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Autore: nikita82roma    08/07/2016    2 recensioni
La storia ricomincia qualche giorno dopo la fine degli eventi di The Memory Remains. Sembrava che l'azione congiunta di Gibbs e di Noah avesse portato tranquillità nella vita di Ziva e Tony ed invece non sarà così. Qualcuno, ancora una volta, tornerà dal passato perchè vuole una cosa che Ziva conosce molto bene: Vendetta. Si salveranno da soli o avranno bisogno di un aiuto inaspettato? Ma nel loro passato ci sono altre cose ancora rimaste in sospeso e arriveranno tutte a turbare una serenità che si illudevano di aver raggiunto, aprendo vecchie ferite e procurandole nuove, ma soprattutto obbligandoli a fare i conti con se stessi e le proprie paure e con la propria capacità di sopportare il dolore fisico e mentale. Long TIVA
Genere: Angst, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Anthony DiNozzo, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie '3 Years Later'
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… Remember when we used to look how sun set far away' 
And how you said: "this is never over" 
I believed your every word and I quess you did too 
But now you're saying : "hey, let's think this over"   …

- Gibbs! Cosa ci fai qui?
- Ti devo parlare Ziva.
Erano passati un paio di giorni dall’ultima volta che ci eravamo incontrati in obitorio e nè Gibbs nè Tony erano più tornati in ufficio, ma questo non mi aveva stupito. Lo ero molto di più dal vedere Gibbs a casa mia.
- Posso entrare? - Mi chiese risoluto. Mi spostai dalla porta e lo feci accomodare. Nathan appena sentita la sua voce gli corse incontro e Gibbs lo salutò affettuosamente. Dissi a mio figlio di andare a giocare in camera perchè dovevo parlare con il mio ex capo e lui accettò solo dopo la promessa di Gibbs che lo avrebbe portato di nuovo a costruire qualcosa con lui.
- Non so quando potrò mantenere la promessa - disse serio dopo che Nathan era andato in camera sua
- Lo sospettavo. 
- Ziva, devo darti una cosa da parte di Tony. Voglio solo che tu sappia che lui sta bene e che mi dispiace per quello che sta succedendo tra di voi. Non avrei mai immaginato o voluto che arrivaste a questo punto.
- Cosa vuoi dire Gibbs?
Mi prese la mano, l’aprì e ci poggiò la fede di Tony, poi la richiuse e strinse il mio pugno dentro la sua mano.
- Cosa significa? - Gli chiesi ancora. - Dov’è Tony
- Non ti agitare Ziva. Tony sta bene. È venuto da me due sere fa, dopo che vi eravate parlati da Ducky. Mi ha lasciato l’anello e mi ha detto di dartelo perchè così avresti capito quello che ti ha detto.
- Perchè non è venuto lui Gibbs?
- Perchè nonostante tutto gli fa male vederti così.
- Mi sembra una ripicca… - Dissi cercando di non lasciarmi andare.
- Tony è stato male in questo periodo, non te lo posso negare, ma lo sai anche tu. Ma non decide di porre fine al suo matrimonio per ripicca.
A quelle parole lasciai andare una lacrima. Pensarlo faceva male, sentirlo dire da altri era peggio. Rendeva tutto reale.
- Ho sbagliato tutto vero Gibbs?
- Hai sbagliato tanto, Ziva, ma non tutto. Alcune volte certe cosa accadono indipendentemente dai nostri sbagli. 
- Avrei voluto che tutto fosse diverso. Quando abbiamo saputo di Sarah eravamo così felici, Tony era così felice. Non doveva essere così questa volta, dovevamo viverla insieme.
- Tony ci sarà sempre per i suoi figli, di questo puoi stare sicura.
- Non sarà facile spiegarlo a Nathan adesso.
- Prenditi il tempo che serve. Ci parlerà anche Tony quando avremo risolto le questioni in sospeso e sarà più tranquillo.
- Gibbs, mi dispiace anche per come sono andate le cose a lavoro…
- Hai fatto la tua scelta.
- Dovevi fermarmi, sapevi che stavo sbagliando.
- Dovevi capirlo da sola, Ziva. Non l’avresti mai fatto in nessun altro modo, lo sai.

Gibbs se ne andò poco dopo, gli chiesi di rimanere ancora, ma mi disse che non poteva nemmeno lui fermarsi a lungo. Lo abbracciai stringendolo forte prima che uscisse e lui fece lo stesso. Avevo un tremendo bisogno di quell’abbraccio.
- Dimmi che andrà tutto bene Gibbs
- Farò il possibile perchè sia così. - Mi diede un bacio sulla fronte e mi accarezzò la guancia.  - Sarah è un bel nome.
Fu l’ultima cosa che disse prima che le porte dell’ascensore del palazzo si chiudessero. Ero rimasta sulla porta a guardarlo andare via, appoggiata allo stipite della porta. Sentivo che qualcosa quel giorno si era rotto, e non era solo il mio matrimonio.
Era stata una scollatura totale, c’erano loro e c’ero io. Non eravamo più noi, ero un corpo estraneo e l’avevo voluto io.
Mi chiesi se aveva ancora senso rimanere all’NCIS, rimanere anche a Washington, se forse non era meglio andarmene ancora, scappare, come sempre. Forse era l’unica cosa che sapevo fare, scappare, dalla mia vita e dal mio lavoro. Una vita in fuga, ma quali erano i motivi per rimanere ancora qui, se tutto quello per cui ero tornata non ce l’avevo più e non solo per colpa mia?

I passi veloci di Nathan mi risvegliarono dai miei pensieri peggiori. Non dovevo lavorare non era ancora ora di pranzo, dovevamo uscire, andare fuori, divertirci. Non potevo rimanere a casa a farmi invadere dalla negatività, non era giusto per lui. Lui era sempre stato la mia roccia, così piccolo e così indifeso, ma era così forte da tenermi ancorata sempre alla mia vita. Il senso di tutto.
- Amore mio, ti va di andare al Luna Park? - Realizzai dopo averglielo detto che non eravamo mai stati al Luna Park e non sapeva cosa fosse, mi guardò perplesso - Andiamo, è un posto dove ci sono tanti giochi da fare ci divertiremo tantissimo!
Ci preparammo e dopo poco eravamo già in macchina pronti per andare.
- Papà non viene? - Mi aspettavo quella domanda di Nathan e gli risposi la verità, papà era fuori per lavoro. Non era felice, piuttosto rassegnato, ma non fece storie. Rimase in silenzio per il resto del viaggio per arrivare al Six Flags America. Era uno di quei posti che avevamo programmato di visitare con Tony e andarci da soli sarebbe stato diverso, ma non dovevo assolutamente farlo pesare a Nathan.
Fortunatamente appena arrivati, vedendo le varie attrazioni, le luci ed i colori il suo umore cambiò subito e stargli dietro mentre correva da una parte all’altra non fu semplice. Mangiammo pollo fritto e zucchero filato sporcandoci tutti e divertendoci a impiastricciarci il viso e le mani sotto lo sguardo della gente che passava e ci lanciava occhiatacce ma non mi importava nulla. Nathan rideva e si divertiva e questo era tutto quello che era importante. Comprammo delle magliette del parco e ci cambiammo e lui era contento di essere vestito come me, anche se diceva che con quella maglietta un po’ troppo stretta si vedeva di più la sorellina. Così insistette per voler prendere anche una maglietta piccolina per lei, perchè così avrebbe avuto una maglia uguale alla nostra. Era la prima cosa che compravo per Sarah e ero entusiasta che l’avesse scelta lui.
Poi andammo insieme su varie attrazioni e sul trenino che faceva il giro di tutto il parco, ma quando in una giostra, potè andarci da solo, si sentì tutto orgoglioso. Lo guardavo ogni volta che passava e mi salutava con un gran sorriso e quando finì il suo giro scese venendomi incontro di corsa. 
Ci fu ancora tempo per un gelato e prima di andarcene passammo davanti ai banchi dei tiri a segno, Nathan rimase imbambolato a guardare bambini ed adulti tirare le palline ai barattoli e sparare ai bersagli tanto che insistette per farlo anche lui e mi prese alla sprovvista perchè tutto volevo tranne che giocasse con delle pistole. Non erano un gioco e doveva starci lontano il più possibile, però non volevo che diventasse triste, mi ero ripromessa di accontentarlo in tutto per farlo felice quel giorno e dovetti scendere a compromessi con me stessa, una cosa che non ero solita fare. 
Ci avvicinammo al primo banco del tiro a segno dei baratoli e qui constatai che quello era un mondo forse più maschilista di quello in cui ero abituata a vivere. Feci dare le tre palline a Nathan che provò a colpire il bersaglio più vicino, riuscendo infine a far cadere due barattoli. Non aveva vinto nulla, ma si sentì ugualmente felice perchè aveva fatto cadere ben due “nemici” e mi congratulai con lui. Poi mentre stavamo per andarcene e cambiare banco, vide che nella postazione vicina un papà aveva vinto un peluche per la figlia e Nathan cambiò subito espressione.
- Ne vuoi uno anche tu? 
Lui annuì e mi feci fare altre tre palline.
- Come funziona? chiesi all’uomo
- Una piramide peluche piccolo, due medio, tre quello grande. Ma visto il suo stato meglio che chiami suo marito. - Mi scappò un sorriso beffardo nel sentire le parole del gestore, un uomo sulla sessantina con una folta barba rossiccia.
Con ognuna delle tre palline tirai giù le piramidi di barattoli, sotto lo sguardo allibito dell’uomo e quello entusiasta di Nathan che potè scegliere uno tra i peluche più grandi, molto più grande di quello che aveva visto prendere alla bambina prima. Prese un leone e fui estremamente felice di aver dato una lezione al poco simpatico gestore, ma la cosa che mi riempì il cuore fu lo sguardo Nathan orgoglioso che mi trascinò, insieme al leone grande come lui, all’altra postazione dove c’era il tiro a segno con le pistole. Provai a dissuaderlo proponendogli di andare ancora a tirare ai barattoli ma fu irremovibile, voleva provare quello. 
- Ci sono i premi anche qui? - Mi chiese vedendo un dinosauro enorme sul fondo del banco.
- Sì. Ci sono i premi anche qui.
- E li possiamo prendere?
- Ci proviamo - gli risposi sorridendo
Si arrampicò sulla pedana per i bambini e fece capolino lo raggiunsi e chiesi all’uomo che gestiva il banco di preparare una delle pistole.
- Ehy piccolo, meglio se torni con papà così ti prende un premio lui. - Disse questo a Nathan che si voltò a guardarmi triste. In quel momento avrei tanto voluto avere la mia pistola.
- Ti fidi di me? - Gli sussurrai all’orecchio e lui fece di sì con la testa.
Stava dritto in piedi sullo sgabello, ancora un po’ troppo in basso rispetto al bancone. Gli diedi la pistola e fu un gesto che mi riportò alla mente tempi lontani, quando più grande di lui, anche mio padre fece la stessa cosa, ma non eravamo ad un Luna Park, non erano pistole finte e non stavamo giocando. Ebbi un brivido e la tentazione di togliergliela dalle mani, mentre vicino a noi altri genitori con altri bambini della sua età o poco più grandi giocavano con pistole e fucili come se fosse la cosa più normale del mondo. Forse lì ero l’unica che si faceva problemi per quello che stava mettendo in mano ad un bambino e probabilmente l’unica che aveva la reale coscienza di cosa era una pistola o un fucile e quali conseguenze portava, come un colpo poteva distruggere la vita di una persona e della sua famiglia, come ti può strappare l’anima dover decidere di sparare e togliere una vita per salvarne altre, come è il sapore della prima volta e come alla fine non lo senti nemmeno più. 
- Mamma?  - Nathan richiamò la mia attenzione
Gli feci vedere come doveva tenerla in mano e come prendere la mira, corressi la postura ed gli suggerii di tenerla ferma con due mani. L’uomo mi guardava ridacchiando, io lo guardai a mia volta con uno sguardo che se avessi potuto lo avrei incenerito, soprattutto quando si lasciò scappare un sorriso dopo il primo colpo di Nathan andato lontano dal bersaglio, il secondo andò meglio, ne sparò un terzo poi mi disse che non gli piaceva e preferiva le palline. Non sapevo se essere felice oppure no.
- Nathan, ma lo vuoi il dinosauro? - Mi rispose timidamente di sì, lo tirai su dalla pedana, mettendolo seduto sul bordo del bancone - Ok, adesso guarda. - Gli dissi sorridendo.
- Quanti punti servono per quel dinosauro lì? - Chiesi all’uomo
- 1000. Per ora ne avete fatto uno, ma si possono cumulare e potete ritornare.
Presi la pistola e scaricai i restanti sette colpi al centro. La feci ricaricare e di nuovo altri dieci colpi al centro del bersaglio. Nathan mi dava il cinque ogni volta che finivo i colpi. Alla terza volta che facevo tutti centri perfetti il gestore mi guardò male.
- Se vuole cambio postazione - gli dissi con aria di sfida e lui accettò, facendomi spostare da un’altra parte caricando un’altra pistola, ma il risultato fu identico e quello continuava a guardarmi odiandomi fortemente. Ormai avevamo fatto un capannello di bambini che mi guardavano colpire il bersaglio senza sbagliare un colpo.
- Se vuole cambio anche mano - gli dissi quando ormai mancavano pochi punti per arrivare ai fatidici mille e quello pensava che stessi scherzando. Il primo colpo volutamente presi un 9 e lui rise, poi con gli altri furono altri centri perfetti, per arrivare a 1000 punti precisi.
- Credo siano tutti. - Gli dissi posando la pistola per l’ultima volta. - Mio figlio vuole il dinosauro.
L’uomo lo prese e riluttante lo consegnò a Nathan che non riusciva a tenere entrambi i suoi trofei insieme, quindi mi lasciò il leone. 
- Mamma…
- Dimmi amore mio
- Ma papà è bravo come te?
- Un po’ meno, ma è bravo anche lui. - Gli dissi sorridendo mentre uscivamo dal Luna Park.
- Ti sei divertito oggi?
- Tantissimo!
Camminavamo nel parcheggio cercando la nostra auto e lui nonostante non lo desse a vedere era distrutto. Feci appena in tempo a metterlo nel seggiolino e legarlo e mettergli vicino i suoi trofei pelosi che si addormentò ancora prima di aver imboccato la strada per tornare a Washington.


Il fine settimana con Nathan era finito in modo nettamente migliore di come era cominciato con la visita di Gibbs ed il giorno dopo il Luna Park andammo al cinema e a cena fuori. Lo stavo viziando, ma in quei giorni ne aveva bisogno ed io più di lui. Eravamo tornati ad essere io e lui, come un anno prima ed in un contesto diverso, in una città diversa, dovevo ricreare quel legame totalitario che avevamo per fargli sentire meno la mancanza di Tony che spesso riaffiorava, soprattutto la sera. 
- Ziva, ti vuole vedere Vance. - Lisa tornata nella nostra stanza mi aveva portato il messaggio del direttore.Mentre stavo salendo le scale, mi chiama McGee e mi dice che non devo andare nel suo ufficio, ma nella sala riunioni vicino la stanza degli interrogatori.Appena aprii la porta rimasi sorpresa nel vedere chi era presente in quella stanza.

- Ciao Ziva
- Ciao Dani è bello rivederti. 
Dani Degas era al tavolo insieme a Vance, Gibbs, Glover e ad un paio dei suoi del Mossad, tra i quali non potei non notare l’ultima persona che mi immaginavo di vedere qui a Washington. Raphael Rivkin. Era il più piccolo dei tre fratelli, era ancora un bambino quando io e Michael avevamo cominciato l’addestramento ma lui aveva una vera e propria venerazione per il fratello. Voleva sempre seguire Michael in tutto quello che faceva ed imitarlo in qualsiasi. Ora che era cresciuto gli assomigliava, molto di più di quanto non assomigliasse a Gabriel. Raphael aveva lo stesso viso di Michael, con quella barba un po’ lunga che lo faceva sembrare più grande dell’età che aveva. Ci guardammo a lungo e lui mi sorrise timidamente, feci un respiro profondo cercando di camuffare la mia inquietudine.
Vance mi fece un cenno per farmi sedere, io cercai con lo sguardo Gibbs che annuì, quindi spostai la mettendomi nel punto del tavolo più lontano.
- Cosa significa questo?
- Vogliamo tutti la stessa cosa - mi disse Vance
- Non credo proprio Leon - risposi.
- Ziva, ha ragione il direttore. Vogliamo tutti la stessa cosa, anche io. - Raphael aveva preso la parola, aveva ancora la stessa voce dolce di quando era un ragazzino ed anche i modi erano gli stessi. Ma avevo imparato a non fidarmi delle apparenze, soprattutto quando c’erano i Rivkin di mezzo, anche Michael sembrava tutt’altro da quello che si era rivelato.
- Non credo che puoi volere la morte di Gabriel - gli dissi senza troppi giri di parole.
- Voglio fermare mio fratello Ziva, è pericoloso e si è schierato dalla parte sbagliata, cercando i nemici nelle fila sbagliate. Tu meglio di chiunque altro dovresti sapere cosa sto dicendo. Ho sperato fino alla fine che non fosse così, ma purtroppo Gabriel è fuori controllo. Tu mi puoi capire Ziva, lo so.
Guardai Gibbs che aveva lo sguardo fisso su di me. Sapevo che pensavamo entrambi alla stessa cosa, alla stessa scena. Sì, sapevo di cosa parlava Raphael e sapevo il suo conflitto interiore, ma non riuscivo comunque a fidarmi totalmente, non tanto delle sue parole, ma della sua forza di volontà. 
- So bene cosa stai dicendo, ma so anche quanta forza ci vuole. Non sono sicura che tu la abbia e che alla fine non ti tirerai indietro o peggio.
- Non posso convincerti delle mie intenzioni future Ziva, spero solo che crederai a chi mi ha portato qui e si fida di me. - Disse indicando Davi Degas.
- Ziva, noi vi lasciamo soli. - Disse Leo - Gibbs, tu vai che so che ti stanno aspettando per partire, Glover continua a seguire i movimenti del gruppo di Zain Thaqan, sono sicuro che quelle false piste che portavano in Turchia non erano così false, come ci hanno confermato anche a Tel Aviv - Davi annuì alle parole di Leon, quindi in tutta questa storia c’entravano anche loro - Hanno solo confermato dei miei sospetti con delle loro fonti, Ziva.
Leon ci tenne a rassicurarmi prima di uscire, se ne andò anche Raphael, lasciando me e Dani da soli.

- Perchè dovrei fidarmi Dani? - Gli chiesi quando la porta si chiuse alle loro spalle. Lui uscì dal tavolo spostando la sua sedia a rotelle e venne più vicino a dove ero io.
- Ho dato le mie gambe per te Ziva, penso di meritare un po' della tua fiducia anche se capisco che quanto accaduto nell'ultimo anno ti faccia dubitare un po' di tutti.
- Non ne avrei motivo di dubitare di tutti?
- Certo, quello che hanno fatto Tamar e Noah è stato vigliacco. Mettere in mezzo un bambino per un ricatto simili per assecondare le folli idee di Orli è stato meschino.
- Quindi sei vice direttore adesso… 
- Già, così pare. 
- Ad un passo dalla vetta.
- Passo che sai bene non farò mai. - Disse toccando le ruote della carrozzina - e non solo in senso fisico. Dicono che un direttore disabile non da un immagine forte e sicura dell’agenzia.
- Ti dispiace?
- No, sono arrivato più in alto di quanto pensassi, nonostante tutto.
- Nonostante me, vorrai dire.
- Non è stata colpa tua. È stata una mia scelta.
- Lo hai fatto per salvare me.
- Siamo vivi entrambi, vedo Ziva, no?
- Tu hai pagato un prezzo alto.
- Mai quanto sarebbe stato la tua vita. - Mi mise una mano sulla gamba e sospirò. - Ma non siamo qui per ricordare i bei vecchi tempi…
- Perchè sei qui allora?
- Innanzi tutto per dirti che quando vuoi tornare a casa tua, non c’è più nessun problema nè impedimento perchè tu possa farlo e ti assicuro che avrai tutta la protezione necessaria.
- Cosa vuoi dire Dani?
- Qui negli Stati Uniti non ti possiamo proteggere da Gabriel Rivkin, in Israele sì. E lo potremmo anche catturare più facilmente.
- Mi proponi di fare da esca tornando a Tel Aviv?
- No ti propongo di tenerti al sicuro fino a quando non prendiamo Gabriel. Non mi pare che sei nelle condizioni di rischiare troppo adesso.
- Poi cosa farai, mi proporrai di rientrare nel Mossad? Ricominciamo da capo Dani?
- No. Non te lo chiedo, perchè so che non lo vuoi. Non ti voglio forzare a fare niente, io non sono come loro. Voglio solo che tu stia al sicuro e sono venuto qui per assicurarmi che tu lo fossi. Che lo fossero anche i tuoi figli. 
- C’è Nathan, va all’asilo qui, si è ricostruito adesso il suo equilibrio…
- Nathan torna a casa Ziva, non può sconvolgerlo questo.
- Tony… 
- So tutto di Tony Ziva, ho parlato con Gibbs prima, in disparte ovviamente. So del tuo matrimonio e di quello che stai passando adesso, non credo si opporrà, magari sarà anche meglio per lui non averti vicino… Pensaci Ziva…

 

 

NOTE: Innanzi tutto mi scuso per il ritardo. Questi capitoli sono un po’ di raccordo per quello che accadrà e per me non sono facilissimi da scrivere cercando di evitare di farli noiosi, quindi mi sto prendendo un po’ più di tempo, sperando di riuscirci, quindi se avete consigli o opinioni in merito sono bene accette.

Altro capitolo tutto Ziva centrico. Prima il confronto con Gibbs che lascerà sicuramente delle scorie che troveremo più avanti, poi la giornata interamente madre/figlio, che porta Ziva anche a fare delle riflessioni sul suo ruolo di genitore e chiedersi in una cosa che potrebbe sembrare così insignificante come comportarsi, ma che per lei ha invece un senso molto più profondo per quello che è ed è stata. Però si riempie di orgoglio nel far felice suo figlio e prendersi la personale rivincita contro i gestori del tiro a segno che hanno evidentemente scelto la mamma sbagliata con cui fare gli sbruffoni e Nathan vede un lato della madre per lui inedito.
Dani Degas è arrivato a Washington con una proposta niente male...

Per quanto riguarda il titolo, è Tallulah
 una bella canzone dei Sonata Artica. vi lascio il link https://www.youtube.com/watch?v=zbQZkqzh9p8

   
 
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