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Autore: Cathy Earnshaw    07/07/2016    1 recensioni
La Terra dei Tuoni è un luogo popolato da creature magiche ed immortali, e una convivenza pacifica non è facile. L'equilibrio è fragile, la pace è labile e soggetta alle brame di potere. E quando i Draghi attaccano la capitale del Regno dei nani, questi reagiscono con violenza, ponendo i presupposti di una nuova guerra.
Nota: Tecnicamente "La guerra dei Draghi" è il prequel di "La Cascata del Potere", anche se la scrivo ora, a "Cascata" conclusa. Le trame non hanno grossi punti in comune, perciò l'ordine di lettura non deve essere necessariamente quello temporale.
Buona lettura!
Cat
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Capitolo 10
La lettera misteriosa
 
 
Glenndois indossava già la sua armatura da cavaliere quando si presentò dal Re, che lo attendeva nel cortile principale. Horlon lo guardò con una punta di ansia e una di invidia, ma decise di non dire nulla che potesse suonare sconveniente alle orecchie ipersensibili di suo fratello. Anche se dentro di sé era dilaniato dalla preoccupazione, si limitò a sorridergli.
«È tutto pronto» esordì Glenndois. «Se partiremo ora, saremo a Class entro il tramonto.»
Horlon continuò a tacere, in attesa di trovare le parole giuste. Non poteva dire di essere d’accordo e di ritenere quel distaccamento una manovra saggia. Non poteva dire che fornire Class, situata sulla sponda sud-orientale del Lago di Nebbia, di un plotone di elfi, avrebbe reso la zona più sicura. Soprattutto non poteva dire a Glenndois di badare a sé stesso e di non rimetterci le penne senza fare la figura dell’idiota davanti alle proprie truppe.
«Magari non saremo di alcuna utilità, ma avremo uno sbocco aperto verso il nord-est, che al momento è lasciato al suo destino» disse Glenndois.
«Bearkin non ha ancora attaccato il nord-est» osservò Horlon.
«Non ancora, infatti. Ma è meglio tenersi pronti.»
Horlon sospirò. La corona non gli era mai pesata così tanto sul capo.
«Ti affido i miei cavalieri, fratello. Abbi cura di loro e di te stesso» disse infine.
Glenndois non si scompose davanti alle sue parole, e d’altra parte il fratello emotivo era sempre stato il maggiore. Senz’altro aggiungere, il Generale volse il cavallo e diede segnale di partenza alle sue truppe. Il Re non poté fare altro che osservare suo fratello che se ne andava, lasciandolo solo con il peso delle responsabilità.
«Ehi.»
Horlon si guardò alle spalle. Nastomer lo osservava con l’aria colpevole di chi sa di aver visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere.
«Ragazzo» salutò l’elfo. «Cerchi me?»
«Aha! Storr voleva essere sicuro che tu non rincorressi le truppe, coprendoti di ridicolo. Parole sue, giuro!» aggiunse, sulla difensiva.
Horlon rise.
«Ti confesso che c’è mancato poco! Credo di avere bisogno di un caffè prima del Consiglio.»
«Ti faccio compagnia» disse Nastomer.
 
Horlon prese un respiro profondo e l’aroma del caffè gli riempì lo stomaco prima della bevanda stessa. Aspettava pazientemente che il ragazzo sputasse il rospo, perché era evidente che avesse qualcosa da dire e che il caffè non gli piacesse per niente.
«Quello che beveva mia madre era meno amaro» disse infatti.
«La mia ci metteva il latte» disse l’elfo.
Nastomer rimase a fissarlo stranito per un attimo, e Horlon ghignò.
«Anche gli elfi hanno dei genitori, sai?»
«Sì, immagino, ma… Cioè, scusa, ma no riesco veramente ad immaginarmela!»
«Immagina di vedere Glenn con le tette!» Nastomer scoppiò a ridere. «È morta da molti anni ormai. Mi chiedo che cosa penserebbe di noi, oggi.»
«Me lo sto chiedendo spesso anch’io della mia» disse tornando improvvisamente serio.
«Sarebbe orgogliosa di te, Tom. Per quello che conta, io e Storr lo siamo.»
Nastomer lo guardò di sottecchi, e l’elfo notò come la timidezza stesse scomparendo, sostituita dalla fiducia in sé stesso che tanto gli serviva. Poi si portò la tazza alle labbra e la svuotò.
«In realtà era di altro che avrei voluto parlarti» disse.
Horlon puntellò i gomiti sul tavolo e si mise in ascolto. Nastomer prese un respiro profondo.
«Sinceramente fino a pochi giorni fa mi sentivo una zavorra… Ma dopo quello che ho scoperto di poter fare, dopo Spleen, credo di non esserlo più. So che suona tremendamente presuntuoso, e so anche che il merito di ciò che ho imparato è tuo e di Storr…»
«Stai tergiversando?» domandò l’elfo mentre Nastomer si torceva le mani.
«No, no! …Un pochino, forse. Quello che voglio dire è che penso che avere simili poteri e non sfruttarli sia un delitto. Ci sono molte persone, molte città a cui potrei essere d’aiuto. Mentre qui…»
Horlon annuì. Si aspettava una simile istanza, anche se sperava che avrebbe tardato un po’ di più a giungere.
«Che cosa vorresti fare?»
Il ragazzo sembrò sorpreso della domanda ma non si scompose.
«Vorrei mettermi al servizio della gente. Quando ero un disperato in cerca di ospitalità, in molti hanno avuto il coraggio di accogliermi sotto il loro tetto e intorno alla loro tavola, anche senza sapere chi fossi e che intenzioni avessi. L’idea che quegli stessi tetti e quelle stesse tavole possano essere bruciate mentre io, qui, giocavo allo stregone, mi sta distruggendo.»
Horlon tacque.
«Ho anche il bisogno fisico di dirti che se il Consiglio dovesse decidere di appoggiare la richiesta dei nani, andrò con loro a sud. Non desidero sterminare i draghi, ma se non ci andassi sarebbe come uccidere con le mie mani tutti loro.»
«Capisco» mormorò Horlon.
Nastomer annuì.
«Bene. Volevo dirtelo prima che lo sapessi al Consiglio.»
«Ti sono grato per la tua premura» esitò. «Non sarò certo io a impedirti di fare ciò che ritieni giusto. Questa è quella famosa consapevolezza che desideravo acquisissi. Perciò se il resto del Consiglio ti darà il suo benestare sarai libero di dare soccorso a chi riterrai opportuno.»
Il ragazzo sorrise.
«Grazie.»
«Ne parleremo questa mattina?»
«Sì. Per questo ho preso un caffè!»
Horlon sorrise, grato di averne bevuto uno a sua volta.
 
Oliandro avrebbe tanto voluto concentrarsi sulla strada e sui possibili indizi del passaggio di Lantor, ma i continui sbadigli di Mark lo distraevano. Sarebbe stato comunque improbabile trovare tracce su una via battuta a distanza di tre giorni dall’accaduto, soprattutto se nemmeno Meowin era riuscita a trovare qualcosa. Il pensiero dell’elfa gli fece correre un brivido lungo la schiena. Quella mattina, Oliandro aveva raccontato ai suo compagni di viaggio del suo incontro con il figlio di un contadino interessato a scambiare informazioni. Aveva anche detto a Frunn che il suddetto affarista aveva espresso il desiderio di incontrare anche lui, e l’elfo si era barricato in un mutismo indignato sino a quando Oliandro non aveva accennato ai bellissimi occhi verdi dell’interessato. A quel punto aveva compreso che qualcosa gli era sfuggito e a fare uno più uno ci aveva messo un attimo. Frunn sapeva essere meravigliosamente intuitivo, a volte.
«Sei certo che dormire ti abbia fatto bene, Mark?» domandò dopo l’ennesimo sbadiglio del mago.
«Pensa se non l’avessi fatto.»
«Storr non vi addestra a dovere» disse Impialla.
«Pimpy ha ragione» concordò Oliandro.
«Ti ho detto di non chiamarmi così! Mi vergogno!» sbottò il nano.
«Siete delle brutte persone» borbottò Mark.
Oliandro scoppiò a ridere. Se non altro quel viaggio gli aveva procurato degli amici.
«Qui non c’è nulla» disse Frunn. «Ormai siamo quasi a Shiren.»
Aveva ragione. Non c’era modo di capire se fosse accaduto qualcosa a Lantor lungo la strada. Nella polvere le tracce duravano poco.
«Quando avremo parlato con il Tenente Eskin, forse, sapremo qualcosa di più» disse Mark.
«Ehi, mago!» esclamò improvvisamente Impialla. «Se governi l’Aria, non riesci a recuperare qualche informazione?»
Mark sospirò, ma il suo sospiro si trasformò in uno sbadiglio a metà percorso.
«Un mago di elemento Terra sarebbe stato più utile in una situazione simile. Forse sarebbe riuscito a ripercorrere la strada battuta da Lantor da Shiren in poi, e almeno avremmo saputo in quale direzione si è diretto.»
«I maghi d’Aria sono così inutili?» domandò il nano, deluso.
«Sentiamo tante cose, ma non è così semplice interpretarle» rispose Mark con la sua consueta flemma, come se neanche si parlasse di lui. «L’Aria trasporta moltissime informazioni, e a volte è come avere una folla che ti urla addosso in tutte le lingue del mondo… Un casino, insomma.»
«Lasciate perdere, c’è un comitato d’accoglienza» disse Frunn.
Oliandro alzò gli occhi dalla polvere della strada. Tre elfi a cavallo andavano loro incontro, e quando furono loro davanti quello al centro smontò, e lui fece altrettanto.
«L’ambasciatore, immagino» disse. «Sono Eskin.»
Oliandro gli strinse la mano.
«Piacere, Tenente. Sono Oliandro, e loro sono Frunn, Impialla e Mark dell’Aria. Siamo qui per conto di Sire Horlon.»
«Piacere mio. Spero di potervi essere d’aiuto, anche se in realtà non mi è del tutto chiaro il significato della vostra presenza qui.»
Oliandro sorrise cordialmente, anche se con tre parole Eskin era riuscito a stabilire il record di antipatia più immediata.
«C’è un posto tranquillo in cui possiamo parlare?»
Il Tenente annuì.
«Prego, seguitemi.»
 
Oliandro trovava sgradevolmente confortevole l’ufficio del Tenente. Shiren era una città piegata, devastata dal fuoco dei draghi, e l’ufficio di Eskin aveva persino le tendine alle finestre. Storse il naso. Fino a pochi giorni prima, dietro a quella stessa scrivania sedeva Lantor.
«Stiamo cercando di rimediare ai danni, ma come avete visto c’è poco che possiamo fare. Abbiamo interdetto la zona maggiormente colpita e stiamo mettendo in sicurezza le abitazioni recuperabili, ma temo che per Shiren non ci sia futuro.»
Oliandro spostò lo sguardo dalle tende all’elfo davanti a lui e si stupì della sua aria abbattuta.
«Siete dispiaciuto davvero» disse sorpreso.
«Vi sconvolge? Vivo qui da mesi e molte delle persone che sono morte erano amici» rispose piccato.
Frunn gli mollò un calcio discreto. Sì, d’accordo, era stato maleducato.
«Tenente, noi siamo qui per indagare sulla scomparsa del Capitano Lantor. Voi avete qualche idea di cosa possa essergli accaduto?»
Le spalle di Eskin si abbassarono.
«Anche Lantor era un amico. Vorrei davvero potervi aiutare, ma non è rimasta alcuna traccia del suo passaggio» si sfregò il viso con le mani. «Non appena ho avuto notizia della sua scomparsa, mi sono precipitato a cercarlo, ma quella strada è troppo battuta, soprattutto ora che stiamo facendo la spola tra qui e Lenada. Abbiamo trovato tracce di draghi, a sud, ma con i tempi che corrono non è né strano né infrequente.»
«Ho sentito dire che negli ultimi tempi il Capitano aveva intensificato le ronde nelle campagne» disse Oliandro ammorbidendo il tono. «C’era un motivo particolare?»
Eskin annuì.
«La notte dell’attacco a Shiren, i nostri aiuti sono stati ritardati da informazioni false.»
«Quali informazioni?» domandò Frunn.
«Un messaggio urgente diceva che un drago si stava dirigendo su Lenada. Abbiamo aspettato di mettere la città in sicurezza prima di spostarci con il grosso delle forze» sospirò. «Non c’era nessun drago e abbiamo solo sprecato un’enormità di tempo. Lantor era convinto che qualcuno avesse mandato quel messaggio con l’intenzione di farci ritardare i soccorsi, così ha intensificato i controlli.»
Oliandro cercò lo sguardo di Frunn, che ricambiò senza lasciar intendere nulla dei propri pensieri.
«E questo messaggio… era scritto a mano? Usava un gergo militare? Era formale?»
Lo sguardo di Eskin si assottigliò.
«Io non l’ho letto» disse lentamente.
«Chi l’ha fatto?» domandò Frunn.
«Lantor.»
«Solo Lantor?» incalzò.
«State sospettando di lui?»
Oliandro chinò il capo. Davvero molto opportuno.
Quando riportò lo sguardo su Eskin, il Tenente sembrava sul punto di andare in pezzi.
«Vedete, c’è un problema con quel messaggio…» mormorò.
«Come saprete, Sire Horlon ha convocato il Capitano a Cyanor quando ha ricevuto notizia dell’accaduto» lo interruppe Frunn. «Ho assistito al colloquio tra il Re, il Generale Glenndois e il Capitano. Le domande che Sua Maestà ha posto sono state precise e stringenti, e Lantor non ha mai menzionato il messaggio di cui parlate. Eppure l’avrebbe certamente scagionato da ogni sospetto.»
Eskin sbiancò.
«Ma quel messaggio c’è, io l’ho visto tra le sue mani! Non sto mentendo!»
«Non pensiamo che stiate mentendo, Tenente. Possiamo vedere quel messaggio?» domandò Oliandro.
«Lantor lo ripose con gli altri documenti nel suo studio di Lenada.»
«Allora credo che dovremo tornare là.»
«Vi accompagno» disse Eskin.
Oliandro esitò.
«Prima di rientrare vorrei visitare la zona interdetta. Ho contrattato informazioni con un contadino in cambio di alcuni documenti che non è riuscito a recuperare.»
«Auguri!» sbottò Eskin.
«Perché?»
«Non è rimasto in piedi molto, ma se pensate comunque di provarci, prego!»
 
La sala del Consiglio si era svuotata velocemente, e ancora una volta erano rimasti solamente Horlon e Storr a fissarsi da un capo all’altro del tavolo.
Il mago sospirò.
«Ho come la sensazione che il Consiglio abbia appena cessato di esistere» mormorò. «Glenn a nord, Frunn e Impialla a sud, Nastomer a Spleen… Erina aspetta un bambino.»
Horlon quasi cadde dalla sedia.
«Cosa?! Me lo dici così?!» esclamò.
Storr lo ignorò e proseguì.
«Presto anche lei lascerà il Consiglio. Se Kirik e Regen muoveranno davvero l’esercito verso sud, resteremo solo tu, Richard ed io.»
Horlon si alzò e andò a sedersi accanto al mago.
«Il Consiglio ha svolto e sta tuttora svolgendo la funzione per la quale è nato. Ha unito i nostri popoli e i nostri intenti, per quanto esigua, ha offerto protezione alle nostre genti. Forse la vita del Consiglio sta davvero per spegnersi, ma nulla di ciò che ha costruito andrà perso.»
Storr sorrise.
«Tu sì che te la cavi bene con le parole.»
«Tutta questione di allenamento.»
«Hai novità da Lenada?»
Horlon scosse il capo.
«A parte un rapporto sul viaggio, ancora nulla. Spero di ricevere qualcosa entro domani mattina, ma non sono ottimista su mio cugino.»
 
Nastomer osservava Selene con un filo di apprensione. Dopo che la seduta del Consiglio si era sciolta, si era precipitato a cercarla per dirle che sarebbe partito, preparato a grida e lacrime. Ma la ragazza aveva ascoltato le sue parole con la compostezza di una dama. E Nastomer si sentiva un’idiota: aveva pensato di significare qualcosa per lei, ma quel suo contegno l’aveva raggelato.
«Dove andrai per prima cosa?» domandò.
«Pensavo di tornare a Spleen, per vedere come si è evoluta la situazione. Il Consiglio mi farà avere aggiornamenti costanti sui nuovi attacchi e sulle richieste di aiuto.»
La ragazza annuì.
«Succedeva anche nel mio sogno. Immagino sia la cosa migliore da fare…»
«Non so se sia la migliore, ma se non lo facessi mi sentirei in colpa.»
Selene gli concesse un sorriso enigmatico, poi gli scoccò un bacio sulla guancia.
«Fai attenzione, Tom, e cerca di restare vivo almeno fino a quando non dovrai andare a Phia!»
«Cosa ti fa pensare che ci dovrò andare?» domandò confuso.
«Il mio sogno! Buon viaggio! Ora scusami ma ho un sacco di cose da fare!»
Si volse e corse via, lasciandolo lì impalato come uno stoccafisso.
 
Oliandro entrò con circospezione nella casupola diroccata. Non sapeva bene che cosa aspettarsi, ma Meowin non faceva né diceva niente per caso. Si augurava di trovare qualcosa di utile alla loro indagine, per lo meno. Quel viaggio si stava rivelando un’incredibile perdita di tempo.
«Sicuro di voler entrare da solo?» domandò Mark dall’esterno.
«Io di sicuro non lo seguo! Sono un nano, conosco bene la pietra e ti posso assicurare che quella cosa si regge in piedi per miracolo!»
Le voci sbiadirono. Oliandro sorrise tra sé, confidando che Frunn sarebbe riuscito a tenerli a bada per il tempo necessario. Anche se certamente Pimpy aveva ragione, quel posto non sarebbe rimasto su a lungo.
Attraversò una cucina domandandosi dove dovesse volgere l’attenzione per trovare qualcosa di utile. Al centro della stanza si ergeva una scala dall’aspetto sufficientemente solido e l’elfo la imboccò. Raggiunse una stanza da letto; in un angolo c’era un materasso coperto di calcinacci, sul quale svettava un plico di fogli stropicciati. Incuriosito, Oliandro si avvicinò. La prima pagina era coperta da una scrittura fitta e tremula, quasi indecifrabile.
Un cigolio della porta alle sue spalle lo indusse a voltarsi, ma prima di riuscire a completare il movimento fu aggredito da una figura che lo colse di sorpresa e lo bloccò contro la parete precaria. In una frazione di secondo, l’elfo si riscosse e reagì, liberandosi e immobilizzando l’assalitore.
«Mei?!» balbettò quando mise a fuoco l’elfa.
«Avrei potuto ucciderti» disse lei.
«Anch’io» rispose Oliandro chinandosi su di lei per baciarla.
«Mi piace questa accoglienza, ma non è il momento migliore» disse l’elfa allontanandolo.
«Lo so. Non dovresti essere qui! Stai mettendo in pericolo la tua copertura! Cosa ti è saltato in mente?»
«So quello che faccio» tagliò corto. «Com’è andata con Eskin?»
«Non vorresti chiederlo a quel mio amico carino?»
Meowin ghignò.
«Oh, Dodo è geloso, che dolce! Questo sì che fa bene al mio Ego!»
«È stato un colpo basso.»
«Te lo farei vedere io un colpo basso, se solo ne avessi il tempo!» sbottò. «Allora? Eskin?»
L’elfo represse gli istinti con un sospiro.
«Sembra a posto. Era amico di Lantor ed è abbastanza preoccupato, anche perché il Capitano è tornato molto nervoso da Cyanor e credo si senta in colpa per non averlo “soccorso” a tempo debito.»
«Sindrome della crocerossina.»
«Infatti. Altro non c’è, Lantor non ha lasciato prove. Ora andremo a Lenada, dove dovrebbe esserci una lettera che avvisava di un attacco che non si poi è verificato, la stessa sera della caduta di Shiren.»
Mei annuì, con aria assente.
«Non mi resta che andare a sud» mormorò.
«Preferirei non saperlo, quando lo farai» gemette Oliandro.
«Dodo, uno dei miei ha visto Lantor sugli Alti Nidi. Vivo.»
Oliandro trattenne il respiro.
«Ci ha traditi.»
«Temo di sì. Ma dobbiamo capire se è solo e di chi ci possiamo fidare.»
«Magari anche perché l’ha fatto…»
«Quello non è urgente.»
«Sospetto che il Re non la pensi così.»
Mei si strinse nelle spalle.
«Ho altre priorità. Ora usciamo di qui prima che questa catapecchia venga giù. Ricordati i documenti per il nipote del caro estinto!»
Oliandro prese con sé il plico scribacchiato e sospirò.
«Mei, stai…»
L’elfa gli si aggrappò alla nuca e lo baciò.
«Sì, sto attenta» sussurrò.
Poi gli assentò un pizzicotto sul fondoschiena e si allontanò.
«A stasera, elfo apprensivo. Esigo la presenza di mio fratello!» disse prima di scomparire nella stanza attigua.
Oliandro prese un respiro profondo, obbligandosi a non seguirla.
«A stasera» mormorò rivolto al nulla.
 
L’elfo trattenne a stento un moto di insofferenza. Dopo essere tornati a Lenada, Eskin li aveva trascinati nel quartier generale del suo plotone con la promessa di consegnare loro la lettera incriminata. Lodevole sforzo di distensione, se solo quella lettera fosse saltata fuori!
«Non riesco a capire… L’ho visto con i miei occhi metterla qui!»
Frunn si sistemò gli occhiali con un gesto nervoso.
«Siete certo che il Capitano non tenesse i documenti importanti in un posto particolare?» disse.
Eskin gli lanciò un’occhiata gelida.
«È questo il posto particolare.»
Frunn alzò un sopraciglio.
«Non mi sembra.»
Oliandro trattenne una risata isterica.
«E voi siete sicuro che quel pezzo di carta esistesse, non è vero?» domandò Mark.
«Andiamo, ragazzino» intervenne Impialla assestandogli uno scappellotto. «Il tenente è chiaramente in preda al panico anche senza bisogno che tu gli dia del visionario.»
Eskin alzò gli occhi al cielo e Oliandro si sentì in dovere di fare qualcosa.
«Io credo che quel messaggio non esista. Non più, per lo meno.»
«Sentite, non sono pazzo, io ho visto quel maledettissimo foglio tra le mani di Lantor!»
«Rilassatevi, Eskin. Quello che volevo dire è che quel presunto messaggio secondo me è stato scritto da Lantor stesso.»
Eskin sbiancò per poi diventare paonazzo nell’arco di pochi secondi.
«Come potete accusarlo di una cosa simile? È il cugino del Re!»
«È anche cugino mio, se è per questo! Spero che vi rendiate conto che la sua scomparsa è sospetta. Non una traccia, non un dettaglio, non un testimone, non una motivazione apparente… Soprattutto nessuna rivendicazione da parte di Bearkin. Andiamo, Eskin, non mi dica che si è bevuto tutto così, senza farsi domande! E dire che mi sembrava un tipo sveglio!»
Eskin si lasciò cadere sulla sedia con un sospiro sofferente.
«Non ci crederò fino a quando non avrò prove certe.»
«Credere nelle favole non vi porterà da nessuna parte» sentenziò Impialla.
 
Seduta al banco di quella squallida osteria, Meowin aspettava l’arrivo degli elfi. Non aveva grandi speranze che avessero qualche novità da riferirle, ma Dodo doveva consegnarle i documenti e chiudere l’affare. Sarebbe stata l’ultima occasione di salutarlo prima di partire per il sud. I suoi uomini riferivano che Lantor si trovava ancora là, sugli Alti Nidi, trattato con riguardo dai draghi e dallo stesso Bearkin. La porta cigolò e Meowin captò la voce di Oliandro. Tenne lo sguardo basso, in attesa che il mago e il nano prendessero congedo. Finalmente, Oliandro si lasciò cadere pesantemente sullo sgabello accanto al suo, e Frunn lo imitò.
«Una bionda?» domando l’elfo.
Meowin sorrise, sistemandosi meglio il berretto sulle orecchie.
«Se offri tu, sì.»
«Come vedi ho portato il mio amico» disse dopo aver ordinato tre birre.
«Lo vedo» disse l’elfa lanciando uno sguardo ammiccante a Frunn, che tossicchiò con aria imbarazzata.
«Da vicino è ancora più carino!»
Frunn arrossì e Oliandro ridacchiò.
L’oste servì loro i boccali alzando gli occhi al cielo e si allontanò.
«I miei documenti?»
Oliandro estrasse il plico e lo fece scivolare sul bancone.
«Spero fossero questi!»
«Precisamente!» esclamò. «Posso solo tentare di immaginare quali pericoli hai dovuto affrontare per recuperarli» disse con un sorriso sornione.
Frunn soffocò una risata nel boccale da cui bevicchiava con diffidenza e Oliandro la guardò storto. Dei, quando amava quello sguardo! Avrebbe dato qualunque cosa per una stanza al piano di sopra. Trangugiò una generosa sorsata di birra.
«Mentre tenti di immaginare potresti anche tentare di darmi qualche nuova informazione.»
«Ma come! Credevo che le mie informazioni non servissero più, oggi!»
L’oste passò loro davanti con una caraffa.
«Non tirare troppo la corda, ragazzino! Questi sono elfi importanti.»
Meowin sbuffò.
«Va bene, d’accordo, non c’è bisogno di essere così permalosi. Che cosa vuoi sapere ancora?»
«Tu eri qui la notte dell’attacco a Shiren?»
«Qui all’osteria?»
«A Lenada.»
«Ma va, io non abito qui! Qui ci sta mio padre!»
«E tuo padre era qui?»
Meowin si domandò dove stesse andando a parare. Tutte quelle domande gliele aveva già fatte. Cos’è che voleva dirle?
«Per forza.»
«Ed è vero che hanno lanciato l’allarme drago anche qui?»
«Sì» rispose cauta.
«Qualcuno l’ha visto, questo drago? C’era davvero?»
«Mio padre non l’ha visto. Nessuno dei miei parenti, in realtà.»
«Quindi forse non c’era?» azzardò Frunn.
Meowin si strinse nelle spalle. Quello che stavano cercando di dirle era che il messaggio che aveva messo tutti in allarme non si trovava? Quindi forse non c’era, per dirla alla Frunn?
«Sì, ve lo concedo. Quindi forse non c’era. Ma è un problema di voi elfi, non mio. Siete voi che avete dei difetti di comunicazione. Posso andare, ora?»
«Hai fretta?» domandò Frunn.
«Per quanto apprezzi la vostra compagnia, ho affari che mi aspettano a sud.»
«È una strada pericolosa quella che va a sud» mormorò Oliandro.
Meowin finì la sua birra e si alzò.
«Saprò cavarmela. Grazie della birra» disse prima di svignarsela.
Mentre scivolava fuori dalla locanda, la parte più meschina di lei sperò che Oliandro l’avrebbe fermata, ma naturalmente non lo fece, sapeva stare al proprio posto, accidenti a lui!
La notte era limpida e Meowin si incamminò verso la stazione di posta.




**********************
E si torna a pubblicare, signori e signore!
*Horlon stappa lo spumante*
 
   
 
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