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Autore: FairLady    20/06/2016    1 recensioni
Due occhi scuri, lo specchio di un'anima profondamente ferita.
Un nome sussurrato dal vento che arrivi a lenire un dolore ormai senza tempo.
Due cuori affini che si fondono in un unico corpo immortale, quello dell'amore.
Prima storia in questo fandom. Please, be kind.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aura non poteva credere davvero a quello che leggeva sui giornali. Non poteva perché semplicemente non riusciva a concepire l’idea che Michael potesse in alcun modo ferire un altro essere umano, figurarsi un bambino!
Aveva acquistato uno svariato numero di riviste, con il solo scopo di togliere quell’immondizia dalla circolazione, ma ormai il danno era fatto! Camminava con alcune copie di quelle volgarità nella borsa, mentre Tanisha la guardava stranita. Ovviamente, Aura non aveva ancora proferito verbo da quando si erano fermate al negozio e, nonostante le domande insistenti dell’amica, continuava a camminare in silenzio, cercando per quanto possibile di trattenere le lacrime.
Non tornarono al salone, ma percorsero la strada in direzione dell’appartamento di Aura, dove, se ce ne fosse stato bisogno, avrebbe dato a Tani tutte – o quasi – le informazioni del caso.
Per prima cosa, però, avrebbe dovuto chiamare Michael. Chissà quanto doveva stare male in quel momento! Non avrebbe potuto nemmeno immaginarlo alla prese con una falsità così grande, così pesante! Sottopelle, scivolavano viscidi dei terribili presentimenti e solo quando sarebbe stata in grado di risentire la sua voce avrebbe potuto respirare di nuovo.
Lasciò l’amica sul ciglio della porta guardarla inebetita, totalmente ignara di ciò che stava accadendo – che era accaduto prima di allora –, e si fiondò direttamente al telefono, componendo quasi a occhi chiusi il numero di Michael.
Nessuna risposta.
Nessuna risposta.
Dal ricevitore continuava a provenire lo stesso bip cacofonico e inquietante. Un rumore che Aura desiderava presto venisse sostituito dalla voce del suo Mike che le diceva “Sto bene”, “È tutto ok”, “Non ti preoccupare”.
Invece, NESSUNA RISPOSTA.
Il respiro andava via via facendosi più corto e le mani, strette entrambe intorno alla cornetta, le formicolavano pericolosamente. Le lacrime, che fino a quel momento era riuscita – nemmeno lei sapeva come – a trattenere, strariparono silenziose lungo le guance, cadendo a terra dove poco dopo finì anche lei, in ginocchio. Impotente.
Solo in quel momento si ricordò della presenza dell’amica, che si era tenuta a debita distanza, ma che vedendola in quello stato le si era avvicinata e la stringeva tra le braccia.
Aura sapeva che l’ora di raccontarle tutto era ormai giunta, ma non riusciva nemmeno a respirare, come avrebbe potuto trovare la forza di parlare?
«Non voglio forzarti, non mi interessa sapere qualcosa che non vuoi dirmi, e se non vuoi avrai sicuramente i tu…»
«Da un po’ di tempo a questa parte ho una storia con quest’uomo», Aura parlò, la voce flebile come un alito di vento, ma parlò. Fissava un punto imprecisato del pavimento, cercando in qualche modo di non crollare definitivamente. «Lui è stato, è stato capace di cose che… Vedi, Tany, lui mi ha presentata a me stessa. È tutto ciò che credevo un uomo non potesse essere, tutto… tutto quello che fin da piccola sognavo di trovare, ma che ormai credevo fosse solo polvere impalpabile.»
Le parole che pensava di non essere in grado di pronunciare strariparono come un fiume in piena, uscendo come sussurri, ma con una forza emozionale degna di uno tsunami. Gli occhi erano così umidi che non riusciva a tenerli aperti, le mani si sfregano l’una dentro l’altra, sudando, ma Aura poteva distintamente sentire il suo cuore, confessione dopo confessione, alleggerirsi come un palloncino lasciato libero nell’aria.
Quando finalmente le palpebre si alzarono, Aura vide Tanisha accovacciata accanto a lei, lo sguardo sbarrato, pieno di stupore, di incredulità. Per un istante si fissarono senza poter proferire alcunché; poi, finalmente, l’amica parlò.
Aura credette di stare per ricevere una lavata di testa in piena regola, invece l’amica le prese la mano e la guardò negli occhi; per la prima volta da quando l’aveva conosciuta anni prima, non trovò irriverenza in quell’espressione, vide comprensione, empatia. Vide il suo cuore pronto a offrirle sostegno.
«Credi davvero che Michael sia innocente?», le chiese in un sussurro, quasi fosse un segreto da custodire.
Aura ricambiò lo sguardo, questa volta dipinto coi colori forti della fierezza.
«Sarei pronta a giocarmici la vita!»
«E allora vai da lui e stagli vicino, sono certa che ne avrà bisogno e in questo momento vorrebbe che tu fossi lì.»
 
***
 
Stava impazzendo, letteralmente.
Le porte non erano mai troppo blindate, gli alberghi mai troppo isolati, le persone mai troppo affidabili, le notizie poi, quelle non erano mai vere. La vita mai troppo giusta, neanche con lui che di fortuna ne aveva fatta parecchia.
In quel momento avrebbe barattato tutta la buona sorte del mondo per un po’ di tranquillità, per un po’ di silenzio… un po’ di fiducia.
Il letto, sgualcito e disastrato dalle notti insonni che ci aveva trascorso nell’ultima settimana, non era ancora stato rifatto. John non permetteva neanche al personale di servizio di entrare per fare le pulizie. In un angolo della camera troneggiava una pila di piatti sporchi – da cui aveva mangiato solo lo staff, ché Michael non era stato in grado di ingurgitare niente, se non qualche sonnifero e una barretta di caramello.
Non gli era permesso telefonare, nemmeno affacciarsi alla finestra, che tanto poi cosa avrebbe visto una volta spostata la tenda? Uno stuolo di giornalisti pronti a massacrarlo – come se già non lo stessero facendo sulle prime pagine di ogni giornale mai pubblicato.
«Domani partiamo e ci fermiamo a Chicago», gli stava dicendo John – o meglio, ordinando. Continuava a chiamare gente al telefono, organizzare, sbrigare pratiche. Aveva chiamato anche l’avvocato, ma non aveva permesso a Michael di parlare con lui, come se fosse stato John quello sotto accusa!
Ma il cantante stava perdendo le forze, si sentiva tradito, violentato nei suoi valori e nelle cose semplici e vere in cui credeva, come aiutare il prossimo, i bisognosi, coloro che le sue fortune poteva solo sognarle. Lui aveva vissuto fin da bambino con l’ideale di rendere il mondo un posto migliore e ora? Ora quello stesso ideale gli si stava rivoltando contro.
Se ne stava seduto alla scrivania della suite e sfogliava le decine di riviste che Miko aveva portato dentro. Ormai non faceva altro da giorni, tutto il tempo a mangiarsi il fegato sulle false oscenità stampate nere su bianco, come in un film orribile che purtroppo era realtà.
Come formiche operaie, alacri e fiere, quel circuito di moderni Pinocchio proseguivano la loro personale battaglia contro di lui, montando sulla patina dorata di quel mondo costruito principalmente su menzogne, storie sulla sua vita che nemmeno lui conosceva.
«Potrei almeno avere il permesso di chiamare Auralee? Ne ho davvero bisogno… bisogno di sapere se almeno lei è immune da tutta questa spazzatura o anche lei mi ha voltato le spalle», la sua stava diventando quasi una supplica.
John sembrò pensarci un po’, esaminando fin troppo attentamente dei fogli appena presi dal tavolo. Michael si sentiva sfibrato, frustrato anche dal suo manager che sembrava più fargli la guerra che cercare di aiutarlo. Non che pensasse male di lui, quello no, ma l’unica cosa che probabilmente avrebbe avuto la forza di tiragli almeno un po’ su il morale era Aura e John sembrava non essere molto convinto di voler che Michael le telefonasse.
Stava impazzendo senza di lei; stava impazzendo senza di lei in qual mare di dolore che gli stava piombando addosso.
«Michael, non voglio infierire», esordì d’un tratto l’uomo. Sembrava avesse appena ripreso il filo di un discorso che in realtà non avevano mai cominciato. Rivolse al cantante un sorriso mesto, con una punta di commiserazione che Michael non avrebbe voluto notare. «Ma non ti sei chiesto come mai lei non abbia provato a mettersi in contatto con te neanche una volta? I nostri telefoni non hanno mai suonato… Forse è meglio se aspetti che le acque si siano un po’ calmate, torneremo a Los Angeles, e allora potrai incontrarla e spiegarle. In questo momento forse è spaventata e potrebbe non aver voglia di parlare con te. E comunque è sempre meglio chiarirsi faccia a faccia»
Michael sapeva che John poteva avere ragione, ma non voleva credere fino in fondo al fatto che Aura lo conoscesse ancora così poco, non si fidasse di lui al punto tale da evitarlo completamente e lasciarlo a marcire nel suo brodo.
Doveva parlarle a qualsiasi costo, e ci sarebbe riuscito. In un modo o nell’altro.
 
Quella notte, quando John si fu addormentato, Michael andò da Miko.
Avevano riesumato dal fondo della valigia il vecchio travestimento che utilizzava spesso per andare in giro, mischiandosi alla gente che passeggiava per le strade. Dovette convincerlo, non senza fatica, ché per la prima volta il suo autista – e amico – aveva avuto qualche remora nei confronti di John, il quale era stato piuttosto categorico sul fatto di evitare qualsiasi esposizione.
«Mi ha fatto anche cambiare tutti i numeri di telefono!», aveva aggiunto, mentre in sordina e grazie all’aiuto di un paio di portieri, stavano raggiungendo i garage.
Michael restò senza parole per qualche secondo, cercando di non sembrare troppo scioccato perché in quel momento non c’era affatto tempo per discussioni e chiarimenti al riguardo. Certo era, pensò camminando verso l’auto che lo avrebbe portato all’aeroporto, che prima o poi avrebbe desiderato da parte del suo manager un chiarimento in merito, nella speranza che fosse il più esaustivo e sincero possibile.
Forse, Aura non aveva avuto tutti i torti a pensare male, e Michael se ne stava rendendo conto solo ora.


 
Everywhere I turn, no matter where I look
The systems in control, it's all ran by the book
I've got to get away so I can clear my mind,
Xscape is what I need, Away from electric eyes
   
 
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