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Autore: Doomsday_    09/07/2016    3 recensioni
- Future!fic -
Dopo cinque lunghi anni di pace, la fragile quiete di Beacon Hills viene nuovamente spezzata. Un nuovo nemico minaccerà di sottrarre al Branco quel che per loro conta più della vita stessa.
Dal testo:
"Il corvo la fissava silenzioso, gli occhietti intelligenti sembravano scrutarle l'anima.
Fu allora che le piume si tramutarono in gocce di sangue. Colarono lente e calde lungo il braccio di Lydia. Eppure lei continuò a carezzare quel grumo rappreso fatto di morte con un sorriso pacifico a rasserenarle il viso.
"
Genere: Angst, Fluff, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kira Yukimura, Lydia Martin, Malia Hale, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Settimo Capitolo









Jordan si accorse fin da subito che qualcosa non andava. Scott, Stiles e Lydia lavoravano come una squadra affiatata, nel modo in cui facevano sempre, ma c'era un gelo non indifferente nel loro modo di comunicare.
Scott era scuro in volto, Stiles tanto distratto che prestava più attenzione al display del proprio cellulare che al cadavere che aveva davanti, mentre Lydia era stranamente taciturna.
Lo Sceriffo fece più attenzione al volto di sua moglie e lo trovò pallido e smunto. Si teneva in disparte, soprattutto da Scott.
L'Alpha stava analizzando ancora il cadavere con sguardo clinico, quando disse: «Forse dovremmo semplicemente farci da parte, questa volta».
«Cosa vorresti dire?» chiese Stiles, con tono distratto. I suoi occhi erano nuovamente puntati sul cellulare.
«È evidente che questa storia non ci riguarda. Penso che il nostro branco non corra alcun pericolo. Il Darach ha aggredito te e Malia solo perché eravate nel bosco ad indagare. E anche in quella circostanza si è limitato ad un avvertimento, nonostante avrebbe potuto uccidervi», il tono di voce di Scott era grave, ma sicuro.
Stiles si concentrò sull'amico, rivolgendogli un'occhiata accigliata, sicuro che avesse capito male.
«Si tratta di omicidi, Scott. Di persone innocenti che vengono sacrificate nella nostra città. Come può non riguardarci?»,
«E se i nostri figli finissero in mezzo proprio perché non ci siamo fatti gli affari nostri?»,
«Inizi a parlare come Brett. Ma che ti succede? Sei tu quello che vuole salvare tutti, persino i nemici!» rispose Stiles, con un sorrisetto incredulo. Quello che gli stava dicendo sembrava uno scherzo: Scott non si tirava mai indietro.
«Facciamo un'ipotesi: se il Darach in questo momento andasse a casa tua per uccidere Jamie, solamente perché tu ti trovi qui, adesso, a indagare su una delle sue vittime, te la sentiresti ancora di andare avanti? Mh?».
Stiles lo guardò sbigottito e si volse verso Lydia, in cerca di sostegno, ma gli occhi della donna erano ancora bassi. Allora guardò Jordan, che tossicchiò appena prima di prendere parola.
«Vivresti davvero nel dubbio e nella paura, Scott? Il Darach è una minaccia e va eliminata, proprio come abbiamo sempre fatto», cercò di farlo ragionare, proprio come aveva fatto Scott quando era venuto a parlargli nel suo studio.
Ma Scott non gli prestò la minima attenzione, al contrario fissava Lydia che in tutta risposta preferì allontanarsi un attimo per andare in bagno.
Jordan la seguì cercando di essere quanto più discreto possibile e, una volta dentro, chiuse a chiave la porta del bagno per assicurarsi che nessun collega li disturbasse.
«Tutto bene?», chiese.
Lydia si lasciò andare a un lungo sospiro.
«Non direi proprio» mormorò, aprendo il rubinetto del lavandino per sciacquarsi le mani.
«Cos'è successo?».
«Non è affatto facile dover essere messaggero di morte di figli e mogli dei propri migliori amici» ironizzò con voce rauca dal groppo che le si era creato in gola.
«Ambasciator non porta pena», le ricordò Jordan.
«Invece sì, se c'è un Alpha arrabbiato che non ha con chi prendersela»,
«Scott lo sa che tu non c'entri nulla… Le visioni sono solo avvertimenti».
Lydia annuì senza troppa convinzione.
«Hai parlato anche con Stiles?» si informò Jordan.
«No… sarebbe come innescare una bomba»,
«Ma dovrai farlo, prima o poi».
Lydia sbuffò. «È come se fossi io a causarlo, Jordan. Vedere le loro morti le rende reali, possibili. Come posso dar loro torto se fanno fatica persino a guardarmi in faccia?»,
«Calmati, Lydia. Non è così, ti stai colpevolizzando inutilmente. È normale essere sconvolti»
le prese il mento tra le dita «Ti ricordi cosa mi dici sempre? Le morti non sono causa nostra. E si possono evitare. Quante volte abbiamo visto la morte dell'intero branco? Eppure siamo ancora tutti qua»,
«È che… sono i nostri bambini. È tutto così spaventoso» mormorò, abbassando il capo.
«Lydia… Ehi, guardami. Lo so… So quanto è difficile, ma dobbiamo restare in piedi» disse e le prese la mano. «Non mi lasciare solo proprio adesso. Ho bisogno di te».
Gli occhi di Lydia si sollevarono su di lui e Jordan si accorse che erano arrossati.
«E quando ero io ad avere bisogno di te? Per settimane non hai fatto che escludermi, a stento mi parlavi! Sei tu ad avermi lasciata sola!» sbottò la donna.
«Tu mi trovi sempre, Jordan. Quando sono in pericolo, lontana, persino quando sono persa nella mia stessa mente. Tu riesci a trovarmi. Ma adesso che mi sento davvero sola e perduta non hai neppure provando a cercarmi».
Jordan era così abituato a sentire Lydia parte di sé, che a stento si era reso conto che quel malessere crescente non era altro che la lontananza dalla sua Banshee.
E allora fece quello che si era privato di fare negli ultimi giorni a causa del senso di colpa: afferrò i fianchi di Lydia tirandola a sé e la baciò rudemente, con tanta foga da farla scontrare contro i lavandini alle sue spalle.
La aiutò a sedersi sul piano in marmo e Lydia si aggrappò con le gambe attorno alla vita di lui, sorpresa ma grata di sentire di nuovo il corpo di suo marito sul suo.
Jordan vagò con la mano sotto la sua gonna e strappò via i collant e gli slip, mentre Lydia trafficava con la fibbia della sua cintura e poi con la cerniera dei pantaloni della divisa.
Neppure per un secondo le diede occasione di interrompere quel bacio che stava per sfociare in un piacere molto più grande. Le strinse i glutei nudi con entrambe le mani spingendola con decisione verso di sé e Lydia sussultò, mordendogli il labbro inferiore, nel sentirlo finalmente dentro di sé.
«Trovami, Jordan» mugugnò contro le labbra di lui, per poi scendere a succhiargli il collo, mentre i loro bacini si scontravano sempre più rapidi.
Non aveva idea di come fosse potuto sopravvivere in quei giorni privi del contatto con Lydia. Senza il suo fiato caldo ad accarezzargli la pelle, l'odore dei suoi capelli e quei gemiti strozzati che risalivano dal fondo della gola come fusa.
Lydia si strinse a lui, come se fosse l'ultima cosa capace di tenerla a galla. Arpionò le unghie sulle spalle di Jordan e spalancò gli occhi.


 
***


Risvegliarsi fu come ritornare in superficie dopo essere stati a un passo dall'annegare. Malia annaspò facendo una lunga boccata d'ossigeno dall'odore pungente di naftalina e muffa.
Provò ad aprire gli occhi, ma le palpebre erano ancora troppo pesanti e si richiudevano ad ogni tentativo. Aveva la mente confusa, annebbiata, tanto da non sapere neppure dove si trovasse.
Ogni volta che provava a socchiudere gli occhi vedeva sprazzi di un ambiente poco illuminato, con pareti grige, disseminato di robaccia vecchia.
Delle voci in sottofondo iniziarono a ronzarle in testa come mosche morenti che allontanavano il torpore.
«Questa puttana mi ha rotto il braccio» fu la prima frase chiara che distinse. Era la voce di un ragazzo.
«Fatti un'altra iniezione di morfina e taci, idiota», ringhiò in risposta una voce femminile.
«Morfina? Ho bisogno di un medico! L'osso mi ha perforato la carne» fece un lamento sofferto, quasi un piagnucolio, poi continuò: «Se mi dessi ciò che mi hai promesso, allora…»,
«Ti ho detto di stare zitto!» lo interruppe la donna, con rabbia e allora Malia riconobbe la voce di sua madre. La voce di Corinne.
Passarono alcuni istanti di silenzio, nei quali si udirono solo i lamenti strozzati del ragazzo e un sinistro rumore metallico.
E allora Malia ricordò quel che era successo: Eichen House, la discussione con la Lupa del Deserto e infine l'infermiere che l'aveva aggredita alle spalle quando stava per salire in macchina e andarsene.
Lucas riprese la parola: «Non mi avevi detto che si trattava di una donna incinta».
«Che differenza fa?»
Seguì un breve momento di silenzio, poi Corinne esplose in una risata.
«Non fare quella faccia, ragazzino. Penserò a tutto io. Lei è mia».
«Ma devi sbrigarti: tra poco passeranno gli infermieri a controllare tutte le celle. Si accorgeranno subito che ti ho fatta uscire! Sempre che non lo sappiano già…» ora nella sua voce era ben udibile quanto si fosse pentito di aver creduto alle parole di un'assassina invasata rinchiusa in un Istituto di Igiene Mentale.
«Mi serve solamente il tempo necessario per risolvere il conto in sospeso che ho con mia figlia» sputò Corinne in risposta e dal suo tono non sembrava propensa ad accettare altre interruzioni dal giovane infermiere.
L'avevano legata ad una vecchia barella malconcia e arrugginita. La sua mente era più lucida e sentì le forze tornare lentamente in lei. Riuscì ad aprire gli occhi e a mantenerli vigili. Adesso vedeva chiaramente: erano ancora dentro Eichen House, in una stanza apparentemente utilizzata come magazzino per vecchie cianfrusaglie in disuso. L'unica luce proveniva da una lampadina che pendeva tristemente dal soffitto, neppure sufficiente per illuminare gli angoli dell'ambiente. Corinne si trovava nell'ombra, seduta su di un divano sgangherato a caricare il tamburo della sua pistola. Lucas, a terra accanto ai suoi piedi, annaspava tentando di tamponare il sangue che fluiva copioso dal braccio.
Il cuore di Malia iniziò a battere fuori controllo quando divenne davvero cosciente del pericolo in cui versava. Strattonò i lacci con cui le avevano legato braccia e gambe, ma il materiale non diede il minimo segno di cedimento.
Corinne se ne accorse subito e rise: «Prova quanto vuoi, tesoro. L'ho imbevuta con lo Strozzalupo. Non sono solamente gli strascichi del sonnifero, quello che senti»
«Liberami» boccheggiò Malia. Proprio come era accaduto nella foresta, iniziò a sentire le piccole contrazioni al bassoventre.
Corinne si alzò e le venne vicino. La fissò con uno sguardo di finto rammarico. «Ti verrà a cercare», la minacciò. Ripensò all'ultima volta che si era trovata in una situazione simile, dover sopravvivere all'istinto omicida di sua madre. Anche allora si sentiva sola, come lo era adesso. Ma non lo era mai stata davvero: Braeden era rimasta al suo fianco. Si permise un ultimo pensiero nostalgico alla mercenaria che l'aveva aiutata quando nessun altro avrebbe potuto farlo.
Nessuno sapeva dove si trovasse. Nessuno sarebbe potuto arrivare in tempo per fermare Corinne.
Era sola. Per la prima volta era davvero sola.
«Chi? Il tuo patetico maritino?»,
«Il branco».
«Ce ne sono anche altri? Altri mostri come voi?» si intromise Lucas e sia il terrore che l'eccitazione furono ben udibili nella sua voce.
«Molti» lo minacciò Malia «e tutti ben disposti a staccarti la testa dal collo».
Lucas si rivolse nuovamente a Corinne, il viso contorto dalla paura «Ho fatto ciò che mi avevi chiesto! Ora fai la tua parte» la pregò.
Si avvicinò alla Lupa del Deserto porgendole il braccio sano.
«Dammi il morso!».
Malia scoppiò a ridere «è questo che ti ha promesso?»
Il giovane infermiere la fissò: aveva il volto pallido e gli occhi cerchiati di rosso «Forza, velocità, istinto sviluppato. Sarei come un supereroe. Invincibile» biascicò. Sembrava sul punto di svenire.
Malia ricordò quando era entrata nell'atrio di Eichen House e l'aveva trovato seduto a leggere annoiato un fumetto su Spiderman e si permise di provare pena per quel ragazzo così ingenuo.
Per questo lo guardò con decisione e disse: «Ti ha mentito, Lucas. Lei non può trasformarti. Solo gli Alpha possono farlo e lei… lei non è niente».
Il calcio della pistola si abbatté con violenza sul suo viso, tanto veloce che non poté evitarlo.
«Stai zitta!» gridò Corinne.
Malia sentì il sangue caldo scivolarle lungo la guancia.
Poi il viso di sua madre si fece d'un tratto tenero e, con un sorriso, le carezzò lo zigomo ferito. Quei suoi cambiamenti d'umore repentini, inquietavano Malia ben più delle armi con cui la stava minacciando.
«Te lo avevo detto, amore di mamma, no? Te lo avevo detto che saresti tornata qui da me».
Gli occhi di Corinne si fecero vacui e iniziò a intonare una cantilena, mentre carezzava i capelli scuri di sua figlia.
Una smorfia di disgusto attraversò il volto di Malia.
«Smettila» sputò «Tu non sei mia madre. Non lo sei mai stata. Non toccarmi!».
«La piccola orfanella abbandonata da mamma e papà che non ha mai desiderato altro che una famiglia» la derise Corinne, con voce acuta e cantilenante, continuando a lasciarle buffetti sulla testa.
«Ti sbagli, stronza: ce l'ho una famiglia. Ho avuto un padre e una madre che mi hanno amata. Le persone che hanno scelto di restarmi accanto sono la mia famiglia. Il branco è la mia famiglia. Ma non mi aspetto certo che tu possa capire una cosa del genere»
«Provi pena per la mia condizione? Ti aspetti che mi penta per le mie decisioni? Oh, tesoro, l'unica cosa di cui mi sono sempre pentita è di non averti soffocata la prima volta che ti hanno messo tra le mie braccia».
«Non chiamarmi tesoro» sbottò Malia, con le lacrime agli occhi.
Come un flash ricordò la prima volta che aveva tenuto Jamie tra le sue braccia. Quel bambino che non era sicura di voler avere, così piccolo e indifeso che piangeva a pieni polmoni. Ricordava cosa avesse sentito e provato, ogni più piccola emozione le era rimasta dentro, indelebile.
E le sembrò impossibile che – davanti a qualcosa di così grande – qualcuno potesse restare insensibile. Nessuno, alla sua nascita, l'aveva guardata provando quelle sensazioni. E nessuno – con ogni probabilità – ci sarebbe stato per sua figlia.
«Sei diventata debole» Corinne le asciugò le lacrime, poi le accarezzò una guancia, fino ad arrivare a stringere le dita attorno al collo di Malia.
Strinse forte, facendo pressione sulla carotide. Il volto di Malia sbiancò velocemente e la sua bocca annaspò in cerca d'aria.
«Aspetta» disse inaspettatamente Lucas «Non farlo. Aspetta un attimo».
Corrinne si riscosse e lasciò andare la presa.
«Tranquillo, non è così che ho intenzione di ucciderla».
Malia tossì per riprendere fiato e Lucas approfittò di quel momento di distrazione della Lupa del Deserto per avvicinarsi a un lato della lettiga e tagliare via con un coltellino il nastro di tessuto che le legava le mani.
Malia ebbe solamente il tempo di guardarlo negli occhi, poi Lucas si allontanò nuovamente, passando inosservato. Le aveva appena regalato un'opportunità per sopravvivere.
Malia non ci pensò due volte: tirò fuori gli artigli e, rapida, recise anche il legaccio che bloccava l'altra mano.
Si tirò su a sedere, per raggiungere anche i piedi, ma si mosse troppo rapidamente.
Un'improvvisa fitta al ventre la fece tornare supina, a corto di fiato.
Corinne si avvicinò nuovamente a lei e le slegò i piedi, scuotendo leggermente il capo.
«Come devo fare con te? Sempre così combattiva... non ti arrendi mai, mh? Neppure davanti alla fine», ridacchiò «Alzati pure, tesoro. Non ho alcuna intenzione di ammazzarti senza prima combattere».
«Avanti, alzati! Alzati!».
Un verso sofferto sfuggì dalle labbra di Malia quando la Lupa del Deserto la strattonò per un braccio, facendola cadere dalla lettiga.
Atterrò su di un fianco e strinse i denti, per non darle la soddisfazione di udire un altro gemito di dolore uscire dalle sue labbra.
Corinne tirò fuori la pistola.
«Ti ricordi? Era esattamente così quella notte. E ora ti mostrerò come sarebbe dovuta andare a finire»
Le puntò l'arma contro e allora Malia si arrese. Non aveva le forze per alzarsi e non aveva la minima possibilità di affrontare Corinne.
«Uccidimi, ma salva almeno lei. Salva mia figlia, non c'entra nulla con tutto questo».
«Anche lei è un piccolo parassita, proprio come te!» sbraitò Corinne e la faccia le si chiazzò di rosso.
Riprese il controllo, respirando piano e quell'improvvisa vena di pazzia scemò. La infastidiva, capì Malia: parlare della bambina che portava in grembo infastidiva Corinne più del normale.
La Lupa del Deserto si morse le labbra e si forzò una nuova risata derisoria. «Ma sì, perché no: in fondo potrei farlo. Potrei spararti un colpo in testa e poi sventrarti per divorare la tua bambina. Detto mai che i Pawnee, alla fin fine, non predicassero il vero»
In Malia si affacciò ben visibile un senso intenso di vomito.
«Ti prego» mormorò quasi senza fiato. Si mise in ginocchio e alzò le mani in segno di resa «Ti sto pregando, Corinne».
La Lupa del Deserto si leccò il contorno labbra. «Guardati: sei patetica. Una donna devota alla famiglia, una madre che si prodiga per i propri figli. Sono quasi disgustata. Mi hai sottratto i poteri per cosa? Preparare pappette e cambiare pannolini? Saresti potuta essere l'Alpha di un branco tutto tuo. Avere il potere. E invece te ne vai ancora in giro con quell'umano e la sua prole».
Malia non si mosse di un centimetro. Non provò ad alzarsi nuovamente o a fuggire: rimase in ginocchio e attese.
Ma Corinne non si fece commuovere minimamente da un gesto del genere.
«Dovresti ringraziarmi: ti sto per liberare dal peso di questa tua insulsa esistenza» disse la Lupa del Deserto prendendo la mira.
«Un pezzo» sibilò, sparando un colpo «alla volta».
Malia si tenne la spalla ferita, tremando.
Corinne rise, puntando la pistola sul ventre di Malia e quest'ultima ringhiò con potenza, mostrando le fauci e gli occhi della bestia che era parte di lei.
Ultimo inutile tentativo di rivalsa, nonostante fosse a terra, sconfitta, incapace di muoversi. Corinne sparò il secondo colpo e Malia serrò gli occhi.
Eppure non sentì dolore, ma solo un urlo di sorpresa e rabbia. Una figura si era frapposta tra lei e Corinne, qualcuno che indossava una lunga veste rossa e una maschera di legno. Il Darach si era preso la pallottola al posto di Malia.
Per la prima volta Malia vide il terrore affacciarsi negli occhi scuri di sua madre.
Corinne sparò una seconda volta, poi un'altra, ma il Darach non indietreggiò neppure di un passo. Al contrario avanzò verso la Lupa del Deserto e la afferrò per la gola, sollevandola da terra.
Corinne guardò il suo aggressore, poi lanciò un'ultima occhiata a sua figlia e, senza più fiato, mormorò: «Morrigan».
Poi si udì il rumore secco di ossa che si rompono e la testa di Corinne ciondolò scomposta da un lato. Il Darach gettò il corpo senza vita a terra, come se stesse maneggiando un pupazzo di pezza.
La Lupa del Deserto era morta.


 
***


Lydia entrò nel seminterrato di Eichen House con la pistola dello Sceriffo già sollevata davanti a sé, pronta a sparare.
Sembrava determinata e inarrestabile, ma le mani le tremavano e agli angoli degli occhi aveva ancora alcune lacrime rimaste intrappolate nelle ciglia.
Guardò, confusa, Malia a terra sul corpo di Corinne e il ragazzo con il camice da infermiere che piangeva sommessamente, tenendosi stretto il braccio ferito.
«Lydia…» mormorò Malia incredula, nel vederla entrare, pur tenendo ancora stretta tra le sue la mano inerte di sua madre.
«Oddio» bofonchiò Lydia, senza riuscire a trattenere un singhiozzo «Sei viva».
Le andò incontro e si lasciò cadere accanto a Malia e posò la pistola per terra per poterla abbracciare.
Malia abbandonò il capo sulla sua spalla, senza riuscire a reagire e a ricambiare la stretta.
«Come mi hai trovata? Come sei riuscita ad arrivare fin qui?» balbettò.
«Ti ho vista, Mal. Stavi per morire e ho capito subito che stava succedendo adesso».
Malia sospirò nel sorridere «Sì, tu lo capisci sempre».
Lydia la strinse un po' di più e le baciò la fronte, prima di lasciarla andare.
«Stiles ha attivato il GPS al tuo cellulare, prima di uscire da casa. Siamo riusciti a trovarti solo per questo» sorrise appena e aggiunse «Alcune volte avere un marito paranoico può salvarti la vita».
«Lui è qui?» chiese Malia e il suo viso si fece terreo.
Come avrebbe potuto giustificare quanto fosse stata sciocca a voler vedere Corinne da sola?
In risposta alla sua domanda, udì l'eco della voce di Stiles provenire dal corridoio.
«Mani dietro la schiena e faccia contro il muro. In ginocchio!» seguito da lamenti e tonfi sordi «In ginocchio, ho detto!».
Poi fece irruzione nel seminterrato, strattonando uno dei dottori, tenendogli premuto la pistola contro la schiena.
«Questo è abuso di potere. Le ho già detto che non so assolutamente cosa…», ma la voce dell'anziano uomo si spense nel vedere il sangue a terra, l'infermiere ferito e il corpo senza vita di uno dei suoi pazienti.
«Per l'amor di Dio» bofonchiò.
Stiles lo lasciò andare non appena i suoi occhi incontrarono quelli di Malia.
La coyote si alzò in piedi, sentendo ancora le gambe instabili.
Si preparò ad affrontare Stiles. Sapeva che tipo di reazioni aveva suo marito in quelle determinate circostanze e perciò era pronta ad affrontare rabbia, urla, sguardi di gelida delusione o silenzi amareggiati.
Ma Stiles reagì invece nell'unico modo che Malia non avrebbe potuto sopportare.
Corse da lei e, con le lacrime agli occhi, la abbracciò.


 
***


Non era stato facile per Stiles e Parrish convincere Eichen House a non sporgere denuncia, ma alla fine erano giunti ad un compromesso piuttosto accettabile, anche se non propriamente legale.
Lo Sceriffo avrebbe mantenuto il silenzio sull'accaduto e sui loro dipendenti inaffidabili e in cambio l'irruzione del Vicesceriffo nella struttura privata non sarebbe stata denunciata.
Stiles rientrò in casa, stremato. Appese il giaccone e la cintura della fondina all'attaccapanni. Un dolce profumo di cucinato lo avvolse, risollevandogli un poco l'umore abbattuto.
«Malia?» chiamò, senza ricevere risposta.
Salì al piano di sopra, seguendo il suono delle risate di Malia e di Jamie. Li trovò in bagno, nella vasca, con la schiuma alta fin quasi sopra i bordi.
Jamie sguazzava in tondo, sorretto dalla madre, lanciando in alto la schiuma, oppure scansandola per poter fare le bolle con la bocca sul pelo dell'acqua.
Malia era poggiata contro l'angolo della vasca, i capelli tirati su in una crocchia scomposta frettolosa, alcune ciocche sfuggite ad essa le aderivano al collo, bagnate. Il seno e un accenno di pancia – contro cui Jamie si poggiava per richiedere una coccola in più – appena visibile tra le coltri di schiuma. Aveva il volto stanco, più corrucciato del normale, ma comunque felice nell'osservare i giochi di suo figlio.
Stiles rimase a lungo a guardarli, finché Jamie non si accorse della sua presenza ed esclamò: «Papà!», dibattendo le braccia nella sua direzione come se potesse afferrarlo anche da quella distanza, «Papà, guadda le bolle!».
Stiles rise e si avvicinò per baciarlo, incurante degli schizzi che i movimenti allegri di suo figlio producevano, bagnandogli l'intera camicia.
Ne approfittò per togliersela, la gettò a terra come anche i pantaloni e ogni altro indumento che aveva indosso. Si infilò nella vasca insieme a loro, ponendosi dietro Malia. La abbracciò, lasciando che si poggiasse contro il suo petto.
Le sfiorò con le dita le spalle, attento a non spostare la garza che copriva la ferita del proiettile.
«Dovresti stare attenta a non bagnarla», le disse. Con le mani continuò a seguire le curve del corpo di lei.
«Sta già guarendo» soffiò Malia in risposta. Si era irrigidita quando lui era entrato nella vasca, come se tutte quelle carezze le fossero improvvisamente sgradite.


Stiles tornò in camera quasi subito, Malia lo aspettava già sdraiata sul letto. Aveva la testa abbandonata sul cuscino, gli occhi chiusi, premendo con movimenti circolari la base della pancia. Il taglio sullo zigomo spiccava, ancora rosso, sul suo viso.
«È crollato non appena ha poggiato la testa sul cuscino», la informò Stiles, con una breve risata incrinata.
Malia non aprì neppure gli occhi.
«Cos'hai? Non ti senti bene?».
«Sto bene, Stiles», socchiuse le palpebre e fissò gli occhi in quelli del marito. «E tu stai bene?».
Stiles rimase in silenzio.
Malia sbuffò e si mise a sedere: «Santo cielo, reagisci. Fa' qualcosa. Urla, arrabbiati con me. Ma non fare finta che vada tutto bene. Tu non ti comporti in questo modo calmo. Mai» sbottò.
«Non ho intenzione di urlare, perché non sono arrabbiato» il suono monotone della sua voce irritò ancor più la donna.
Malia sollevò le spalle, con espressione incredula stampata in faccia «Vuol dire che non ti è importato nulla di quello che è successo oggi?».
Stiles inspirò profondamente e si grattò la barba come se così cercasse di impedirsi a rispondere.
Solo dopo aver deglutito a vuoto, gracchiò: «Sono entrato dentro quel posto con la certezza di trovarti morta».
Gli occhi di Stiles si arrossarono velocemente e le sue labbra si strinsero in una linea dura.
«Mentre arrivavamo, Lydia non è riuscita più a vederti. Ha singhiozzato per tutto il tragitto».
Malia sapeva come gestire uno Stiles paranoico. Ma quel Stiles che adesso aveva di fronte, Malia lo conosceva appena.
«Non sono arrabbiato, Malia. Sono distrutto», fece una lunga pausa, «Ma anche grato. Sei viva, stai bene e voglio solo concentrarmi su questo, perché so benissimo quanto stavo per perdere oggi. E credimi se ti dico che è solamente per questo che riesco ancora a guardarti in faccia».
Tremando dalla rabbia, si voltò per uscire dalla camera da letto, ma quando arrivò alla porta cambiò idea. Si passò una mano tra i capelli, poi tornò indietro, si tolse la maglietta e si buttò sul letto accanto a lei.
Nonostante tutto non voleva lasciarla sola.
Si ricordava ancora le prime volte in cui durante la notte trovava Malia nel suo letto. E allora si faceva stringere da lei per farla sentire al sicuro. Adesso si sentiva un po' così, perso e spaventato come lo era anche lei quando era tornata nella sua forma umana e aveva perso la sola casa che aveva conosciuto per otto lunghi anni.
Malia lo stava fissando, senza riuscire a dire alcunché, ma lui puntò con ostinazione lo sguardo sul soffitto.
Allora lei gli prese la mano e la poggiò sulla sua pancia.
Claudia si stava muovendo e in quel momento la sagoma della manina era ben visibile nel punto in cui premeva.
Stiles non poté fare a meno di voltarsi a guardare e un sorriso spontaneo si fece largo sul suo viso, poi si volse verso Malia e si sollevò sulle ginocchia. La baciò piano, in un modo dolce che divenne presto irruente. Le loro lingue si incontrarono e si lambirono in un bacio intenso che aveva il sapore di disperazione e di bisogno.
Con la mano, Stiles tornò ad accarezzarle la pancia, mentre le sue labbra si spostarono, prima sull'angolo della bocca, poi sulla guancia, sul taglio e poi giù a mordicchiare la pelle del collo, fino a raggiungere la garza sulla spalla.
Piccoli baci che riuscirono a strappare una risata a Malia. E lui sorrise a sua volta, nel guardarla.
Quell'espressione sconosciuta sul suo volto non c'era più.
«Ti amo», bofonchiò Stiles, con labbra tremanti. Malia sentì cuore di lui mancare un battito e si sporse per poterlo baciare un'altra volta. Non c'era nulla che riuscisse a renderla felice come quella semplice reazione involontaria che Stiles aveva ogni volta che diceva di amarla.
Stiles deglutì, riacquistando vigore alla propria voce «Ti amo da morire».






Angolo Autrice: Perdonate questo leggero ritardo, ma c'erano dei dettagli che non mi convincevano e per questo non sono riuscita a pubblicare in tempo.
In tutta sincerità continua a non soddisfarmi a pieno come capitolo, ma spero che lo apprezziate comunque!
Grazie davvero di cuore per leggere e seguire la storia con tanta passione! E soprattutto grazie per le vostre meravigliose recensioni!
   
 
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