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Autore: Walpurgisnacht    25/06/2016    1 recensioni
Allora ragazzi, vi capita mai di avere idee folli su cui vi sale un hype incontrollabile e che DOVETE mettere per iscritto? Ecco, se vi è successo sapete cosa è passato per la testa mia e della mia socia. Spiegazioni sul crossover e altri tecnicismi nel primo capitolo.
Aggiornamenti settimanali, due a botta. Numero finale di capitoli: ventuno.
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Un aereo cade. Nove ragazzi ammaccati si leccano le (piccole) ferite e cercano di capire come andarsene da quel posto dimenticato da chiunque.
Sul serio, non c'è nessun tizio psicopatico che vuole farli giocare alla sua personalissima versione de La Ruota della Fortuna.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lo sguardo sconsolato di Mukuro non contribuì a migliorare l’umore di Sakura, ovviamente piuttosto basso dopo quanto successo ad Aoi: “Non riesci a venirne a capo, Ikusaba?”.

“Macché. Abbiamo un carillon che non funziona”.

“Sei riuscita a scoprire il motivo per cui non va?”.

“A dire il vero non ci ho neanche pensato. Credi che possa esserci utile capirlo?”.

“Non lo so, ma vale la pena tentare”.

“Sì, potresti aver ragione. Allora vediamo perché si rifiuta di suonare, questo bastardello”. Detto ciò lo riprese in mano e cominciò ad armeggiare, presumibilmente cercando un modo di aprirlo.

Sakura, pur essendo interessata a quanto stava facendo, non riusciva a impedirsi di guardare ogni tanto Aoi. Era sempre lì sulla poltroncina, sempre rannicchiata sulle gambe e sempre immobile.

Per un attimo superò l’immensa pena che provava nei suoi confronti e provò ad affrontare il problema da un punto di vista più pratico. Nel senso: che effetto le faceva la sua angosciata dichiarazione d’amore? Che cosa sentiva lei? Era una possibilità valida?

La risposta di primo acchito, e le fece parecchio male, fu no. Non per chissà quale repulsione o perché Aoi non le piacesse come persona. Solo Sakura non si sentiva attratta sentimentalmente da una ragazza.

Aoi Asahina era la sua più cara, dolce e preziosa amica. Niente avrebbe mai potuto modificare questo dato di fatto. Scolpito nella pietra come le più maestose scogliere.

Ma far salire il loro rapporto a un ipotetico livello successivo…

Il ricordo di Kenichiro, di quel loro speciale stare assieme pur nella competizione che li accomunava… era ancora tutto troppo forte e troppo vivido nella sua mente. Le ci sarebbe voluto molto, molto tempo per distaccarsene. Nel frattempo quello spazio nel suo cuore era occupato da un inquilino che non voleva saperne di sloggiare per lasciare campo libero al nuovo arrivato.

“Tutto bene, Oogami?”. La voce di Mukuro la ridestò dai suoi pensieri. Era ancora alle prese con il tentativo di smontare il carillon.

“Oh… sì sì, sto bene. Stavo solo riflettendo…”.

“Su quanto ha detto Asahina?”.

“E tu come fai a…”.

“Suvvia, non serve essere Kirigiri per arrivarci. Nella tua situazione starei anch’io lì a farmi un sacco di domande. «Io la ricambio? Posso ricambiarla? E se ci vedesse qualcuno?». No beh, l’ultima era solo per dire… anche se pure il giudizio degli altri immagino abbia un suo peso nella faccenda. Penso sia parte dell’ingarbugliata sensazione che prova, parte di quanto l’ha spinta a non dirti mai nulla. Povera Asahina, Zero è stato di una crudeltà rivoltante a comportarsi così…”.

“Lo puoi dire forte. Il mio sensei mi farebbe una ramanzina se fosse qui, ma non posso fare a meno di provare una gran voglia di spaccargli la faccia”.

“Mi sembra più che legittimo. Ha obbligato la tua migliore amica a spogliarsi di ogni inibizione e a denudare la sua anima esponendola di fronte a tutti. Io di traumi ne ho vissuti tanti, non ultimo quello che vi ho raccontato prima, ma non sono sicura di poterne vantare uno così enorme”.

Si era fermata un attimo mentre le rivolgeva queste parole. Sembrava volesse dare più importanza al discorso che all’azione, altra cosa che normalmente non faceva spesso.

“Oogami, qualunque cosa succeda devi starle vicina. Ora più che mai ha bisogno di te”.

Annuì, seppur non troppo convinta.

Il discorso di Mukuro era molto bello e molto nobile, ma a suo giudizio non teneva conto di un fattore importante: lei era la prima, maggiore, unica causa del malessere di Aoi.

Con questo non intendeva dire che non fosse disposta a esserle di supporto, tutt’altro. Però è difficile essere di supporto per qualcuno che ti guarda con occhi diversi da quelli a cui credevi di essere abituata. Che, con la magagna venuta a galla, può aspettarsi qualcosa di più. Che, nel peggiore dei casi, potrebbe anche non volerlo il tuo supporto finché le cose fra di voi non saranno più chiare.

Sigh.

Forse è meglio tornare a dedicarsi alla scatolina musicale che non collabora.

“Passami il carillon, magari io riesco ad aprirlo”.

 

*

 

Touko Fukawa era spaventata.

L’unica cosa che voleva in quel momento era stare lontana dalle scale.

Scale che scendevano verso l’ignoto, verso il buio. E Touko odiava il buio.

Le bambine cattive meritano di stare al buio.

“Allora, vogliamo muoverci o no?”

Oowada berciò di nuovo cercando di convincere tutti a scendere, ma lei avrebbe preferito morire piuttosto che avventurarsi lì sotto.

“I-Io non mi sposto” disse, un sussurro appena udibile che solo quelli più vicini a lei avvertirono.

“Hm? Hai detto qualcosa, Fukawa-san?” chiese Naegi, con quegli occhi enormi e pieni di ottimismo che lei a volte detestava e a volte invidiava.

“Io non… non mi sposto” ripeté, “non voglio scendere.”

“E perché mai, di grazia?” tuonò Togami, spazientito. “Non abbiamo tempo da perdere per dare retta alle tue assurde paranoie!”

Quella frase detta da Togami - il suo amato Byakuya-sama, il suo cavaliere bianco - era una dolorosa stilettata al cuore, ma in fondo aveva poi torto? Sono solo spazzatura, si disse, ha ragione. Una stupida che non merita nemmeno che qualcuno mi rivolga la parola.

“M-Mi dispiace…” balbettò, e il Super Erede rincarò la dose: “Se ti dispiace tanto dimostralo dandoti una mossa, che non abbiamo tutto il giorno.”

“Non c’è bisogno di essere così scortesi, Togami-san” ringhiò Ishimaru, prontamente ignorato dal biondo erede. Touko abbassò lo sguardo, ancora più depressa di prima, quando sentì una mano sulla spalla. Fece un salto all’indietro, temendo che qualcuno volesse picchiarla o costringerla a scendere con la forza, ma quando alzò gli occhi vide il volto sorpreso di Naegi.

“S-Scusami Fukawa-san, non volevo spaventarti” disse lui, “mi chiedevo solo se stessi bene.”
Presa in contropiede da tanta gentilezza, Touko si voltò imbarazzata. Non era abituata a gente sinceramente interessata a lei, e Naegi sembrava sempre così dannatamente altruista con tutti… che ne sapeva lei di come comportarsi con persone come lui?

“Fukawa, tu… non avrai mica paura del buio?”

La domanda, diretta e pratica, arrivava ovviamente da Kirigiri, che la osservava con studiata calma. Improvvisamente anche gli altri sembrarono interessati alla faccenda.

N-No, vi prego…

“Che, davvero?”
“Ma come, alla tua età?”

“Non ti senti ridicola?”

L’ultima frase, ovviamente, era di Togami. E fu quella che fece traboccare il vaso.

“M-MI DISPIACE! NON E’ COLPA MIA! SONO SOLO UNA STUPIDA, STUPIDA E INUTILE CAGNA!” urlò, accasciandosi a terra e coprendosi la testa con le mani.

“C’era proprio bisogno di parlare in questo modo?!”

Riconobbe la voce di Naegi, stranamente autoritaria, rivolgersi a Byakuya-sama (il suo Byakuya-sama, nonostante tutto, nonostante le cattiverie); quest’ultimo non disse nulla, e lei non alzò lo sguardo per paura di leggere lo sdegno negli occhi di lui. Si ritrasse in un angolo lontano dalla scala e si accasciò a terra, nascondendo la testa tra le ginocchia.

Sono solo una stupida, si disse. E le bambine stupide meritano di stare al buio.

“F-Fukawa-san?”

Dopo un tempo che le parve interminabile sentì di nuovo la voce di Naegi che la chiamava; sollevò la testa e lo vide inginocchiato a qualche centimetro da lei con un’espressione di sincera preoccupazione sul volto.

Non guardarmi così. Non me lo merito.

“Fukawa-san, se non te la senti di scendere non sei obbligata. Posso rimanere io con te, almeno finché gli altri non trovano qualcosa per far luce di sotto.”

“Dio, Naegi, sei serio?” borbottò Togami, ma un ringhio da parte di Oowada lo fece desistere dal proseguire: “Chiudi quel cesso di bocca, Scion di ‘Staceppa.”

Touko rimase in silenzio, incredula.

Perché Makoto Naegi era così gentile con lei? Perché tanto interesse per un’inetta che non meritava assolutamente nulla se non il giusto disprezzo che Byakuya-sama le rivolgeva?

Istintivamente si ritrovò a fare un cenno affermativo con la testa, al che Makoto sorrise e si accomodò accanto a lei.
“Bene, direi che è deciso.”

Kirigiri, Oowada e Ishimaru annuirono e scesero le scale. Solo Byakuya rimase ad osservarli con uno sguardo strano, un misto di stupore, rabbia e… il fastidio per non aver capito cos’era appena successo. O almeno così sembrava a Touko.

Quando finalmente rimasero soli, Makoto parlò di nuovo: “Ti senti meglio?”

Non era certa della risposta, così si limitò ad annuire. Lui sembrò sinceramente sollevato: “Meglio così! Mi è dispiaciuto vederti così spaventata, non pensavo la tua fosse una paura tanto radicata…”

Stranamente non le sembrò un’accusa o una battuta di scherno e riuscì persino a formulare una risposta che non suonasse ingrata: “Ho s-subito un trauma quand’ero piccola… n-non lo sa nessuno.”

“Dev’essere stato terribile” rispose lui, “se Togami-san avesse almeno avuto la cortesia di stare zitto…”

“N-Non parlare così di Byakuya-sama!” scattò Touko, quasi l’avessero punta sul vivo. “Lui ha r-ragione, io sono inutile e non merito altro che essere maltrattata!”
“Questo non è vero!” sbottò Makoto, e la sicumera con cui lo disse la colse di sorpresa: “So che Togami-san ti piace ma… questo non vuol dire che devi accettare in silenzio ogni cattiveria che ti rivolge. Tu non meriti questo, Fukawa-san.”

Era la prima volta che qualcuno le diceva cose tanto gentili, tanto… belle.

Non può dirlo sul serio.

Eppure, una piccola parte di lei desiderava tanto volergli credere, voleva disperatamente sentirsi amata. Sembrava una bella sensazione, calda, confortevole… e un pallido spettro le era appena stato fatto provare dal ragazzo che era accanto a lei in quel momento.

“Davvero” riprese lui all’improvviso sedendosi sul primo gradino e facendole cenno di accomodarsi al suo fianco “non te lo meriti. Nessuno se lo merita”.

Tentennò, cercando di decidersi se accettare o meno l’offerta. Era tentata, anche se sapeva bene che c’era un alto grado di rischio. Alla fine, pur fra mille ripensamenti, si mise comoda.

“Fukawa-san, voglio che sia chiaro questo: nessuno di noi vale meno degli altri. Persino io, quello senza nessuna qualità straordinaria, mi sento allo stesso livello di tutti voi super geni. Quindi figurati tu che sei una bravissima scrittrice. E a prescindere da quello, sei un essere umano degno di rispetto. Fra l’altro la nostra situazione ci costringe ad evitare il più possibile litigi e contrasti, perché credo che solo uniti riusciremo a uscire vivi da qui. Quindi, oltre perché è giusto così, sarebbe meglio per tutti se fosse possibile disinnescare Togami-san e la sua lingua biforcuta”.

“Ti ho detto di non parlare male di Byakuya-sama!”.

“Fukawa-san, lo dico per te. Non è sano farsi trattare come una pezza da piedi nella maniera in cui lo fai tu. Senza offesa eh, ma abbi un po’ più di rispetto per te stessa. Sei una ragazza intelligente, non lasciarti sminuire in questo modo. Fatti valere!”.

Complimenti… rivolti a me? L’universo ha preso a girare al contrario per caso?

“C-Cosa stai cercando d-di dirmi?”.

Lui allargò le braccia e assunse il tono che probabilmente ha la maestra paziente che rispiega per la sesta volta le addizioni all’alunno un po’ tonto: “Me lo sono sempre chiesto il perché del tuo essere così introversa, così perennemente sulla difensiva. Non intendo farmi i fatti tuoi, se e quando ne vorrai parlare sarai tu a deciderlo. Dico solo che secondo me non puoi andare avanti così. Ti fai del male se non riesci neanche a difenderti in cose così basilari come il non farsi insultare gratuitamente da Togami, o da chiunque altro se è per quello. Alza la testa quel tanto che basta per non farti schiacciare da nessuno, perché nessuno ha il diritto di farlo”.

Mi… mi sta incoraggiando? I-Impossibile.

Non rispose, non sapeva cosa dire. Era una situazione così nuova per lei che si trovava del tutto impreparata sul modo corretto di reagire. Si limitò a guardarlo dritto negli occhi, cercando inconsapevolmente qualcosa che tradisse un atteggiamento da doppiogiochista in lui. Qualcosa che le dicesse che stava mentendo, che stava tentando di manipolarla per qualche losco scopo.

Non lo trovò.

L’espressione di Makoto Naegi era onesta, pulita.

Ne venne spiazzata.

Era a mani vuote. Non aveva la minima idea di cosa dovesse dirgli. Se doveva ringraziarlo e in che modo, se doveva spingerlo giù dalle scale accusandolo di essere solo l’ennesimo bastardo che stava provando a maltrattarla per il suo divertimento da sadico…

“Tutto bene, Fukawa-san? Stai sudando”.

Non seppe rispondergli. Era troppo impegnata a contenere mille impulsi diversi.

“Fukawa-san…?”

Sentiva che le sarebbe esploso il cuore da un momento all’altro tanta era l’agitazione, finché non notò una luce provenire dalle scale che portavano al sotterraneo.

Touko ringraziò ogni divinità esistente.

“Gente, abbiamo trovato l’interruttore! Potete scendere!” trillò Mondo, facendo capolino dal piano di sotto.

“Ah, bene!” rispose Naegi, alzandosi e voltandosi verso di lei. “Vogliamo andare?” chiese, tendendole la mano: Touko la osservò per qualche istante, incerta sul da farsi; poi la afferrò e seguì lui e Oowada giù per le scale. Poco prima di riunirsi agli altri sussurrò: “N-Naegi…”

“Hm? Sì, Fukawa-san?”

“I-Immagino di… di doverti…”

“Dovermi?”
“Insomma… grazie” balbettò, arrossendo fino alle orecchie. Makoto sorrise: “Non devi ringraziarmi di niente. Ma promettimi di pensare a quello che ti ho detto!” disse, prima di raggiungere gli altri. Touko rimase imbambolata a guardarlo, provando per la prima volta una sensazione di estrema gratitudine per qualcuno.

Forse Naegi aveva ragione, si disse. Forse era ora di smetterla di farsi insultare da chiunque.

Anche da Byakuya-sama…

Si avvicinò cauta al gruppo, e nel farlo notò una cosa estremamente spiacevole: non c’era una sola porta numerata, ma tre. I numeri 3, 2 e 4 erano scritti nell’ormai usuale vernice rossa.

No, non di nuovo vi prego…

“Cosa vogliamo fare?” sentì qualcuno, forse Ishimaru, chiedere agli altri; a rispondere fu Kirigiri: “Proporrei di cominciare a calcolare le radici per ogni porta, così da essere già pronti quando arriveranno le altre.”

“Ma sì, tanto in qualche modo il tempo dobbiamo occuparlo…” sbuffò Oowada, non proprio entusiasta all’idea di rimettersi a fare calcoli.

Mentre il gruppo parlava, Touko si allontanò istintivamente e si lasciò cadere su uno scatolone abbandonato in un angolo. Sentiva che il panico stava per tornare.

 

*

 

“A quanto pare manca il cilindro.”

“Ed è un male?”
“Se vuoi farlo suonare sì. È su quello che sono incise le note.”
“E per noi è un problema?”

“Suppongo. Se manca immagino che Zero voglia che noi lo troviamo.”

Mukuro ascoltò le parole di Oogami, poi sospirò. Sakura la seguì a sua volta: l’idea di dover rivoltare quella stanza come un calzino per la seconda volta non la entusiasmava per niente, non quando aveva ancora il pensiero di Aoi ad angustiarla.

Ma non è questo il momento per pensarci, si disse.

Stava per mettersi di buona lena quando una voce alle sue spalle, flebile come un sussurro, la colse di sorpresa: “Vi do una mano…”.

Non era stata lei. Non era stata Ikusaba. Facile capire a chi appartenesse.

Si girò e la vide alzarsi.

“Aoi, sei sicura? Non ce n’è bisogno se non te la senti…”.

Scosse la testa prima di risponderle: “Va tutto bene, Sakura-chan. Tutto bene”.

“No che non va bene!” si stupì nel sentirsi parlare con tutto quel vigore “Hai ancora una faccia terribile, non sei in condizione di…”.

“Sakura” disse l’altra con un tono sempre molto basso ma incredibilmente autoritario “tu e Ikusaba siete quasi morte per colpa mia. Non ho alcun diritto di restarmene in panciolle mentre voi lavorate come schiave”.

Diamine. È la prima volta che la sento così.

Coprì la distanza che le separava e la avvolse con le proprie braccia: “Mia piccola Aoi…”.

“Ti prego, non chiamarmi così”.

“Eh? Perché?”.

“Non sai quanto male mi faccia ora che sai la verità. Ogni volta che ti rivolgevi a me con quell’affettuoso nomignolo mi sentivo come se mi avessero pugnalata. È doloroso sentirsi chiamare «mia piccola Aoi» dalla persona che più ami al mondo e alla quale non hai neanche il coraggio di dichiararti perché sei una povera stupida…”.

Di nuovo il gelo.

Davvero… davvero Aoi pensava questo di se stessa? Davvero si sentiva stupida perché aveva commesso il grave peccato di innamorarsi di lei senza riuscire a dirglielo?

Era ingiusto. Malvagio. Perverso.

Zero, lo dico sul serio. Spera di non trovarti mai faccia a faccia con me.

Trovò saggio sciogliere l’abbraccio; dopo quanto le era stato detto pensò che anche un semplice contatto come quello le causasse disagio.

“Scusami, io… io non ci avevo proprio riflettuto”.

“Va tutto bene, Sakura-chan”.

Persino una non proprio argutissima come lei aveva capito che quella era una penosa bugia detta solo per allontanarla.

“Avanti, cerchiamo… cos’è che dobbiamo cercare esattamente?”.

“Il cilindro del carillon, Asahina” rispose Mukuro per lei.

“Ok”.

Non le staccò gli occhi di dosso mentre si avvicinava a una delle librerie, casualmente quella da dove era partito tutto. Quella da dove aveva tirato fuori il libro che per lungo tempo era rimasto fra le sue mani. Quello che quasi sicuramente le aveva fatto venire in mente la domanda. Almeno, questo suggerivano la logica e la tempistica dei fatti.

La ricerca fu lunga e, a conti fatti, svolta da due sole persone. Sakura Oogami non seppe dedicarcisi, nonostante non le mancasse l’intenzione.

Un solo pensiero occupava la sua mente.

Poi, dopo lunghe peripezie, Aoi trovò qualcosa dietro il divano.

“Può essere questo?” chiese sventolandolo.

Se non altro era di forma cilindrica e c’erano dei pallini in rilievo.

“Io onestamente non ne ho idea. Potrei descriverti alla perfezione i pezzi con cui è costruito un AK-47, ma sui carillon non sono altrettanto ferrata. Tu che dici, Oogami?”.

Quella sorrise: “Ci siamo, abbiamo trovato ciò che cerchiamo”.

“Anche le dimensioni sembrano giuste. Proviamolo”.

“Scusate la domanda magari ingenua” le interruppe un attimo Mukuro “ma, anche dovessimo riuscire a farlo andare, l’utilità quale sarebbe?”.

In effetti era un quesito sensato.

“Boh?”.

“Il tuo apporto è indispensabile, Asahina”.

Fu sufficiente quella risposta sarcastica per far salire la furia a Sakura. Stava per insegnare le buone maniere al Super Soldato quando…

“Vai al diavolo e restaci, Ikusaba”.

Che cosa?

“Hai una bella faccia tosta a trattarmi così. Per quella tua testa stracolma di tattiche militari del cacchio può ogni tanto passare del buon senso? Lo sai cosa significa doversi umiliare come ho fatto io e cercare di tenere insieme i cocci della tua anima presa a colpi d’ascia da uno stronzo senza volto? Prova ad avere un po’ di rispetto se non ti fa troppa fatica, maledizione! Sto solo provando a essere utile nonostante non sia affatto facile nel mio stato. Santo cielo, devo giocoforza stare vicina a Sakura quando è lei, poveretta, a essere ciò che mi fa stare così di merda!”.

La constatazione ferì Sakura. Era assolutamente vera e lei stessa se l’era fatto presente poco prima, ma restava comunque poco piacevole sentirselo dire in maniera così schietta. Però lei, forse al contrario di Mukuro, era disposta a sopportare in silenzio sbalzi d’umore e cattiverie varie. Almeno questo glielo doveva.

“E comunque il cilindro l’ho trovato io, ecco”.

La faccia inebetita di Mukuro strappò un sorriso alla Super Artista Marziale.

Sarà meglio mettere da parte l’argomento almeno per un po’. Aoi non riesce a tenersi in equilibrio, anche se non si può fargliene una colpa. Dev’essere ancora più sconvolta di quanto sospettassimo.

“Mettiamo il cilindro dentro quell’affare e facciamolo andare. Quel che sarà sarà” chiosò ad alta voce, tentando di calmare il più possibile l’atmosfera.

“Grunf. Va bene. Ma la cosa non finisce qui, Asahina” minacciò Mukuro.

“Quel che ti pare, soldatessa di ‘staceppa”.

“Va bene ragazze, basta” cercò di riportare l’ordine, riuscendoci.

Fecero quanto dovevano e appoggiarono il carillon, adesso funzionante, sul tavolino.

“Oh, credo di conoscere questa musica” disse Aoi, canticchiando istintivamente il motivetto. Sakura inarcò un sopracciglio: “Davvero? Dove l’hai sentita?”
“Non sono sicura ma… credo fosse una di quelle canzoncine che ci insegnavano ai campi estivi delle elementari, mi pare si chiamasse Never say never o qualcosa del genere. Ti ricordi?”

“Sì, mi sembra di ricordare una cosa del genere” mentì. In realtà non credeva d’aver mai sentito quel motivetto, ma in fondo erano passati parecchi anni. Ma decise lo stesso di non dirlo, giusto per non buttare nuovamente Aoi nello sconforto.

Lasciamole le sue piccole vittorie.

Non appena la melodia finì si sentì un ennesimo CLICK.

“A Zero piacciono proprio questi piccoli marchingegni, eh?”.

“Pare di sì”.

Di fronte ai loro occhi si aprì come un cassettino alla base del carillon. Dentro vi trovarono un biglietto con su scritto qualcosa in caratteri occidentali.

“Cavolo, io l’inglese non lo so” disse sconsolata Sakura.

“Io me la cavo invece. Fai un po’ leggere, per favore” si vantò Mukuro prendendole il foglio dalla mano. “False bottom, eh. Credo voglia dire «doppiofondo»”.

“Come il doppiofondo delle valigie?”.

“Sì, anche se qui di valigie non ce ne sono. Forse si riferisce a un cassetto”.

“Quindi dobbiamo mettere sottosopra la stanza… per la terza volta?”.

“Temo ci tocchi”.

“Evviva” fu l’ironico rimarco di Aoi.

“Beh dai, almeno stavolta possiamo restringere un po’ il campo”.

“Sai che consolazione”.

Ti prometto che presto la risolviamo, mia piccola Aoi. Non voglio più sentirti parlare con questo tono smorto.

Ci vollero altri quaranta minuti circa (perché, a dispetto delle apparenze, in quella stanza c’erano parecchi oggetti che potevano avere un doppiofondo oltre alla scrivania) ma alla fine trovarono ciò che cercavano nel cassetto di un piccolo tavolino di fianco alla porta d’uscita.

“La sua posizione sembra profetica” disse Sakura osservandolo, Aoi invece fece una smorfia: “O forse Zero ci prende per il culo.”

L’altra la guardò con occhi sgranati, chiedendosi dove avesse nascosto finora quel linguaggio sboccato. Che avesse imparato da Oowada per osmosi?

“Ok signore, ci siamo” annunciò Mukuro estraendo il cassetto: lo vuotò del suo contenuto e cominciò a tastarne l’interno, finché non trovò una fessura quasi impercettibile tra il fondo e uno dei lati del cassetto. “A-ah!”

“Trovato?” chiese Sakura, curiosa e apprensiva allo stesso tempo. Il Soldato si limitò ad annuire soddisfatta mentre rimuoveva il pannello di legno e rivelava il doppiofondo: al suo interno c’erano una chiave magnetica e…

“Un fermacapelli?”

Aoi lo raccolse da terra: era un fermaglio con il muso di un orso bianco e nero, un oggetto probabilmente pensato per una bambina.

“E di questo cosa ce ne facciamo?” chiese. Le altre due si scambiarono uno sguardo perplesso, poi Mukuro fece spallucce: “Forse è un indizio per qualcos’altro, chi lo sa. Per ora pensiamo solo ad uscire di qui” disse, e così facendo si diresse verso la porta ancora chiusa e fece scattare la serratura con la carta magnetica.

Ad attenderle c’era una scala che portava al piano superiore.

Mukuro sospirò: “Bene. Direi che possiamo tornare indietro e aggiornare gli altri.”

 

*

 

“Per la porta numero 3 potremmo entrare io, Naegi-kun e Asahina. Oppure Asahina, Oowada e Ishimaru.”
“O anche io, Asahina e Oogami. Lei salta fuori in almeno quattro combinazioni.”

“Non credete vorrà evitarsi la prossima porta? Le è già toccata quella attuale…”

“Sì, probabile. Le chiederemo quando lei, Oogami e Ikusaba saranno tornate.”

Makoto annuì alla risposta di Kirigiri, e sospirò. Se fosse stato nei panni di Asahina-san lui avrebbe sicuramente chiesto di passare un turno. Mentre la Detective e Togami continuavano a fare calcoli e combinazioni per le altre due porte lui si voltò verso le scale, chiedendosi a che punto fossero le altre tre.

Chissà se Zero ha messo in atto un’altra delle sue torture si chiese. Non gli piaceva doverci pensare, ma non poteva farne a meno: se aveva capito le intenzioni del loro carceriere sarebbe toccato a tutti loro. Però non aveva idea di quale tortura potesse avere in serbo per lui: per Kyouko aveva fatto leva sulle sue mani, e probabilmente avrebbe usato la stessa tecnica anche per gli altri — segreti che nessuno dei suoi compagni voleva rivelare.

Ma cosa avrebbe fatto con lui?

Makoto era abbastanza certo di non avere segreti, non il tipo di segreto con cui puoi ricattare qualcuno quantomeno: dubitava enormemente che la sua vecchia cotta per Maizono-san (e le centinaia di sue foto di gravure magazine salvate sul pc) potesse contare. O quella volta che lui e Komaru avevano rubato delle caramelle in un negozio.

Sono il ritratto del bravo ragazzo pensò sarcastico, quello noioso e un po’ patetico che non ha mai fatto nulla di interessante nella sua vita. E la cui ammissione alla Kibougamine è ancora un mistero.

Era così preso dall’autocommiserazione che quasi non si accorse che Touko si era avvicinata al gruppo.

“S-Scusate…”

“Per la numero 4 potrebbero entrare Ikusaba, Asahina e Naegi. Oppure io, Naegi e Fukawa.”

“O anche tu, il gorilla e Asahina, o io, Naegi e di nuovo il gorilla.”

“Scusate… io-”
“Gorilla a chi?!”

“A te, scimmione.”

“Ehm… scusate…”

Makoto provò ad intervenire e dar voce a Fukawa, ma il gruppo ignorava entrambi.

“Per favore, cercate di darvi un contegno!”
“Ishimaru, non siamo a scuola, la tua carica di prefetto qui non vale niente.”

“Nemmeno il tuo status di erede, se è per questo!”

“S-SCUSATE!”
“Maledizione a te Fukawa, che diamine vuoi?!”

Tutti rimasero in silenzio dopo l’ennesimo abuso verbale di Togami ai danni di Touko. Quest’ultima aveva gli occhi talmente sgranati che era un miracolo se non le erano rotolati giù dalle orbite; teneva stretta tra le mani una scatola che Makoto non riusciva a identificare.

Per un attimo sembrò che la ragazza dovesse cedere ad una delle sue crisi isteriche implorando il perdono del suo “cavaliere bianco”... invece cambiò subito espressione: i suoi occhi si fecero due fessure che lanciavano sguardi pieni di rancore verso Togami.
“Da te NIENTE” ringhiò verso di lui, che secondo Makoto non sarebbe stato più sconvolto nemmeno se gli avessero detto che l’impero finanziario di famiglia non esisteva più. Lo scansò con una gomitata e tese la scatola a Makoto: “Tieni, ho t-trovato questa nello scatolone su cui ero seduta. Potrebbe servire” disse con un tono di voce tutt’altro che titubante.

Era una cassetta del pronto soccorso.

“Grande Fukawa-san, questa ci tornerà molto utile!” trillò, e la ragazza accennò persino un lieve sorriso (con annesso rossore fino alle orecchie).

Makoto rubò un’occhiata verso Kyouko. Solo lui e Ikusaba sapevano che quella scatolina poteva rappresentare la differenza fra la vita e la morte per lei.

I loro sguardi si incrociarono brevemente.

“Forse sei salva, Kirigiri-san”.

“Lo spero davvero, Naegi-kun”.

Il dialogo senza parole lo rilassò.

Stava per prendere l’oggetto dalle mani di Touko quando...

“Ehi, le tre belle addormentate stanno tornando” annunciò Mondo, cogliendo lui e un po’ tutti alla sprovvista. Il suo solito tatto da elefante in un negozio di cristalleria, si disse ridendo.

“Ikusaba-san! Oogami-san! Asahina-san! State… bene?”. L’ultima parola gli uscì più strozzata del previsto perché gli era caduto l’occhio sulla citata Asahina: sembrava nera di rabbia.

O santi kami benedetti, cos’è successo?

Al contrario le altre due avevano un’aria molto dimessa, Sakura teneva addirittura la testa leggermente abbassata.

“Com’è andata?” chiese Kyouko, al solito diretta come un tir. Non poteva non essersene accorta. Diamine, se ne sarebbe accorto Hagakure se ci fosse stato.

“...non troppo bene” rispose Sakura.

“Cosa intendi, Oogami? Sembrate a posto”.

“Meglio non parlarne adesso. È una faccenda… delicata”.

“Come vuoi” lasciò cadere il discorso Kirigiri. Probabilmente aveva intuito che non era il momento adatto. “Almeno potete dirci se avete trovato qualcosa di importante?”.

“Sì, nell’altra porta c’era una scala che saliva. Oh, e c’era anche un fermaglio per capelli da bambina di cui non capisco l’utilità. Ma vedo tre porte numerate e magari ci possiamo pensare dopo, alla scala dico”.

“Va bene, ora che ci siamo tutti direi che possiamo procedere con le nuove porte. Trovo equo che tutti e nove debbano essere partecipi dell’esplorazione, non sarebbe giusto nei confronti di chi va. Quindi mi spiace per voi tre, vi toccano i doppi turni”.

“Io non ho intenzione di andare con Togami o Ikusaba”. E con queste parole, taglienti come un machete, Aoi Asahina riuscì a zittirli tutti. Ma proprio tutti.

Asahina-san, che razza di tragedia ti è caduta addosso in quella stanza?

“E se fosse possibile eviterei anche… Oogami”.

“Che cosa? Non vuoi andare con lei? Ma… ma perché?”.

“Non chiedere, Naegi. Da parte mia posso dire che capisco bene il perché di questa richiesta” spiegò l’Artista Marziale.

Ora che ci faceva caso, notò Makoto, le due non erano fianco a fianco come sarebbe stato normale aspettarsi. Anzi, Asahina era scostata rispetto alla sua storica amica. E, assurdamente, sembrava… restia a guardarla in faccia.

Ho davvero paura per lei, ora.

Ci fu un attimo di raccoglimento, quasi servisse a riprogrammare combinazioni e riassegnare persone. Poi Kirigiri prese di nuovo la parola: “Ok, visto che sei così categorica nelle tue scelte forse possiamo aggiustarci diversamente. Se i tuoi compagni fossero… aspetta, fammi pensare un secondo… questo più quello più quell’altro… Oowada e Ishimaru per la porta numero 3? Andrebbero bene?”.

“Chissenefotte”.

Un picosecondo di stupore generalizzato. “Lo prenderò come un sì. A questo punto nella 2 potrebbero entrare Oogami, Togami e Ikusaba e io, Naegi e Fukawa andare nella 4. A te va bene, Naegi-kun?”.

Io, Fukawa-san e Kirigiri-san… e una cassetta del pronto soccorso per le ustioni? Sì grazie.

“Benissimo”.

Lo sguardo d’intesa che si scambiarono scaldò il cuore di Makoto.

“Qualche obiezione a queste triplette?”.

No, parrebbe nessuna.

“Allora sparpagliamoci e andiamo”.

Diavolo, quella ragazza era davvero implacabile. Aveva praticamente un buco sulla mano, buco che si era creato sopra i resti di altre ferite annerite dal tempo, e non dava neanche la vaga sensazione di voler rallentare.

Meno male che è lei a guidarci constatò.

   
 
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