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Autore: Old Fashioned    28/06/2016    5 recensioni
Il principe Wieland sarebbe disposto a tutto pur di ritrovare Lady Amilda, la sua promessa sposa. Un Veggente gli predice che riuscirà a ricondurla a sé, ma gli svela anche che nell'impresa perderà la persona che ama di più al mondo. Che cosa significa la misteriosa profezia?
Wieland ritiene che sia Lady Amilda la persona che ama di più al mondo. Come può rincoquistarla e perderla nello stesso momento?
P.S.: questa storia non era originariamente strutturata in capitoli. L'ho divisa qui perché è piuttosto lunga e non volevo mandarla tutta in una volta.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3

Finalmente giunsero al confine est del Cadwald. Pian piano gli alberi si fecero più radi e ricomparve il basso sottobosco. In fondo al sentiero la luce sembrava già più calda e dorata.
Le cavalcature aumentarono spontaneamente il passo e i due si guardarono bene dal trattenerle, ansiosi com’erano di allontanarsi da quella spettrale foresta.
Una volta fuori, essi si trovarono in una sterminata brughiera, disseminata qua e là di chiazze di neve. Non c’erano alberi e l’aria era fredda e pungente. All’orizzonte si stagliava la barriera frastagliata e ammantata di ghiacci eterni dei Monti Vjelen.
Uno stretto sentiero, un camminamento appena visibile nella vegetazione che copriva la pianura, si snodava seguendo le naturali ondulazioni del terreno verso la catena montuosa.
Aldric ne seguì il percorso con lo sguardo schermandosi con la mano dai raggi del sole calante. “È quello che porta al Passo degli Eserciti Perduti,” disse con sicurezza. “Proseguiremo un’altra ora e poi ci accamperemo.”
Wieland annuì senza fare commenti. Dopo l’ultima esperienza, non aveva intenzione di contraddire Aldric un’altra volta.
Ripresero la marcia. Per quanto fredda, l’aria era tersa e limpida. Paragonata all’atmosfera venefica del Cadwald, quella brezza ghiacciata risultava quasi piacevole.
Dopo un po’ che procedevano, Wieland si voltò verso Aldric, che portava evidenti segni dei combattimenti contro le creature del Cadwald. “Stasera cureremo quelle ferite,” gli disse con un tono che voleva essere severo.
L’altro sorrise. “Basterà lavarle con un po’ di neve.”
Con la neve?” ripeté stupito il principe. Sapeva combattere, aveva avuto i migliori maestri di scherma dell’Elbeinn, aveva sempre partecipato con entusiasmo ai tornei, ma quando si faceva male in duello c’era immancabilmente un abile guaritore con erbe e unguenti, pronto a pulire la ferita, a cospargerla di pomate medicamentose e fasciarla con candidi lini.
Aldric sorrise. “Tu non sei mai stato in guerra, vero?”
L’altro chinò la testa vagamente confuso. “No,” ammise.
Beh, scoprirai che le ferite superficiali si lavano molto bene con la neve,” rispose Aldric, poi adocchiò un avvallamento del terreno e aggiunse: “per stasera ci accampiamo qui.”
Wieland smontò da cavallo senza aggiungere altro. Non era mai stato in guerra, non era mai uscito dai confini del Konorian e poteva dirsi fortunato che suo padre l’avesse obbligato ad accettare di essere accompagnato dal capitano delle guardie, altrimenti sarebbe stato già morto.
Cercò di distogliere la mente dalle proprie mancanze rivolgendo il pensiero a Lady Amilda. Rimpianse di non essersi portato il piccolo ritratto della fanciulla che un miniatore gli aveva realizzato all’interno di una conchiglia. L’aveva nascosto per non essere più obbligato a vedere il volto di lei, ma ora che stava andando a riprenderla l’avrebbe contemplato volentieri.
Frattanto Aldric aveva acceso il fuoco e messo finalmente a cuocere un pasto, poi si era sfilato la cotta di maglia con un grugnito di soddisfazione.
Wieland aveva notato che poi si era girato bruscamente e si era tolto dal collo qualcosa che lui non aveva fatto in tempo a vedere, quindi si era diretto alla più vicina chiazza di neve, scegliendo una zona dove essa era ancora relativamente pulita.
Incurante del freddo, si era frizionato con quella, insistendo con particolare attenzione sulle ferite. Poi era tornato indietro scuotendosi come un cane, giusto in tempo per ritirare dal fuoco quello che aveva cucinato.

Aldric rimescolò con cura il contenuto della pentola, poi disse: “Wieland, vieni a mangiare qualcosa.”
Il principe si riscosse, si alzò e andò a sedersi accanto al capitano, che nel frattempo aveva preparato due piatti colmi di una pietanza che somigliava a uno stufato e aveva un buon odore.
Affamati ed esausti, per un po’ mangiarono in silenzio. Nel frattempo era calata la notte e il cielo era come un velluto nero tempestato di gemme. Il fuoco crepitava allegramente riscaldandoli ed illuminandoli.
Gli occhi d’oro antico di Wieland sembravano brillare di una loro luce interna di pietra preziosa, mentre quelli azzurri di Aldric erano diventati chiari e trasparenti come fonti d’acqua tersa.
Sapessi quanto desidero rivederla,” sospirò il principe dopo un lungo silenzio.
Lady Amilda?”
Il mio fiore delicato, sì. È la più soave fanciulla del mondo. Io non chiedo altro che di riaverla tra le mie braccia,” sospirò Wieland. Poi si voltò verso Aldric e gli chiese: “E tu hai una ragazza che ti aspetta a Theoburg?”
Io? No di certo.”
L’altro parve stupito. “No? E perché mai?”
I miei compiti non mi lascerebbero il tempo di occuparmi di una donna.”
Tuo padre l’ha avuta una moglie, altrimenti tu non saresti qui,” obiettò il principe, “e comunque l’amore di una fanciulla è la cosa più bella che un uomo possa desiderare.”
Aldric si voltò lentamente fino a fissarlo in viso, poi con voce stranamente dura rispose: “Non sono d’accordo.” Prima che il principe potesse replicare si alzò dicendo che doveva andare a controllare i cavalli. Scomparve nel buio.
Tornò quasi subito. Buttò una bracciata di legna sul fuoco, stese a terra le coperte e cominciò a sistemare alcune cose per il giorno dopo.
Ora devi dormire però,” gli disse Wieland dopo averlo osservato per un po’, ricordando che la notte prima non aveva chiuso occhio.
Aldric parve ponderare la cosa. Probabilmente capiva di avere bisogno di sonno ma al tempo stesso non si fidava totalmente delle capacità del principe. “Sì, devo dormire,” ammise infine, adagiandosi pesantemente sulla coperta. In effetti si sentiva esausto. Nonostante le rassicurazioni che aveva fornito a Wieland, le ferite gli facevano male e tutto il suo corpo invocava a gran voce un po’ di riposo. Si tirò addosso il mantello e immediatamente si addormentò.
Il principe rimase a fissarlo per un po’, poi allungò timidamente una mano e gli sistemò meglio il mantello. Era come lo ricordava: forte e generoso. Ancora una volta ringraziò suo padre, che gli aveva affiancato un così valido compagno di viaggio.

Il cammino per raggiungere le pendici dei Monti Vjelen durò cinque giorni, durante i quali non successe sostanzialmente nulla di insolito. L’aria si fece più fredda, il terreno divenne più accidentato, ma a parte questo non ci furono accadimenti degni di nota.
Il sesto giorno cominciarono a salire. Per non affaticare inutilmente i cavalli lungo i ripidi sentieri di montagna, i due procedevano a piedi conducendo gli animali per le redini.
Giunsero così ad una zona leggermente più pianeggiante, ammantata di nevi perenni. Il sentiero era sparito, coperto dalla candida coltre, ma si vedeva bene in lontananza il Passo di War-Lye, anche detto degli Eserciti Perduti: era una fenditura verticale che sembrava l’effetto di un gigantesco colpo d’ascia vibrato direttamente sulla cresta della montagna.
I due rimontarono in sella e avanzarono con cautela, ma ben decisi ad attraversare il Passo più rapidamente possibile. Quella che da lungi sembrava solo una nuda spaccatura, infatti, era in realtà un concatenarsi di sentieri tortuosi e complicati. In pieno giorno, con la luce e senza nebbia era facile seguire quello dritto, che portava dall’altra parte della cresta, ma in condizioni di scarsa visibilità c’era il rischio di imboccare un sentiero sbagliato e di finire inesorabilmente persi in gelidi labirinti di ghiaccio o giù per spaventosi precipizi.
Interi eserciti, narrava la leggenda, erano stati inghiottiti dai misteriosi cunicoli ed erano scomparsi senza lasciare tracce, anche se c’era chi sosteneva che guardando le ripide pareti di ghiaccio nelle notti di luna piena fosse facile riconoscere le fisionomie dei guerrieri che vi erano imprigionati.
Dobbiamo stare attenti,” disse Aldric, “qui è facile perdersi.” Le sue parole echeggiarono nel silenzio rimbalzando sui possenti contrafforti di roccia, poi il vento sibilò scompigliando le criniere dei cavalli.
Dall’interno della ripida gola il cielo appariva come una lontana striscia di azzurro.
Dicono che ci siano gli spiriti,” replicò Wieland guardandosi intorno.
Nella mia vita di soldato ho imparato che spesso un colpo di spada è una minaccia ben più pericolosa di uno spirito,” rispose Aldric con freddo pragmatismo. Non voleva preoccupare inutilmente il principe, ma sapeva che spesso suoni misteriosi o strane visioni contribuivano a far perdere l’orientamento a chi tentava di attraversare il War-Lye.
Non perdere mai di vista la mia schiena,” disse, quindi spronò il cavallo e procedette verso il passo.

Man mano che avanzavano il sentiero sembrava disperdersi in decine di altri percorsi, separati dal primo tramite sottili sepimentazioni di ghiaccio, semitrasparenti e alte più di un uomo a cavallo. In parecchi punti la via principale sembrava più stretta e dimessa di tante altre che invece da essa si dipartivano per andare poi a perdersi chissà dove nei recessi della montagna.
Mentre stavano ponderando l’ennesimo bivio si alzò la nebbia.
Successe in un attimo, i fenomeni meteorologici in montagna sono notoriamente rapidissimi, e colse i due giovani esattamente a metà del passo.
Aldric si fermò immediatamente valutando il da farsi. Tornare indietro non era pensabile, si sarebbero inesorabilmente persi andando incontro a morte certa. Del resto neppure stare fermi aspettando che la nebbia si diradasse era consigliabile. Sarebbe potuta durare giorni e non sarebbero riusciti a rimanere fermi così a lungo in mezzo a quelle pareti di ghiaccio.
L’unica possibilità era andare avanti, cercando di ricordare qual era la direzione che avevano preso all’inizio.
Il capitano delle guardie cominciò a muoversi lentamente dopo aver ripetuto a Wieland di non perderlo mai di vista. I setti di ghiaccio azzurrino emergevano dalla nebbia nitidi e lisci come lame di coltello. Il vento non entrava nella gola di War-Lye, o se lo faceva finiva comunque per disperdersi a sua volta nel dedalo di corridoi, producendo misteriosi lamenti, che contribuivano a creare una sgradevole sensazione di incertezza.

Stavano avanzando così da un po’ di tempo, quando Wieland fu certo di aver udito il pianto di Lady Amilda. Era lei, era inconfondibile. Nessun’altra voce sarebbe mai potuta essere così aggraziata e melodiosa anche nel dolore. Tirò le redini e attese, il pianto si ripeté. Si girò nella direzione dalla quale gli pareva che provenisse e trattenne a fatica un’esclamazione di stupore: c’era una figura vestita di bianco accoccolata contro una roccia!
Amilda!” chiamò felice, e senza pensarci due volte si mosse in quella direzione.
Solo quando fu a pochi metri da quella che credeva una fanciulla si accorse che si trattava in realtà di un blocco di ghiaccio, che la nebbia aveva reso indistinto al punto da farlo sembrare una forma umana. Il vento aveva fatto il resto creando l’illusione del pianto.
A questo punto si voltò in preda ad un’improvvisa preoccupazione e si accorse che non riusciva più a distinguere il sentiero da cui era arrivato.
Lo colse una sensazione di sgomento: se fosse perito in quell’orribile luogo non sarebbe mai riuscito a giungere al Palazzo dell’Eterno Dolore, e quindi non avrebbe potuto portare a compimento la sua missione.
Dopo un tempo che gli parve infinito, udì nel silenzio spettrale un lontano scalpiccio di zoccoli. “Aldric!” chiamò con quanto fiato aveva in gola “Aldric, sono qui!” L’invocazione turbò la quiete secolare del luogo generando migliaia di echi bizzarri.
Si impose di rimanere fermo. Se Aldric lo stava cercando, muoversi per andargli incontro avrebbe solo peggiorato le cose. Lo chiamò di nuovo, sconvolgendo ancora una volta il silenzio con le sue invocazioni.
Finalmente il capitano delle guardie emerse dalla nebbia dirigendosi verso di lui. Era a piedi e teneva in mano il capo di una corda. “L’ho legata alla sella del cavallo,” spiegò brevemente, “basterà seguirla e torneremo sul sentiero giusto.”
Il principe annuì sollevato, sebbene una parte di lui si stesse augurando che gli spiriti non avessero nel frattempo slacciato la corda dalla sella, o indotto il destriero di Aldric a spostarsi da dove lui l’aveva lasciato.
Fortunatamente non accadde nessuna delle due cose, forse per quel giorno gli spiriti si erano già divertiti a sufficienza, quindi i due riuscirono a ritrovare il sentiero e pur con grande fatica attraversarono il Passo degli Eserciti Perduti.

Quando giunsero ad affacciarsi sull’altro versante dei Monti Vjelen si avvidero che era ormai pomeriggio inoltrato. Probabilmente il valico aveva richiesto più tempo di quanto Aldric avesse previsto, fatto sta che il sole si stava già avviando alla discesa verso la linea dell’orizzonte.
Notarono inoltre che da quella parte della catena montuosa era molto più freddo. Il cielo era terso come un cristallo, ma soffiava un vento gelido e impetuoso, che aveva coperto ogni superficie di un argenteo velo di brina. I cavalli si muovevano incerti, scivolando sul sentiero ghiacciato.
Aldric e Wieland smontarono e procedettero a piedi conducendo gli animali per le redini. Il capitano delle guardie appariva piuttosto serio: non avrebbero avuto ancora molte ore di luce, ed era vitale trovare un punto riparato per accamparsi, oppure loro e i cavalli sarebbero morti di freddo durante la notte.
Il fiato di uomini e bestie si condensava in dense nuvole di vapore e la brina stava cominciando a formarsi anche sul pelame dei destrieri.

Dopo circa un’ora di marcia arrivarono ad una larga spianata di forma vagamente rotondeggiante, circondata da alti bastioni di roccia. C’erano buchi nelle pareti circostanti, cosa che faceva pensare alla presenza di grotte, ma la bianca superficie era inviolata, la qual cosa suggeriva che le stesse fossero completamente disabitate.
Aldric ponderò attentamente la situazione: si sarebbero potute usare come rifugio per la notte?
Avanzò cautamente attraversando lo spiazzo innevato e raggiunse la più grande delle aperture, che immetteva in una grotta larga abbastanza da contenere sia loro che gli animali. All’interno non arrivava il vento e senza dubbio un fuoco l’avrebbe resa decisamente più confortevole di una notte trascorsa all’aria aperta. Tornò indietro per chiamare Wieland, ma quando fu a metà dello spiazzo udì uno schiocco e una sorta di scricchiolio. Immediatamente si immobilizzò: un lago ghiacciato! Ecco il perché di quella superficie perfettamente piana.
A questo punto si accorse con orrore che Wieland aveva cominciato a correre verso di lui.
Fermo!” urlò, “Fermo dove sei, non ti muovere!”
Ma era troppo tardi: la superficie ghiacciata fu attraversata da un fremito e si spaccò con lunghi scricchiolii. Seguirono schiocchi e tonfi, quindi una sorta di scossa tellurica, che minacciò di far perdere l’equilibrio ai due.
Aldric fissò angosciato il principe, che in quel momento si trovava esattamente al centro del lago. “Sdraiati per terra!” gridò, “non restare in piedi!”
Nel momento stesso in cui l’altro si piegava in avanti per fare ciò che gli era stato detto, una grande lastra di ghiaccio si sollevò proprio sotto i suoi piedi, facendolo finire nell’acqua gelida.
Wieland!” gridò Aldric angosciato. Lo vide annaspare appesantito da armatura e abiti di pelliccia. La morsa del gelo gli avrebbe in breve impedito di respirare, senza contare che se le lastre di ghiaccio si fossero richiuse su di lui sarebbe stato impossibile tirarlo fuori.
Non c’era un attimo da perdere: il capitano si tolse il mantello e si avvicinò strisciando sul ventre fino a raggiungere il principe, che stava tentando invano di aggrapparsi al bordo di un lastrone con le mani intorpidite dal gelo. Lo afferrò per la collottola e lo tirò verso di sé, ma non riusciva ad esercitare la forza che sarebbe stata necessaria. Il principe rischiava anzi agitandosi di trascinare sotto anche lui.
Sta fermo, Wieland, lasciami fare!” ansimò Aldric senza abbandonare la presa, ma l’altro spaventato persisteva nei suoi sforzi e sembrava non udire neppure la voce del capitano.
Le lastre si agitavano e schioccavano scontrandosi fra di loro con tremenda forza. Più Wieland si dimenava, più aumentava il moto dell’acqua, che subito si trasmetteva al ghiaccio rendendolo un pericolo mortale.
Infine Aldric si decise. “Perdonami, Wieland, non ho alternative,” disse, e subito dopo lo colpì con un pugno alla mascella.
Il giovane perse immediatamente i sensi. L’altro a questo punto fece appello a tutte le proprie forze e lo estrasse, a peso morto e grondante d’acqua, dal lago gelido. Si abbandonò poi ansimante nella neve, troppo esausto per fare qualsiasi cosa, con i muscoli doloranti e la vista annebbiata per lo sforzo.
Non si concesse che un attimo: Wieland non aveva certo smesso di essere in pericolo di vita. Anzi, ora più che mai rischiava di morire assiderato.
Lo trascinò nella grotta, poi andò a prendere i cavalli, che dovette giocoforza condurre lungo il bordo del lago per evitare che anch’essi finissero nell’acqua. Quando li ebbe portati dentro preparò le coperte e le mise da una parte, poi tolse rapidamente i vestiti fradici a Wieland.
Il giovane principe era inerte, pallido e freddo come il ghiaccio. Non reagì neppure quando Aldric lo frizionò vigorosamente con un panno ruvido per riattivargli la circolazione. Il capitano lo fissò preoccupato: Wieland avrebbe dovuto perlomeno dare qualche segno di ripresa, il suo pugno non poteva averlo stordito più di tanto.
Con mosse febbrili accese un fuoco, e quando esso prese ad avvampare crepitando, sistemò lì vicino una coperta e vi distese il giovane, mettendogli addosso ogni altro indumento caldo di cui disponeva, compresa la propria coperta e il proprio mantello di pelliccia.
Il principe respirava appena, aveva le labbra livide e un’inquietante alone bluastro gli si stava formando intorno agli occhi. Aldric conosceva quei sintomi: assideramento. Wieland aveva bisogno di caldo o sarebbe morto entro poche ore. Già, ma come procurare del caldo in un mondo fatto di ghiaccio?
Aldric l’aveva già visto fare. I popoli del nord avevano quell’usanza, quando qualcuno rischiava di morire di freddo. Si tolse tutti i vestiti, non meno fradici di quelli del principe, e si infilò sotto le coperte a sua volta, facendo aderire il proprio corpo a quello di lui.
Wieland era gelido, come fosse fatto di ghiaccio a sua volta. Aldric se lo tirò addosso e lo strinse a sé, sperando che il proprio calore fosse sufficiente a salvarlo.

   
 
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