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Autore: Inevitabilmente_Dea    05/07/2016    1 recensioni
{Threequel di The Maze Runner - Remember}
I Radurai sono riusciti a sopravvivere anche alla Zona Bruciata e hanno conseguito il loro obbiettivo: raggiungere il Porto Sicuro entro due settimane per trovare la cura all'Eruzione. Tuttavia, nonostante all'apparenza sia tutto finito, i Radurai sono stati ingannati nuovamente dalla W.I.C.K.E.D. che ha in serbo per loro un'altra prova. Questa, a differenza delle precedenti, sarà individuale e i ragazzi e le ragazze saranno soli di fronte al pericolo: i Radurai, infatti, vengono addormentati e separati durante il sonno.
Elena viene tenuta in isolamento dalla W.I.C.K.E.D. senza sapere che fine hanno fatto i suoi amici, ma alla fine, dopo una serie di esperimenti viene rilasciata.
Un ultimo ciclo di test e analisi per raccogliere i dati necessari allo sviluppo della cianografia finale.
Dopo di essa, però, toccherà ai Radurai trovare una cura per l'Eruzione, poichè essa non è ancora stato ultimata.
Un'avventura che non ha ancora un fine. Una continua fuga alla ricerca della salvezza.
E se le persone che si credeva di aver perso ritornassero?
E se invece, quelle a cui si tiene di più, andassero perse per sempre?
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jorge, Minho, Newt, Newt/Thomas, Nuovo personaggio, Thomas
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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Non appena il frastuono del colpo di pistola si diffuse nell'aria, sentii un peso annidarsi nel mio petto e non era dovuto al corpo di Zart che subito dopo lo sparo si era accasciato senza vita su di me. Senza riuscire più a controllarmi scoppiai a piangere. Piansi per la disperazione, per la paura, per l'ansia, ma soprattutto piansi per aver tolto la vita ad un'altra persona con le mie mani. Le stesse mani con cui sfioravo e accarezzavo quelle di Newt, le stesse dita che un tempo si divertivano ad arricciare i suoi capelli, gli stessi palmi che una volta stringevano il suo viso e lentamente lo avvicinavano al mio. 

Cosa ero diventata? Un mostro? No, peggio. Forse potevo giustificarmi per aver tolto la vita ad uno Spaccato, dato che era stata solamente legittima difesa − nonostante lo ammettessi, ancora non riuscivo a perdonarmelo −, ma dopo quell'istante capii che nulla sarebbe stato più come prima, per me. Avevo ucciso un mio amico! 
Non trovai neanche il coraggio di guardarlo in faccia: aprii gli occhi e subito fissai le mie mani. Me le immaginai macchiate di sangue, macchiate e sporche come la mia coscienza. Anche se in realtà, ora che le stavo guardando, non lo erano. 
Come se mi fossi accorta solo in quel momento di essere ancora ancorata alla pistola con cui avevo fatto quell'orrore, la abbandonai a terra, singhiozzando e frignando come una bambina. L'aggeggio cadde a terra senza produrre rumore, ma quel silenzio mi stava opprimendo, ricordandomi ogni secondo che ero sola e che non avrei potuto rimediare a quell'errore.
Strisciai via dal corpo esanime del ragazzo, improvvisamente spaventata. Ero terrorizzata all'idea di essere circondata dalla morte, per quanto fino a quel punto mi fosse stata sempre familiare. Certo, potevo dare la colpa alla W.I.C.K.E.D., potevo dire che fosse solo opera loro, che io non centravo niente, ma sapevo benissimo che era una bugia. Di certo loro mi avevano tolto tutto: una famiglia, una mia vita, degli amici, la pace e la serenità; ma non potevo allo stesso modo incolparli di avermi tolto l'umanità o quello che mi restava, perchè quella me l'ero strappata di dosso da sola, premendo un semplice grilletto.
E' colpa mia. E' tutta colpa mia. Pensai singhiozzando e ritirandomi in un angolino. Mi portai le ginocchia al petto e rimasi così, con occhi vuoti, a fissare il corpo di Zart. Non emettevo un suono, ma dentro stavo urlando perchè potevo sentire la mia anima lacerarsi lentamente e sgretolarsi sotto il morso infettato della morte. 
I secondi diventarono minuti e i minuti diventarono ore, tuttavia a me sembrava di stare là da un tempo infinito, come se quegli istanti si fossero improvvisamente dilatati. Iniziai a sentirmi sempre peggio con me stessa: avevo la nausea e il mal di testa, dovuto probabilmente al pianto eccessivo, che ancora continuava silenziosamente. 
Riuscii a trattenermi a lungo: legai tutte le emozioni negative insieme e le gettai nel fondo della mia coscienza, accantonandole e mettendole all'ombra; tuttavia dopo qualche istante la mia resistenza iniziò a vacillare e allentai sempre di più il nodo ai miei sentimenti, fino a che essi non si liberarono del tutto, facendomi scoppiare come una bomba a mano.
Senza neanche volerlo veramente spalancai la bocca ed urlai con tutto il fiato che avevo in corpo. Urlai fino a che non sentii il fuoco bruciare nei miei polmoni e quasi mi spaventai nel sentire la mia stessa voce così rotta e... straziante. Quasi disumana.
Dopo aver ricongiunto le labbra e aver ridotto il grido ad un sussurro quasi impercettibile, mi sentii immediatamente meglio, così decisi di farlo di nuovo, ma questa volta volovo buttare fuori proprio tutto, di mia spontanea volontà.
Presi fiato e mi portai le mani sulle orecchie. Poi gettai tutto all'infuori, un po' come si rilascia tutto il respiro che resta, subito prima di riaffiorare dalla superficie dell'acqua.
La mia voce mi arrivò ovattata e soffocata, e la cosa non mi piaceva. Volevo sentirlo, il grido. Volevo sentire il dolore, la disperazione e l'affanno di cui ero fatta. Volevo sentire il panico, l'angoscia. Tutto. Volevo sentirmi pronunciare tutto in un singolo, acuto e perforante grido di liberazione.
Lasciai che le mie dita scivolassero tra i capelli, poi quando sentii che l'urlo era prossimo a terminare, mi portai poche dita sulle labbra e le strinsi tra i denti fino a farmi male.
Singhiozzai per la millesima volta e mi sembrò di sputare l'anima. Mi accasciai sul pavimento, sempre con le ginocchia strette al petto, nel tentativo di un abbraccia che risultasse abbastanza confortante da tranquillizzarmi. Ma nulla in quel momento poteva farlo. 

Quando riaprii gli occhi, sentii nel petto una strana sensazione di leggerezza, che però sfumò poco dopo, quando ricordai tutto. 

Mi guardai intorno, angosciata e terrorizzata all'idea di ritrovarmi davanti il corpo senza vita di Zart, invece la stanza era praticamente vuota se non fosse stato per una figura seduta sulla sedia dietro la scrivania.
J-Janson? Pensai stupita. Senza esitare mi guardai intorno alla ricerca della pistola. Avevo già ucciso qualcuno prima, perchè non farlo di nuovo, uhm? Di certo sarebbe stato divertente vederlo morire ai miei piedi, dopo avermi supplicato di risparmiargli la sua miserabile vita.
Quando mi accorsi che invece era sparita anche quella, la rabbia si impossessò di me. Scattai in piedi e senza neanche rifletterci su, corsi verso l'uomo, che se ne stava beatamente seduto a leggere un libro. Ma quando mancava mezzo metro dal raggiungerlo, andai a sbatterecontro una parete invisibile. Prima il naso, colpendoquello che sembrava una fredda lastra di vetro. Poi il resto del corpo seguì a ruota, andando addossoal muro che mi fece barcollare all'indietro. Istintivamente mi sfregai il naso, mentre strizzavo gli occhiper capire come avessi potuto non accorgermi della barriera di vetro.Ma per quanto mi sforzassi, non riuscivo a vedere niente. Nemmeno il minimo bagliore o riflesso,né un alone da nessuna parte. Tutto quello che vedevo era aria. 
Nel frattempo, Janson non si erapreoccupato di muoversi o di mostrare il minimo segnale di essersi accorto di qualcosa. Così mi avvicinai di nuovo, questa volta più piano, con le mani tese in avanti. Entrai presto incontatto con il muro fatto interamente di un invisibile... Cosa? Sembrava vetro: liscio, duro, e freddoal tatto. Ma non vidi assolutamente niente che indicasse che lì ci poteva essere qualcosa di solido.
Frustrata, mi spostai a sinistra, poi a destra, continuando a toccare il muro trasparente eppure solido.Si estendeva per tutta la stanza; era impossibile avvicinarsi all'uomo alla scrivania. Alla fine, stanca di quello che sembrava essere un altro dei giochetti della W.I.C.K.E.D. per farmi imbestialire, battei sul muro, producendo una serie di rumori sordi, ma non accadde nient'altro. 
Solo quando urlai il suo nome, Janson alzò lo sguardo e mi rivolse un sorrisetto.
Non mi disse nulla, anzi, aprì uno dei cassetti e tirò fuori qualcosa, poi mise davanti a sé un fascicolo, lo aprì e cominciò a sfogliare le pagine. Una volta trovato quello che stava cercando, si fermò e appoggiò le mani sul foglio. Poi sfoderò un sorriso patetico, posando lo sguardo su di me, ma senza parlare.
"Allora?" gridai esasperata. "Cos'è tutto questo? Uno scherzo?"
Lo guardai in attesa di una risposta e lui, dopo un'attimo di esitazione, pronunciò poche semplici parole. "Pensi che tutto questo ci diverta? Pensi che ci divertiamo a guardarvi soffrire? C'è una ragione dietro a tutto ciò, e molto presto lo capirai." 

La sua voce era cresciuta d'intensità fin quasi a urlare l'ultima parola, il viso adesso era paonazzo. "Wow." sputai, sinceramente stupita. "Datti una calmata e rilassati, vecchio mio. Sembra che ti stia per venire un infarto. E per lo più dovrei essere io quella incazzata." 

L'Uomo Ratto si alzò dalla sedia e si allungò sulla scrivania. Le vene del collo, come corde tese, pulsavano. Si rimise lentamente a sedere e fece dei respiri profondi. "Mi sarei aspettato una cosa del genere da te. Sai, sei sempre stata testarda, ma alla fine abbiamo inquadrato pure te."
La rabbia dentro di me stava aumentando e mi sentivo sul punto di esplodere un'altra volta. Ma mi sforzai di mantenere un tono di voce calmo, con il tempo avevo imparato che non sarei riuscita ad estorcergli niente con la rabbia. "Immagino che anche questo è solo un altro dei vostri test. Allora dove caspio andrò adesso? Mi manderete sulla luna? Mi farete attraversare l'oceano a nuoto in mutande?" Feci un sorriso forzato. "Ho appena ucciso un ragazzo − un mio amico, per giunta − e tutto quello che mi vieni a dire è che ti aspettavi che io facessi così?" 
"Sì." rispose semplicemente lui. "Tutto è andato secondo le aspettative."

   
 
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