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Autore: HuGmyShadoW    18/04/2009    3 recensioni
Camilla è una ragazza assolutamente normale: normali capelli castani, normali occhi marroni, normale famiglia, vita normale... ma con una grande e talentuosa passione per le fan fiction, che le farà realizzare il suo più grande sogno per mezzo di un fortuito concorso: incontrare i Tokio Hotel! Ovviamente, al "fatidico giorno", nonostante l'emozione, Bill con lei si dimostrerà smagliante, Georg sempre in vena di battute, Gustav gentile come al solito, e Tom... be', Tom forse non sarà come Milla se l'era immaginato... Perchè in fondo, niente è mai ciò che sembra...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*19*





- Andiamo? - mormorò una voce.

Aprii gli occhi. Axel mi stava fissando; non una traccia di un sorriso, un luccichio scherzoso negli occhi vuoti.

Era serio. Rassegnatamente serio.

Sospirai e abbassai il vis0,o percorso da scie di lacrime quasi secche che mi ustionavano il viso. Un'altra, forse non l'ultima, mi rotolò giù per la guancia e io la leccai via. Era amara.

- Andiamo -, confermai, afona.

Il giro era finito.



Quando scesi da quella dannata ruota panoramica mi sentii stranamente leggera, come se ciò che era successo là sopra, dentro l'anonimo vagoncino rosso, non fosse mai sceso con me, diventando unicamente il ricordo di un sogno. Stavo per sentirmi sollevata e quasi serena quando Axel apparve al mio fianco, aiutandomi meccanicamente a fendere la folla per farmi largo.

Rabbrividii quando mi prese la mano e mi divincolai aumentando il ritmo del passo. Mi sentii un mostro ma non potevo comportarmi diversamente o gli avei fornito solo altre inutili illusioni.

Nella confusione stordente che permeava il luna park mi stupii di poter percepire il sospiro triste del ragazzo. Probabilmente perché il suo viso era in linea col mio. O, più probabilmente, perché lo era il suo cuore...

Il tragitto fino all'auto di Axel fu relativamente silenzioso e imbarazzante: io mi sentivo sfinita come se avessi corso i mille metri, eppure cercavo lo stesso di iniziare un discorso per far tornare tutto come prima almeno all'apparenza; Axel, invece, sembrava completamente perso dietro i propri pensieri, e una volta raggiunto il veicolo per poco non partì lasciandomi a terra.

Il viaggio fu lungo e pesante, l'aria intrisa di un irrespirabile senso di colpa che mi soffocava. Mi girava la testa, affollata da pensieri troppo ingarbugliati perché riuscissi a districarli uno alla volta e analizzarli per bene. Frammenti di conversazioni, brandelli d'immagini mi passavano davanti agli occhi in un alone indistinto facendomi sentire come in un frullatore gigante.

Come diapositive, me lo vedevo proiettati contro le palpebre chiuse: io e Axel, bambini, sotto la pioggia primaverile, a fare un pupazzo di neve a Natale, a schizzarci d'acqua salata durante le vacanze estive, a raccogliere le foglie ingiallite tornando da scuola. Sempre insieme, sempre felici. Sempre noi.

Aprii gli occhi e sbirciai il profilo indurito del ragazzo alla guida, proprio accanto a me eppure così lontano. Che ci era successo?, pensai con il cuore gonfio di tristezza. Quando ci eravamo smarriti?



L'apparizione in fondo alla strada di casa mia fu una sorsata di refrigerante acqua fresca. Ancora un minuto e mi sarei messa ad urlare. La vista dell'espressione così inumanamente distaccata di Axel mi feriva come se fossi stata io ad essere rifiutata, e non viceversa.

Prima di scendere asciugai le lacrime ormai secche dalle mie guance, mi guardai nello specchietto nell'inutile tentativo di modellarmi sul viso un'espressione che non fosse troppo disperata e lisciai in scatti nervosi, automatici, le pieghe dei miei jeans.

Non si poteva dire che stessi bene, anzi, ma nel remoto caso in cui i miei fossero a casa dovevo prepararmi a recitare la parte della “figlia felice et spensierata appena di ritorno da una gita strepitosa al luna park col suo amichetto”. Almeno una parte del mio alibi era vera.

Perciò, mi stampai in faccia il mio più convincente sorriso plastificato e con riluttanza mi voltai verso la macchina.

- Vieni? -, chiesi con un filo di voce. Provai a schiarirmela, con il solo risultato di aumentare il nodo che mi ostruiva la gola e mi spingeva le lacrime agli occhi. Con uno sforzo enorme lo mandai giù, e potei sentirlo raggomitolarsi in fondo alla trachea, pronto a risalire. Cercai di non pensarci.

Axel mi fissò con sguardo torvo qualche secondo prima di distoglierlo e puntarlo all'orizzonte, tamburellando nervosamente con i pollici sul volante.

- Non so se sia il caso -, rispose infine in un mugugno.

Deglutii, il sorriso che cominciava a perdere di consistenza.

-Insisto!-, esclamai con finta esuberanza aprendogli la portiera e tirandolo per un braccio, senza però scatenargli alcuna reazione.

- Milla...

M'impietrii. Lasciai andare il suo braccio che andò a posarsi mollemente sulla sua gamba fasciata di jeans e indietreggiai.

- Davvero... non è il caso -, ripeté. E stavolta capii quello che realmente intendeva dire.

- D'accordo... -, biascicai abbassando il capo. Il nodo alla gola era tornato e stavolta mi era impossibile mandarlo giù. - Ci vediamo presto, eh? -, salutai dirigendomi verso casa, rigida. Rimasi sorpresa del tono stridulo che mi uscì. Nuovamente, mi schiarii la voce.

Il ragazzo sembrò osservare con interesse, per qualche istante, una piccola macchia nera accanto alla sua scarpa da ginnastica, sul marciapiede; poi, quasi riprendendosi da una riflessione particolarmente intensa alzò gli occhi foschi su di me.

Con un sussulto notai che erano dello stesso colore del cielo: grigi, spenti, bui.

- Va bene - disse soltanto prima di voltarsi a chiudere la portiera e partire in direzione opposta rispetto quella da cui eravamo arrivati. Non un ultimo sguardo né un movimento che tradissero il desiderio di vedermi ancora. Non un rapido lampo degli occhi verso di me, un sorriso tirato, che per quanto potesse essere finto e costretto mi avrebbe risollevato almeno un po'.

No, niente di tutto questo. Solo una mortale indifferenza che continuava a struggermi l'anima.

Dopo pochi secondi la sua utilitaria blu era sparita dalla mia visuale, ma io non riuscivo a muovermi, paralizzata in piedi accanto alla strada, a cercare ancora con lo sguardo un altro tipo di blu diverso da quello palesemente finto della carrozzeria, meno lucido, più vivo, che non sapevo se avrei mai più rivisto. A quel pensiero un colpo al cuore, tagliente e gelido come una coltellata mi costrinse a piegarmi per non essere sopraffatta dal dolore. Tutto diventò sfocato e umido.



Finalmente, in uno sporadico sprazzo di lucidità mi resi conto che i miei sarebbero potuti tornare da un momento all'altro. Il sole era quasi tramontato. Da quanto ero lì? Minuti, ore?

Scossi la testa, spazzai via altre lacrime che il vento stava asciugando per me e con la schiena, il cuore e la gamba sana a pezzi entrai in casa.

Mi chiuderò nella mia stanza, non mi importa se verranno a cercarmi, voglio stare sola. Poi chiamerò Axel tutta la notte se necessario, se non vorrà rispondermi insisterò finché... o forse è meglio lasciarlo solo almeno per oggi?”, pensai tristemente riponendo con un tintinnio le chiavi al loro posto, sul comodino accanto alla porta. “No, devo parlargli. In fondo non è davvero colpa mia, cioè, è vero, io non volevo ferirlo ma è successo, deve farsene una ragione e perdonarmi... ma cosa c'è da perdonare, poi? È diventata una colpa adesso non ricambiare i sentimenti del tuo migliore amico? Non che mi risulti. La gamba mi fa male. Dovrà perdonarmi per forza. Lo chiamo. Devo sedermi. Ed è meglio che aspetti un po', non credo sia ancora arrivato a casa...”.

Stavo per dirigermi in camera mia, un po' saltellando un po' aggrappandomi al muro, quando qualcosa mi fece immobilizzare in mezzo al corridoio, come un cervo abbagliato dai fanali di un'auto.

Lentamente, mi voltai verso la cucina. Ero sicura di aver sentito un rumore.

Con attenzione, misurando ogni rumore, feci dietrofront e scivolai agilmente (per quanto la gamba ingessata me lo permettesse) lungo il muro.

C'era la luce accesa in cucina. Possibile che avessi dimenticato io di spegnerla, quella mattina? Ci pensai su velocemente, mangiandomi l'unghia del pollice per il nervoso.

No, ero sicura di aver premuto l'interruttore subito dopo aver scaraventato la tazza dei cereali nel lavandino, ne ero sicura. Chi poteva averla accesa? I miei? Non avevo visto la loro auto. Axel? Era andato via da tempo. Chi era stato?

Un ladro?

Al solo pensiero un brivido freddo mi corse giù per la schiena.

Che possibilità avevo contro un uomo adulto quasi sicuramente senza scrupoli, io, con la mia gamba di legno e una forza fisica pari a quella di uno scoiattolo in pensione?

Mi maledissi per aver fatto il mio solito chiasso entrando in casa perché di sicuro a quell'ora l'intruso aveva saputo della mia presenza e si era nascosto, come ogni buon film del terrore prevede.

A me nemmeno piacciono gli horror!” piagnucolai fra me e me muovendomi con circospezione verso il triangolo di luce disegnato a terra dalla lampadina penzolante del tavolo. In quella circostanza perfino le oscillazioni più che ordinarie della luce erano sinistre, spaventose, e la zona d'ombra di cui ad ogni movimento disegnava i contorni pareva nascondere chissà quali orrori.

Deglutii a vuoto e mi asciugai il sudore freddo che mi imperlava la fronte.

Che dovevo fare? Irrompere dentro urlando a più non posso? Forse l'avrei spaventato, magari avrei addirittura allertato i vicini, ma se, come era probabile, non avesse avuto paura di me? Che mi avrebbe fatto?

E allora che dovevo fare? Scappare? Da casa mia? E andare dove?

Dovevo chiamare la polizia? Avevo con me il cellulare? Mi tastai le tasche e gemetti sottovoce. Ovviamente no.

Che fare?

Che fare?

Prima che riuscissi a decidermi, involontariamente, appoggiai il peso sulla gamba ferita che, per la seconda volta quel giorno, cedette.

Caddi a terra molto più velocemente di quanto mi aspettassi, tanto che non ebbi nemmeno il tempo di urlare dal dolore.

E mentre un'ombra scura, richiamata dal rumore, si stagliava contro la luce tremolante della lampadina, abbagliandomi, non potei non pensare che stavolta non c'era stato nessuno a sorreggermi e a tranquillizzarmi coi suoi grandi, occhi azzurri.



*



-Non mi aspettare, non so quando torno, probabilmente tardi se non domani-, esclamai, talmente in fretta da mangiarmi metà della frase. Schiacciai per bene anche l'ultima t-shirt stropicciandola a regola d'arte e mi sedetti pesantemente sopra alla valigia per chiuderla. Dovetti ripetere per la bellezza di quattro volte la seguente operazione: aprire la valigia, spostare qualcosa di già messo bene e, di conseguenza, sistemarlo male, chiuderla, sedermici sopra, imprecare e riaprirla, ma alla fine ogni cosa era dentro e io ero pronto.

Mio fratello, con una tazza di caffè in mano e uno sguardo ancora troppo assonnato per essere solo vagamente lucido, guardava il mio frenetico affannarmi come se stesse assistendo a una sitcom. Non sembrava preoccupato, forse perché della mia frettolosa esclamazione aveva capito solo l'ultima parola.

-Domani? Che abbiamo domani?-, biascicò pensosamente appoggiandosi allo stipite della mia camera d'albergo.

Scossi la testa e sospirai. In fondo era un bene che mio fratello fosse ancora in stato comatoso, almeno non avrebbe cercato di fermarmi. Non subito.

Perlustrai la stanza con lo sguardo alla ricerca di qualcosa che mi fosse sfuggito, e infatti due secondi esatti dopo mi ricordai dello spazzolino da denti, al sicuro e ben sistemato in un bicchiere in bagno.

Mormorai qualche bestemmia fra i denti e mi precipitai a recuperarlo, stringendolo forte nella mano e scaraventandolo nella valigia il più bruscamente che potei, come se volessi incolparlo di non essere spuntato fuori prima. Il borsone, almeno stavolta, si chiuse subito.

Bill bevve un altro sorso di caffè strizzando gli occhi a causa del calore e solo allora parve rendersi conto che c'era qualcosa di strano, ossia che suo fratello, vestito di tutto punto alle sette e mezza di mattina, era intento a prepararsi per chissà quale viaggio che i Tokio Hotel non avevano in programma. Ed erano le sette e mezza di mattina. C'era decisamente qualcosa di strano.

-Dove stai andando?-, chiese, lo sguardo un po' più attento.

Alzai gli occhi al cielo. Bill si era svegliato dal suo coma giornaliero, e nel momento peggiore per giunta! Ero già abbastanza agitato per due, se si fosse messo in mezzo lui con i suoi urletti da primadonna isterica avrei potuto gettarmi dritto dalla finestra. O gettare lui.

Scossi la testa: i pensieri omicidi me li sarei fatti venire in mente più tardi, ora dovevo rimanere concentrato sul mio obiettivo, ossia andare a trovare Milla, parlare, chiarire un paio di cosette che mi stavano facendo diventare matto e tornarmene a casa. Niente di più semplice. Sì, certo. Chi stavo cercando di prendere in giro?

Rastrellare un po' in giro e scoprire le informazioni necessarie come il suo cognome e l'indirizzo di casa era stato facile, decidere di muovermi subito dopo una bella passeggiata rinfresca idea era stato facile, anche preparare la valigia, compito odioso che di solito delegavo a Bill, era stato facile; ma prendere quel dannato treno, suonare a quel maledetto campanello e ritrovarsi davanti il suo viso... oh, quello era tutt'altro che facile.

Eppure, come tutte le faccende più fastidiose, anche questa per quanto insolita andava sistemata prima o poi, e per la mia sanità mentale sarebbe stato meglio risolverla prima che poi.

-Senti...-, esordii in risposta con il tono di voce più rassicurante che mi riuscì di tirare fuori, ma... non riuscii più a continuare. Mi mancavano le parole, la voce e i pensieri. Anche la determinazione andava scemando di momento in momento.

Merda. Mi diedi dello stupido: lo sapevo che il trucco era non pensarci troppo, lo sapevo, e che stavo facendo? Ci pensavo! Dannato Bill e le sue domande...

Mi schiaffeggiai mentalmente, diedi un paio di pugni alla valigia per spianare qualche sporgenza e senza soffermarmi troppo su quello che stavo facendo me la presi sotto braccio e infilai la porta.

Quasi investii mio fratello, impegnato com'ero a non pensare a niente. Alzai lo sguardo su di lui per borbottare una scusa affrettata e invece mi sentii mormorare:

- Vado da lei.

Anche nel mio ovattato “non-pensare” riuscii ad avvertire una leggera sorpresa: non era da me dire una cosa del genere. A dire il vero, di quei tempi, c'era ben poco che mi ricordasse il caro, vecchio Tom... come se mi fossi trasformato in un'altra persona. A causa sua.

Ops! Non dovevo pensarci, giusto?

Barcollai in corridoio senza voltarmi indietro, sicuro che se avessi osato dare una sbirciata a Bill lui mi avrebbe sicuramente fermato. Allora era stata solo un'impressione l'averlo visto annuire appena quando gli ero passato davanti?

Sorrisi. Certo che no. Caro, comprensivo fratellino. Dopo diciotto anni mi trovai a benedire di aver lui come gemello. Certo, non era Mister Macho Man, si accaparrava sempre l'ultima fetta di pizza, non lasciava spazio agli altri nelle interviste e monopolizzava il bagno ogni santo giorno, però, mentre quasi perdevo l'equilibrio per il peso della valigia e quello delle mie decisioni, non potei desiderare fratello migliore. Sapevo che sarebbe stato sempre lì, accanto a me, unica costante della mia vita incasinata.

Solo ripetendomi che non sarebbe stato un comportamento da Tom e che il mio treno sarebbe partito senza di me se non mi fossi affrettato riuscii a trattenermi dal tornare indietro e abbracciare quell'adorabile checca isterica tanto forte da toglierci il respiro a vicenda. Fu molto difficile controllarmi, quella volta.

Prima di uscire, trafelato, afferrai il primo giaccone che trovai appeso all'attaccapanni, senza preoccuparmi di guardare se fuori era sereno o pioveva. Poi, per la seconda volta in quella giornata interminabile che era appena cominciata, imboccai la via del mio destino, baciato in viso da un sole splendente più che mai. 

*

Purtroppo non ho il tempo per ringraziarvi tutti, quindi contate che l'abbia fatto (GRAZIE!) e rimedierò la prossima volta! ^__^ 

Hope you liked it. Continuate a seguirmi, siamo prossimi a una svolta decisiva! *__*

Un abbraccio a tutti! <3

   
 
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