasciar perdere. Il mio ultimo desiderio, al primo appuntamento con Harry, era di litigare.

Ma non riuscii a trattenermi.  —  No, voglio capire. Che ne sai tu dei miei genitori?

—  So che ti hanno trascinato a Evernight, che in due parole è l'unico posto al  mondo in cui il Ventunesimo secolo non è ancora arrivato. Niente cellulari, niente wireless, Internet soltanto nel laboratorio di informatica in cui ci sono, mi pare, quattro computer; niente televisori, quasi nessun contatto con il mondo esterno...

— È un collegio! È normale che sia isolato dal resto del mondo!

— Vogliono che tu rimanga isolato dal resto del mondo.Perciò ti hanno insegnato ad apprezzare ciò che piace a loro, non ciò che dovrebbe piacere ai ragazzi della tua età.

—  Decido io cosa mi piace e cosa no. —  Sentii le guance ardere e accendersi di rabbia. Di solito, quando mi infuriavo così tanto, finivo per scoppiare in lacrime, ma ero deciso a non farlo. — E poi, il fan di Hitchcock sei tu. Anche a te piacciono i vecchi film. Questo significa che sono i tuoi genitori a organizzarti la vita?

Si chinò sul tavolo e i suoi occhi magnetici verde scuro mi catturarono. Per tutta la serata avevo desiderato che mi guardasse così, ma non erano quelle le circostanze ideali.  —  Hai già cercato una volta di fuggire dalla tua famiglia. E a sentire te, è stato uno stupido colpo di testa, tanto per fare.

— Proprio così.

—  Secondo me non avevi torto. Secondo me la tua inquietudine riguardo Evernight era sensata. E secondo me dovresti ascoltare la voce che senti dentro e smettere di badare così tanto ai tuoi genitori.

Non poteva aver detto una cosa del genere. Se i miei lo avessero sentito parlare così... No, non riuscivo nemmeno a pensarci.

—  Il fatto che Evernight sia un postaccio, non implica che i miei siano cattivi genitori, e tu hai un bel coraggio a criticarli senza nemmeno conoscerli. Non sai niente della mia famiglia e non capisco perché t'importi.

—  Perché..  —  si interruppe, quasi meravigliato dalle proprie parole. Lentamente, quasi incredulo, disse:  —  Mi importa perché mi importa di te.
Oh, perché doveva dirlo proprio adesso! Così! Scossi la testa.  — Non ha senso.

—  Ehi!  —  Uno degli operai aveva appena fatto partire un pezzo metalkitsch anni Ottanta sul jukebox. Ora ciondolava verso di noi, in equilibrio precario. — Stai dando fastidio al ragazzo?

—  Tutto a posto  —  intervenni, svelto. Non era il frangente migliore per scoprire che la cavalleria non era morta.  —  Sul serio, è tutto okay.

Harry reagì come se non mi avesse sentito. Lanciò un'occhiataccia al tipo e sbottò: — Non sono affari tuoi.

Fu come buttare un fiammifero dentro una pozza di benzina. L'operaio barcollò ancora più vicino e i suoi amici si alzarono.  — Sono affari miei sì, bello, se tratti  il tuo ragazzo così in un luogo pubblico.

—  Non mi stava dando fastidio!  —  Malgrado fossi ancora arrabbiato con Harry, sentivo che la situazione rischiava di sfuggirci di mano. —  È grandioso che voi ragazzi, ehm, prendiate le difese dei ragazzi, dico sul serio, ma non c'è nessun problema.

—  Tu non impicciarti  —  mi zittì Harry, a bassa voce, in un tono che non avevo mai sentito, con intensità quasi innaturale.

Sentii un brivido lungo la schiena. — Lasciatelo in pace.

— Pensi che sia di tua proprietà o cosa? Così lo puoi trattare come ti pare? Somigli al maiale che ha sposato mia sorella, sai?  — L'operaio sembrava arrabbiatissimo.  —  Se pensi che non ti concerò come ho conciato lui, stai sognando, ragazzino.

Disperato, mi guardai intorno in cerca di un cameriere o del proprietario. Dei miei genitori. Di Raquel. In pratica speravo che qualcuno, chiunque, potesse mettere fine a quella scenata prima che gli operai ubriachi riducessero Harry in poltiglia: erano enormi, erano in quattro e ormai era chiaro che morivano dalla voglia di azzuffarsi.

Non avrei immaginato che fosse Harry il primo a colpire.

Era così veloce da sembrare invisibile. Un movimento impercettibile e l'operaio si ritrovò disteso a faccia in giù fra i suoi amici. Il braccio  di Harry era teso, il pugno stretto, e mi occorse un momento per capire: Oh mio Dio, ha appena colpito qualcuno.

—  Che diavolo...?  —  Un altro operaio si avventò contro Harry, che lo evitò con uno scatto veloce: prima era là, poi non c'era più. Si era infilato in un angolo, da cui riuscì a dare all'avversario una spinta così forte da farlo quasi cadere a terra.

—  Ehi!  —  Un uomo sulla quarantina, con il grembiule sporco di sugo, si avvicinò ai tavoli. Poco importava che fosse il proprietario, il cuoco o il Padrino: non ero mai stato così felice di vedere qualcuno in vita mia. — Che succede?

—  Tutto a posto!  —  Okay, stavo mentendo, ma non importava.

Sgusciai fuori dal separé e iniziai ad arretrare verso la porta. — Ce ne andiamo. È finita.

Gli operai e Harry continuarono a lanciarsi occhiate, come se non desiderassero altro che tornare a darsele, ma grazie al cielo Harry mi seguì. Mentre la porta si chiudeva dietro di noi, sentii il proprietario borbottare qualcosa sui "ragazzi di quella maledetta scuola".

Usciti in strada, Harry si rivolse a me: — Tutto okay?

— Non grazie a te! — Accelerai il passo verso la via principale. — Che ti è preso? Hai iniziato a litigare con quel tizio senza motivo!

— Ha cominciato lui!

— No, lui ha cominciato a discutere. Tu hai iniziato la rissa.

— Per proteggere te.

— La stessa cosa che pensava lui. Sarà stato ubriaco e maleducato, ma non aveva cattive intenzioni.

— Non ti rendi conto di quanto sia pericoloso il mondo, Louis.

In un altro frangente, sentire Harry parlare così, come fosse molto più grande di me e volesse consigliarmi e proteggermi, mi avrebbe rincuorato e riempito di felicità. Ora aumentava soltanto la mia rabbia. — Hai sempre quell'aria da saggio e poi ti comporti come un idiota e ti metti ad attaccar briga con quattro uomini! Ho visto anche come ti muovi. Scommetto che non è la prima volta.

Harry camminava al mio fianco ma rallentò il passo, come sbalordito. Capii che a sorprenderlo era stata la mia consapevolezza. Avevo ragione. Harry aveva già preso parte, più di una volta, a risse come quella.

— Louis..

—  Lascia perdere.  —  Alzai una mano e camminammo in silenzio fino all'autobus della scuola, già attorniato da studenti al pascolo, quasi tutti con le borse dello shopping o una bibita in mano. Harry si infilò sul sedile accanto al  mio, forse nella speranza di parlare con me, ma io incrociai le braccia senza staccare lo sguardo dal finestrino. Vic saltò sul sedile davanti a noi ed esultò:  —  Ehi, ragazzi, come va?  —  Poi osservò per bene le nostre facce.  —  Ah, sembra proprio il momento più adatto per raccontarvi uno dei miei aneddoti interminabili e incasinati che non conducono da nessuna parte.

— Grande idea — rispose secco Harry.

Fedele alla sua parola, Vic blaterò senza sosta di tavole da surf, gruppi rock e sogni assurdi che aveva fatto chissà quando, e non smise di parlare finché non raggiungemmo la scuola. Così mi risparmiò il compito di dover parlare con Harry, il quale, del resto, non aprì bocca.


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Ecco l'ultimo capitolo per oggi, in questi giorni ne metterò altri sicuramente; vi invito di nuovo a lasciarmi qualche recensione e vi auguro buona lettura :)
-A.



 
  
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