ChImErA.
Sua Signoria il Vescovo Herman Erkenwald non era il genere di persona a cui
piacessero gli imprevisti.
La tolleranza al riguardo non concedeva molte possibilità
di recupero e, ammesso e concesso che queste venissero elargite con mano
gentile, nulla poteva cancellare la disapprovazione che ne accartocciava il
viso rugoso.
La postazione riservatagli era un classico esempio di
quanto poco sopportasse la vicinanza con i ceti inferiori: il profumo di
essenze floreali spiccava nauseabondo nel piccolo riquadro di stoffa dentro cui
sedeva comodamente e nonostante fossero stati fatti dei precisi accorgimenti
sull’aspetto estetico in generale, la fatiscenza di quel posto faceva capolino
dagli angoli più insignificanti. Gli occhi chiari – un curioso oro pezzato da
pallide macchie lattiginose - avevano osservato cose e persone troppo a lungo
per tralasciare volontariamente particolarità divenute dettagli fondamentali
per i suoi giudizi; alla fine tutto il meccanismo si era fuso in un unico gesto
inconscio che dava voce alle sue decisioni attraverso la mano. I grandi
imperatori non avevano mai scomodato la propria voce nel decidere il fato di un
guerriero; il gesto in sé, fluido e silente, era la migliore
dimostrazione di potere che potesse esistere, perché da norma nessuno poteva
metterla in discussione.
Vedere la propria autorità sfidata senza alcun tipo di
rimorso ne fece alzare le palpebre pesanti come non capitava da tempo.
Intorpidito dall’avere ciò che gli aggradava senza contrarre stupide
incombenze, grattò la fodera della poltrona mentre un profondo sospiro
accompagnava il pensiero che non doveva scomporsi per una tale quisquiglia –
seppur indesiderata. –
- Alec -, chiamò successivamente. Il valletto, suo fido
accompagnatore, si accostò alla tenda senza scostarla, rigido e con le nocche
sbiancate per il troppo affondare le unghie nei palmi.
Non dovette far altro che attingere ai suoi precedenti
per immaginare il disappunto nascosto dietro il suo nome, velato di calma
strategica. Anticipare il volere di una persona con il potere e i mezzi per
rendere la sua vita un Inferno in terra chiedeva di camminare costantemente su
un tappeto di chiodi e sebbene Alec vantasse una certa esperienza, non avrebbe
mai lasciato che il rapporto di lavoro creato gli lasciasse intendere che
poteva allentare la presa. Era stata messa in discussione l’autorità del suo
superiore, questo contava. Rapide, le dita afferrarono la lista dei presenti –
un piccolo omaggio degli organizzatori -, lasciando che gli occhi scorressero i
nomi inseriti e i numeri assegnati.
- Si chiama Charlotte
Forcalquier, Contessa di Abbeville, Francia. -
Le informazioni costruirono un quadro semplice, senza note
interessanti, salvo per il fatto che la donna in questione era
un’amante delle aste e vi
partecipava quando aveva il sentore di trovare qualcosa di allettante.
L’anziano
clericale volse la testa sulla sinistra, dove un piccolo riquadro di
seta
fungeva da finestra sulla platea circostante. La sola nota positiva di
quella
disposizione sciatta era la sua collocazione: in centro e con tutti i
presenti
abilmente fatti sedere davanti a lui o sulla medesima fila,
affinché potesse
osservarli senza che questi riuscissero a intuire chi si nascondesse
dietro
l’insolito copricapo veneziano adornato di piume. L’anonimato non conosceva misure e, nel suo
caso, la stravaganza poteva benissimo condurre eventuali sospetti su strade
sbagliate.
La sua avversaria
– se, buon Dio, tale poteva definirsi – sedeva esattamente sulla sua stessa
fila, a una decina di metri sulla sinistra. Per tutti i secondi che gli
occorsero a voltarsi, si era quasi aspettato di doversi confrontare con una
mente altezzosa, chiusa in un corpo ingrassato da feste e pettegolezzi. Quell’innaturale
flessuosità conquistò immediatamente il suo interesse. L’abbigliamento
ricercato – uno stupendo abito di candido pizzo finemente intarsiato di
ricami dorati, dal collo alto e la gonna a sirena - e i gioielli che ne illuminavano i lobi e i polsi,
indicavano un’agiatezza che solo gli aristocratici altolocati si potevano
permettere – e forse ciò spiegava la presenza della mascherina a coprirne il
volto, dai colori identici al vestito -. I vaporosi boccoli ramati ricadevano morbidi
sulla spalla sinistra, acconciati in elegante treccia alla cui sommità faceva
capolino un minuscolo cilindro bianco, un pizzico di mondanità che le giovani
non perdevano occasione di ricercare.
- Signore,
come desidera procedere? - Alec
si
fece avanti, attento a non utilizzare aggettivi che ne svelassero la
posizione
sociale. La schiena dell’anziano tornò a sprofondare nel
cuscino della
poltrona. L’anello con l’effige della Santa Chiesa che
mirò incosciamente vestiva il suo indice rugoso da così
tanto tempo da aver maturato – con una forma artificiale di
coscienza -,
l’assoluta certezza che la vocazione di Sua Signoria il Vescovo Herman Erkenwald ruotasse attorno a un’eredità di cospicua
sostanza, tramandata da padre in figlio. Considerati i benefici e il prestigio
di cui le vesti talari lo investivano, avrebbe anche potuto evitare di
lasciarsi coinvolgere dai risvolti della Guerra Santa, ma neppure tutta
l’influenza di cui godeva poteva fornirgli un qualche tipo di assicurazione per
ciò che sarebbe venuto dopo. Fare
parte dell’alta casta sacerdotale chiedeva compassione per l’imperfezione umana
e i peccati di cui si bagnava, ma gestire un commercio umano imponeva qualità
come la flessibilità, l’arguzia, assenza di scrupoli e decisioni rapide,
condite dal sangue freddo e dalla sapienza di tenerlo ben arginato dietro poche
attività diversificate.
Il Conte del Millennio vantava il potere di giostrare
le carte in gioco a suo libero piacimento e la sua vita non valeva il prezzo
dell’ipotetico successo che tutta l’umanità – o un minuscolo manipolo di essa –
rincorreva disperatamente – soprattutto se si teneva in conto l’estrema
improbabilità che la parte da lui rappresentata riuscisse a scrollarsi dal muro
contro cui era attaccata da anni -. Contavano solo i fatti, a quel mondo,
pratici e concreti.
- Lasciamo
che madmoiselle partecipi pure. Sono sicuro che un piccolo extra aggiuntivo ai
gentili signori organizzatori saprà indirizzarli sulla giusta scelta da
prendere. -
Charlotte Forcalquier si era appena guadagnata
l’attenzione dei presenti e il brusio formicolante delle bocche nascoste dietro
le quinte con la peggior decisione che potesse passare per la mente di un
acquirente: compromettere l’acquisto sicuro di un lotto già aggiudicato. La
cifra di partenza del numero 13 si aggirava attorno a un’esorbità studiata per far
desistere sin dalle prime offerte almeno tre quarti dei partecipanti. Raramente
le aste imbandite dalla plebaglia riuscivano a presentare articoli di degna attenzione,
ma quando le occasioni capitavano, subentravano regole che davano la priorità alle
influenze pubbliche; l’imbastire quello scenario occorreva soltanto per salvaguardare
le apparenze e donare allo spettacolo il giusto tocco di falsa sincerità. Quando
la mascella del valletto si irrigidì per il panico dipintosi sulle guance, la
donna immaginò il volto del Vescovo sfigurarsi per lo sgomento e le dita
infossare nei braccioli della poltrona. Per un uomo abituato a non avere
ostacoli sul proprio cammino e, soprattutto, votato a una scrupolosità
maniacale, una così minuscola incrinatura non poteva nè doveva rappresentare
una minaccia ai suoi progetti, tuttalpiù per ottenere la sua ultima gioia prima
del permanente ritiro. Non dovette attendere molto prima che la paletta di Sua
Grazia venisse nuovamente alzata, circuendo la sfida a pochi eletti. Ben
nascosto nello spalto assegnatogli, la sua ombra si rifletteva appena sul
tessuto della tenda decorata per rispettarne la privacy, ma la fretta di
aggiudicarsi quel lotto in particolare stava già lavorando sulla sua
proverbiale fermezza. La donna sorseggiò giusto qualche goccia del pregiato
Borgogna versatosi, prima di avanzare nuovamente un’offerta senza che la sua follia passasse inosservata agli occhi
degli allestitori.
Quanto avrebbe resistito prima di cedere
definitivamente? Non molto, poteva contare i minuti sulle dita. Chi si ammalava
di potere era solito marcare il territorio segnando una linea spessa quanto la
propria presunzione e non era nei costumi di Herman Erkenwald gettare la spugna per qualcosa che reclamava
suo semplicemente puntandogli il dito contro. Charlotte Forcalquier lo aveva
imparato frequentando assiduamente l’alta società e le bizzarrie che si
inventavano per smussare la noia, ecco perché si era presa la briga di indagare
su che tipo di articoli l’ecclesiastico amasse mettere le mani. Ciò che invece
l’anziano ignorava, era che Amèlie Chevalier gli fosse arrivata tanto vicino da
aver raccolto prove a sufficienza sui suoi loschi traffici, in attesa del suo
tocco mortale per essere definitivamente smantellati, e che adesso fosse lì, intenta
a godere del suo riflesso nel minuscolo specchietto, sebbene quel volto creato
con l'Alchimia non la aggradasse quanto la bellezza originaria. L’unica
ragione che l’aveva indotta ad assumere un aspetto così visibilmente
contrastante alla sua natura era perché non aveva mai avuto modo di appurare l’efficacia
della nivea innocenza che certe giovani esibivano a dosi squilibrate, ma una
cosa era certa: nessun incantesimo poteva occultare l’affilata sfrontatezza del
suo sguardo, nemmeno con due chiarissimi pezzi di cielo al posto delle sue
ammalianti onici. Il nero era il colore della sua essenza, sia dentro che
fuori.
Deliziò il proprio palato con un altro po’ di vino prima
di inclinare la testa verso la spalla destra e ammirare il lotto con apparente
inespressività. Due settimane non potevano comportare il crollo del suo piccolo
impero, ma da brava fatalista aveva ritenuto quel corto lasso di tempo più che
sufficiente perché qualsiasi disgrazia potesse accadere e Dio non voleva certo
che la Maitresse della Rosa Nera sfondasse le porte del Paradiso – o anche
soltanto quelle dell’Ufficio Centrale – per mettere in chiaro quanto l’Universo
intero avrebbe rimpianto la sua dipartita. Amèlie Chevalier non faceva mai minacce a vuoto, mai,
e l’unica motivazione che l’aveva
spinta ad investigare era ricollegabile a vicissitudini implicanti
traffici di minima grandezza e morti apparentemente casuali di Finder
periti nella loro ricerca di Innocence; materiali insignificanti,
nella loro
singolarità, ma sospetti se intersecate in una rete che poteva
nascondere
qualcosa di profondamente redditizio. Una casualità, quella, che
non intendeva
vedere trasformarsi in un rischio per la sua organizzazione.
Fortunatamente, Sua
Signoria non era nella posizione per conoscere il suo nome e mai si era
interessato agli appoggi che la Chiesa riceveva: la verità, era
che l’unica
priorità premente alla sua avidità consisteva
nell’adornare l’ingente ricchezza
in suo possesso con un ultimo capriccio, giuntogli dal cielo per
coronarne la pensione
con un inizio idilliaco.
Il bambino che la donna ammirò con le lenti del binocolo
meritò un suo sospiro, addolcito dalla minuta tenerezza scartata
impazientemente sotto gli occhi dei presenti. Dondolava sui talloni, incapace
di reggersi in piedi senza l’aiuto delle mani che ne artigliavano le spalle. Le
guance rosee apparivano vellutate e morbide, appena accaldate. Un peccato che i
suoi occhi fossero annacquati dalla droga; quello smeraldo solcato di
screziature marine doveva essere sicuramente un meraviglioso mare di stelle,
alla luce del sole.
Che quella mummia imbalsamata fosse un pedofilo particolarmente
esigente lo aveva scoperto da mesi, ma improvvisamente quel suo divertirsi
sembrò trovare una ragione più che fondata all’insensato esistere: quello
scricciolo, piccolo e vulnerabile, rasentava una nivea fragilità che faceva
venire il fiato corto semplicemente guardandolo. Non poteva esserci giocattolo
migliore da sfruttare per i propri scopi. Accavallate le gambe, Amèlie ne sondò
gelidamente la delicata bellezza, irreale quanto la perfezione dei boccoli
castani che ne incorniciavano i lineamenti efebici, sinuosi come i contorni
delle labbra pallide appena socchiuse. Una bambola, sì. Una
bambola dolce, perfetta; da carezzare, toccare, baciare. Rompere.
“Una potenziale Chimera…”
Nel mentre lo speaker sollecitava il rilancio di nuove
offerte, la Maitresse umettò le sue labbra con un pennellino lucido e
trasparente. C’era quella possibilità, remota più della voce a cui l’aveva
strappata: le Chimere rasentavano una
leggenda immersa nell’eresia di corpi imbevuti di un potere che la comune mente
umana non poteva concepire neppure con la forza della creatività e pensare sul
serio che quella sfortunata stellina appartenesse a un clan antico e
impronunciabile come quello dei Gremory
chiedeva di credere nell’impossibile –anche se ciò non cambiava nulla -: il
bimbetto le serviva esclusivamente per sondare l’impazienza del Vescovo, il suo
destino non era affare che la riguardasse.
- Settecento! -
La paletta contrassegnata con il numero 5 si levò
imperiosa, conquistandosi qualche occhiata della platea, ridotta a semplice
spettatrice. Il valletto, messosi di fianco alla tenda di velluto, inspirò con
la schiena dritta e le nocche bianche per il troppo stringere; aveva quasi
ceduto alla tentazione di appurare la sua reazione, ma era corso nella sua tana
per evitare spiacevoli conseguenze. Quando
lei gli sorrise, lo vide irrigidirsi, nonostante stesse impiegando tutto se
stesso per ostentare la massima indifferenza.
E anche questo capitolo è stato postato. Corto, lo so
bene, ma necessario per introdurre le due figure che ruotano attorno al piccolo
Pierre. La parte più movimentata sarà nel prossimo capitolo, scritto a bozze, e
oltre a questo, penso di introdurre il finale, perciò rimangono soltanto due
capitoli. Auguro una buona settimana a tutti quanti voi!