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Autore: Mr Lavottino    08/07/2016    10 recensioni
STORIA AD OC
--- Sequel di Total Drama's Killer ---
Chris ha preso delle nuove "cavie" per i suoi giochi, questa volta li abbandonerà su un'isola deserta, dove dovranno sopravvivere a tutti i costi. Anche la resistenza è a conoscenza di ciò, di fatti cercherà di impedire al gangster di proseguire con questo scempio.
Genere: Horror, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altro personaggio, Chris McLean, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Bondage, Contenuti forti | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Total Drama's Series'
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Nihal camminava lungo il corridoio grigio, che ai suoi occhi appariva assai deprimente a causa della completa assenza di finestre, per andare a incontrare MClean che, pochi minuti prima, aveva mandato due suoi sottoposti a chiamarlo.
Gli avevano portato dei vestiti, alquanto semplici, un paio di jeans, una maglietta nera e un paio di converse rosse. Li aveva indossati senza badare troppo al tipo d’abbigliamento, infondo non gliene era mai fregato nulla di queste cose.
Era finalmente giunto, non senza qualche difficoltà, davanti allo studio del suo “nuovo capo”. Entrò senza nemmeno bussare, trovandolo a provarci con la sua segretaria. Non appena entrò questa si incamminò verso l’uscita, completamente imbarazzata.
- Non sei un po’ troppo vecchio per fare queste cose?- chiese, facendolo innervosire.
- Non sei un po’ troppo giovane per morire?- rispose a tono il moro, indicando la pistola poggiata sulla sua scrivania. Il rosso alzò le mani, come a voler indicare la sua sconfitta.
- Passiamo alle cose serie, perché mi hai chiamato qui?- fece il finto tonto perché, anche solo pensandoci un minuto, la soluzione era palese. L’altro aprì bocca più volte, prendendo aria e senza dire nulla.
- Beh, diciamo che ti voglio dare delle indicazioni.- Nihal si sistemò sulla sedia, interessato a quanto stava per dire – Iniziamo col dire che dovrai cambiare il tuo carattere. Sei troppo gentile e premuroso, ti voglio più freddo, ovvero come ti comporti quando non conosci nessuno e sei costretto a stragli accanto. Se vuoi proprio farmi felice basta che ti trasformi in “Black Nihal”, gli ho dato questo nome, favoloso non trovi?- si fermò, per dire quella cavolata, che mise depressione al rosso. – A parte gli scherzi, devi essere più cattivo. Per questo esperimento ho preso un “cast” un po’ particolare, soprattutto perché sono per la maggior parte femmine, quindi avrai un tuo harem, non sei felice?- questa battuta colpì Nihal nel profondo, che quasi cadde a terra.
- Ti prego, ho dei limiti anch’io. – Chris si limitò ad alzare gli occhi, ignorando quanto detto dal ragazzo.
- Insomma, ti stavo dicendo, dovrai essere un completo stronzo. Non mi interessa con chi, ma voglio che tu ti faccia dei nemici e che cerchi di mettere confusione nel gruppo, in modo da rendere il tutto più divertente. A proposito, ci sono anche dei parenti dei tuoi “vecchi amici” lascio a te il piacere di scoprire chi sono. Puoi andare, volevo solo dirti questo.- disse con fare sbrigativo, probabilmente perché voleva “divertirsi” con la sua segretaria. Ma il rosso non si mosse di un millimetro.
- Dimmi, MClean, cos’è questa storia della resistenza?- chiese, piegandosi in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia, per poi intrecciare le dita tra loro e fargli sostenere la testa. Chris si limitò a ridere, maledicendo la perspicacia del ragazzo.
- Cazzo, non ti si può proprio nascondere nulla, eh?- voltò lo sguardo, evitando di cadere in quello gelato del rosso.
- Sai, un altoparlante in cantina mi ha chiaramente detto che c’è un piccolo gruppo che vuole ucciderci e loro hanno Diana, quindi vorrei informarmi un po’ di più.- si rimise composto sulla sedia, in attesa della risposta del moro, che assunse la posizione che aveva precedentemente il rosso.
- Alcuni soldati dell’esercito canadese si sono opposti ai miei hobby e hanno creato un battaglione per contrastarmi, supponiamo siano una ventina circa. Ma non è così problematico. Nel caso riuscissimo a sterminarli ci assicureremo di lasciare la tua ragazza in vita. – Nihal si leccò le labbra, pensando a quanto appena sentito.
- Non solo lei, anche Keel, Damian e Rui. - lo guardò con uno sguardo superiore, come se non accettasse rifiuti da parte del moro.
- Va bene, farò il possibile ora vai.- gli fece gesto di andarsene con la mano, facendolo sorridere. Il rosso si limitò ad alzarsi e a uscire dalla porta, senza nemmeno salutarlo.
Cercò di tornare nella sua stanza, perdendosi numerose volte nei corridoi tutti uguali, e imprecando diverse volte. Giunse finalmente alla camera che gli avevano dato dopo che si era ripreso ed era guarito dalle ferite, borbottando vari insulti all’architetto del palazzo. Non appena aprì la porta un fascio di luce lo costrinse a coprirsi gli occhi, dato che oramai si erano abituati al buio del corridoio che aveva più volte attraversato.
Chiuse la porta alle sua spalle e poi, con dei movimenti lentissimi, si affacciò dalla finestra, osservando il panorama. Il sole stava tramontando, causando quella sfumatura arancione che tanto lo intrigava. Non gli erano mai piaciute queste cose romantiche, forse perché il suo “piccolo problema” lo aveva portato spesso a isolarsi dagli altri, facendolo sentire per lo più solo. Una cosa che odiava con tutto se stesso era far male alla gente, sempre se non strettamente necessario, perché poi i sensi di colpa si facevano sentire e, purtroppo, quelli non puoi picchiarli affinché spariscano.
Ogni volta che pensava a tutte le malefatte che aveva fatto durante la sua trasformazione, sentiva come un groppo in gola, che a volte rischiava di causargli nausea per una o più ore.
Perché sì, Nihal Barlow aveva una “trasformazione”, non come quelle degli anime o dei cartoni animati, ma di quelle cattive, l’essenza del male. Basta poco, un bicchiere di alcol, e la personalità del ragazzo sarebbe stata completamente stravolta, portandolo dall’essere un ragazzo taciturno, tranquillo e gentile al diventare tutt’un tratto egoista, bastardo e facilmente irritabile, cosa che lo portava sempre a fare almeno un ferito. E con le medicine era peggio, non poteva assumere nemmeno l’antibiotico, cosa che lo portava a stare a letto per diversi giorni aspettando che le influenze guarissero da sole o, per come quando aveva avuto la polmonite, all’assunzione di farmaci, il tutto dentro una stanza chiusa e con delle corde che lo legavano alla sedia, in modo da non far alcun danno.
L’unico motivo per cui avrebbe voluto vedersi in quello stato era per osservare i suoi occhi. Questi, ogni volta che assumeva farmaci o alcol, si scurivano, diventando di un blu scuro, colore che lo faceva impazzire. Già, perfino all’essere più spietato che conosceva invidiava qualcosa, era sempre stato così. Non diceva esplicitamente i suoi problemi, ma aiutava spesso e volentieri gli altri, cosa li aveva convinti che lui non avesse bisogno degli altri, e per questo invidiava gli altri, perché avevano una persona come lui che li potesse aiutare in ogni momento.
Tutto questo da piccolo perché dopo essere cresciuto aveva capito come vivere in questo mondo, o almeno come sopravvivere, perché l’esistenza di una persona è comunque fatta da ciò che pensano gli altri di te e da come appari esteriormente. E Nihal aveva giocato su questo fatto. Appariva come un bel ragazzo, gentile e socievole, mentre dentro era completamente nero. I sensi di colpa lo stavano corrodendo dall’interno ed era così spaventato dalla sua condizione che aveva perfino paura a tenerla per se, informando tutti, nella, bassissima, speranza che qualcuno potesse aiutarlo. Quando Rui aveva acconsentito alla sua richiesta d’aiuto era stato probabilmente il momento più felice della sua vita.
Alla gente importa dei soldi, della fama e della bella vita, ma per chi è malato, perché lui si sentiva realmente così, anche se ufficialmente non lo era, tutto ciò che vorresti  è guarire e, anche a costo di vivere nella miseria, riuscire a portare avanti la tua esistenza, in modo da non spegnerti come un fiammifero.
La pensava così, si era fatto tutto un ramo filosofico su ciò, cosa che gli aveva dato un’ancora di salvezza “Sono malato, devo cercare di guarire” era una menzogna, lo sapeva benissimo, anche perché evitando di assumere alcol o medicinali la sua vita sarebbe potuta essere normale. Ma i suoi demoni, quelli creati dal senso di colpa, quelli che fingeva di non vedere e che aveva nascosto dietro una spessa maschera, che era impossibile da distruggere, loro non se ne sarebbero mai andati, sarebbero rimasti li per sempre. E lo sapeva, non aveva possibilità di liberarsi di loro perché anche quando si era sentito estremamente solo, sapevo che loro erano li, con lui.
Questo suo obiettivo che si era prefissato serviva solo come scopo di vita, in modo da non avere un’esistenza monotona e priva di senso.
Chiuse la finestra di colpo, interrompendo i suoi pensieri e ridendo di quanto fosse stupido, demoni? Mostri? Era tutta nella sua testa, in realtà nulla di tutto ciò era vero. Però lo sapeva che anche tra solo cinque minuti avrebbe detto il contrario. Perché in fondo, anche se solo in minima parte, lui ci credeva.
Qualcuno bussò alla porta, facendolo voltare e portandolo ufficialmente a chiudere la questione. Entrò un sottoposto di MClean che, come aveva notato dopo averne visti un bel po’, erano tutti uguali, i capelli rasati a zero, occhi tappati dagli occhiali, alti e con delle uniformi nere. Questi si avvicinò al rosso e gli consegnò una lettera, per poi andarsene senza nemmeno dire una parola.
Si rigirò la busta tra le mani osservando la strana tonalità della carta, un rosso acceso, quasi come i suoi capelli, che non aveva mai visto su quei pezzi di carta, che solitamente erano bianchi o giallastri. Decise di non pensare a queste cose inutili, preferendo aprirla per guardare direttamente il contenuto.
Informazioni sulla seconda stagione. I concorrenti saranno tredici, tu escluso, e sarete lasciati su un’isola deserta a largo dell’Ontario. Le uniche strutture presenti sono i due alloggi, con un totale di quattro stanze, con dentro quattro letti per persona, e la cucina, già piena di cibo, in modo che non moriate subito.
Gettò la lettera a terra, ghignando. Per riuscire a tornare alla normalità doveva cambiare carattere, essere più spregevole e manipolare gli altri.
Sapeva cosa gli sarebbe successo se avesse svelato agli altri la verità, avrebbe fatto la fine di Hanako. Mentre rifletteva sulla situazione in cui si era cacciato, sentì un rumore provenire da dietro di se e, quando fece gesto di voltarsi, perse conoscenza.
 
Al suo risveglio si accorse di non essere più nella camera della residenza di MClean, ma bensì su una spiaggia. Si toccò la testa dolorante, sentendo il sangue che, fuoriuscito dalla ferita, iniziava a seccarsi.
- Porca puttana, poteva anche andarci piano.- lentamente si avvicinò all’acqua, per poi bagnarsi una mano e cercare di pulire la ferita. Strinse i denti con forza, cercando di non pensare al dolore, dato che aveva un enorme livido sulla parte destra del cranio.
Intorno a se non c’era nulla. Era su una spiaggia e, davanti a se, non vedeva nulla, probabilmente perché doveva essere isolata dal mondo. Si guardò intorno più volte, tentando di riuscire perlomeno a localizzare il punto in cui era stato lasciato, contando che Chris gli aveva detto solo che c’erano due o tre strutture, ma non il preciso luogo di collocamento.
Decise di andare a cercare gli altri, in modo da poter poi trovare il dormitorio. Iniziò a camminare, guardandosi intorno ogni tanto, come se avesse paura di venir aggredito. Non si sentiva a suo agio, qualcuno lo stava osservando. Non erano le telecamere, ne era sicuro, probabilmente un altro essere umano oppure, opzione estremamente peggio e alla quale volle far finta di non aver pensato, un animale selvatico.
Fece più attenzione a ciò che aveva intorno, tentando invano di capire da dove venisse quello sguardo. La spiaggia terminava a circa cinquanta metri da lui, per far iniziare la foresta, dato che vedeva numerosi alberi. Per di più c’era anche un’enorme collina che pareva come divisa a metà e che dava sul mare, un salto da lì e saresti sicuramente morto per l’impatto con l’acqua.
Si avvicinò agli alberi e camminò lentamente, come a voler far uscire fuori il colpevole, poi, all’improvviso, si fermò di colpo.
- Potresti smettere di guardarmi da lì e scendere da quel cazzo di albero?- un brusio si sentì dal fogliame dell’albero e, dopo pochi attimi, una ragazza scese giù con un salto, atterrando appena dietro al rosso. Questo si voltò per esaminare il volto della “spia”. Aveva i capelli castano scuri racchiusi in una coda, gli occhi verdi e un fisico snello. Indossava una canottiera verde che le arrivava fino al sedere, che oscurava la vista del cavallo dei jeans attillati di colore nero che portava. Lo guardò, ridendo, facendogli fare una faccia stranita.
- Oddio, che faccia che hai!- lo sfotté, irritandolo. Non era solo una sgualdrina che lo spiava da sopra un albero, ma pure una di quelle che si credono simpatiche.
- Stai zitta. Perché mi spiavi?- domandò, quasi gelandola con i suoi occhi celesti. Lei si limitò a ridere, portando il rosso sull’orlo della disperazione.
- Vedi una persona per la prima volta e questa è la prima cosa che gli chiedi? Direi che, prima di spiegarti le miei motivazioni, dovresti presentarti, dato che hai approcciato tu il discorso.- gli disse, incrociando le braccia e sculettando, come se fosse una cosa naturale da dire.
- No, non credo proprio.- tagliò corto lui, grattandosi la testa e facendola sbuffare.
- D’accordo, ho capito. Mi chiamo Sophia Young e ho diciannove anni, piacere di conoscerti. - sorrise chiudendo gli occhi, per poi tendere la mano verso l’altro, che la afferrò riluttante.
- Ehm, io mi chiamo Nihal Barlow, ventiquattro anni. – la castana rimase un po’ sorpresa da questa presentazione, soprattutto perché non era stato educato e la cosa la faceva imbestialire. – Bene, ora che ho avuto “l’onore”- si interruppe e fece il gesto delle virgolette con le mani, come a voler dire che non gliene fregava nulla – di fare la tua conoscenza, direi che posso anche andarmene.- si girò da tutt’altra parte, cercando di liberarsi il più presto possibile di quella strana tizia.
- Non ti interessa più sapere perché ti spiavo?- domandò, posandosi un dito sulle labbra e facendo un’espressione triste.
- No, passo.- rispose tranquillamente, per poi proseguire per la sua strada.
- Ah, che coincidenza, anch’io devo andare da quella parte!- gridò, con tono palesemente fittizio. Il rosso si diede un colpo sulla fronte per la disperazione, senza ricordarsi di avere un livido, cosa che lo portò a imprecare diverse volte. Quindi i due iniziarono ad avviarsi verso la montagna, in modo da poter avere la vista dell’intero luogo.
Nessuno dei due disse una parola durante il tragitto, soprattutto perché la faccia di Nihal inquietava Sophia, che aveva paura anche solo di dirgli qualcosa, dato che non pareva un tipo socievole. I due iniziarono ad entrare nella raduna, notando l’enorme quantità di alberi che vi erano presenti, tutti alti due o tre metri. Ma c’era qualcosa, o meglio qualcuno, che rovinava la vista del paesaggio. Seduta con la schiena contro un albero, una ragazza dai capelli rasta di colore rosso, probabilmente tinti, teneva un filo d’erba in bocca, mentre con gli occhi grigi guardava l’ambiente intorno a se. La sua faccia era piena di piercing, precisamente un anello al naso, una medusa tra il naso e il labbro superiore, uno sul labbro inferiore e l’ultimo, almeno sul volto, era un comunissimo piercing sul ciglio sinistro, che, anche senza sapere il motivo, al rosso ricordò vagamente Zarin. La sua pelle chiara quasi rifletteva la luce, anche se ne passava poca grazie al fogliame dell’albero a cui stava appoggiata. Il suo vestiario era a dir poco strano, una canotta nera e un paio di pantaloni multicolore molto larghi rispetto alla sua taglia. Oltretutto, unica cosa che il rosso apprezzò di lei, le sue braccia erano piene di tatuaggi.
- Meglio evitarla.- provò a proporre Nihal, quasi come se avesse paura di lei, ma non fece in tempo, perché la castana corse verso di lei, con una mano alzato e urlando come una pazza. – Porca puttana!- riuscì giusto a dire, seguendola.
- Ehi, salve! Io mi chiamo Sophia, mentre questo musone è Nihal. Piacere di conoscerti.- si sporse con il corpo in avanti, mettendo le braccia dietro la schiena e intrecciando le mani, così da non perdere l’equilibrio.
La rossa si limitò a muovere i capelli, mostrando un laccio verde che li teneva legati e alcuni piercing sulle orecchie, cosa che fece quasi ridere il rosso, visto che, dal suo punto di vista, sembrava una di quelle lavagne su cui appendono gli avvisi con le puntine.
- Non gridare, disturbi la natura.- disse, sgranchendosi le braccia e mostrando il suo seno che, secondo entrambi, era enorme. – Io sono Ines. – si presentò, per poi alzarsi in piedi e far vedere quanto effettivamente fosse bassa.
- Non pesano quelle?- domandò Sophia, indicando il seno dell’altra e guardandolo con una faccia stupita, facendo anche venir voglia al rosso di morire per l’imbarazzo.
- Mah, veramente si portano bene, è una quinta.- Nihal giurò di aver visto delle stelline negli occhi della castana, che cercò di contenersi.
- Vuoi venire con noi?- le chiese, facendo alterare ancora di più il rosso, che già ne aveva abbastanza di lei, con un’altra strana sarebbe stato ancora peggio. L’altra si colpì i jeans, in modo da far cadere la terra che vi era rimasta sopra mentre si era seduta.
- Va bene.- tagliò corto, facendo assai felice Sophia. Le due iniziarono una conversazione, cosa che fece felice Nihal, poiché in quel modo la castana non lo avrebbe disturbato.
Proseguirono nella direzione che i due avevano intrapreso e al loro obiettivo di raggiungere l’altezza della montagna si aggiunse il trovare altre persone, o almeno per Nihal era così. Sapeva perfettamente quante persone c’erano sull’isola e riunirle tutte sarebbe stato un modo più rapido per tenerli tutti sott’occhio. La foresta che stavano attraversando era piccolissima, tanto che dopo dieci minuti si ritrovarono in una raduna spianata senza nemmeno un albero.
- Chi cazzo è che grida così?- il terzetto sentiva, in estrema lontananza, due voci che, urlando, infastidivano alquanto il rosso. Si avvicinarono lentamente, per andare a controllare o, nel caso la cosa fosse stata seria, fermare i due. In lontananza si vedevano due ragazzi, uno palesemente di origini polacche, o comunque di quelle parti, dato che aveva la pelle chiara, i capelli biondi, degli occhiali che coprivano gli occhi, sicuramente celesti, e un fisico slanciato, mentre l’altro completamente il contrario: carnagione olivastra, capelli neri e occhi marroni. Anche il suo fisico era completamente diverso da quello del biondo, ovvero completamente asciutto. Il primo vestiva una giacca nera aperta, che rendeva visibile la canottiera bianca che aveva sotto, rigorosamente con collo a v, e portava dei jeans stretti, che fecero mancare il fiato a Ines, abituata a taglie molto più larghe della sua. Il secondo invece indossava abiti che, probabilmente, costavano più delle stesse case dei ragazzi attorno a lui. Una camicia di cotone pregiato, con i primi due bottoni sbottonati, dei jeans neri di pelle e degli stivali, anch’essi del medesimo materiale, che probabilmente una persona comune si sarebbe solo sognato. Oltre che al suo vestiario, anche i suoi accessori, tra cui spiccavano dilatatori d’oro e braccialetti d’argento.
Quando si avvicinarono poterono udire le voci farsi più forti, così da poter capire per cosa stessero discutendo.
- Non accetto che sia tu a fare da leader al nostro gruppo.- il moro incrociò le braccia, guardandolo con tono superiore.
- E perché mai, scusa?- l’altro lo guardava con faccia stranita, come se per lui questa discussione non avesse il minimo senso.
- Perché mi sembri un plebeo. Hai sangue nobile?- chiese, più per sfotterlo che per altro.
- Ma stai male?- rispose il biondo, quasi shockato da ciò che stava sentendo. La loro “discussione” fu interrotta a metà da Sophie che, dopo aver visto gli animi a quello stato, gli era corsa incontro con una mano alzata.
- Salve!- gridò, attirando la loro attenzione – Vedo che anche voi siete stati lasciati su quest’isola, posso sapere i vostri nomi?- domandò, con un sorriso stampato in volto. I due la guardarono, un po’ sorpresi, soprattutto perché non si aspettavano proprio che una ragazza a caso sarebbe intervenuta urlando come una pazza e interrompendo il loro discorso.
- Io mi chiamo Wiktor, ho diciannove anni, piacere.- le sorrise, porgendole la mano, che lei afferrò e scosse in su e giù.
- Non credo ci sia bisogno di dirvi il mio nome, io sono un nobile, non un plebeo ignorante come voi.- Nihal si avvicinò al ragazzo, sussurrandogli delle parole che gli fecero cambiare completamente atteggiamento. – Scherzavo, scherzavo, mi chiamo Kynaston Durward Cavendis, ma voi potete chiamarmi signor Cavendis.- un’altra occhiata da parte del rosso e cambiò nuovamente la frase – Scherzo, scherzo, chiamatemi Kynaston.- guardò Nihal, che scosse la testa in segno d’assenso.
- Bene, ora che so i vostri nomi, posso sapere perché stavate litigando?- chiese la mora, sempre con quell’irritante sorriso stampato in volto.
- Ma, tu non ti presenti?- fece notare Wiktor, che intanto si era seduto sotto un albero lì vicino.
- Oh, che sbadat!- si colpì la fronte, per poi riprendere il discorso – Mi chiamo Sophia Young, e loro sono Ines e Nihal.- presentò anche i due, che si limitarono a fare un cenno silenzioso al biondo.
- Bene. Questo tipo non vuole che io sia il leader del nostro gruppo perché dice che non ho sangue nobile.- guardò male Kynaston, che ricambiò l’occhiata.
- Gruppo? Ma se siete in due?- Ines, che fino a quel momento era stata in silenzio, si intromise nella discussione, facendo notare un particolare abbastanza importante agli altri due che erano con lei.
- Beh, in realtà siamo in tre, solo che lei è molto timida, quindi si è nascosta dietro quel tronco lì. – indicò un albero, dalla quale spuntava una ciocca di capelli rosa, che a Nihal ricordò Hanako, e già la cosa lo mise in subbuglio. Si avvicinò a lei lentamente, guardandola poi con sguardo sorpreso.
Capelli tinti i rosa, occhi marroni, che prendevano quasi un quarto della faccia come grandezza, un fisico da bambina di dieci anni, senza seno e senza nemmeno il minimo accenno di curve. Indossava una maglietta a maniche corte nera, con sopra varie scritte in bianco in una lingua a lui sconosciuta, probabilmente tedesco, visto che aveva letto la parola “Leben”, che significava vita e di cui lui aveva un tatuaggio sull’inizio del collo, dei jeans cortissimi, probabilmente di taglia per bambini di dodici anni, e delle scarpe altissime, con un tacco probabilmente di dieci centimetri. Per quanto Chris gli aveva esplicitamente detto di essere più freddo e di comportarsi in maniera distaccato dagli altri ragazzi, proprio non riusciva a ignorare le ragazza come quella, timide e indifesa, in un certo senso gli ricordava Diana, anche se lei aveva un aspetto sicuramente migliore.
- Ehi, perché non esci fuori?- le chiese, accovacciandosi accanto a lei. Questa si limitò a guardarlo con i suoi occhioni, mettendolo in soggezione. Non rispose, probabilmente per la vergogna. – Puoi dirmi almeno come ti chiami?- la ragazza si morse il labbro, cercando di abbattere quel muro di timidezza che aveva dentro.
- M-Mi chiamo Costance.- la sua faccia si tinse di rosso per l’imbarazzo, mentre al ragazzo quel nome ricordava qualcosa. Anche sua madre si chiamava così, ma era da talmente tanto che non sentiva parlare di lei, quindi l’aveva quasi dimenticato.
- Sai, anche una mia stretta conoscente si chiama così. - le sorrise amaramente, cercando di distogliere i suoi pensieri da quell’argomento. – Dai, andiamo con loro.- le pose la mano, che afferrò con timidezza, per poi aiutarla ad alzarsi e portarsela dietro.
Non appena Sophia la vide, le andò in contro, guardandola con uno sguardo ammaliato.
- Che ci fa una bambina qui? Ti hanno lasciata da sola?- il rosso poté solo poggiarsi una mano sulla fronte dalla disperazione, mentre la rosa si era nascosta dietro di lui, aggrappandosi alla sua maglietta.
- H-Ho diciotto anni!- mise il broncio, cosa che la fece sembrare ancora più adorabile agli occhi della castana. Anche Ines, che era poco più alta di lei, dovette ammettere che stentava a crederci. Per lo meno lei aveva delle curve da donna e un seno immenso, mentre l’altra pareva effettivamente una bambina di dieci anni.
- Dal momento che ci siamo trovati, cosa facciamo?- domandò Wiktor, concentrando l’attenzione su di se, cosa che fece arrabbiare Kynaston.
- Noi ci stavano avviando verso la montagna, così da poter aver una vista completa dell’isola.- rispose Nihal, facendo però fare una faccia strana al biondo.
- Come sai che Siamo su un’isola?- il rosso iniziò improvvisamente a sudare freddo, mentre Wiktor si levava gli occhiali, così da poterlo inquadrare meglio con i suoi occhi celesti.
- Beh, non ne sono assolutamente sicuro, ma è difficile trovare una spiaggia simile in Canada.- si inventò una scusa, cercando di essere convincente. Il biondo si limitò a ridere, rimettendosi gli occhiali.
- Già, l’avevo pensato anch’io. Comunque mi pare una buona idea. – fece per avviarsi verso la meta, venendo però fermato dal moro, che si oppose fermamente.
- Non farò ciò che degli stupidi poveracci mi ordinano.- incrociò le braccia, opponendosi fermamente, facendo irritare gli altri.
- Per me non c’è problema.- iniziò Nihal – Puoi rimanere qui.- lo stuzzicò, facendolo sobbalzare. Alla fine il gruppo, composto da sei persone, perché, per quanto cercasse di nasconderlo, anche Kynaston li stava seguendo, seppur con la scusa di dover andare casualmente dalla loro parte. Camminarono per un bel po’, fermandosi qualche volta per delle piccole pause.
- Certo che è davvero lontana, non mi aspettavo ci fosse tutta questa distanza.- Wiktor si asciugò il sudore dalla fronte, cercando di avviare una conversazione con il gruppo.
- In effetti è vero, poi fa un caldo allucinante!- si lamentò Sophia, afferrando la maglietta e muovendola rapidamente, per far passare un po’ d’aria al petto. Gli altri si limitarono ad annuire, con il solo scopo di arrivare alla vetta il prima possibile. A un certo punto sentirono un piccolo tonfo, che li fece voltare. Costance, seduta a terra, stava piangendo a dirotto. Il tacco della sua scarpa destra si era rotto, impossibilitandola a camminare. Kynaston si limitò a sussurrare un “lasciamola qui”, mentre Sophia, vedendo quanto era adorabile, rischiò un infarto istantaneo.
- Forza, salta su. – Nihal si accovacciò, facendole cenno di salire sulla sua schiena. La ragazza esitò, per poi aggrapparsi alle sue spalle e lasciarsi portare da lui. Il gruppo riprese la marcia, mentre la rosa, in evidente stato di imbarazzo, copriva la sua faccia comprimendosi contro la schiena del ragazzo, che dal suo canto pensavo solo a quanto fosse leggera.
Attraversarono una specie di oasi, dove c’era un laghetto e vari alberi e scoprirono, con loro sorpresa, tre strutture.
- Porca puttana, sì!- urlò Wiktor, scattando verso di esse. Si fermò davanti alla porta di quello che sembrava essere un dormitorio, pronto a entrare. Fece un profondo respiro e afferrò la maniglia. Non appena riuscì ad aprirla uno sguardo spaesato si dipinse sul suo volto: una ragazza si stava cambiando proprio in quel momento ed era nuda davanti al biondo, che sentì il suo volto tingersi gradualmente di rosso. Questa aveva i capelli bianchi, la pelle chiara e gli occhi celesti. Lo guardava con aria spaventata, prima ancora di realizzare che l’avesse appena vista senza vestiti.
- Maniaco!- gridò, tirandogli contro tutto ciò che trovava vicino a se. Wiktor cercò di schivarle tutte, venendo però colpito diverse volte a cuscini e da scarpe lanciate dall’albina. Nihal e Kynaston, vedendo che era bloccato sulla porta senza entrare, gli andarono dietro, vedendo anche loro lo “spettacolo” che il biondo aveva davanti. La ragazza iniziò ad urlare ancora di più, finché il polacco non la prese per la mano e la invitò a calmarsi.
- Calmati e, per piacere, vestiti!- le disse, mentre lei lo guardava con le lacrime agli occhi. Non ci mise molto, fece innanzitutto uscire tutti e tre i ragazzi e poi si vestì, mise una maglietta bianca con dei jeans rosa e delle comunissime scarpe gialle. Uscì fuori, sempre rossa in viso, notando come, assieme ai tre “maniaci” ci fossero altre tre ragazze.
- Come ti chiami?- domandò Wiktor, sedendosi sugli scalini della struttura.
- Miyu Suzuki, ho sedici anni e solo un idol. – Nihal, che la cosa che odiava di più al mondo erano le vocine delle ragazze giapponesi degli anime, mise la testa tra le ginocchia, sperando che non avrebbe mai improvvisato un concerto, ma cosa più importante, sentì un brivido sulla schiena, che lo portò ad avere quasi paura di parlare.
- Q-Quindi sei una duemila?- domandò, indicandola con la mano tremante.
- Sì.- rispose tranquillamente, notando lo stato inquieto del ragazzo, il quale si mise una mano intesta e iniziò a borbottare frasi senza senso.
- Me lo sento, questa volta mi metteranno in carcere, assolutamente, non ho scampo.- ripeteva, mentre il polacco aveva compreso appieno il suo problema ed era andato lì vicino per consolarlo.
- Non ti preoccupare,non lo diremo a nessuno.- cercò di calmarlo, mentre Miyu, inconsapevole del motivo per cui il rosso si sentisse così afflitto, ci rifletteva, con un sito sulle labbra e una faccia corrucciata in volto.
- Comunque, siete arrivati adesso?- chiese lei, mettendosi in punta di piedi per poter arrivare quanto meno alla spalla di Kynaston, che la riabbassò posandole una mano sulla testa.
- Sì, eravamo là. – Wiktor indicò un punto imprecisato della foresta a ovest, tanto per fargli capire dov’erano.
- Allora sarà meglio che vi presenti agli altri.- sorrise, facendogli l’occhiolino e facendo il segno della vittoria con la mano, il tutto mentre sollevava una gamba da terra, cosa che fece rischiare di vomitare al rosso, che già non ne poteva più di lei.
- Altri? Quanti, precisamente?- domandò Sophia, avvicinandosi alla ragazza, accarezzandole più volte la testa con la mano.
- Beh, fammi pensare.- assunse una posa che per tutti, a eccezione di Nihal e Costance, che la reputava insopportabile, fu carinissima – Circa sette.- rispose, facendo sempre quelle strane pose a fine battuta.
Qualcosa non tornava, MClean gli aveva esplicitamente detto, o meglio lasciato per scritto, che i concorrenti totali erano quattordici, lui compreso, quindi ancora ne mancava uno. Non ci si scervellò più di tanto, pensando piuttosto a seguire l’albina.
Sophia e Miyu conversavano allegramente, mentre il resto del gruppo se ne stava in disparte, preferendo non intervenire in quello strano dialogo, dove la castana chiedeva allegramente, con tono allegro e in modo allegro cosa si provasse a fare l’allegra idol, la quale rispose allegramente che era un lavoro allegro, mentre il non allegro Wiktor rischiò seriamente di farsi venire il diabete per colpa di questa conversazione troppo dolce.
- Fatele smettere!- implorava, mentre Nihal gli dava il suo supporto morale.
- Eccoci, siamo arrivati.- disse, sempre con quella faccia allegra e sorridente. Davanti a se avevano una struttura grande e imponente, di colore verdastro e con il tetto marrone. Non appena l’albina aprì la porta si resero conto di quanto tutto quell’enorme spazio fosse sprecato. Giusto due lunghi tavoli, da circa quindici posti l’uno, e due lunghissime tavole di legno che fungevano da sedie, inoltre il soffitto, alto circa quattro metri, aveva solo un lampadario che, a dirla tutta, non illuminava nemmeno bene.
Seduti a uno dei due tavoli c’era una combriccola di sei persone, per lo più femmine, che conversavano tranquillamente.
- Ehi, Miyu, ce ne hai messo di tempo! E quelli chi sono?- chiese un ragazzo, che si voltò verso di lei con sguardo stupito. Aveva una carnagione olivastra, gli occhi neri e i capelli a spazzola. Il suo “semplice” vestiario era composto da una maglietta bianca, un paio di jeans strappati e da un paio di scarpe da ginnastica.
- Dai, Santons, non dire così!- iniziò, muovendo la mano con sguardo imbarazzato – Loro sono sei ragazzi che ho trovato qui intorno.- la frase non fu delle migliori, soprattutto perché Costance e Kynaston si sentirono trattati come degli animali domestici smarriti, cosa che li portò ad accentuare il loro odio verso la idol. Li presentò rapidamente, facendoli completamente squadrare dal gruppo .
- Direi di iniziare con le dovute presentazioni.- un ragazzo dai capelli arancioni, occhi verdi e pieno di lentiggini prese la parola, come se si sentisse il capo del suo gruppo, mentre si aggiustava freneticamente il maglioncino bianco che gli ricadeva sui suoi jeans sbiaditi.
- Non mi risulta che nessuno ti abbia eletto leader, Julien.- una ragazza del gruppo obiettò le sue parole. Capelli lisci e castani, occhi color nocciola, pelle chiara e un sacco di lentiggini sulle guancie. Anche lei aveva un vestiario tendenzialmente semplice, cosa che mise ancora di più in risalto Kynaston, ovvero una maglietta elasticizzata nera e dei pantaloni del medesimo colore, presi probabilmente da una tuta. Julien, che odiava essere contraddetto, si alzò in piedi, pronto a replicare.
- Zitta Tessa, torna a fare la troia!- la castana si alzò in piedi, pronta a colpirlo in volto, ma venne fermata da una tipa alquanto strana, che la afferrò da dietro e la rimise a sedere. Essa era senza alcun dubbio una dark, dato che indossava vestiti scuri, come la giacca di pelle e la T-shirt che si vedeva sotto o i pantaloni, jeans nero notte. Anche il suo trucco era pesante, soprattutto attorno agli occhi, dato che, se li chiudeva anche solo per un istante, pareva che avesse due buchi neri al posto delle palpebre.
- Ah, lasciami Agatha, questa è la volta buona che gli spacco il muso!- iniziò a dimenarsi, pronta a cogliere l’occasione in cui la dark avrebbe abbassato la guardia.
- Senti, questa è, forse, la cosa più intelligente che abbia mai detto, quindi non rompere le palle e torna tagliarti con il seghetto.- una frase piena di acidità, detto, senza alcun sentimento, da una ragazza seduta vicino a Julien, che sorrise di gusto nel sentire quella frase, come se non sapesse di essere appena stato insultato. Continuava ad allontanare i capelli grigi, probabilmente un tempo biondi dato che il fondo dei capelli era di colore giallo, mentre con gli occhi azzurri osservava divertita Tessa, che non sapeva come controbattere all’insulto, soprattutto perché nulla avrebbe potuto far offendere la grigia, che probabilmente non aveva emozioni, anche se in realtà l’avrebbe attaccata al muro, anche senza un motivo, nel caso si fosse sentita insultata.
- Bene, quindi sedetevi che iniziamo.- Julien invitò i sette a sedersi, mentre lui si sistemava con comodo sulla tavola di legno a cui era appoggiato. – Inizia tu, Agatha, facciamo il giro in senso orario.- la dark annuì silenziosamente, prima di iniziare a parlare.
- Mi chiamo Agatha Smith e ho diciotto anni. - tagliò corto, facendo assumere a tutti un’espressione stranita.
- Dicci qualcosa di te, forza.- la intimò il rosso, ricevendo un segno di assenso silenzioso.
- Da quando mia mamma è morta di cancro, quando avevo dodici anni, ho dovuto aiutare mio padre a crescere i miei quattro fratelli e, per cercare soldi, ho iniziato a spacciare, cosa che mi è costata un anno di riformatorio.- Nihal la guardò, con volto poco sorpreso, del resto era simile alla descrizione di Louise, rapida e senza emozioni, e tra l’altro erano andati al riformatorio per lo stesso motivo. La parola passò alla castana di fianco a lei.
- Io sono Tessa Aiden, ma voi chiamatemi pure Tessa, ho diciannove anni. Mia madre e mio padre se la sono svignata non appena sono nata e sono stata adottata da una famiglia omosessuale. Poi ho ucciso il mio tutor perché aveva tentato di violentarmi e ciò mi ha costretta a fuggire di casa, impossibilitandomi a finire gli studi. Ho vissuto prostituendomi fino a qualche mese fa, anche se ammetto di averci preso gusto.- l’unica parola che riuscirono a pensare tutti fu “troia”, o almeno così pareva da come si era descritta. Un’altra ragazza, che ancora non aveva nemmeno parlato, si presentò timidamente. Aveva i capelli bianchi cortissimi, ancora più chiari di quelli di Miyu, e gli occhi, o meglio l’occhio dato che aveva una benda che copriva l’occhio destro, era di colore blu. Vestiva con una giacca in pelle e dei pantaloni lunghi fino alle ginocchia, sempre del medesimo tessuto. Al polso aveva de bracciali neri, probabilmente anch’essi di pelle.
- Mi chiamo Ace White, ho ventuno anni. Sono stata abbandonata dai miei genitori, che odio profondamente, in una strada della mia città, con la scusa di andare a fare la spesa. Poi mi sono successe altre cose brutte, che però attualmente non intendo dirvi.- fu molto poco dettagliata, cosa che fece innervosire Tessa, che era arrivata perfino ad ammettere un omicidio.
- Eh no, cara, ora ci dici tutto!- si alzò in piedi, quasi con la voglia di avventarsi contro di lei.
- Lasciala in pace. - Nihal, che di segreti ne aveva in abbondanza e che per di più non gradiva particolarmente la presenza di Tessa, prese le difese dell’albina, che si limitò a dargli un’occhiata.
- Ti sta bene? Potrebbe essere una tipa pericolosa.- lo informò, pensando di spaventarlo, ma senza sapere che lui, di tipi pericolosi, ne aveva visti fin troppi.
- Diciamo che non vedo perché dovresti alterarti per un motivo così futile. E soprattutto non mi risulta che qualcuno ti abbia obbligata a dire tutte quelle cose.- mise il gomito sul tavolo e appoggiò il viso sul pugno, come a voler far intendere di non avere voglia di continuare quelle, a detta sua inutile, conversazione. Toccò a Miyu, che si era seduta proprio al fianco di Ace.
 - Mi chiamo Miyu Suzuki, ho sedici anni e di professione faccio l’idol. Mi sono trasferita da poco in Canada, perché ho vissuto per quattordici anni in Giappone, però i miei genitori erano inglesi, quindi non ho tratti asiatici. Grazie al supporto dei miei amici sono riuscita a realizzare il mio sogno, quindi è solo grazie a loro se. – Julien interruppe il suo discorso, probabilmente annoiato.
- Bene, andiamo avanti, ora tocca a te. – indicò Costance, che tirò su le spalle cercando di farsi forza.
- S-Sono Costance Peterson, ho diciotto anni e.- fu interrotta da Tessa che,alzandosi in piedi, ebbe da obiettare.
- No, non è possibile. Tu non puoi avere diciotto anni. – la rosa si sentì offesa e iniziò a pianger, venendo calmata da Sophia, che stava al suo fianco, la quale la coccolò prendendola sulle sue ginocchia e invitandola a continuare.
- Sono figlia unica e ho avuto un’infanzia felice ma, dato che la ritenevo monotona, sono stupidamente entrata in un giro di sesso, droga e alcol, da cui sono uscita da poco.- Nihal rabbrividì, sentendo quelle parole. Nessuno, ma veramente nessuno, si aspettava che quella ragazza potesse avere dei precedenti penali, soprattutto perché non gli avrebbero dato più di dodici anni. la parola passò a Sophia, che iniziò a presentarsi, con il solito tono altro e allegro.
- Ehi! Sophia Young, piacere di conoscervi! Ho diciannove anni e sono inglese. Mio padre era italiano ed è sfortunatamente morto in un incidente d’auto, ma io, mia madre e mio fratello non ci siamo persi d’animo e abbiamo continuato a vivere, portandocelo sempre nei nostri cuori!- il suo modo di fare, così dolce e smielato, stava dando problemi di stomaco a diversi dei presenti nella stanza.
- Ok, ora ho il diabete.- Julien si toccò la pancia, seriamente scosso. – Passiamo avanti, tocca a l’hippie.- indicò la rasta con un dito, che rispose di rimando con un’occhiataccia.
- Mi chiamo Ines Watson e ho da poco compiuto diciotto anni. Ho iniziato a fumarmi le canne quando avevo sedici anni perché la mia vita faceva schifo. Sono stata in riformatorio perché ho “accidentalmente” pestato una di quelle puttane a una festa, mentre ero sotto effetto di cocaina, e perché ho partecipato a varie rivolte a favore della legalizzazione della cannabis e dell’adozione dei bambini a coppie omosessuali.- durante il suo discorso ci fu un silenzio tombale, sia perché la sua voce bassa non era del tutto udibile, sia perché in un certo senso quella ragazza metteva angoscia e paura.
- Bene, dopo questa bella storia, passiamo a te, rosso.- Tessa guardò Nihal, aspettando con calma che questo iniziasse a parlare.
- Io sono Nihal Barlow e ho ventiquattro anni. Ho vissuto una tranquilla vita all’insegna della felicità con i miei parenti, vivevamo in un cottage enorme a Montreal, finché io non mi sono trasferito a Toronto per andare all’università, che ho finito quest’anno. Non ho precedenti penali e, cosa molto importante, sono allergico all’alcol e alle.- fu interrotto a metà da Kynaston, che lo guardò con faccia quasi dispiaciuta.
- Che vita di merda.- abbassò la testa e iniziò a muoverla, mentre teneva le braccia conserte.
- Dicevo, sono allergico all’alcol e alle medicine. Ho finito.- finì il discorso guardando male il moro, che si limitò a ridacchiare sotto i baffi. Beh, il rosso aveva chiaramente inventato tutto. Non una singola cosa di ciò che aveva detto era vera, forse l’unica cosa veritiera era stata detta da quel ricco egocentrico, ovvero che la sua vita faceva schifo. In realtà a casa il rapporto era pessimo, perché una volta da piccolo bevve del vino e picchiò sua sorella e suo padre, cosa che portò la sua famiglia ad avere paura di lui, principale motivo per cui si era trasferito da Montreal. Inoltre non era allergico all’alcol, ma non voleva che glielo somministrassero e, tanto meno, voleva che scoprissero il mostro che si celava al suo interno. I suoi pensieri furono interrotti dal moro, che iniziò a parlare.
- Benissimo, io sono Kynaston Durward Cavendish, e sono un nobile, cosa che voi vi sognate. Quindi, dal momento che io sono di un grado superiore a voi, dovrete chiamarmi Sir Cavendish.- iniziò, il tutto tenendo una mano sul petto, come a indicarsi.
- Ma che cazzo ti fumi?- lo mise a tacere Tessa, guardandolo male e facendolo sentire in soggezione – Torna nella tua casa del cazzo e non ci rompere i coglioni, sfigato.- il moro si alzò in piedi, pronto ad attaccare verbalmente la castana, che intanto lo aveva imitato.
- Oh, il tuo status sociale è così da basso da dovermi rompere i coglioni solo perché sei povera?- chiese, facendo una vocina dolce, per sfotterla ancora di più.
- Ti spacco la faccia, testa di cazzo.- strinse i pugni, pronta a colpirlo nel caso la discussione fosse andata avanti.
- Dai, ti aspetto, però attenta a non sporcarmi la mia giacca da cinquecento euro con la due da due soldi. Che c’è non ti sei potuta prostituire abbastanza per comprarti degli abiti decenti?- questa fu la goccia che fece traboccare il vaso perché, dopo aver sentito quelle parole, saltò addosso al moro, sedendosi a cavalcioni su di lui e iniziando a picchiarlo. Il ragazzo, per difesa, la colpì in pancia e poi la tirò contro il tavolo, facendola cadere con forza sul legno con la schiena. Tessa iniziò a rigirarsi per il dolore, mentre Kynaston riprese tranquillamente il suo discorso.
- Dicevo, sono la persona migliore che possiate trovare sul globo e oltretutto ho più soldi di tutti voi messi insieme. I miei genitori sono morti quando io ero appena nato e sono stato adottato dalla mia dolce zietta Hyacitha, non essendo andato in carcere come la maggior parte di voi, perché io sono un ragazzo tranquillo, e poi anche se ci andassi non sarebbe un problema pagare la cauzione e uscire da li, non posso quindi parlare di spiacevoli avventure, quindi termino qui.- disse, notando che, accanto a lui, Wiktor si stava spaccando in due dalle risate. – Che cosa ti ridi, plebeo?- domandò, irritato.
- Ma che cazzo di nomi avete in famiglia?- riuscì a dire, tra una risata e l’altra. Il moro cercò di prenderlo per il collo, venendo però sbattuto a terra dal biondo. – Facile con le ragazze, eh?- gli sussurrò all’orecchio, facendolo incazzare ancora di più.
- Io sono Wiktor Nowak, sono un polacco di diciannovenne e da circa una quindicina di anni vivo in Canada. Il mio sogno è diventare giornalista, motivo per cui vado all’università. Ah, dimenticavo, sono gay. – fece l’occhiolino in direzione di Julien, che lo guardava sbiancato. Inoltre, tutto questo discorso, l’aveva fatto mentre ancora teneva la faccia di Kynaston compressa contro il pavimento.
- Bene, finalmente è arrivato il mio turno! Io mi chiamo Santos Mels e sono spagnolo, ma all’età di cinque anni mi sono dovuto trasferire qui in Canada. Mio padre era uno stronzo omofobo e quando ha scoperto che ero gay, mi ha picchiato e ha ucciso mia mamma che cercava di difendermi. Quindi sono scappato di casa. – si girò, notando che nessuno l’aveva minimamente ascoltato. – Ehi, mi avete sentito?- chiese, con il broncio.
- Sì, certo.- cercò di farlo felice Sophia, sorridendogli.
- Allora dimmi come mi chiamo.- chiese a braccia conserte, mentre la guardava arrabbiato.
- Carlos?- fu più una domanda che una risposta schietta, cosa che lo portò ad arrabbiarsi, ma fu interrotto da Julien, che prese la parola.
- Io sono Julien Greenhill, ho diciassette anni e sono un fiero canadese. Sono il rappresentante della mia classe e odio essere contraddetto, le due cose che mi piacciono di più sono i gatti e i cani, anche se gli altri animali non sono poi così. – Agatha lo fermò a metà discorso.
- Taglia corto.- gli disse, con una voce senza alcun sentimento. Il ragazzo la guardò malissimo, scegliendo con cura come rispondere.
- Tu hai fatto la tua presentazione? Bene, ora io faccio la mia. Stai zitta e non rompere.- batté i pugni sul tavolo, facendolo tremare.
- Bene, tocca a te. – Nihal indicò Loanna, ignorando platealmente il discorso del rosso.
- Non ho ancora finito.- gli fece notare Julien, guardandolo negli occhi, come a voler fare una sfida tra quelli celesti dell’altro e i suoi verdi.
- Guarda là. – indicò un punto imprecisato della parete, facendolo voltare.
- Cosa c’è?- chiese, curioso.
-Il gran cazzo che me ne frega della tua presentazione.- rispose, facendo uscire una risata a tutti, mentre Julien riusciva a fatica a tenersi calmo.
- Sentite, io inizio, tanto non me ne frega un cazzo ne di voi ne di questa fottuta presentazione. Sono Loanne Chamber, ho diciotto anni. La mia bellissima infanzia è finita nel momento in cui ho gettato mio fratello dalla finestra.- fu fermata da Wiktor, che la guardò male.
- Perché cazzo lo ha fatto?- chiese, tremando.
- Volevo vedere se volava.- rispose, con tutta la tranquillità del mondo.
- Mi stai prendendo per il culo?- domandò il biondo, sperando che fosse così.
- Cazzo avevo cinque anni e mi hanno rinchiusa per due anni in un ospedale psichiatrico.- tutti rimasero a bocca aperta.
- Oh, Gesù. – Tessa, che nel frattempo si era rimessa a sedere, si coprì il volto, pensando a come veramente avessero raggiunto il fondo.
- Ho anche dato fuoco alla casa e il mio obiettivo è riuscire ad ammazzare i miei genitori.- concluse, come se tutto questo fosse stato normale.
- A te manca qualche rotella.- suggerì Nihal, pensando a tutto ciò che aveva detto. Mentre la grigia si preparava a rispondere alle provocazioni, la porta si spalancò all’improvviso, mostrando la figura di un ragazzo. Aveva i castani a spazzola, gli occhi neri ed era incredibilmente alto. Portava una giacca nera da cui si poteva notare una T-shirt con un motivetto di fiori blu e viola, un paio di jeans neri e delle scarpe da ginnastica blu.
- Eh, così c’è qualcun altro su quest’isola.- disse con tono poco emotivo, entrando dentro, con le mani in tasca.
- E tu saresti?- chiese Wiktor, lasciando la frase in sospeso.
- Aaron Cleverty, ho ventuno anni. Se volete conoscere qualcosa di me, vi basta sapere che da piccolo ero obeso e sono stato vittima di bullismo.- si presentò rapidamente, per poi mettersi a sedere tranquillamente, come se fosse stato solo un membro della combriccola che era semplicemente andato in bagno e poi era tornato.
- Beh, lasciamo stare. Qualcuno sa dove siamo?- chiese Sophia, sorridendo come al solito.
- Campo estivo Wawankwa, almeno sull’insegna c’era scritto così. – disse Julien. Nihal rise amaramente, pensando che MClean era proprio un tipo stronzo.
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTORE:
Ecco a voi, il primo capitolo di Total Drama Jager. Ragazzi, sono 15 pagine di word, quindi vi chiedo di scusarmi il ritardo, ma i personaggi sono tanti e non volevo spezzare la presentazione in due.
Bene, ora vi saluto! Spero vi sia piaciuto il chappy.
   
 
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