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Autore: Walpurgisnacht    07/07/2016    1 recensioni
Allora ragazzi, vi capita mai di avere idee folli su cui vi sale un hype incontrollabile e che DOVETE mettere per iscritto? Ecco, se vi è successo sapete cosa è passato per la testa mia e della mia socia. Spiegazioni sul crossover e altri tecnicismi nel primo capitolo.
Aggiornamenti settimanali, due a botta. Numero finale di capitoli: ventuno.
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Un aereo cade. Nove ragazzi ammaccati si leccano le (piccole) ferite e cercano di capire come andarsene da quel posto dimenticato da chiunque.
Sul serio, non c'è nessun tizio psicopatico che vuole farli giocare alla sua personalissima versione de La Ruota della Fortuna.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Byakuya Togami prese il biglietto a lui rivolto.

Era un semplicissimo pezzo di carta piegato a metà, il classico bigliettino che ci si passa a scuola durante una verifica.

Osservò per qualche istante Touko e Kyouko che aprivano i propri, poi fece lo stesso.

Quanto vi lesse… fu disturbante, per certi versi.

 

Ecco il nostro vincitore, siore e siori! Perché questo ragazzo fortunato ha vinto non un indizio, bensì la soluzione intera!

È una semplice parola inglese di quattro lettere: mind.

Se stai pensando che c’è la fregatura sei troooooppo furbo per me, accidenti.

La fregatura è la seguente: devi essere tu a inserirla dove va inserita. Non i tuoi compagni. Se lascerai che siano loro a farlo… diciamo che ogni tanto gli incidenti capitano, giusto?

Come? La situazione ti sembra familiare? Ti ricorda la guerra che ti sei fatto coi tuoi fratellastri per il ruolo di erede Togami?

Non so di cosa tu stia parlando. Solo perché sei obbligato a ostacolare qualcuno a te vicino non vuol mica dir nulla.

Salutami Shinobu.

 

“Bastardo…” mormorò sottovoce, assicurandosi che le altre non lo sentissero.

Le osservò consultare i rispettivi fogli, leggerli con attenzione, riporli in tasca e cominciare a parlare.

“Ok Fukawa, diamoci da fare. Vieni a darci una mano, Togami?”.

“No. Ho un problema” si limitò a rispondere, secco.

“Tsk. Il signorino non si v-vuole scomodare. Va bene, ci p-penseremo noi”.

Gli occhi di Kirigiri, per un istante rivolti nella sua direzione, sembravano quasi trasmettergli delusione. Poi si dedicò a Touko.

Byakuya aveva ben altro per la testa al momento.

Maledetto. Maledetto. Maledetto.

Come hai osato farmi ricordare cos’è stata per me quella gara fra consanguinei? E soprattutto, come hai osato citare Shinobu?

Shinobu Togami era stata, dei quattordici fratellastri, quella che per Byakuya aveva rappresentato l’ostacolo più difficile da superare. E non perché fosse particolarmente intelligente, o brava come lui, o priva di scrupoli.

Semplicemente, e se ne vergognava anche solo a pensarlo, a Shinobu aveva voluto bene.

Gli era costato più di quanto gli piacesse ammettere esautorarla dalla corsa e, in alcuni momentacci di sconforto, ebbe l’ardire di questionare il credo di loro padre, chiedendosi se stesse facendo la cosa giusta.

Non era stato facile.

 

“Le cose importanti possono anche non essere soldi, titoli e potere”.

 

Questa frase, dettagli dal suo maggiordomo personale Aloysius quando avrà avuto non più di sei anni, gli fece perdere l’equilibrio per un istante. Un solo istante. Era un urlo di guerra rivolto contro tutto ciò che il suo cognome rappresentava, nel bene e nel male.

Perché sto avendo dei dubbi? Me ne dovrei fregare e lasciare che quelle due esplodano, o che vengano sbranate da una tigre, o qualunque sia il fato che Zero ha in serbo per loro. A me non dovrebbe interessare.

E allora perché… invece mi interessa?

 

“Ti sembrerà strano ma anche io provo emozioni, sono LEGATA a voi!”.

 

Pure Ikusaba adesso? Che cos’è, il festival della citazione becera? Cervello, puoi anche smetterla di perseguitarmi con simili mezzucci.

Cervello? Non è il tuo cervello a star parlando.

Va bene, a questo punto non ho più nulla da obiettare. Pazzia più, pazzia meno...

Te lo ripeto: tuo padre aveva torto marcio. Su tutto.

Una replica? Non sono degno neanche di una nuova banalità? Che squallore.

Nessuno gli rispose. Ne fu felice.

“È chiaro che stiamo parlando di una sola parola. Ma dove va inserita?”.

“G-Guarda Kirigiri, sul tavolo”.

Si scosse un attimo nel vederle prendere uno strano oggetto di forma cilindrica che stava accanto agli altri biglietti. Presentava una serie di lettere da muovere, presumibilmente per comporre una parola.

“Assomiglia a un cryptex”.

“E cosa sarebbe, Fukawa?”.

“Appariva nel libro Il Codice da Vinci. Un sistema di t-trasmissione di messaggi importanti. Però…”.

“Però cosa?”.

“È a c-combinazione alfanumerica, vedi? Se sbagli la password u-una fialetta d’aceto scioglie il messaggio all’interno”.

“Prova a scuoterlo”.

Ed effettivamente si sentì il rumore di qualcosa che ballonzolava al suo interno.

Gli incidenti capitano, giusto?

E se al posto dell’aceto ci fosse stato qualcosa di meno innocuo, come un liquido corrosivo? Dell’acido?

Byakuya non seppe giustificare la spinta che lo portò ad avvicinarsi alle due ragazze e tentare di strappare, con una certa irruenza, l’oggetto dalle mani di Touko.

“Bya… Togami! C-Cosa stai facendo?!”
“Dammi quel cryptex.”
Lei si ritrasse subito, stringendo a sé il cilindro: “P-Perché dovrei?”
“Perché sì.”
“N-Non è una buona motivazione.”
“Fukawa, dammi quell’affare. Adesso.”
“Scordatelo!”
“Perché dovremmo obbedirti?” si intromise Kyouko. “Da quando siamo qui non hai fatto altro che dare ordini, sputare sentenze, pretendere, il tutto con la tua solita gentilezza. Anzi, se vogliamo essere del tutto sinceri, sembra che tu sia persino peggiorato. Alla luce di tutto questo dimmi, perché mai dovremmo fare come vuoi tu?” concluse lei, incrociando le braccia.

Lo sguardo duro che ricevette da lei sembrò farlo tentennare: Kirigiri non era mai stata una espansiva, ma non aveva mai rivolto a nessuno della classe un’occhiata tanto tagliente.

Rimase in silenzio a riflettere, non avendo idea di cosa risponderle… o meglio, come. Lanciò uno sguardo attorno a sé alla ricerca di videocamere, ma non ne notò nemmeno una.

Devo improvvisare si disse, e sperare che vada bene.

“Perché è una questione importante, Kirigiri” disse, misurando le parole.

“N-Non abbastanza da assecondare i tuoi capricci” replicò Fukawa.

“Non si tratta più di capricci” disse, con voce calma e stranamente atona che Kyouko sembrò notare, perché la vide inarcare un sopracciglio.

“E di cosa si tratta?” chiese.

“Non sono io l’autorità qui” rispose lui a bassa voce, ma abbastanza affinché loro due lo sentissero; si augurò mentalmente che Zero non avesse capito.

La Detective rimase in silenzio a fissarlo, probabilmente ponderando su quelle parole, su di lui e se poteva fidarsi o no; dopo un paio di interminabili minuti annuì: “Ok. Fukawa, dagli il cryptex.”

“No.”

Entrambi si voltarono a guardarla.

“Fukawa, non stiamo giocando” ringhiò lui, e la ragazza si ritrasse ancora: “No! Sono s-stanca dei tuoi soprusi, del tuo modo di fare snob, convinto che tutto ti sia dovuto solo perché il tuo cognome è Togami! Più qualcuno si mostra gentile con te, più tu lo tratti come spazzatura! Non ti fai schifo neanche un po’?!”

Da che la conosceva, quella era la prima volta che la sentiva pronunciare una frase intera quasi senza balbettare. Lui e Kyouko si scambiarono uno sguardo veloce e lei lo guardò come a volergli dire “Raccogli ciò che semini, Scion di ‘Staceppa”, nomignolo made in Oowada compreso.

 

“La tua posizione sociale non ti dà alcun diritto di giudicare noialtri, non sei migliore di noi solo perché puoi soffiarti il naso con una banconota da diecimila yen! E se tu non riesci a provare emozioni di nessun genere beh, ti assicuro che non è così per gli altri!”

 

Di nuovo gli tornò in mente la frase di Ikusaba, e maledì il suo cervello per quelle associazioni fastidiose.

Il tempismo è tutt’altro che casuale pensò, e probabilmente avrebbe continuato se non avesse visto Touko cercare di aprire il cryptex.

“Fukawa, no!”

Tentò di appropriarsene ma lei lo scansò con un movimento veloce: “Non. Provarci.”

“Fukawa, dammi quel coso” ribadì, ma la Super Scrittrice non sembrava voler sentire ragioni; Kirigiri osservava la scena in silenzio, ma la sua espressione non era neutrale come probabilmente credeva: Byakuya riusciva ad intravedere un velo di ansia in quello sguardo solitamente distaccato.

Almeno una delle due ha capito si disse, per poi tornare a concentrarsi sull’altra: non era abituato a una Fukawa così… ribelle. Era sempre stata silenziosa, remissiva, pronta ad adorarlo e accontentarlo in ogni capriccio, e mai una volta si era mostrata contrariata dai suoi insulti.

L’amore rende ciechi. Non è del tutto una baggianata, come vedi.

Byakuya non rispose, mantenendo gli occhi fissi sulle mani della ragazza e sul cryptex, ma non poté fare a meno di essere interessato a quel discorso.

Touko ha capito quanto fosse sbagliato accettare ogni tuo maltrattamento solo perché è innamorata di te, e queste sono le conseguenze. Forse, e dico forse, capirai finalmente qual è il succo della questione.

...sono io.

Bravo Byakuya-chan.

Nel momento stesso in cui lo pensò vide Touko cercare ancora una volta di aprire il cryptex, forse inserendo parole a caso, e allora agì d’istinto: “Fukawa, fermati. Ti prego.”

Sia lei sia Kyouko si voltarono a guardarlo, giustamente sorprese: Togami che prega qualcuno?

“Non provare ad aprirlo. Non posso dirti perché ma credimi se-”
“Perché dovrei? Un gesto gentile da parte tua non cancella anni di… di bullismo!”

“Lo so e hai ragione” ammise senza neanche stare a pensarci “ti ho detto cose orribili, a te e a tutti voi. E hai tutti i motivi del mondo per odiarmi adesso, non ti biasimerò per questo. Ma ti chiedo di darmi quel cryptex… non potete aprirlo né tu, né Kirigiri.”
Touko non si mosse e neppure disse nulla, ma rimase ad ascoltarlo.

“Per favore, Fuka… Touko” si corresse. “Ti prego Touko, per questa volta, solo stavolta, fidati di me.”

Ti prego.

La ragazza lo guardò sbalordita per un tempo che a lui sembrò infinitamente lungo. Finalmente si avvicinò e gli consegnò il cilindro, per poi correre al fianco di Kirigiri.

“Grazie” disse lui, un sussurro appena udibile ma che raggiunse entrambe le ragazze. Le loro espressioni erano eloquenti. Passò quindi ad esaminare il cryptex: quattro anelli con incise lettere occidentali. Una lettera sbagliata e siamo morti rifletté, e l’ironia dell’aver pensato al plurale non gli sfuggì.

Ruotò gli anelli e compose la parola mind.

Si sentì un flebile click a conferma che la parola era quella giusta: rimosse un’estremità del cilindro e ne estrasse un pezzo di carta arrotolato, che aprì.

E questa…?

“Cos’hai trovato?” chiese Kyouko, avvicinandosi a lui insieme a Touko (ancora piuttosto scossa da quanto successo prima), e senza dire nulla mostrò loro il contenuto del cryptex: una loro foto di classe risalente probabilmente alle scuole elementari.

“Siamo noi. Io, tu, lei, Naegi, Celes con quei suoi assurdi codini già così piccola, Pekoyama con la spada a tracolla…”.

Tutti e diciassette, eccetto per…

“E q-questa chi è?” chiese Touko, indicando una bambina nella foto: aveva due voluminosi codini chiari decorati con un fermaglio a forma di orso bianco e nero e un’espressione furbetta in viso.

Togami voltò la foto e ci trovò una data: Accademia Kibougamine, anno scolastico 2002/2003. Classe 78, IV elementare.

“A quanto pare” commentò Kyouko, prendendo in mano la foto “abbiamo trovato Junko Enoshima.”

“S-Stai scherzando, Kirigiri?” urlò Touko “Ma… ma è nella nostra f-foto di classe! Com’è possibile?”.

“Devo ammettere che non lo so. Ma converrete con me che viene abbastanza automatico sovrapporre alla bambina misteriosa il nome misterioso”.

“In effetti è la cosa più immediata da fare, anche se non possiamo escludere del tutto la possibilità che si tratti di due persone diverse”.

“No Togami, non possiamo. Diciamo però che fino a prova contraria abbiamo una faccia associata a quel nome”.

“Va bene ma… r-resta che era assieme a noi e… n-non so voi, ma io non ho idea di chi sia…”.

Gli sguardi corrucciati suo e di Kirigiri lasciarono intendere che lo stesso valeva per loro.

Per ora non ci voglio pensare. Ho altre preoccupazioni.

Quali? L’esserti comportato da essere umano per una volta in vita tua? Catastrofista.

Ma taci.

Si lasciò scappare un risolino mentale nel constatare che ormai pareva aver accettato come normale questo suo parlare a se stesso.

Ma sì, tanto. Fra i soliloqui schizoidi e l’aver chiesto qualcosa per favore…

“Ok gente, enigma risolto. Potete sloggiare”. Zero di solito non era così spiccio negli annunci, anzi. Strano.

Uscirono, con il Super Erede a chiedersi se poteva ancora permettersi il nome “Byakuya Togami”.

 

*

 

Aoi Asahina si stava pentendo di quanto le era appena uscito dalla bocca.

Nell’attesa del ritorno dei tre dentro la porta numerata, i restanti sei si erano lanciati nell’ispezioni delle stanze non chiuse da una combinazione particolare.

Era stato quando Mukuro aveva trovato, in uno schedario di quello che a tutti gli effetti appariva uno studio medico (tipico studio da dottore di famiglia: la scrivania in mogano, il lettino, librerie stracolme di tomi, alcune cartelle cliniche).

Stavano consultando i vari fascicoli quando…

“Aoi?” sentì alle sue spalle. Voltandosi vide la figura dell’amata Sakura.

“Che c’è?”. Tentò di suonare tranquilla, come se non ci fosse una figurata incudine ad allontanarle l’una dall’altra. Era dura.

“Posso parlarti?”.

“...sì”.

Ecco di cosa si stava pentendo, di quella risposta affermativa.

Le due si staccarono dal resto del gruppo, dietro assicurazione che sarebbe stata una cosa veloce. Sì certo, se aveva intuito l’argomento -come se fosse difficile, eh- sarebbe stato lungo e probabilmente doloroso.

“Allora Sakura, cosa vuoi? Anche se posso immaginarlo…”.

“Ho riflettuto su quanto mi hai detto quando eravamo con Ikusaba. Quanto sei stata costretta a dire”.

No, ma davvero l’avevo capito sin da subito? Cazzarola, mi posso concedere una ciambella come premio per l’arguzia.

“...”.

“...”.

“Argomento spinoso, eh?”.

“Più per te che per me, mia piccola Aoi”.

“Sakura, ti avevo chiesto…”.

“So cosa mi avevi chiesto. E mi spiace di non riuscirci, ma è troppo naturale per me chiamarti in questo modo”.

“...”.

“...”.

Imbarazzo, per la prima volta da quando si conoscevano c’era imbarazzo fra di loro. Di solito si dice che le novità siano eccitanti, e in condizioni normali Aoi sarebbe stata d’accordo. Quella era l’eccezione.

“Avanti, dillo” tentò di tagliarla corta “dimmi che mi rifiuti e finiamola qui”.

“C-Cosa?”.

“La tua risposta è quella, l’ho capito. Risparmiami la compassione e le parole dolci, mi feriscono solo di più”.

“Aoi…”.

“Davvero, lo comprendo. Non è possibile che tu possa ricambiarmi come vorrei”.

“Per favore, lasciami…”.

“L’avrei dovuto sapere sin da subito. Sono solo una ragazzina illusa e innamorata”.

“Smettila, te ne prego!”.

La forza messa in queste parole fecero cessare il suo delirio.

“Sakura?”.

“Aoi, stammi a sentire un attimo” le disse prendendola per le spalle “Sei fuori strada. Io non ti rifiuto, non lo posso fare e non lo potrei fare mai. Sei la mia migliore amica e una delle persone più preziose della mia vita. Questo, a prescindere da tutto, è un punto fermo. Avrai sempre un posto al mio fianco”.

“In che veste? Amica? Amante? Animaletto da compagnia?”.

Un sospiro da parte di entrambe.

“Sono addolorata nel doverti dire” riprese la Super Artista Marziale “che al momento non sono in grado di risponderti in maniera netta. Cerca di capire, quanto hai detto di fronte a quella cassaforte mi è scoppiato fra le mani come una bomba. A ciò aggiungici il posto dove ci troviamo, le ripetute minacce di morte e torture indicibili…”.

In effetti, si disse Asahina, l’atmosfera non era delle più consone per un ragionamento in merito a una faccenda tanto delicata. Questo glielo concedeva.

“Non… non so cosa sei per me, non dopo che ti sei dichiarata. Ho provato a fare ordine nei miei pensieri, ma l’adrenalina e la paura hanno interferito a più riprese. Inoltre c’è Kenichiro…”.

Kenichiro, già. Sapeva bene cosa quel nome rappresentasse per Sakura: la sua prima cotta. Stando a come gliel’aveva raccontata era stata vissuta in modo piuttosto platonico da parte di lei, senza nessun passo deciso. Ma conosceva il valore che aveva rivestito nella vita dell’altra ragazza.

“Sei… sei ancora innamorata di lui?”.

“Forse sì. O forse no. Santi kami, ho una tale confusione per la testa...”.

“E… e quindi?”.

“Quindi… quindi… quindi non lo so. Non lo so proprio. In questo momento al centro del mio petto c’è un fitto groviglio di emozioni, stati d’animo e preoccupazioni talmente stretto da non permettermi neppure di capire da cosa è davvero composto. L’unica cosa che posso prometterti è che, una volta fuori di qui, potremo parlarne con più serenità e che proverò con tutto l’impegno di cui sono capace a trovare una risposta univoca, chiara. Se posso permettermi di avanzare una pretesa: ti chiedo solennemente di non dubitare di me e della mia buona fede, quella da parte mia non mancherà mai. So che l’unica cosa in grado di darti soddisfazione sarebbe stata me che ti bacio con passione, e che qualunque altra risposta rischia di farti del male. Purtroppo non ho il coraggio e la malizia necessarie per non parlarti sinceramente, anche perché non mi permetterei di mancarti di rispetto in questa maniera orrida. Sei troppo preziosa per prenderti in giro dicendo qualcosa che non provo davvero”.

Era onesta. Limpida.

Non stava mentendo.

E nei suoi occhi Asahina vide il rimpianto. Vide la tristezza che le suscitava il non riuscire a dirle “Ti amo”.

Una parte di lei fu mossa a commozione.

“Io… io… apprezzo lo sforzo, Sakura. Hai ragione, fa male. Ma qualsiasi cosa tu mi avessi detto adesso, a parte infilarmi in bocca tre metri di lingua, mi avrebbe fatto lo stesso effetto. Se proprio devi causarmi dolore va bene se lo fai con queste intenzioni, che capisco essere pure. Inoltre non mi hai derisa, non mi hai dato dell’anormale, non mi hai scacciata. È molto. Anche considerando lo stile di vita con cui sei stata cresciuta, sempre improntato al tradizionalismo e poco aperto verso… deviazioni dalla norma come può esserlo la mia”.

“Mi dispiace… mi dispiace…”.

“Non dispiacertene. Come mi è stato detto da qualcuno più saggio di quanto appare, posso dare praticamente per scontato l’affetto che provi per me… e non tutti, nella mia situazione, potrebbero dire lo stesso. E poi, tutto sommato, per cose del genere non si muore”.

E proprio su queste ultime parole, pronunciate con un sorriso tirato ma relativamente largo, fecero la loro comparsa Togami, Fukawa e Kirigiri.

Uh? Perché lui ha quella faccia… così non da lui?

“Oh, eccoli finalmente” esclamò Ishimaru col tono di chi li aspettava con ansia “Ora che ci siamo tutti io e Oowada-kun vi dobbiamo parlare”.

“Il discorso lo proseguiamo fuori di qua, ok?” sussurrò Aoi in direzione di Sakura, che acconsentì con un cenno della testa e uno sguardo decisamente più rilassato.

Tornarono nei ranghi proprio mentre il Prefetto si schiariva la voce: “Allora, di comune accordo avremmo un annuncio da fare”.

“Sarebbe? Cos’è, vi volete mettere assieme?”

Aoi fece una smorfia su questa battuta di Mukuro, salvo ridere quando Mondo cominciò a muoversi come una sgraziata drag queen mentre cercava di abbracciare Ishimaru con sin troppo ardore. Non mancò di notare un paio di suoi sguardi rivolti verso di lei e lo ringraziò per il pensiero carino.

“E stammi lontano, ti voglio bene ma non così tanto! No, non è una stupidaggine del genere. Nel caso non ne foste a conoscenza, alcune delle prove di Zero non erano indovinelli o trucchi strani, bensì dei… test psicologici. Pesanti.  Asahina-san, se volessi raccontare il tuo…”.

È arrivato il momento di declamarlo in pubblica piazza? Oh beh, a ben guardare la metà lo sa già.

Tutti gli occhi si girarono nella sua direzione. Al contrario delle sue stesse aspettative era calma.

“Io amo Sakura”.

Le reazioni del pubblico, più o meno accalorate, vennero sovrastate sempre da Ishimaru: “La questione di Kirigiri-san è già nota a tutti. Oowada-kun, vuoi…”.

E quello cominciò a spiegare la storiaccia brutta con protagonista Daiya.

“Oh santo cielo, che dramma!”.

“Povero Oowada. dev’essere stata durissima…”.

No, non posso sentirmi invidiosa perché lo compatiscono più di me. Smettila Aoi, smettila. E comunque il suo trauma è molto peggiore del mio.

“Poi ci sono io”.

Narrò la storia di suo nonno Toranosuke e di come aveva infangato il buon nome degli Ishimaru.

“Bene. Queste sono le situazioni già emerse. Il nostro pensiero era: perché dare modo a Zero di tenerci in pugno svelando i nostri segreti quando e come preferisce, mentre potremmo invece confessarceli tra di noi adesso? Ve la sentite?”.

   
 
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