Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: fragolottina    27/06/2016    13 recensioni
«Ho messo il ragazzo dai capelli rossi nel mucchietto sbagliato», Helen sorrise. «Uccidere mio padre ha davvero riparato il mio errore?».
Questa volta lui fu costretto a rimanere zitto.
«Io. So. Tutto», ripeté lentamente. «Anche le conseguenze delle mie azioni».
Silenzio.
«E lei sa a cosa porteranno le sue azioni?».
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Synt'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I Veglianti di Synt ...mpf...
perchè tot anni fa ho cominciato a scrivere il Mitronio?!
perchè?
e con questa frizzante ed incoraggiante introduzione vi lascio al capitolo 4!



CAPITOLO 4


    Il cameriere attraversò la sala senza guardare in faccia nessuno.
    Nessuno avrebbe avuto dubbi sulla sua preparazione, professionalità, identità.
    Portò i piatti in cucina, ma quando si voltò rimase immobile. La sposa era in piedi davanti a lui, ingombrante nel suo vestito di tulle e merletti.
    Sotto il velo e sopra il corpetto c’era una cascata di capelli rossi.
    Era felice che non li avesse raccolti o tinti, era felice che se li fosse tenuti com’erano quando se ne era andato.
    La ragazza guardò il cameriere in lacrime, si coprì la bocca, ma non prima di permettergli di vedere una risata: erano lacrime di gioia.
    Lui avrebbe voluto dire mille cose, ma non aprì bocca: si portò l’indice alle labbra facendole segno di tacere.
    Lei annuì e sorrise, ma allungò le braccia fasciate di pizzo verso di lui, alla ricerca di un abbraccio.
    Non poteva negarle una cosa così piccola e non voleva negarsi una cosa così grande.

    Nate pensò che, vista l’enormità di tempo che gli facevano passare in isolamento, avrebbe potuto iniziare ad arredare la stanza secondo il suo gusto. Magari avrebbe potuto attenuare il bianco accecante di qui muri con un tono più soft, e magari avrebbe sostituito quelle luci insopportabilmente luminose con delle lampade. Gli scoppiava la testa.
    Si rifiutò di guardare verso la porta scorrevole, si rifiutò di incontrare lo sguardo ottuso di Mr. Flicks, quando entrò. Perché mandavano sempre Mr. Flicks? Quali informazioni potevano ottenere dai loro strani e disfunzionali colloqui?
    Gli si avvicinò fino a fermarsi davanti a lui, seduto per terra in angolo.
    «Ho chiamato in ospedale», disse Mr. Flicks aprendo una cartellina, forse conteneva delle istruzioni, perché non appena lo ebbe fatto, si frugò in tasca e gli porse un aggeggino metallico.
    Dubbioso, ma curioso, Nate si raddrizzò gli occhiali per studiare quell’oggetto. Era piccolo ed aveva un pulsantino lucido da una parte: Nate sapeva cos’era, ma non aveva senso. Iniziò a sospettare di avere un’allucinazione.
    Spinse il pulsante però e Mr. Flicks annuì soddisfatto.
    Era un distortore, serviva a mantenere la loro conversazione dentro le mura di quella stanza, annientava le cimici. Quel tipo era suonato e strano.
    «Due medici sono andati a tirare fuori Courtney dal reparto malattie infettive».
    Nate rise incredulo. «Lei ha davvero ascoltato quello che ho detto?».
    Mr. Flicks recuperò una sedia e si sedette davanti a lui, si chiese se il fatto che in quel modo attenuasse un po’ le luci fosse casuale o se si fosse messo proprio lì di proposito. Gli sembrava decisamente troppo premeditato per lui.
    Rimase serio senza guardarlo. «Non sono molto bravo per questo lavoro», ammise. «Non significa che non ti ascolto. Ci metto un po’ a capire, però alla fine capisco e scrivo», spiegò sollevando i suoi fogli ora impilati in una cartellina. «Me l’ha data Jean, così non rischio di perdere niente».
    Nate lo guardò, non c’era acume nei suoi occhi, però c’era una sorta di consapevolezza che lo fece sentire in colpa. Sapeva, Mr. Flicks conosceva tutti i propri deficit e viveva in un mondo di persone che non mancavano di farglielo notare. Lui compreso.
    «Mi dispiace», disse, anche se forse non avrebbe capito, che si stava scusando per ogni pensiero poco nobile che aveva avuto nei suoi confronti.
    Lui sbatté le palpebre, sbirciò la cartellina in cerca di un suggerimento, per la prima volta da quando si incontravano si chiese chi gli scrivesse quelle istruzioni, non poteva essere Wood.
    Poteva? Era un trucco?
    «Ti perdono», lesse. «Ma vorrei che ascoltassi me».
    «La ascolto», concesse Nate guardingo.
    «Io ho fatto... sono stato…», si interruppe, sorrise e chiuse gli occhi. «Non ho potuto scriverlo, sarà una cosa lunga», considerò lanciandogli un’occhiata colpevole.
    Nate si strinse nelle spalle. «Hanno annullato tutti i miei appuntamenti di oggi».

    Becky scivolò fuori dalla porta della caserma riservata agli inservienti del magazzino, era chiusa, ma aveva le chiavi.
    Nate si era messo a lavoro prima ancora che rapissero Zach: quando erano tornati in caserma, lo avevano trovato intento a prepararsi ad una guerra che nessuno di loro aveva ancora compreso: aveva sparso in giro chiavi per scappare, armi nascoste nelle griglie dei sistemi aerazione, punti ciechi dalla ricezione di Wood. Lei, Matt e Courtney avevano capito solo nel momento in cui gli avevano installato quella cavigliera.
    Nate aveva fatto tutto quello che aveva potuto, finché aveva potuto.
    Rimase nascosta dietro una colonna, in attesa che il Vegliante addetto a controllare il perimetro della caserma la superasse, aspettò finché le proprie visioni non si sovrapposero al presente.
    Attraversò il cortile e si arrampicò sul cancello per saltare dall’altra parte.
    Inizialmente erano stati dubbiosi, ma erano bastate poche settimane senza Mitronio per notare la differenza. Becky era diventata più agile, più precisa, più attenta; l’istinto di autoconservazione, che Lynn continuava a non trovare quando l’addestrava, c’era, era soltanto impigrito da tutte quelle tossine.
    Non potevano permettere che qualcuno notasse differenze troppo evidenti in loro, quindi cercavano di essere prudenti, ignoranti e lenti. Non era stato difficile notare che non erano i soli a fare quel gioco: Dean e Serena erano tanto bravi che, anche impegnandosi ad essere il più imbranata possibile, riuscivano a farla vincere.
    Sempre.
    Per qualche minuto ancora, Synt non sarebbe stata sotto coprifuoco e questo per lei era un grande vantaggio.
    Svoltò l’angolo e si trovò immersa nel consueto brusio di una città che fingeva di essere normale. Si filò la felpa ed un ragazzo le porse una giacca con un cappuccio abbastanza ampio da nascondere tutti i suoi capelli.
    Quel ragazzo era accompagnato da una signorina bionda e minuta come lei, che le fece l’occhiolino prima di infilarsi la sua felpa.

    Per qualche secondo Courtney rimase completamente senza parole: la bocca dischiusa, trattenne anche il respiro, come se qualcuno avesse premuto pausa nel telecomando del suo essere.
    «Che hai fatto ai capelli?», chiese, si sfilò un fazzoletto di carta dalla tasca e se lo posò lentamente sul viso per coprirsi naso e bocca.
    Zach sospirò e le si accucciò davanti. «Devi credermi», disse cercando di toccarla, ma lei scostò la mano, si allontanò e si alzò in piedi. La sedia che cadde alla sue spalle, per colpa del movimento brusco, fece un frastuono infernale.
    Zach si sollevò, ma non provò ad avvicinarsi di nuovo. «Courtney, lo saprei. E lo sapresti anche tu».
    Capiva quello che le stava dicendo, era spaventata, ma capiva. Se entrare in quell’ospedale, in quel reparto, fosse stato pericoloso un campanello d’allarme sarebbe suonato nella sua testa. Qualcosa o qualcuno le avrebbero detto di non andare.
    Beh, Nate ci ha provato, rifletté.
    «Se ti credo e ti sbagli sono un’arma batteriologica, una bomba».
    Era un medico, non poteva dimenticare la propria vocazione, le proprie responsabilità. Non poteva credergli, non poteva rischiare. Non voleva.
    «L’hai visto quel reparto», osservò Zach, mentre allungava una mano verso di lei senza avvicinarsi, un’offerta. «Court, quella bomba è già esplosa».

    Becky si fermò.
    Aveva pensato che attraversare Synt a piedi fosse la scelta più saggia: aveva immaginato milioni di Becky cercare di nascondersi in un pullman, mentre un gruppo di Veglianti saliva per controllare. Era minuta, non invisibile. Non volveva rimanere incastrata in un tubo di metallo senza vie d’uscita.
    Certo, aggirarsi da sola in una Synt al crepuscolo, sapendo di essere braccata da Dean e Serena e conoscendo i milioni di punti da cui potevano raggiungerla, in quel momento non sembrava una mossa molto più intelligente. Una parte di lei aspettava con una folle frenesia quel confronto: voleva sapere, voleva trovare il modo di spingerli a mostrare cosa nascondevano.
    Vedere, anche vedere poco, era una droga e non vedere, non vederli, la logorava. Tenerseli tanto stretti era un’ottima copertura, ma era anche un buon per osservarli ed aspettare un loro passo falso.
    Riprese a camminare cercando di darsi un’aria impegnata ed indifferente, discretamente si lanciò un’occhiata alla spalle: a meno di dieci passi da lei Dean stava organizzando un gruppo di Veglianti, non aveva bisogno di sentire per sapere che stava dando istruzioni dettagliate per trovarla.
    Ci avevano messo poco, a smascherare la Veggente che aveva cercato di sostituirla.
    Troppo poco.
    Se Dean era lì, dov’era Serena?
    «Becks».
    Voltò la testa di scatto verso la fermata dell’autobus, c’erano tre persone: una ragazza con un baschetto viola, indaffarata a parlare in tedesco al telefono; un tizio impossibile da identificare, perché teneva un’enorme piantina della città dispiegata davanti a lui; l’altro era un giovane con un cappello da baseball ed un paio di occhiali da sole che le sorrideva.
    Ed era Jamie Ross.
    Non si mossero quando Becky li raggiunse e si infilò dietro di lui per nascondersi. Nessuno diede segno di averla vista.
    «Sono dei tuoi?», chiese in un sussurro.
    «In realtà Ophelia e Stu sono dei tuoi», specificò Jamie, grattandosi il viso per dissimulare il labiale. «Sono gli addetti alla tua sicurezza».
    Sembravano straordinariamente prudenti e sull’attenti: non era un dettaglio incoraggiante.
    «Cosa aspettate?», domandò piano.
    «Te», disse semplicemente. «E che Ophelia finisca di discutere con il suo ragazzo».
    Becky sbatté le palpebre perplessa. «Sta davvero parlando al telefono?», bisbigliò sbalordita. «Credevo fosse una copertura».
    «Il cappello è la copertura», spiegò.
    «Io devo andare a salvare Courtney!», obbiettò Becky.
    Jamie rise, si frugò in tasca, recuperò una sigaretta e l’accese. «C’è già andato Zach».
    Becky rimase immobile.
    Zach.
    «Zach è a Synt?».
    «Zach è a Synt», confermò. «Volevamo stampare un trafiletto sul giornale o sul sito istituzionale della città, ma abbiamo optato per l’effetto sorpresa».
    Zach.
    «È andato da Courtney», continuò.
    Stu girò la cartina fingendo di cambiare angolazione nello studiarla. «Ci ha chiesto di riaccompagnarti in caserma prima di farti male».
    Becky fissò Stu, seccata. «Ha detto così?», domandò tirando fuori la pistola con il sedativo.
    Zach era stato lontano da Synt per tutto quel tempo, fregandosene di come se la passavano per tutto quel tempo ed ora aveva il coraggio di presentarsi lì, intenzionato a salvare l’ennesima damigella in difficoltà e mandando due Veggenti per riportarla a casa?
    Zach era stato lontano da Synt per troppo tempo.
    «Secondo voi riesco a sparare a Dean e Serena?».
    Ophelia si mise il telefono in tasca e si legò i capelli, Stu ripiegò il giornale infilandolo nella tasca interna della giacca.
    Jamie soffiò via il fumo in un sospiro. «Morirò senza essere mai riuscito a finire tutta una sigaretta», si lamentò, prima di sollevare un cellulare e portarselo all’orecchio. «Chinatown, hai vinto tu».

    Courtney fissò il suo palmo aperto, poi i suoi occhi dietro il giallo, quasi bianco in realtà, posticcio dei capelli: voleva trovare una traccia qualsiasi di menzogna, voleva supplicarlo perché ammettesse di mentirle.
    Tutti quei morti.
    Tutte quelle bare.
    «Non possono», sussurrò. Ma abbassò la mano con la quale si teneva premuto il fazzoletto sul viso. Potevano, una parte di lei era ben consapevole di quali atrocità si erano macchiati.
    «Non possono averlo permesso. Io…», si interruppe. «Mia madre. Romeo. Perché loro l’hanno permesso?», chiese.
    Zach non abbassò lo sguardo, ma lasciò cadere il braccio lungo il fianco con un sospiro. «Non colpisce i Veggenti», ammise, quasi si trattasse di una colpa.
    Che equivaleva ad un “non è un problema loro”.
    Courtney si chiuse in sé stessa, si nascose il viso tra le mani, si concesse un attimo di disperazione davanti a tutto quell’orrore. Guardò in faccia ognuna delle persone che vedeva morire davanti ai suoi occhi, come un terribile, agghiacciante, riassunto dell’apocalisse.
    Poi all’improvviso il sole.
    Si vide sorridere, si vide abbronzata, si vide ingrassata, dolcemente arrotondata da una vita dentro di lei. Lontano da Synt c’era il mondo e niente la legava, niente le impediva di scappare.
    Non colpiva i Veggenti.
    E lei era una Veggente, poteva essere felice, lontana da lì.
    Era da diverso tempo che la sua mente le suggeriva conclusioni alternative e felici per lei: forse erano soltanto desideri, forse stava soltanto impazzendo. Era cresciuta in mezzo ad un disastro nucleare, chi poteva dire se il suo patrimonio riproduttivo fosse intatto?
    Nate si rigirava sempre un termometro in bocca.
    Courtney si scostò le mani dal viso e guardò Zach infilarsi le sue in tasca, aspettandola. Aveva una strana espressione sul viso mentre la guardava, noia ed impazienza, la frenesia di non voler aspettare qualcosa di prevedibile. Zach sapeva cosa avrebbe fatto.
    Lei e Nate avevano fatto un miracolo.
    Continuò a fissarlo, come se stesse leggendo quella storia sul suo corpo.
    Nessuno sarebbe riuscito a trovare una cura per combattere quel virus: quelli che avrebbero potuto sarebbero stati uccisi, oppure sarebbero stati lieti di guardare i propri aguzzini soccombere.
    Non era forse quello il motivo per cui nessuno trovava una cura per il cancro? Un Veggente su otto milioni si ammalava di cancro, moriva nel due per cento dei casi, un numero facilmente arrotondabile a zero.
    Perché spendere tante energie, perché Courtney sapeva che non sarebbe stato semplice imbrigliare un virus del genere, per salvare un branco di persone ottuse ed ignoranti?
    Suo padre non era un Veggente, era morto di cancro, lei non si sarebbe mai ammalata.
    Nate aveva sempre quel termometro in bocca.
    «Che hai fatto ai capelli?», domandò, come se quello continuasse ad essere il quesito più urgente.
    Nate aveva quel cavolo di termometro in bocca perché era paranoico o si era ammalato?
    «Ho bisogno di parlare con Nate», disse.
    «Non puoi».
    Courtney lo fissò incredula e seccata, sapeva di avere lo stesso identico sguardo di sua madre, quando qualcuno non le dava la risposta che voleva: non erano brave ad accettare un “no”.
    Zach rise della sua espressione. «L’hanno messo in isolamento, ha quasi fatto a botte con Matt». Recuperò un pacchetto di sigarette accartocciato dalla tasca dei pantaloni e se ne mise una in bocca, poi si tastò addosso. «Non ho l’accendino, mi accompagni dal tabaccaio?», la invitò.
    Courtney si aggiustò la giacca. «Devo prelevare dei campioni prima», disse dirigendosi verso l’uscita, risoluta.
    «Dovresti mandare avanti me», le suggerì.
    Quando aprì la porta due guardie, nascoste sotto tute anticontaminazione e ben armate, li aspettavano. Courtney indietreggiò di un passo, presa alla sprovvista. Non la ritennero abbastanza pericolosa, o almeno non più pericolosa del suo accompagnatore, perché i fucili che tenevano tra le braccia puntarono immediatamente sul torace di Zach. Courtney lo osservò, tranquillo.
    «Zach Douquette?».
    Lui li guardò e rise schioccando la lingua. «No, ma che dite? Zach Douquette è moro, no?».
    Courtney lo fissò, l’espressione carica di rimprovero. «È per questo che hai fatto quel casino con i capelli?», indovinò.
    Lui sorrise rigirandosi la sigaretta spenta a fior di labbra. «Non è che avete un accendino?».

    Ophelia fu la prima a reagire, quando Serena piombò addosso a loro.
    Stu la aiutò a trattenerla e lanciò un ombrello a Becky, che lo afferrò con una mano mentre nell’altra impugnava la pistola con il sedativo. Lo aprì davanti a lei impedendo ad un Vegliante cercava di afferrarla; lo spinse contro la pensilina, aiutata da una spinta di Jamie Ross, e sparò premendo la canna contro la sottile tela dell’ombrello.
    Il Vegliante finì a terra quasi subito: quanto a sedativi ed affini la LTP rimaneva imbattuta.
    Serena la guardò, aveva immobilizzato Ophelia a terra, approfittando del fatto che Jamie e Stu erano momentaneamente impegnati ad intrattenere altri Veglianti. Rise e la sua espressione le sembrò stravolta, sbagliata, della pallida bellezza che sfoggiava di solito non era rimasto niente. Con un tono di voce disperato, in completo contrasto con la sua mimica facciale, urlò: «Aiutatami! Vogliono prendere Becky!».
    C’era qualcosa di drammaticamente sbagliato in Dean e Serena.
    Lynn le sbatté il coperchio di un secchio dell’immondizia in testa e lanciò un’occhiata di avvertimento a Jamie Ross. «Giap-po-ne-se», sillabò. «È l’ultimo avvertimento».
    «Questo è il momento in cui scappi, bambina», le suggerì Stu deviando un pugno che Becky non avrebbe fatto in tempo ad evitare.
    Non ci fu bisogno di ripeterlo, dribblò un paio di Veglianti, che Jamie e Lynn prontamente distrassero, e sgusciò via.
    Si infilò in un vicolo, ben consapevole che i Veggenti avrebbero spinto o attirato lì i Veglianti.
    Zach.
    Non voleva pensarci, aveva una missione ed era importante anche se aveva improvvisato.
    E poi lui aveva mandato due Veggenti a prenderla, come se fosse la stessa ragazzina impacciata che aveva lasciato.
    Si sentiva decisamente offesa: la prossima volta che si sarebbero visti, gli avrebbe sparato di nuovo. Tanto per ricordargli come funzionavano le cose tra loro.
    Cercò di allontanare il suo pensiero per concentrarsi: alle proprie spalle riconosceva il suono ottuso e secco di carne che sbatte contro carne.
    Si guardò intorno e saltò per raggiungere i pioli troppo alti di una scala antincendio, si arrampicò lungo il muro come un gatto. Dal tetto riusciva a vedere tutto il vicolo sotto di lei, recuperò il proprio cellulare, mise la luminosità al massimo e lo tirò all’interno di un secchio dell’immondizia. Non doveva far luce, doveva essere un segnale per i Veggenti: in fondo, vedere con gli occhi non le aveva mai garantito una mira migliore.
    Fu piuttosto contenta di scoprire che, il primo a liberarsi dei Veggenti per avanzare, fosse proprio Dean; sorrise, quando notò che la Veggente che lo stava attirando lì era Lynn. Immaginò che l’avrebbe trovata d’accordo, se le avesse spiegato perché credeva che una siringa di sedativo tra le gambe lo avrebbe reso un fidanzato di copertura migliore. Era pronta a dare ai suoi fianchi esattamente le attenzioni che meritavano…
    «Non sparare», disse qualcuno alle sue spalle.
    Becky sbatté un piede a terra, indispettita dall’interruzione, mentre la canna di una pistola le veniva puntata alla schiena.
    «Ora tu vieni in caserma con me», le disse Johnathan Kingley.
    Il suo primo pensiero fu la possibilità di cambiare obbiettivo.
    Poteva farlo, era solo sedativo.
    «Se premi il grilletto verrà a prenderti lui, davvero credi che sarebbe meglio?», le fece notare.
    Probabilmente no, ma c’era così vicina.
    Sospettosa Becky sbirciò giù, il vicolo sotto di lei, la patta dei pantaloni di Dean era ancora a portata di sedativo. «La mia idea era atterrarlo da qui», confesso con una smorfia colpevole.
    «Non puoi colpirlo», la contraddisse.
    Lei sorrise e gli lanciò un’occhiata divertita. «Magari sì», ribatté. «Sono piuttosto brava, sai?».
    Ma Johnathan scosse testardamente la testa, per niente coinvolto dalla sua determinazione. «No, non puoi. Lui e Serena non sono come te».
    Becky aggrottò le sopracciglia studiandolo incerta. Si chiese quanto sapesse: loro Veglianti di Synt si erano evoluti in fretta, ma avevano anche Romeo che li pungolava e spingeva ed obbligava ad aprire gli occhi. Gli altri, i Veglianti di tutto lo Stato, potevano riuscire a farsi le domande giuste?
    Dean era quasi arrivato.
    Allungò il braccio e prese la mira per un secondo.
    «No, non farlo ti vedrà!», disse Johnathan agitato, cercando di bloccarla.
    Non fece in tempo, Becky premette il grilletto.
    E Dean si fermò.
    Sbatté le palpebre, attenta: osservò Dean studiare la siringa che si era appena frantumata ai suoi piedi, un centimetro davanti a lui; la calpestò per sottolineare il concetto e no, non si era immaginata l’occhiata divertita che aveva lanciato nella propria direzione.
    Era strano, fino a qualche mese prima si sarebbe stupita se lo avesse colpito, ma dopo tutto quello che aveva passato sapeva, senza incertezze, senza obiezioni, senza ombra di dubbio, che quando faceva fuoco, i suoi proiettili, di qualsiasi natura fossero, facevano sempre centro.
    Non sempre, fu costretta a realizzare.
    «Perché fai sempre cose tanto stupide?», la sgridò Johnathan un secondo prima di sparare a sua volta.
    Lo riconobbe dal sibilo che produsse, anche le sue pistole erano caricate con delle siringhe. Qualsiasi cosa ci fosse dentro, impiegò il tempo necessario a Becky per sfilarsi il proiettile dalla gamba, per fare effetto: franò a terra con un gemito, mentre la nausea l’avvolgeva.
    Mitronio, prevedibile.
    Sentì un rumore, ma forse se l’era sognata: stupido Kingley, si stava pentendo di essere stata tanto magnanima prima, avrebbe dovuto sparargli.
    Aiutandosi con le mani cercò di strisciare fino alla sua pistola, caduta poco più avanti. Si fermò quando davanti alle sue dita, a pochi centimetri dalla sua testa, comparvero due piedi. Per un attimo tutto quello che provò fu paura, ma Dean poteva anche essere speciale, poteva essere diverso, ma non poteva essere già arrivato fin lì.
    Il proprietario dei piedi si accucciò davanti a lei e le scostò i capelli dal viso.
    «Rebecca Farrel, diciassette anni, riserva delle cheerleader».
    Stordita dal Mitronio quelle parole le portarono alla mente un ricordo lontanissimo: lei a nove anni, ad un gara di cheerleading. Ricordava che le avevano dato un microfono e le avevano detto di raccontare chi era, ricordava i suoi genitori farle cenni di incoraggiamento e sorrisi dalla platea.
    Rebecca Farrel, nove anni, cheerleader.
    Becky scosse piano la testa ed osservò la faccia di Zach perdere lentamente nitidezza, i contorni del suo viso sfocarsi.
    «Com’è che non mi dai mai retta?».

    Con un milione di interruzioni e digressioni Mr. Flicks gli raccontò che Jean Roberts era stata portata alla caserma di Los Angeles a dodici anni, che Wood era il suo tutore legale e che lui era stato incaricato di mantenerla equilibrata dal punto di vista fisico e mentale.
    Nate era piuttosto dubbioso all’idea di Mr. Flicks che riusciva a mantenere equilibrata la psiche di qualcuno, considerato com’era ridotta al sua, ma non obbiettò.     Dopo avergli dato questa informazione, secondo lui fondamentale, per Nate poco più di un pettegolezzo, gli porse un barattolino arancione senza etichetta, pieno di pillole.
    Era ancora seduto per terra, ma si era raddrizzato ed era intenzionato ad assimilare tutto quello che lui voleva raccontargli, chissà che tra le mille informazioni stupide non ci fosse qualcosa di utile.
    «Cosa sono?», chiese.
    «Non lo so, non sono per me».
    Il primo pensiero di Nate fu che si trattasse di un modo alternativo per tenere a bada Zach, forse quelle pillole erano state spedite prima che lui fosse portato via dai Veggenti.
    «Ma Jean non le prende», aggiunse Mr. Flicks.
    Nate lo fissò, sorpreso. «Jean?», chiese senza capire.
    Lui annuì come se fosse la cosa più normale del mondo. «Le butta, ma non è molta attenta», spiegò, poi scosse la testa rammaricato. «Non lo è mai. Ma le fogne e l’immondizia sono le prime cose che Wood mi ha chiesto di controllare, per questo le ho trovate».
    Wood voleva sapere nel dettaglio cosa non usavano.
    Quindi doveva aver scoperto, che buona parte del cibo che mandavano veniva buttato praticamente intonso; lo smuovevano, ma aveva stilato una lista di cibi che potevano contenere Mitronio e che non dovevano essere mangiati.
    Wood era un tipo sveglio che la sapeva lunga su quella situazione, una parte di lui lo ammirava.
    «Non capisco perché, insomma Jean è normale». Poco ortodossa, magari più affezionata a loro che allo scopo delle loro missioni, però non erano difetti così compromettenti. Se quelle pillole servivano a tenerla buona, doveva esserci una motivazione più grande.
    Quando tornò ad osservarlo, scoprì che Mr. Flicks stava sorridendo. Fu stupito nel realizzare che, per la prima volta, lui era un passo avanti ai suoi pensieri. Sollevò le sopracciglia. «È sarcasmo, quello?».
    Annuì convinto, ma non disse una parola.
    Nate assottigliò lo sguardo. «La vedo più sveglio del solito oggi».
    «Ancora non le ho prese», disse piano.
    «Cosa?».
    Rimase in silenzio per qualche secondo, gli sembrò quasi imbarazzato, indicò con un cenno del capo il barattolo nelle sue mani.
    Le guardò anche Nate.
    «Non volevo che Wood la scoprisse», disse a mo’ di giustificazione.
    «Le sta prendendo lei», mormorò senza fiato.
    Fece di sì con la testa.
    «Ma… deve smettere», sbottò fissandolo. «Non sa nemmeno cosa c’è dentro, a cosa servono».
    Lui scosse la testa ad occhi chiusi. «Non… va bene, non preoccuparti».
    «Deve darmi retta! Potrebbe causargli danni permanenti!», continuò alzando la voce per sovrastare i suoi tentativi di non ascoltare. «Devo farle delle analisi, vediamo cosa sta succedendo». Si alzò in piedi. «Non appena mi rilasciano parliamo con Courtney, sa io e lei siamo piuttosto…».
    Mr. Flicks non si mosse. «Non è necessario», disse ad occhi bassi.
    Nate rallentò.
    «Quello l’ho costruito io a vent’anni», gli disse lucido, lucidissimo, indicandogli il distortore posato tra di loro. «A Los Angeles le cimici erano dappertutto ed io non volevo che Wood sapesse cosa facevo con le mie compagne nella mia stanza». Si strinse nelle spalle. «Penso che i ragazzi facciano cose più emozionanti per fare sesso indisturbati, però sono sicuro che fosse un’idea piuttosto buona»
    «Lo è», confermò Nate osservando il distortore, ne aveva messi su un paio anche lui in punti strategici della caserma.
    «Ci metto una vita per cambiare le pile del telecomando, mi sono disegnato una piantina della caserma per non perdermi. Cos’altro c’è da danneggiare nella mia testa?».
    Non rispose, non sapeva cosa dire. In realtà lo sapeva, ma aveva paura. Non era sicuro di poter fare quello che voleva dire, magari era impossibile, magari serviva un miracolo.
    «Però Jean sta bene, lei può ancora fare tutto, può cambiare il mondo se vuole».
    Nate piegò poco la testa di lato studiandolo. «Lei ha una bella cotta».
    Lasciò andare una mezza risata e si raddrizzò gli occhiali. «Era lei ad avere una cotta per me, in realtà. Prima di… beh, prima di Josh, ad ogni modo», concluse, gli lanciò un’occhiata, Nate lo fissava e basta. «Sembri dubbioso».
    Scosse la testa. «Sto pensando».
    «Lo capisco, lo capisce anche lei. Mi regala cartelline, mi aiuta, mi difende dai tuoi commenti più spietati, mi incoraggia a parlarti… mi sta bene, essere il suo zio invalido va bene, ma questo non significa che non possa trovare il modo di occuparmi di lei anche ora».
    Nate si rigirò il barattolo di pasticche tra le mani. «Sa, Mr. Flicks, conosco un medico che fa i miracoli», sorrise guardandolo. «La aggiungo alla mia lista di persone da salvare».

    Matt guardò le scarpe di Becky, poi gli scarti, c’era della gomma rosa.
    Frugò nel proprio cassetto fino a recuperare il quadrante di un vecchio orologio rotto e si mise a lavoro.



per farvi capire: su una scala da 1 a 10 Matt ha un fattore di pericolosità 1000++
dunque, questo capitolo l'ho scritto talmente tante volte da farmi venire la nausea e farmelo odiare.
lo odio, lo odio, lo odio.
quindi, care le mie lettrice affezionate, a voi l'ardua sentenza.

poi se mi seguite in tutti i luoghi e in tutti i laghi sapete che sono su wattpad, dove sto ripostando "Teach me"  e sto riscrivendo - sì, ho detto riscrivendo - "Patisserie Française". alcuni sono felici della nuova versione, altri no, ognuno dei loro pensieri è assolutamente leggittimo, però se siete curiosi, date un'occhiata.
se avete sviluppato un feticisimo per i capelli di Pierre nella versione originale e sapete che odierete qualsiasi dettaglio o cambiamento, avete il mio incoraggiamento a rimanere ancorate alla vostra decisione. fate bene, i gusti son gusti.
personalmente, la nuova versione rispecchia di più quello che io vorrei leggere e come lo vorrei leggere.

voglio scrivere lo spin off su Sean, non so quando, non so come, forse di notte, forse mentre dormo, ma lo farò.

fatemi sapere, vi voglio bene...

non riesco a credere che pensavate avessi mollato di nuovo!!
baci
   
 
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: fragolottina