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Autore: DonnieTZ    21/06/2016    1 recensioni
[SOSPESA]
Esiste un sottile velo fra ciò che è materiale e ciò che non lo è, fra la natura e le idee, eppure nessuno dei due mondi potrebbe esistere senza l'altro.
Il velo si è assottigliato tanto da spingere Lootah (mai chiamarlo "sciamano") a ricostruire un'antica tradizione: una cerchia di cinque esseri in grado di mantenere l'equilibrio. Se in passato le cerchie erano molte, la sua missione si rivela invece difficile: fra negromanti rinchiuse in manicomio, vampiri ormai estinti, fate impossibili da reclutare e mutaforma ingestibili, niente sembra andare come aveva previsto.
Soprattutto quando un'energia negativa minaccia di mandare in fumo tutti i suoi piani.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Viaggiano sui mezzi pubblici, in silenzio. Wolfgang ha gettato su Lootah il suo sguardo supplicante e quest’ultimo si è sentito costretto a controllare gli orari alla fermata; così hanno scoperto che potevano ancora fare in tempo per l’ultima corsa.
Wolfgang sembra adorare i mezzi pubblici. Fa scorrere il pallido dito affusolato sul profilo del sedile di fronte, rapito dalla plastica, liscia e colorata. La plastica ha uno strano effetto su di lui, come le fotocellule nei bagni pubblici, il microonde e qualsiasi cosa sia attivata dalla semplice pressione di un dito.
Lootah si spazientisce e gli afferra la mano per farlo smettere, poggiandogliela nuovamente in grembo.
«Stai pensando» constata Wolfgang, con tono sognante.
«Qualcuno deve pur farlo» è la risposta secca di Lootah.
«Ti stai chiedendo se ne vale la pena.»
«No, so già che non ne vale la pena. Sto pensando a come dirlo ai ragazzi. Siamo in viaggio da troppo tempo e un’altra delusione potrebbe creare dei problemi
«Hai paura che se ne vadano e ti lascino solo. Hai paura che io ti lasci solo? Non posso lasciarti solo, lo sai.»
Lootah sospira; esistesse una condanna terrena fatta su misura per lui, allora quella condanna sarebbe Wolfgang. Non si pente della promessa che ha fatto, né di averlo cavato fuori dalla prigione che era diventata la sua mente, ma portare a termine i suoi piani sta diventando difficile e non ha bisogno di trascinarsi dietro un peso morto.
«Non è questo il punto. Devo trovare il modo di chiudere il cerchio. Non dovessi riuscirci sarà stato tutto inutile.»
«Morire è dare valore al tempo che resta.»
Wolfgang parla con tono sottile, come se non fosse già più lì, con Lootah. Si spegne piano, un tramonto di coscienza, e il suo sguardo vaga verso il sedile di fronte. Il suo dito si alza e torna a percorrerne i contorni, rapito.
Lootah tenta di ignorarlo e si specchia nell’ampio vetro al suo fianco. Vorrebbe fosse più semplice, vorrebbe avere in tasca ogni risposta e sapere perfettamente cosa fare, invece si trova a vagare nella notte, inseguendo fantasmi inafferrabili. Ha paura – la paura lo tiene ancorato alla realtà – ma deve fare una scelta e non può farla da solo, non può decidere per tutti loro. Eppure Angelica sembra un caso senza speranza che riduce le decisioni ad una sola: non hanno bisogno di accollarsi un demone e di compromettere il cerchio. Dovrà convincerli a cominciare la ricerca da capo e sa che non sarà facile. Perfino lui aveva riposto delle speranze in questa negromante. Come tutte le altre, però, anche lei ha finito per rivelarsi inutile.
«Le persone non sono oggetti» esordisce Wolfgang, dopo averlo lasciato ai suoi pensieri per qualche minuto.
«Disse quello che le beveva» ribatte Lootah con asprezza, tornando a guardarlo.
Wolfgang gli riserva un sorriso triste, spalancando ancora di più i suoi grandi occhi chiari. L’iride sembra galleggiare in quel mare di bianco, alla ricerca di una risposta scritta da qualche parte.
«Lei sembrava stare molto male» continua, sempre più triste.
Lootah serra la mascella, voltandosi nuovamente per fuggire a quello spettacolo penoso.
Sa bene che la ragazza sta soffrendo, lo ha visto, lo ha sentito, ma non è affare loro. L’ha aiutata a liberarsi della presenza, per questa notte, e ha già fatto più di quanto gli fosse richiesto. Hanno questioni più importanti di cui occuparsi e l’infantile empatia di Wolfgang dovrà essere rivolta al dispiacere dei due che li aspettano a casa, non a una sconosciuta.
«Tu puoi aiutarla» continua l’altro, intestardendosi.
«Ti sembra semplice perché non sai cosa mi stai chiedendo» gli risponde.
«Saresti in pericolo?»
«Questa presenza… non ho idea di cosa voglia, né di quanto sia violenta. Probabilmente, quando possiede Angelica, se ne dimentica anche lei. Infilarci in questa situazione non metterebbe a rischio solo me, ma anche gli altri. Anche te. Tu più di tutti.»
«Puoi aiutarla» ripete Wolfgang, con un tono sognante che male si accorda al tenore della discussione.
Lootah lascia uscire l’aria dalle narici, con forza, esasperato da quella lotta impossibile da vincere. Provare a ragionare con l’altro è come inoltrarsi in un labirinto senza uscita.
«Non sa neanche quello che fa, dovrei insegnarle tutto.»
«Come hai fatto con me. Come hai fatto con tutti noi» gli ricorda Wolfgang, sempre con il tono di chi sta parlando del tempo.
Lootah non risponde, contando mentalmente le fermate che mancano all’arrivo. Ricaccia indietro ogni immagine che gli balena nella mente: Wolfgang, arruffato e confuso, sepolto fra una montagna di libri, incapace di parlare, dimentico di ogni cosa; Makiko all’uscita di scuola, nella sua divisa impeccabile, che gli guarda dentro perché già sa per quale motivo sia lì; Esteban, che non ha bisogno di spiegazioni per sapere cosa lo renda speciale.
E Angelica.
Il suo sguardo disperato nel tentare di schiacciare il demone, l’alone vago di rabbia che non serve a nascondere il dolore, la confusione per una maledizione che si è trovata cucita addosso e che non sa gestire.
«Cazzo» mormora, ad alta voce, ignorando lo sguardo interrogativo di Wolfgang che si riflette nel finestrino.

La casa che hanno affittato è un piccolo bilocale, stipato di letti e cianfrusaglie. Ognuno di loro si porta dietro piccoli brandelli di vita per non dimenticare che hanno un punto d’origine, in quel viaggio che sembra infinito.
Lootah riesce appena ad entrare, le chiavi ancora strette in pugno, che Esteban lo assale con la sua curiosità esplosiva.
«Va bene? È quella giusta? Eh?»
L’accoglienza è rumorosa come al solito, tinta del suo accento spagnolo. Il ragazzo si alza dalla sedia, abbandonando le carte sul piccolo tavolino, e in due falcate gli è già davanti. Gli stringe le spalle in una morsa dolorosa, per quanto involontaria.
«Potrebbe andare bene, sì» è la risposta cauta di Lootah, che si divincola e si allontana per non specchiarsi negli occhi speranzosi dell'altro.
«Potrebbe?» chiede ancora Esteban, perplesso.
Lootah cerca di ignorarlo. Ha sprecato troppe forze per liberare Angelica, lasciandola incosciente alle cure della sua ragazza, e ora non è certo di essere pronto ad affrontare quel discorso. Si versa un bicchiere d’acqua, seguito da Wolfgang come un’ombra.
«Quindi cos’avete visto? Lei com’è?» continua Esteban.
Lootah finisce di bere, con calma, appoggiato alla cucina. Wolfgang si mette a giocare con il rubinetto, aprendolo e chiudendolo, immergendo le lunghe dita nel filo d’acqua, per infrangerlo e lasciarlo ricomporre. Lootah riesce a sopportarlo per un paio di secondi, poi gli afferra perentorio la mano – gli anelli che premono sulla pelle – e chiude il getto una volta per tutte.
«Allora?»
«Ha un demone» si decide a rispondere, allontanando Wolfgang dalla cucina.
Quest’ultimo ha un sorriso sognante dipinto in viso, che subito si rabbuia quando sente quella parola. Lootah non può preoccuparsi di turbare la sua sensibilità, perché si rende conto di dover spiegare a tutti la situazione, così avvicina una sedia al piccolo tavolino e prende un profondo respiro. Esteban lo segue, in apprensione.
«Un demone?»
«Lui la aiuterà» cantilena Wolfgang, facendosi avanti a passi incerti.
«Lo farai?» domanda ancora Esteban, guardando Lootah dritto negli occhi con la sua innocenza incontaminata.
«No, non lo farà.»
Makiko parla, la frase detta a stento, ed è un evento tanto raro che tutti i presenti sono costretti a voltarsi verso di lei, sorpresi. Se ne sta rannicchiata sulla sedia, i lunghi capelli scuri a coprirle buona parte del viso. Sembra la fragilità personificata, ma c'è molto più di questo, oltre le apparenze.
«Perché non dovrebbe farlo? Eh?» chiede Esteban, tornando a guardare Lootah.
«Non vuole. E noi non chiediamo» risponde Makiko, criptica, selezionando poche parole dal suo ristretto vocabolario.
Lootah le ha chiesto di evitarlo, ma non dev’essere facile costruire un muro e lasciare fuori le percezioni, i pensieri degli altri, le loro paure. Non è certo che Esteban abbia capito di cos’è capace, né che la questione interessi particolarmente a Wolfgang. Lui, di contro, trova snervante l’idea che lei possa coglierlo con tanta immediatezza semplicemente standogli vicino.
«Abbiamo due possibilità. Possiamo parlarle e chiederle di unirsi alla cerchia, ma dovremmo trovare il modo di scacciare il demone e non sono certo di riuscirci, o potremmo cercare ancora, trovare una negromante adatta.»
«Ehi, sentite, stiamo viaggiando da troppo tempo, ok? Non che qui non mi piaccia, mi piace, la pizza e tutto il resto, ma non possiamo ricominciare tutto da capo. Dios, non ne posso più di visitare manicomi o di ritrovarmi in qualche puzzolente fiera di paese a farmi leggere la mano da un’imbrogliona, davvero.» borbotta Esteban.
«Non sarà facile, ma se è quello che volete, andrò a vedere cosa vuole questa presenza» dice Lootah, alla fine.
Makiko spalanca appena gli occhi, fissandoli su di lui che se li sente bruciare addosso.
«Lo faresti davvero,?» chiede Esteban, una leggera nota colpevole nella voce.
«Sì, ma potrebbe servirmi il tuo aiuto per tornare. Dovrai tenerti pronto.»
«Certo, che problema c’è. Sono sempre pronto» è la risposta.
«Psicopompo» mormora Wolfgang, sorridendo divertito.
«Idiota» ribatte Esteban, che ancora non si è deciso a cercare su un vocabolario e resta convinto che sia un insulto, per il genuino divertimento dell’altro.
«È tardi, andate a dormire, domani andrò da Angelica e cercherò di spiegarle la situazione» li interrompe Lootah.

Sono tutti a letto e lui si ritrova con le palpebre abbassate a forza, incapace di prendere sonno. Può sentire Wolfgang trafficare con qualcosa, in cucina, ma si ostina a tenere gli occhi serrati. Dorme sul divano-letto da settimane e sta diventando bravo a chiudere fuori il resto del mondo.
Dall’altra stanza arriva il russare di Esteban, e Lootah si chiede come Makiko riesca a dormire, in quell’assurdo letto a castello decorato in modo infantile.
«Sei sveglio.»
Wolfgang si dev’essere avvicinato, con il suo passo leggero, perché la sua voce è un sussurro che Lootah riesce a sentire perfettamente.
«Continui a fare rumore.»
«Scusa.»
Cala nuovamente la quiete, ma la presenza silenziosa di Wolfgang al suo fianco non aiuta a dormire sul serio.
«Cosa c’è?»
«Ho fame» è la risposta titubante.
Così Lootah si mette a sedere e si decide ad alzare le palpebre. Wolfgang si staglia contro il buio, con il suo pallore e la maglietta grigia che sembra estremamente fuori luogo su di lui. Dalla finestra entra la vaga luce della strada, qualche fascio di sporadici fari, il lieve rumore di una città che riposa.
Wolfgang si siede subito al suo fianco.
«No, te l’ho già detto» lo rimprovera Lootah.
«Stanno dormendo tutti.»
«Non è questo, lo sai.»
«Non sporcherò.»
«Wolfgang, no.»
È difficile, scorgere lo sguardo ferito nella penombra e sapere di esserne la causa, ma Lootah l’ha fatto una volta e non ripeterà l’esperienza. Non ha nessuna intenzione di cedere sull’argomento.
«Forse Esteban può-»
«Non è questo. Non è un problema che tu abbia fame. Ma non così. Non così e basta.»
«Quando ci sarà la negromante sarà diverso, vero? Lei potrà controllarmi e non dovrò darti fastidio ogni volta che avrò un po’ fame. Anche gli altri potranno farlo, se vorranno.»
La voce di Wolfgang si incrina appena, e Lootah gli poggia una mano sulla spalla, nel tentativo di consolarlo e rassicurarlo. La verità è che non permetterebbe mai a nessun altro di nutrirlo come lui vuole essere nutrito, perché è comunque troppo pericoloso. Anche nel momento in cui dovesse esserci una negromante pronta a imporgli il suo volere.
«Prendi l’ago» gli dice poi, piano.
Mentre l’altro si allontana, ingoia la frustrazione per l’intera situazione. Per quell’Angelica che creerà più problemi di quanti ne dovrebbe risolvere, per i due nell’altra stanza per cui sente di essere responsabile, e per quel vampiro a pezzi che non ricorda nulla e conosce ancora meno. Il rischio che correrebbe Wolfgang, se lo spirito dovesse possedere la negromante, sarebbe il più alto. E Lootah vorrebbe soffermarsi su tutti gli altri problemi, su tutte le altre difficoltà che quella scelta comporterebbe, ma questo è l’aspetto che lo preoccupa più di ogni altro.
Sa che non può cedere, non può farsi vincere dalla paura, non può annegare nel mondo materiale e perdere sé stesso. Soprattutto non può, né ora né mai, condividere un gesto tanto intimo con Wolfgang e permettergli di nutrirsi direttamente dal suo corpo in quel momento. Semplicemente non può.




 
Ecco il secondo capitolo!!
Ve lo dico, mi sono affezionata a Wolfgang nel giro di due righe. 
Sì, lo so, è un capitolo mingherlino (temo lo saranno tutti) che spiega poco o nulla, ma presto molto verrà spiegato e i personaggi verranno introdotti meglio anche grazie ai loro POV.
Insomma, che ne dite?  Se vorrete farmi sapere sarò contentissima. Mi sto divertendo a scrivere questa storia, davvero, anche se non so dove porterà, né come.
A presto!!
DonnieTZ



 
   
 
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