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Autore: Tetide    16/04/2009    1 recensioni
E' la mia seconda fanfic su "Rosa Alpina", questa volta ambientata al giorno d'oggi. Jeudi ha una vita in apparenza perfetta, ma che in realtà nasconde dubbi e... qualcos'altro! Dunque, cosa succede quando un evento inaspettato scompagina il castello di carte dell'apparente perfezione? Leggete e lo scoprirete!
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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La mente torna CAPITOLO 8
LA MENTE TORNA
“Ecco la ricetta; ma mi raccomando, non abusarne: è un medicinale forte”,
“Grazie, Ophelie. Non so davvero come ringraziarti. Adesso riuscirò a dormire, spero”.
Jeudi prese la ricetta dalle mani dell’amica e si alzò dalla sedia. “Vado subito in farmacia” aggiunse.
Ophelie si alzò anche lei, e l’accompagnò alla porta “Mi raccomando, se ti servisse qualcosa, qualunque cosa, non esitare a chiamarmi, anche di notte. Sono molto preoccupata per te, Jeudi: hai un aspetto terribile”,
“Chi, io? Ma dài! Un po’ di riposo e mi rimetterò in sesto. Sono dura a morire, lo sai!”.
Le due donne si sorrisero. Jeudi uscì dallo studio dell’amica.
Appena in strada, Jeudi calò la maschera; sì, Ophelie aveva ragione da vendere, lei stava male.
Dopo quella fatale sera, infatti, aveva iniziato a soffrire di violente crisi depressive: vedersi tradita, ed in più presa in giro, aveva ferito profondamente la sua femminilità; possibile che il marito le avesse preferito una come Matilda Troncan, la quale, oltre ad essere un’incapace in qualsiasi cosa, era anche tanto brutta? E’ vero, proprio poco tempo prima lei aveva capito di non amare suo marito, ma lo aveva perdonato, per le ragioni che sappiamo, e comunque nutriva nei suoi riguardi un profondo affetto e stima.
Come aveva potuto Lundi distruggere tutto questo? Come aveva potuto mancarle di parola, e continuare a tradirla con quella naturalezza?
Tutto ciò l’aveva profondamente ferita.
Le crisi depressive si susseguivano, così Ophelie le aveva prescritto il Prozac; ma quello non era un medicinale da prendere a cuor leggero, e dopo qualche giorno le aveva portato violente emicranie, per sedare le quali Jeudi aveva dovuto di nuovo ricorrere ad Ophelie.
“Sono ridotta ad un relitto”, pensò. Poi abbassò lo sguardo per vedere qual’era il medicinale che le aveva assegnato: lesse “Antalgil”.
Entrò in una farmacia.
Poco dopo ne uscì, recando in mano la preziosa scatoletta. L’aprì, e subito ingoiò due capsule: si sentì meglio, e si diresse a casa.
Vi trovò la sorella, Martha.
“Sono preoccupata per te, Jeudi”, le disse,
“Ah, sì? E perché mai?” fu la risposta.
Martha le si avvicinò “Per come ti butti via”.
Jeudi rise. “E cosa ti fa pensare che io mi butti via?”. Uscì i farmaci dalla borsa.
“Roba come quella lì, per esempio!”, la sorella le strappò di mano il Prozac,
“Ridammelo subito!”,
“Nemmeno per idea! Ti stai uccidendo!”,
“E’ stata Ophelie a prescrivermeli. Ridammeli!”.
Martha si arrese e le porse la scatola “Almeno non abusarne, me lo prometti?”.
Jeudi non le rispose; prese il Prozac, e salì di sopra per fare le valigie.
Nella stanza di Pierre incontrò il figlio in compagnia di Hans.
Pierre le corse incontro, saltandole al collo “Ciao, mamma!”,
“Ciao, piccolo pirata! Sei contento di restare un po’ con gli zii?”,
“Sì, zio Hans mi ha promesso che quando saremo a Parigi mi porterà a Disneyland Paris!”.
Jeudi si rivolse al cognato “Non so come ringraziarvi, Hans”,
“Ma ti pare, Jeudi? E’ un piacere per noi avere Pierre a Parigi.” Poi si rivolse al nipote “Ci divertiremo da matti insieme, vero?”,
“Sìììì!”, esclamò il bambino allegramente. Jeudi lo depose a terra, quindi passò nella stanza accanto, la sua camera da letto.
Lanciò un’occhiata al posto vuoto di Lundi; certo che era stato veramente solerte a prendere le sue cose: già la sera stessa aveva portato via gli abiti, e la mattina successiva, Jean (presso cui si era momentaneamente stabilito) aveva portato via il resto.
I due coniugi non avevano più continuato a litigare; lei, con lo sguardo gelido, aveva accompagnato l’ex amato marito con compostezza senza dire una parola; lui, mogio ed abbattuto, l’aveva seguita in silenzio, e sempre in silenzio aveva svuotato quella casa dai ricordi che gli appartenevano. Non aveva cercato di giustificarsi: Jeudi si era meravigliata di tanta insolita remissività.
A Pierre avevano detto che il padre sarebbe stato via per lavoro per un po’; dopo la separazione, gli avrebbero detto la verità, ma adesso volevano fargli vivere la sua ultima estate spensierata.

Martha aveva raggiunto la sorella, mentre questa ultimava i bagagli.
“Ma lo sai dove andrai, almeno? O è il solito viaggio per dimenticare?”,
“Stà tranquilla, so quel che faccio. Starò presso amici”,
“Se lo dici tu… però telefonami ogni sera: tranquilla non sono affatto, con quella roba che ti porterai appresso!”.
Jeudi la guardò e sorrise.
“Zia! Zia! Vieni!”, la voce di Pierre giungeva dall’altra stanza; Martha si alzò, ed uscì dalla stanza scuotendo il capo, preoccupata.
Jeudi tornò a pensare ai suoi bagagli.

Due giorni dopo, in tarda mattinata, giunse all’aeroporto di Nizza, dove trovò Leòn ad attenderla.
Lui era allegro ed affascinante come sempre; indossava una camicia bianca ed un paio di jeans azzurri; non appena la vide arrivare, sorrise e si tolse gli occhiali da sole, scoprendo i suoi magnifici occhi viola.
“Eccoti qui, finalmente!”, la abbracciò, caloroso come sempre; lei lo corrispose, i denti stretti dalla rabbia.
Leòn l’allontanò da sé e la guardò in viso “Che hai? Hai fatto di nuovo un pessimo volo?”,
“No: questa volta ho fatto una pessima partenza!”,
“Ehhh?????”.
Jeudi non rispose. Lo guardava fisso, e basta.
“Io rinuncio a capirti. Ad ogni modo… andiamo, Gerard e Françoise ci stanno aspettando. Raggiungiamo il porto turistico!”.

Montecarlo in Agosto: un viavai di gente altolocata, che si aggira tra i boulevards e gli edifici residenziali, visitando boutiques  e locali all’ultima moda; la strada sinuosa sulla costa frastagliata affollata di Ferrari e Mercedes lanciate a tutta velocità ed occupate da persone con occhiali da sole a specchio e capelli al vento; e poi, naturalmente, il casinò.
Percorrevano anche loro la strada panoramica, bella e pericolosa sospesa sull’azzurro luminoso del mare; alla radio, Libertango di Grace Jones.
Leonhard aveva rinforcato gli occhiali e guidava tenendo un braccio giù dal finestrino.
“Dove hai affittato questa Ferrari?”, chiese Jeudi,
“E’ di Gerard. Me l’ha prestata per accogliere la nostra ospite speciale!”.
Jeudi sorrise “Devo sentirmi lusingata per tanto splendore?”,
“Niente affatto! E’ appena l’inizio! Vedrai che roba, da adesso in poi! Hanno anche organizzato una serata chic!”.

Arrivati a Montecarlo, si inoltrarono lungo i boulevards affollati di automobili sportive e spider che portavano a bordo la “gioventù buona” dell’Europa.
In breve, raggiunsero il porto turistico: una fila interminabile di yachts a vela ed a motore dai nomi più fantasiosi: quello dei Tavernier era un grosso yacht a motore ormeggiato verso la fine del molo.
Il padrone di casa venne loro incontro, indossando un costume grigio-azzurro firmato: “Benvenuta! Credevamo non arrivaste più! Leòn, l’avevi rapita, per caso?”.
Jeudi scese dalla macchina e prese la mano del conte, il quale le stava porgendo la sua “Venga, Jeudi, le faccio vedere la barca. Françoise! La nostra ospite è arrivata!”.
Una bellissima donna uscì dalla dinette della barca: era la moglie del conte. Era bruna e magra, dall’aspetto giovanile e con il viso leggermente truccato. Indossava un due pezzi rosso fuoco ed un pareo in tinta che mettevano ancora più in risalto il suo fisico perfetto.
Andò incontro a Jeudi e l’abbracciò “Sono così lieta di fare la tua conoscenza, cara! Gli amici del nostro Leòn sono anche amici  nostri!”. Il marito si avvicinò loro: “Allora, vogliamo mostrare ai nostri ragazzi la loro cabina?”,
“Certo!”, fece di rimando la moglie; “Roxanne!” chiamò.
Si presentò una ragazza in uniforme da cameriera. “Questa è Roxanne, la governante. E’ lei che dirige tutto su questa carretta!”, disse il conte. Poi aggiunse “Roxanne, per favore, mostra ai nostri ospiti la loro cabina”:
“Loro?!?” pensò Jeudi “Sarà a due letti, sicuramente!”.
I tre entrarono nella barca, seguiti dai conti; anche l’interno era assai elegante, arredato in legno lucido e con grandi spazi luminosi. I grandi divani erano rivestiti di stoffa amaranto scuro, ed occupavano buona parte della superficie della dinette; in un angolo si trovava il bar, dove un ragazzo stava asciugando e riponendo dei bicchieri.
“Lui è Paul, barista e, a volte, timoniere”,
“A volte?”, si volse Jeudi,
“Quando mio marito si scoccia troppo a farlo”, intervenne Françoise, “ed auguratevi che lo sia per tutto il tempo!”, aggiunse sottovoce.
“Che cosa è che vai dicendo?”, sopraggiunse il conte, che l’aveva sentita con un’aria di finto corruccio sul viso, “Avresti qualcosa da ridire sulla mia guida?”, si puntò le mani sui fianchi.
“Gerard, lo sai benissimo: quando guidi tu, abbiamo tutti il mal di mare”,
“Non è vero!”,
“Sì che lo è! Hai dimenticato Jennifer Lo?”,
“Jennifer Lopez?” chiese Jeudi a voce alta,
“Sì, lei. E’ spesso nostra ospite”, le rispose il conte, “La vuoi conoscere?”.
Jeudi era esterrefatta. Che tipo di gente frequentava quella barca?
“Avrai modo di farlo” aggiunse il conte “Ci sarà un party la sera di Ferragosto”.
Sempre più sbigottita, Jeudi riprese a seguire Leòn e la governante verso l’area delle cabine.
La donna condusse i due ospiti oltre una porta a vetri, in un piccolo corridoio con le pareti interamente rivestite di legno e quadri di soggetto marinaro appesi; lo percorse fino in fondo, quindi aprì una porta, dicendo: “Prego, signori”.
Non appena entrata, Jeudi si sentì morire dall’imbarazzo: la cabina era anch’essa molto elegante, come il resto della barca, ma… aveva un letto a due piazze!
Il letto troneggiava su di una pedana costituita da tre ampi gradini, strategicamente inserito in un angolo, per poter meglio osservare il panorama dalla spaziosa finestra; ai lati, c’erano due appliques attaccate alle pareti, con due comodini sotto; lungo una delle pareti correva un lungo e stretto tavolo, sempre in rovere lucido, mentre appoggiato all’altra vi era un divanetto con annesso tavolino ed una poltrona, a costituire un piccolo salotto privato. Vicino alla porta d’ingresso, stava l’ingresso del bagno.
La contessa aveva seguito i due “Allora? La stanza è di vostro gradimento?”.
Jeudi si girò, rossa in viso come un pomodoro “Ecco… veramente noi… avremmo preferito… non ci sarebbe una stanza con due letti separati?”,
“Oh, purtroppo no, cara! Non ci sono cabine a letti separati su questa barca. Ma perché? C’è qualche problema?”,
“No, è che… insomma… per avere più intimità… ciascuno di noi potrebbe muoversi nel sonno, svegliando l’altro…”,
“Oh, non preoccuparti! In questo letto così grande potrete muovervi liberamente!”.
A sentir queste parole, Jeudi divenne viola; guardò Leonhard, al quale stava succedendo la stessa trasformazione sul viso: entrambi avevano sentito un evidente doppio significato in quella frase.
La contessa uscì dalla cabina. Leonhard e Jeudi si guardarono imbarazzati, non osando parlare.
Fu lui a rompere il silenzio “Beh, se le cose stanno così… tanto vale sistemarci, non trovi?”,
“Sì, naturalmente”, gli rispose lei,
“Dove… da che parte vuoi stare?”,
“EHH? Che cosa intendi?”,
“Intendo… da che parte vuoi dormire?”,
“Io… ecco… da lato della porta, se non ti dispiace”,
“No, a me va benissimo. Allora, io mi metto qui” fece lui, posando la valigia accanto al piccolo armadio che stava incassato nel letto sotto il lato della finestra.
Anche Jeudi si diede a disfare la valigia. “In che pasticcio mi sono andata a cacciare?” si chiese “Accidenti a te, Lundi! E’ tutta colpa tua!”.


In quello stesso momento, nella dinette, Gerard e Françoise sedevano sui divani color amaranto, ridendo; lei fumava una sigaretta, mentre lui beveva un analcolico.
“Ho capito subito che quei due erano stracotti l’uno dell’altra! Da quel giorno che li ho visti insieme a Vienna!”, diceva lui,
“Ma non osano ammetterlo, giusto?” faceva eco lei,
“Allora, li aiuteremo noi a sbloccarsi! Gli amici servono a questo, no?”.
Scoppiarono entrambi in una risata sommessa, lei soffiando fuori una nuvoletta di fumo, lui lasciandosi andare sullo schienale.
“Leonhard sperava di poter restare in quella squallida cabina singola al piano di sotto! Che ingenuo che sei, amico mio!”, rideva il conte,
“Shhh! Non facciamoci sentire!”, gli disse la moglie tornando seria.

“Ti spiace se sistemo la mia roba nel bagno, Jeudi?”, stava dicendo Leòn, il rasoio elettrico in mano,
“No, fa pure”, rispose Jeudi, senza alzare lo sguardo dagli abiti che stava srotolando dalla valigia.
Leòn entrò in bagno, dove c’era un doppio lavabo; accanto ad ogni lavello stavano due armadietti. Ne scelse uno e l’aprì. Vi trovò dentro una scatola. La prese; vi era una scritta: “Viagra”.
“Oh, porc…”, esclamò. Vide un bigliettino in fondo all’armadietto; lo prese: “Così non avrai esitazioni: auguri, amico! P.S. Immagino che al resto abbia già provveduto tu, vero?”.
“Ma che ti sei messo in testa, Gerard?”, un pensiero ad alta voce.
Nel frattempo, Jeudi stava riassettando la sua roba. Aprì il cassettino del comodino, e vi trovò una confezione di diaframmi, nuovi, naturalmente accompagnata da un biglietto “Con gli auguri della tua nuova amica Françoise”. Rimase senza parole.
In quel momento, Leòn uscì dal bagno. Si guardarono. Senza parlare, scoppiarono a ridere come due matti.
Era la prima risata spensierata che Jeudi si concedeva dopo un bel po’ di tempo. Giusto il tempo di una risata.

Era uscita sul ponte, per godere del sole di quel mattino d’estate; la sua mente, da giorni oramai, era tormentata dai drammatici avvenimenti degli ultimi tempi: il tradimento del marito, la conseguente mortificazione della sua dignità di donna, il calo repentino dell’autostima, la depressione, l’uso di farmaci. In un certo senso, la sua mente se ne era andata lontano da lei, l’aveva abbandonata, lasciandola smarrita perché priva di quelle certezze che per più di dieci anni erano state la sua forza, la sua sicurezza, la sua pace. E come ci si sente senza la propria mente, senza sé stessi? La risposta di Jeudi, ovviamente, era “malissimo”. Forse era per quello che aveva accettato quella vacanza, con persone che, seppure gentili, non conosceva neanche; è vero, c’era anche Leòn, però lui conosceva l’altra Jeudi, quella forte e sicura di sé, che aveva avuto il coraggio di scavare nei segreti del marito prima, e di perdonarlo poi: non conosceva affatto la Jeudi di adesso, smarrita, confusa, senza sé stessa. In questo caso, era lei ad essere estranea a lui; quindi, permaneva sempre una barriera tra di loro. Per non parlare del fatto che Leonhard non sapeva nulla della separazione tra lei e Lundi. Sì, la persona che divideva la cabina con Leòn era veramente un’estranea: estranea a tutti, perfino a sé stessa.
In quel momento anche Leòn uscì sul ponte “Bella giornata, vero?”,
“Splendida”, rispose senza entusiasmo lei,
“Che ti succede? Poco fa stavi ridendo!”, le posò una mano sulla spalla,
“Niente. Sto solo pensando a Pierre”,
“Non hai detto che è con tua sorella?”,
“Sì, infatti”,
“E allora, di che ti preoccupi?”,
“Non mi preoccupo”. Jeudi si staccò da Leonhard e rientrò nella dinette.
Lui rimase a guardare il viavai sul lungomare.
La ragazza si diresse in cabina; entrò, chiuse la porta e si sedette sul letto. Abbassò lo sguardo; rifletté: prima stavo ridendo, si disse. Perché? Forse che con Leonhard mi sento un’altra persona? O meglio, forse quando sono assieme a lui la mia dignità, la mia autostima di donna ferita si ricostituiscono? Forse che lui mi fa stare bene? Sì, d’accordo, ho capito di amarlo, ma da qui a ricostruire un’autostima frantumata da un tradimento così evidente… Niente può ricostruirla. Forse solo il tempo, e comunque, mai più come prima: sono ferita, mortalmente ferita. Non posso rialzarmi, non adesso. La mia mente non può tornare solo perché c’è lui!
Prese il beauty-case dal cassettino del letto e lo aprì; ne estrasse una scatola di antidepressivi e ne ingoiò uno. Poi si sdraiò sul letto.
“Jeudi, ci sei?”, Leonhard aveva bussato.
Rivolse gli occhi dal soffitto alla porta “Sì, entra pure”.
Leòn aprì la porta “Scusa se ti disturbo, ma Gerard e Françoise si stanno chiedendo dove sei. Perché non vieni di là con noi? Stiamo preparando il programma dei prossimi giorni!”,
“Sì, arrivo subito”. Si alzò dal letto ed uscì dalla stanza, oltrepassando Leòn.
L’uomo rimase interdetto “Ma perché quella faccia da funerale?” si chiese. Poi notò il beauty dimenticato sul letto. “Jeudi è proprio una gran disordinata , come ai tempi dell’Università: non è cambiata in questo!”, pensò.
Si avvicinò al letto, e prese il beauty-case; ma nel farlo, non si accorse che non era chiuso del tutto, così fece cadere una scatoletta sul pavimento.
“E questa che sarebbe?”. Si chinò a raccoglierla; la prese, e lesse “Prozac”.
Leòn fece letteralmente un salto “Prozac? Oh, Dio, ma allora la situazione è grave! Deve averla presa davvero male, la mia povera Jeudi!”.
Poi rifletté. A ben vedere, la telefonata di lei era stata davvero strana: perché non aveva fatto parola del marito? Gli aveva detto del figlio, della sorella, ma non una parola sul marito! Strano che una coppia che sembrava così affiatata facesse le vacanze separate, soprattutto dopo una difficile riconciliazione! E poi la sua voce, la voce di Jeudi al telefono… era strana, molto: più che un tono gioioso, il suo sembrava un tono… quasi di sfida. Che fosse successo qualcosa di più grave? E perché Jeudi non gliene aveva parlato?
Decise di appurarlo personalmente, stando vicino, giorno dopo giorno, a Jeudi: la sua Jeudi.

Raggiunse gli altri nella dinette, dove Gerard stava illustrando la mappa di navigazione.
“… E quindi faremo rotta verso questi isolotti completamente disabitati, così godremo di un po’ di pace! Oh, guarda chi si vede! Il signor Aschenbach era caduto in mare? Ci eravamo preoccupati per lui!”. Françoise rise allegramente, mentre Jeudi emise un riso stridulo, quasi forzato, affettato. E Leonhard lo notò.
Gerard gli andò incontro e gli diede una pacca sulla spalla “Ci aspetta un bel programma, amico!”.
“Jeudi, che ne dici di andare a fare un po’ di shopping noi due, oggi?” chiese Françoise,
“Con vero piacere!” fu la risposta.
Sei affettata anche adesso, Jeudi: non sei tu, pensò Leòn.

Così, quel pomeriggio le due donne passeggiarono a lungo per le vie del centro.
“Devi provarti questo! E’ immancabile in una crociera!”, la contessa porgeva un pareo colorato a Jeudi. “E non dimentichiamoci del party! Hai portato un abito da sera, vero Jeudi?”,
“A dir la verità no, Fran” rispose “non credevo ci sarebbe stato anche un party”.
La contessa spalancò gli occhi “Imperdonabile! Si vede che non conosci mio marito: non appena può, mi riempie la barca di gente! Ma non importa: rimedieremo!”.
Passarono tutto il pomeriggio a fare acquisti folli, tutti pagati dalla contessa: un regalo d’amicizia, disse.

Jeudi rientrò in cabina con le mani strapiene di pacchi. Trovò Leòn sul letto, che sonnecchiava.
“Adesso parliamo un po’, ragazza!”, Leòn aprì gli occhi.
Jeudi sobbalzò “Credevo dormissi!” disse,
“Non dormivo affatto. Ti aspettavo. Cosa sarebbero queste?” le mostrò le pastiglie,
“Dove le hai prese? Ridammele subito!”, gli saltò addosso, ma Leonhard schivò il colpo; allora lei fece un altro balzo in direzione di lui, ma il ragazzo fu lesto e la prese tra le braccia “Cosa mi nascondi, Jeudi?”.
Lei scoppiò a piangere, e nascose il viso nel petto di Leòn; lui lasciò andare la scatoletta e le carezzò i capelli.
“E’ finita… tra me e Lundi è finita… mi ha umiliata, ingannata… così l’ho cacciato di casa!”.
Leòn continuava a carezzarle i capelli, esterrefatto.
“Ma mi ha fatto male, tanto, troppo male. Tradirmi con quella Troncan… brutta, vuota, priva di valori, di ideali… forse valgo meno di lei… faccio così schifo, Leonhard?”.
Jeudi si stava profondendo in singhiozzi disperati; “Adesso capisco!” fece lui.
L’abbracciò più forte. “No, non sei tu che fai schifo, Jeudi: semmai, è lui a fare schifo, se ti ha fatto questo. Non ti meritava. Tu sei una persona speciale, Jeudi”.
“Ha continuato a frequentarsi con lei, dopo il perdono, dopo la riconciliazione: mi ha ingannata, umiliata e ferita!”.
Leonhard le sollevò il viso tra le proprie mani “Hai fatto bene a cacciarlo, Jeudi: adesso non potrà più farti  male!”.
La guardò: aveva gli occhi lucidi per il pianto, ed uno sguardo che esprimeva una muta preghiera. Senza pensarci, la baciò.
Lei corrispose al suo bacio, stringendosi a lui, accarezzandogli il viso e poi la nuca, tra i lunghi capelli: fu un bacio lungo e languido, che sembrò durare un’eternità.
Quando si divisero, lui le prese le mani “Non piangere più, Jeudi: io ci sarò sempre, anche solo per confortarti; è stato lui a sbagliare, non tu: quindi non credere mai di non valere niente, e non cercare di essere diversa da quella che sei sempre stata: cessa di essere finta, cessa di farti del male!”.
Lei gli sorrise “Sì” disse.
Risalirono insieme nella dinette, dove Paul stava preparando dei cocktails e si era fatta sera; i coniugi Tavernier osservavano il crepuscolo e la città che iniziava ad illuminarsi seduti fuori, sul ponte. Li raggiunsero; Jeudi sorrideva, sollevata.
Gerard prese a scherzare con Leonhard, come sempre; Françoise le chiese degli acquisti di quel pomeriggio.
Jeudi si sentiva meglio, si sentiva amata. I suoi tormenti erano svaniti, anche se la tristezza permaneva.
La sua mente era tornata.
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Credits: come titolo di questo capitolo, ho usato il titolo di una famosa canzone di Mina.
  
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