Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: Francine    01/07/2016    3 recensioni
«È uno scherzo?», vi domandate. Fissandovi negli occhi e specchiandovi nella stessa espressione sconcertata che vi allarga lo sguardo.
«No», dite. In stereofonia. E scoppiate a ridere, senza un motivo né un perché. Stringendovi la mano e cercando l’uno nello sguardo dell’altro quella luce, quella paura, quella speranza. Quel riconoscersi simili, eppur diversi. Annusandovi l’anima nella brezza serale per indorare una pillola che fa schifo, nonostante tutte le belle parole ed i buoni sentimenti. A darsi un po’ di coraggio – o di speranza – ché sì, tu hai i tuoi compagni come lui avrà i suoi. Ma a volte chi ti capisce davvero è lo sconosciuto che il destino ti fa incontrare per caso, passeggiando una sera, sul bagnasciuga deserto. Qualcuno che, in un’altra vita, in un altro momento, avresti potuto chiamare fratello. Qualcuno come te. Ad una vocale di distanza.

[Cross-over Saint Seiya/ Yoroiden Samurai Troopers]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga, Dragon Shiryu, Pegasus Seiya, Phoenix Ikki
Note: Cross-over, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




Il tempo è freccia e arco




È l’Arciere che guarda il bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane.
(Khalil Gibran, I vostri figli, Il profeta, 1923)



 



Ci sono giorni in cui il vento ti parla.
Ti scompiglia i capelli accarezzandoti le tempie e il collo e sussurrando alle fronde degli alberi e agli steli d’erba una canzone talmente bella che è impossibile non unirsi alla sua voce ed accennarla, seppure a colpi di du-dum du-dum, come fa tuo padre sotto la doccia.
La voce del vento deve assomigliare a quella delle sirene, non c’è dubbio. E tu capisci, in parte, perché i marinai scegliessero di seguirla, anche a rischio di schiantarsi contro gli scogli. La libertà è un bel miraggio, per chi non riesce a staccare i piedi da terra che per pochi minuti, giusto il tempo di un saltello e via. Ma chi vola? Quanto pesa starsene a terra, per chi sa cosa significhi essere avvolti dall’aria, sentire il tempo fermarsi e vedere le case e le persone diventare sempre più lontane e piccine, mano a mano che ci si allontana?
A volte ti sembra di illanguidire, senza un vero e proprio motivo razionale.
Ti sembra che quella cupola azzurra, sopra la tua testa, sia una specie di mare capovolto, per dirla con Shin, in cui tuffarti e lasciarti galleggiare.
Non è poi molto lontana, in fondo. Non per te. Ti basta richiamare il tuo potere e lasciarti sollevare dall’aria, come fossi uno dei tanti palloncini che sgusciano via, dispettosi, dalle mani dei bambini. E che continuano il loro viaggio fatto di dolci dondolii, sordi alle urla e ai pianti e alle grida dei bambini, rimasti a terra. E al palloncino dispiace, e molto, ma il bambino non sa volare. E lui non può insegnarglielo. E anche se al palloncino piaceva starsene legato al suo polso, il richiamo del cielo è qualcosa cui non si può resistere. Qualcosa di troppo forte da spezzare, ché l’aria come la tagli? Puoi fenderla, questo sì. Ma è un’illusione di breve durata, ché l’aria non ha un corpo, una solidità.
L’aria è. Attorno a te, dentro di te, lontano da te. Un mare impalpabile in cui galleggiare, a patto di essere uccelli, palloncini o aquiloni.

Ci sono sere in cui il richiamo del vento diventa doloroso. E allora ti eclissi. Una coperta nello zaino, un telescopio portatile, dei sandwich, un thermos di caffè e via, a cercare di inseguire il respiro del vento e le rivoluzioni degli astri, spettatore solitario di un balletto la cui eco ti raggiunge attraversando lo spazio ed il tempo.
Jun ti ha detto che il cielo stellato gli dà le vertigini, e un po’ lo capisci. Le stelle pulsano di una luce ricca di possibilità. E a volte, ti viene il sospetto che se tu riuscissi anche solo a sfiorare la scia di una stella cadente, potresti cogliere tutti quei desideri che ti riempiono il cuore. E a volte ti sei sorpreso a crederci, le mani in aria e la pelle che friggeva come burro in una padella calda.
Stasera il vento soffia con più insistenza del solito. Hai percepito la sua voce già dal primo pomeriggio, nelle fronde verdissime degli alberi che sembravano chiamare proprio te, come fanno i bambini che tirano i sassolini contro le finestre degli amichetti.
Vieni?, ti sta dicendo anche adesso, mentre filtra dai finestrini del vagone della metropolitana. E tu gli dici che sì, stai arrivando, il tempo necessario e sarai fuori città. Avresti potuto usare il tuo potere, e raggiungere le colline in un battito di ciglia, il respiro del vento sulla pelle e un senso di libertà a ruggirti nel cuore.
Ma qualcosa, dentro di te, ti ha suggerito di far aspettare il vento, come fosse un’amante lasciata cuocere a fuoco lento, ché certe battaglie si vincono sulla distanza e non sbaragliando il nemico in un unico assalto. Dice il saggio, ridacchi tra te e te, un erto e vetusto librone di astronomia dalle pagine ingiallite a separarti dal resto dei passeggeri.
Quando le porte si aprono e la fiumana umana svuota il vagone, noti qualcuno seduto di fronte a te, un braccio abbandonato sul sostegno laterale, i piedi che si toccano per i talloni, i jeans sfrangiati e l’aria assente, persa dietro fatti suoi. Un ragazzo che assomiglia ad un gatto randagio.

Lo stesso callo. Sul polpastrello del dito medio.
Il cervello non lavora in maniera razionale. Non sempre, almeno. Fissa dei particolari, come fossero un’istantanea, e poi te li ripropone. Senza alcun collegamento logico. Come quando ti cade di mano una scatola piena di fotografie che si sparpagliano a pioggia sul pavimento, mischiandosi, le une alle altre, in un mosaico di tessere vicine, ma distanti, nello spazio e nel tempo. Fotogrammi inconcludenti che scorrono, davanti ai nostri occhi, mentre il cervello, sornione, ride sotto i baffi.
E se un altro avrebbe derubricato quel cortocircuito mentale ad uno scherzo del caldo o dell’affaticamento, tu invece sai che quello è il modo che il tuo cervello ha scelto per comunicarti qualcosa.
Il contenuto del messaggio è ancora nebuloso. Ma se lui ti avesse parlato a chiare lettere, tu forse non l’avresti ascoltato, preso come sei ad inseguire il respiro del vento. Così, invece, il tuo cervello sta attirando la tua attenzione focalizzandosi su quel callo che decora il dito medio del ragazzo seduto di fronte a te.
L’osservi di sottecchi, lo sguardo dietro il pesante librone di astronomia aperto per inganno. Sì, è un callo d’arciere, quello. Ne ha una costellazione intera sull’indice, medio e anulare. Peccato che il modo in cui quel ragazzo molleggia le caviglie non trasmetta affatto l’idea di qualcuno posato ed equilibrato e paziente, ché per scoccare la freccia non devi avere fretta di centrare il bersaglio, ma saper attendere l’attimo in cui poter lasciar andare le dita e il cuore assieme alle piumette. Ché il tiro con l’arco è tutta questione di respiro, di sentire la corda quasi tagliare il pollice che la trattiene.
Eppure, qualcosa ti sussurra che anche quel ragazzo ha un arco, nel suo destino. Un arco e delle ali, pensi, seguendo il suggerimento del vento. Caldo e afoso, come un sudario bagnato che avviluppa cuori e coscienze. E che scende a terra con un suono umido quando lui si volta e ricambia lo sguardo. E ti squadra, un sopracciglio alzato come a dire E adesso che vuole questo curioso?.
Taci. Vorresti spiegargli che è tutta colpa del vento; ma poi il ragazzo indica il libro con un cenno del mento.
«È al contrario», ti dice. E solo allora i tuoi occhi si abbassano.
«Ah»
E volti il libro, avendo cura di non perdere il segno e di non sparpagliare a terra fogli, foglietti e fogliettini che hai disseminato tra le pagine di quell’atlante.  Nemmeno te lo ricordi più perché li hai presi, però potrebbero tornarti utili, un giorno o l’altro.
«Stavo osservando le stelle», e il suo sguardo si illumina, come se una saetta l’avesse attraversato, illuminandone il castano scuro.
«Le stelle?», e in un gesto fluido lui è davanti a te, le mani in tasca, la fronte contro il sostegno e un sorriso da bambino sulle labbra.

L’astronomia è un passatempo che richiede pazienza e genera sospetto, ma una volta che hai osservato da vicino le stelle, non vedi l’ora di tornare a dare una sbirciatina. Forse vale lo stesso per questo ragazzo?
«Sì, vedi? Drago, Cefeo…»
«…Cigno, Lira, Aquila, Freccia, Cassiopea, Perseo, Andromeda, Orsa Minore e Maggiore, Altare, Lupo, Idra, Leone Minore…» Le sue dita sfiorano a velocità sorprendente la mappa, senza esitazione, mentre con l’altra mano se ne resta appeso al sostegno, come un orango in jeans e maglietta. «Oh, guarda. C’è anche la Civetta. È un libro vecchio, eh?»
Sgrani gli occhi. «La civetta?» Realizzi che t’è scappata quando vedi le sue labbra arricciarsi all’insù.
«Conosco le stelle», risponde. Come se stesse parlando di qualcuno in carne e ossa, e non di ammassi di gas in fiamme, lontani anni e anni luce nello spazio. «Seiya.»
Stella e Freccia?, ti chiedi.
«Touma», rispondi. Stringendo le sue dita e percependo sotto la pelle gli stessi inspessimenti che regala la corda dell’arco. Vi fissate. E qualcosa entra in risonanza colla sfera della Saggezza, nemmeno fosse un arpa eolica che tintinna al soffio della brezza.
Chi sei tu?, vorresti chiedergli. Ma lui si è già sciolto dalla stretta e fissa le porte del vagone. «Scendo alla prossima. Piacere di averti incontrato», ti dice.
E vorresti dirgli: «Aspetta!», e proseguire quella conversazione ancora un altro po’. Un paio di minuti appena. Ma il tempo è una freccia scoccata. E allora gli chiedi: «Qual è la tua costellazione preferita?», racimolando ancora qualche istante, ché per certi incontri basta appena un battito di ciglia.
«Pegaso. Buona serata», e Seiya esce da questa storia e dalla tua vita in un paio di saltelli, le mani in tasca ed un sorriso sincero.
Le ali. Eccole!, ti dici, osservando l’ombra che il sole proietta sulla banchina. Ali lunghe e maestose che si estendono oltre la schiena di Seiya e arrivano a lambire il terreno. Ali come quelle sono in grado di portarti ovunque, pensi, mentre il treno riprende la sua corsa nella sera che avanza. E chissà che un giorno non vi possiate incontrarvi ancora, magari inseguendo la stessa nuvola. Nelle strade ci si perde, in cielo e in mare, no, ti sussurra il vento, accarezzandoti gentile i capelli.
 
 




 



Saint Seiya © Masami Kurumada, Shueisha, Toei Animation, 1986
Yoroiden Samurai Troopers © Sunrise, Nagoya TV,Tokyu Agency, 1988.
Grafica ® Francine.





Note:
I due arcieri a confronto. Tanto saggio uno, quanto gonzo impulsivo l'altro.
Me la sono giocata sulla passione di Touma per l'astronomia (e chi, meglio di un Santo di Athena, conosce davvero le stelle?) e sul loro legame attraverso l'arco.

Il tempo è freccia e arco e Nelle strade ci si perde, in cielo e in mare, no sono citazioni dalla canzone Naso di Falco di Claudio Baglioni, contenuta nell'album Oltre, (1990).
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: Francine