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Autore: revin    10/07/2016    1 recensioni
La vita da reclusa è molto più dura di quella che Gwen avrebbe potuto immaginare, soprattutto in un penitenziario di massima sicurezza interamente dominato da uomini. Fox River è un inferno al quale sembra impossibile poter sopravvivere. Ma Gwen ha una missione da compiere... la vendetta.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Michael/Sara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cloe.
Come diavolo era venuto in mente a Keith di coinvolgere proprio lei? Tra tutti, proprio lei!
L’unica condizione che avevo preteso da quando tutta quella storia era iniziata, era stato che la mia famiglia restasse allo scuro di tutto. Informare Cloe sarebbe stato come indire una conferenza stampa. Mia sorella non era mai stata brava a tenere i segreti per sé, come avvocato non riusciva neanche a rispettare il segreto professionale che la legava al silenzio al di fuori della cerchia difensore – cliente.
Lei era un vero disastro, però c’era anche da dire che se fosse stata lei il mio avvocato, perlomeno avrei potuto rivederla. Non l’avevo più vista né sentita da quando avevo lasciato l’Italia.

Quel giorno fu Louis Patterson a scortare i detenuti appena usciti dalla stanza delle visite, nuovamente al Braccio A. Mancavano pochi minuti allo scoccare delle 15. Presto il secondo turno d’aria sarebbe terminato e i detenuti sarebbero stati costretti a recarsi alle rispettive postazioni di lavoro per restarci fino alle 17.
Mentre superavamo il corridoio del primo blocco per proseguire verso l’area riservata ai detenuti comuni, ci accorgemmo all’improvviso di una gran confusione e un vociare sempre più intenso che attirò l’attenzione di tutti. Proseguimmo, ma ben presto mi resi conto che doveva essere successo qualcosa. C’erano una gran quantità di uomini ammassati alle finestre in direzione del cortile, quindi ci avvicinammo anche noi. Solo allora mi accorsi di un’alta colonna di fumo in lontananza, sentii le sirene dei pompieri che facevano il loro ingresso a Fox River e capii che a creare quell’improvvisa confusione fosse stato un incendio. 
  • Louis, che sta succedendo?  -  chiesi alla guardia, non riuscendo a stabilire in quale edificio esterno si fosse scatenato l’incendio.
  • Non lo so, forza tornate in riga. Adesso!  -  ordinò il secondino richiamando l’attenzione del suo gruppo.
Scoprii poco dopo che ad andare a fuoco fosse stato il vecchio magazzino che si trovava nelle vicinanze della sezione psichiatrica. Il magazzino, negli anni era stato utilizzato come deposito di materiali di ogni genere, finché le guardie avevano finito col trasformarlo in una stanza riservata a loro.
Secondo indiscrezioni di corridoio, il magazzino era andato a fuoco a causa di una sigaretta mal spenta. Più tardi a mensa riempii il vassoio di tutto ciò che riuscii a recuperare, commestibile e non. Avevo così tanta fame che avrei potuto mandare giù un cavallo.
Avevo appena finito di recuperare posate di plastica e tovaglioli, quando una voce bassa e melodiosa mi fece sollevare gli occhi su un viso amichevole e luminoso, con l’ombra di un sorriso sulle labbra perfette.
  • Ciao.
Senza volerlo anche il mio viso si illuminò.  -  Michael! E’ da un po’ che non ci si vede.
  • Già, vedo che sei sopravvissuta alla rivolta. Lincoln mi ha raccontato che te la sei vista brutta. Adesso come stai? 
Risposi con una smorfia. La dottoressa aveva fatto un gran bel lavoro, medicandomi in modo tale che il mio viso non assomigliasse a quello di Frankenstein. Avevo qualche livido, ma tutto sommato potevo ritenermi fortunata. 
  • Ceni con noi?  -  riprese, indicandomi il solito tavolo in fondo alla sala.
  • Certo, perché no. 
Avendo notato Lincoln e Fernando seduti a quello stesso tavolo, avevo preso la palla al balzo. 
  • Non ti ho vista oggi durante le ore d’aria, dov’eri?
  • Non mi hai vista perché eri troppo impegnato a complottare col tuo amico mafioso. Avrei voluto raggiungervi ma, sai com’è, non volevo disturbare. 
Giunti al tavolo, salutai i due uomini già seduti e impegnati a mangiare e presi posto anch’io. Michael si sedette alla mia destra, nonostante la sedia libera accanto al fratello fosse proprio ad un passo da lui. 
  • Lincoln, volevo ringraziarti per quello che hai fatto l’altro giorno e scusarmi per averti lasciato da solo a cavartela con il gruppo di T-Bag… Ti devo la vita.
L’uomo annuì senza alzare gli occhi dal piatto.  -  Non l’ho fatto per te.  -  rispose freddandomi.  -  Mi sono semplicemente trovato lì con Bob quando T-Bag e il suo gruppo sono comparsi, e visto che avevo un conto in sospeso con quel verme, gliene ho scaricate un po’ addosso.
 
Era riuscito a gelarmi. Certo, forse avevo corso un po’ troppo con la fantasia pensando che Lincoln si fosse fatto massacrare di botte per salvarmi, ma non lo avevo sentito rivolgersi a me in quel modo neanche quando mi aveva conosciuta. 
  • Beh, ti ringrazio lo stesso.  -  dissi nascondendo la delusione,  prima di rivolgermi ai due inquilini della cella 40.  -  E a voi ragazzi, com’è andata? Dopo che è scoppiato l’inferno non vi ho più visti. Dove siete andati a nascondervi? 
Sia Michael che Sucre risposero con un’alzata di spalle.
A ben pensarci, era davvero strano che non mi fossi imbattuta in nessuno dei due mentre T-Bag mi trascinava per tutto il penitenziario. E adesso che ci riflettevo, non ricordavo di aver visto nemmeno Abruzzi in giro. Le coincidenze continuavano ad accumularsi.
  • Immagino ci sia sotto l’ennesimo segreto.  -  borbottai.
  • Guarda che qui l’unica che ha dei segreti sei tu.  -  esclamò Michael con uno sguardo furbo.  -  E a tal proposito, se non ricordo male, ce n’è uno di cui dobbiamo ancora discutere.
  • E’ vero, devi ancora spiegarmi cos’avete da spartire tu e John Abruzzi.
  • No, io mi riferivo ad una certa conversazione che abbiamo fatto nella tua cella qualche giorno fa. Ti do qualche indizio: c’era di mezzo un articolo e il nome di una giornalista ficcanaso.
Avevo capito perfettamente a quale conversazione si stesse riferendo e personalmente, ero intenzionata a negare fino alla morte, se questo fosse servito a convincerlo che si fosse sbagliato.
  • Ancora con quella storia della giornalista del Chicago Tribune? Secondo me hai preso una cantonata grossa come lo stato del Texas. Ho 24 anni Michael, vado ancora al college, secondo te come diavolo farei a lavorare come giornalista in una delle testate giornalistiche più importanti d’America?
  • Se sei davvero chi penso che tu sia, allora è possibile eccome.
La sua caparbietà era impressionante, daltronde avevo da poco scoperto che Michael fosse una sorta di genio pragmatico e incredibilmente riflessivo. Ancora non potevo credere di aver incontrato un tipo come lui a Fox River.
  • Scusate, credo di essermi perso…  -  intervenì Sucre, guardando sia me che Michael con espressione palesemente interrogativa.  -  Si può sapere di chi state parlando?
  • Lascia perdere amico, quando questi due iniziano a confabulare si capiscono solo loro.  -  sbottò Lincoln, alzandosi improvvisamente per allontanarsi insieme al vassoio.
Lo guardai lasciare la mensa, ma non riuscii ad interpretare il suo strano comportamento. Era andato via senza neanche finire di mangiare. Aveva svuotato il vassoio nel cestino e si era dileguato prima di chiunque altri quella sera. Due minuti dopo anche Sucre aveva lasciato il tavolo, allontanandosi.
  • Tuo fratello ce l’ha per caso con me?  -  chiesi, ormai rimasta sola insieme a Michael.
Sembrò spiazzato dalla mia domanda inaspettata.  -  No. Non credo almeno.
  • A te non è sembrato un po’ strano? Più del solito, intendo.
  • E’ solo preoccupato per suo figlio, non farci caso.
  • L-J?  -  Michael annuì.  -  Perché preoccupato?
Ebbi la sensazione che il ragazzo stesse per rispondermi, ma poi ci ripensò e la sua espressione mutò nuovamente, si fece triste.
  • Michael, non voglio fare l’impicciona, voglio solo sapere cos’ha Lincoln.
Tirò un sospiro.  -  Ieri Pope ha comunicato a Lincoln che la sua ex moglie e il suo compagno sono stati ritrovati nella loro casa senza vita… qualcuno gli ha sparato. Di L-J non ci sono tracce.
  • Oh mio Dio! E’ terribile…  -  esclamai sconvolta.  -  … ma che significa che di L-J non ci sono tracce?
  • La polizia crede che sia stato lui a sparare e che poi sia fuggito, ma è una follia. L-J non lo avrebbe mai fatto. Non era quel tipo di ragazzo. Lui adorava sua madre, non le avrebbe mai fatto del male.
  • Però la polizia sospetta di lui.  -  gli feci notare cercando di trovare una spiegazione.  -  Se il figlio di Lincoln è innocente, perché di lui non si sa più niente?
  • Non lo so, non riesco a spiegarmelo.
Prima il padre e adesso anche il figlio rischiava un’accusa di omicidio. Che famiglia assurda, e che storia ancora più assurda.
  • Forse se Lincoln potesse parlare con suo figlio si chiarirebbe tutto. Infondo è solo un ragazzino, sarà terrorizzato.
  • E’ proprio questo il problema.  -  continuò, sospirando di nuovo.  -  Pope ha vietato a Lincoln qualunque contatto con L-J finché sarà sospettato di omicidio, e comprensibilmente è preoccupatissimo per suo figlio. Ho paura che faccia qualche sciocchezza.
Era comprensibile che fosse preoccupato. L’uomo avrebbe salutato questo mondo tra meno di 15 giorni. Chiunque al suo posto, non potendo assicurarsi che il figlio stesse bene, sarebbe andato nel pallone.
Povero Lincoln, adesso capivo molte cose, la sua assenza in cortile, la sua improvvisa ostilità. La sua vita stava letteralmente andando a rotoli, non ci voleva quest’ennesima brutta notizia.
  • A che pensi?  -  mi chiese dopo un po’ Michael, guardandomi mentre trucidavo pensierosa la lattuga nel mio piatto.
  • Pensavo ad un modo per aiutare tuo fratello a parlare con suo figlio.  -  risposi sincera.
  • Qualcosa in particolare?
  • Può darsi, ma te lo spiego dopo. Adesso avrei un favore da chiederti.
Mi ero appena resa conto che la mensa aveva iniziato a svuotarsi. Presto saremmo tornati in cella.
  • Sentiamo.
  • Oggi è scoppiato un incendio nella casetta delle guardie. Ho sentito dire che l’interno è andato completamente distrutto e che Bellick ha deciso di affidare i lavori di riparazione ai detenuti.
  • Si, è così.
  • E’ vero che è stato scelto il vostro gruppo per occuparsi dei lavori?
  • Già, i lavori di pittura al laboratorio sono stati completati e così Bellick ha affidato a noi la ricostruzione del magazzino bruciato. Cominceremo domattina. Perché vuoi saperlo?
Invece di rispondere, continuai con un’altra domanda.  -  Immagino che Abruzzi abbia scelto lo stesso gruppo che ha lavorato al laboratorio, dico bene?
  • Esatto. John coordinerà i lavori. Io, Lincoln e Sucre ci occuperemo dello smantellamento e della ricostruzione. Adesso, per favore, vuoi dirmi cos’hai in mente?
  • Voglio prendere parte ai lavori nella stanzetta delle guardie insieme al vostro gruppo.
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, sorpreso.  -  Scusa?
  • Voglio lavorare con voi, senza dubbio sarà più divertente che restare nelle cucine a sgrassare pentole e padelle.
La verità ovviamente era un’altra. Se fossi riuscita a farmi ammettere nel gruppo di Abruzzi, finalmente avrei avuto modo di passare più tempo a contatto con Lincoln e ottenere qualche informazione sulla vicenda Steadman e sul coinvolgimento del presunto assassino. Il tempo stringeva, al mio testimone chiave mancavano poco più di due settimane per liberarsi la coscienza e fare ammenda dei suoi peccati.
  • Gwen, sai meglio di me che non sono io a prendere queste decisioni. E’ Abruzzi che si occupa delle assegnazioni.
  • Questo lo so, è qui che entri in gioco tu!  -  esclamai, sfoderando il mio sorriso più smagliante.  -  Il mafioso non accetterebbe mai di includermi nel suo gruppo, per lui rappresento lo scalino più basso nella classe detentiva, dopo gli stupratori e gli psicopatici. Però se fossi tu a parlargli, potresti convincerlo della mia utilità.
  • Ah… io non credo che…
  • Ti prego Michael, provaci, ci tengo davvero.  -  dissi, congiungendo le mani a mo’ di preghiera.  -  Parla con Abruzzi. Convincilo ad assegnarmi il pass per il laboratorio.
  • Perché t’interessa tanto questo lavoro? Non si tratta certo di una passeggiata. Ci sarà da eliminare tutto il materiale andato bruciato che poi dovremmo sostituire con quello nuovo. Ci saranno pesi da sollevare e un sacco di polvere.
Avevo la strana e irritante sensazione che Michael fosse il primo a non volermi nel gruppo, ma non riuscivo proprio a capirne il motivo.
  • Non dirmi che vuoi davvero metterla sul piano della differenza fra i sessi. Qual è il vero problema?
  • Beh… il fatto è che non credo ti troveresti molto a tuo agio con noi.  -  Fece una pausa fissando a disagio il suo vassoio ormai ricoperto solo da piatti e cartacce, mentre aspettavo che aggiungesse qualcosa di più sensato. I secondi passavano.  -  John ha deciso di prendere un altro detenuto che ci aiuti nei lavori.
  • Chi?
Nella sua voce percepii una punta di durezza.  -  Bagwell.
Fu come ricevere un pugno in pieno stomaco.  -  Bagwell farà parte dei lavori?!
 
Maledizione, non lui, non il depravato! Tra tutti i maledetti galeotti presenti in quel penitenziario perché proprio T-Bag?
  • Ne sono entusiasta quanto te, credimi.
  • Io non capisco. Non mi è sembrato affatto che Abruzzi avesse un debole per lo stupratore dell’Alabama. Non posso credere che abbia accettato di ammettere proprio lui. Se c’è una persona che Abruzzi odia più di me è certamente T-Bag.
  • Forse non ha avuto scelta.  -  commentò distratto, continuando a fissare il vassoio.
Ero certa che come al solito, Michael sapesse molto più di quanto avesse ammesso. Stavo cominciando a conoscerlo meglio. Adesso mi era più facile capire quando diventava evasivo per nascondermi le cose. Chiedergli altre spiegazioni non sarebbe servito a niente, tanto valeva tornare al punto che tanto mi premeva.
  • Parlerai ad Abruzzi prima che inizino i lavori?
  • Vuoi comunque quel lavoro pur sapendo che ci sarà T-Bag?
  • Michael, il suo obiettivo non sono certo io. Si diverte a rendermi la vita impossibile, ma non è interessato a me in quel senso. Credo che le donne gli interessino molto meno dei maschietti, anzi, sono quasi certa che abbia un debole proprio per i tipi svegli e carini come te.  -  dissi, sfoderando uno sguardo malizioso.
Replicò con una smorfia e tornò di nuovo serio.  -  E va bene, se ci tieni tanto proverò a parlare con Abruzzi. Al posto tuo però non mi farei tante illusioni.
 
Ignorando il suo ultimo commento, esultai trillando come un campanellino a festa. Quasi non me ne resi conto, ma presa dall’euforia mi alzai dal mio posto e lo abbracciai. Due secondi dopo arrossii fino alla punta dei capelli, rendendomi conto che quel gesto sarebbe anche potuto essere frainteso.
Per evitare ulteriori imbarazzi, mi staccai da lui di colpo, presi il mio vassoio dal tavolo e feci per andarmene, ma Michael mi fermò.
  • Ehi Gwen.
Mi voltai nuovamente verso di lui e il suo sguardo, incredibilmente intenso, riuscì ad imbambolarmi.
  • Si?
Sorrise.  -  Non ci sarebbe niente di male se tu fossi quella giornalista… voglio dire, io saprei mantenere il segreto.
 
Annuii senza sapere cosa rispondere. Era riuscito a cogliermi di sorpresa. Di nuovo.
 
Il giorno dopo, al mio risveglio, qualcosa era cambiato. Non solo durante la notte avevo dovuto tirarmi addosso la coperta, segno che la temperatura stesse gradatamente variando e che l’eccessiva e inaspettata calura fosse ormai passata, ma già in mattinata mentre mi dirigevo in infermeria, avevo notato un pullman pieno di nuovi acquisti fare il suo ingresso oltre il grande cancello all’ingresso. Inevitabilmente il mio primo pensiero fu di chiedermi che reazione avrebbero avuto i nuovi arrivati quando mi avrebbero vista passeggiare per i corridoi del carcere.
A colazione feci il pieno con pane bianco e succo d’arancia annacquato. Il primo turno d’aria invece riuscii finalmente a trascorrerlo in compagnia di Lincoln, anche se come sempre, separati dall’alta inferriata. Era da tempo che non vedevo uscire Lincoln in cortile e visto che avevo molto di cui discutere con lui e che proprio quel giorno avevo messo appunto un piano per aiutarlo, avevo deciso di raggiungerlo e fargli compagnia.
Mentre mi avvicinavo, notai che il suo umore fosse addirittura peggiorato rispetto alla sera prima. Sembrava così depresso e inconsolabile. Mi fece una gran pena vederlo in quello stato.
  • Ehi galeotto!  -  esordii in tono scherzoso.
  • Ehi ragazzina…  -  mi rispose per le rime, ma con tono privo d’ironia.
  • Pensi che riuscirai a parlarmi senza aggredirmi questa volta? Ieri sembrava ce l’avessi a morte con me.
  • Io non ce l’ho a morte con te.
  • Lo so.  -  risposi comprensiva. Ormai l’avevo capito che il suo malumore non riguardasse affatto me.  -  Pensi di poter uscire fuori in cortile alla prossima ora d’aria?
Scrollò le spalle senza guardarmi.  -  Non penso che uscirò.
  • Cos’è, ti piace trascorrere il tuo tempo in quella cella dimenticata da Dio?  -  L’uomo mi ignorò continuando a guardare fisso davanti a sé.  -  Non è restandotene relegato in cella che aiuterai tuo figlio.
Le mie parole riuscirono a scuoterlo, lo intuii dall’occhiata guardinga e sospettosa che mi puntò addosso.
  • E tu che ne sai di mio figlio?
  • Ho parlato con Michael. So che tuo figlio è nei guai. Pensi che sia stato lui ad uccidere sua madre e il suo compagno?
  • L-J è innocente!!  -  scattò come un animale ferito.  -  E’ stato messo in mezzo, lui non l’avrebbe mai fatto… E’ tutta colpa mia.
Riuscì a confondermi.  -  In che senso è colpa tua?

Lincoln abbassò lo sguardo calciando un sasso accanto al suo piede. Restai ad attendere la risposta così a lungo che pensai potesse non giungere mai, invece dopo una manciata di minuti l’uomo si decise a spiegarsi. 
  • Qualcuno ha cercato di incastrare mio figlio per colpire me.  -  Fece un’altra pausa.  -  Se ti dicessi che non ho ucciso nessuno, che qualcuno ha falsificato le prove perché venissi accusato dell’omicidio di Terrence Steadman… mi crederesti?
Riflettei un momento su quelle parole prima di dare la mia risposta.
  • Beh dipende. Stai cercando di dirmi che sei innocente?
Era la mia occasione, ma dovevo essere cauta, andarci con i piedi di piombo.
  • E’ difficile da credere, ma è così.
  • Non hai ucciso Terrence Steadman?
  • No.
Il suo sguardo sembrava sincero, ma nel rispondermi mi era parso teso, a disagio. Stava mentendo.
  • Perché qualcuno avrebbe dovuto falsificare le prove e farti condannare per un omicidio che non hai commesso?
  • Io… io non lo so, maledizione! So solo che non ho ucciso quell’uomo. Mi hanno condannato a morte per qualcosa che non ho fatto, per qualche motivo qualcuno vuole farmi sparire dalla circolazione il più in fretta possibile. Io ho cercato di dimostrare la mia innocenza, ho chiesto ai miei avvocati di indagare per cercare delle prove che mi scagionassero e 2 giorni fa è venuta a farmi visita una giornalista. Aveva detto di voler pubblicare la mia storia, invece mi ha minacciato, ha detto che se avessi continuato ad accanirmi se la sarebbero presa con la mia famiglia. Ieri Pope mi ha comunicato la notizia che la mia ex moglie e il suo compagno sono stati trovati morti in casa e che di mio figlio non ci sono tracce.
Quella era la prima confessione che avevo ricevuto da Lincoln Burrows. Non che mi fossi aspettata nient’altro di diverso, ogni buon colpevole in un modo o nell’altro finiva per dichiararsi innocente, ma Lincoln non mi era sembrato il tipo d’uomo capace di coinvolgere e mentire su suo figlio per salvarsi la reputazione.
Che cosa c’era di vero in quella storia? Era solo una storiella costruita per impietosirmi o davvero un uomo innocente era stato vittima di uno dei più grossi errori giudiziari nella storia americana? Difficile a dirsi. Esistevano delle prove evidenti che dimostravano la colpevolezza dell’uomo e, ciliegina sulla torta, Keith aveva parlato di un video che mostrava Lincoln sparare al fratello del vicepresidente degli Stati Uniti d’America. Nel complesso però la cosa più importante, al di là del fatto che Burrows fosse colpevole o innocente, era che fossi riuscita a farlo parlare, che lo avessi convinto a fidarsi di me.
 
Fissandosi le mani serrate, l’uomo proseguì dolorosamente.  -  So che non mi credi, non m’importa. All’inizio tutti pensavano che fossi stato io, la maggior parte della gente ancora lo pensa…ma mio figlio è la fuori, solo, sarà terrorizzato e io… io non posso fare niente per aiutarlo.
 
Sollevò lo sguardo verso di me e rimasi sconcertata dal dolore che gli lessi negli occhi.
  • Lincoln,  -  dissi avvicinandomi alla ringhiera, quasi potessi prenderlo tra le braccia per fargli coraggio.  -  parla con L-J. Chiamalo al telefono. Non so esattamente in che guai si trovi, se sia davvero scappato e perché, ma parlare con suo padre sicuramente lo aiuterà. Insieme potreste trovare una soluzione.
  • Pope non mi concederà il permesso di telefonare, dice che finché mio figlio continuerà ad essere sospettato di omicidio chiunque provi a mettersi in contatto con lui potrebbe essere accusato di complicità.
  • E allora? Hai una condanna a morte che pesa sulle tue spalle e stai a preoccuparti per un’accusa di complicità?
Il respiro gli si strozzò in gola quando cercò di soffocare un’imprecazione.  -  Non me ne frega un cazzo dell’accusa di complicità!! Non posso telefonare a mio figlio perché le guardie non mi permettono di farlo.
  • Staremo a vedere!  -  esclamai decisa, prima di voltarmi per andarmene.
  • E adesso dove stai andando?
  • Vado a flertare con le guardie, mi pare ovvio.
*** 
 
La mia unica possibilità di far ottenere a Lincoln una telefonata era di convincere una delle guardie a chiudere un occhio, cosa di per sé non facile, primo perché l’ordine di non concedere telefonate al condannato era arrivato dai piani alti e nessuna guardia si sarebbe mai sognata di mettere a repentaglio il suo posto di lavoro per un detenuto e secondo, perché ero a corto di denaro per poter tentare un’opera di corruzione. Certo, sarei anche potuta andare sul sicuro chiedendo direttamente al direttore la telefonata per Lincoln ma l’impresa avrebbe richiesto tempo, oltre che una buona dose di spirito di convincimento. Non avevo tempo da perdere e non volevo neanche sprecare le mie poche possibilità con Pope, quindi dovevo ripiegare su una delle guardie. Avrei semplicemente dovuto puntare sull’uomo giusto, e mentre mi allontanavo dalla zona protetta dove avevo appena lasciato Lincoln, già sapevo in quale direzione dirigermi e su chi puntare. 
  • Ciao Green.  -  esordii picchiettando un colpetto sulla spalla dell’uomo in divisa, fermo accanto al vialetto recintato dove i detenuti uscivano per raggiungere il cortile.
Due occhietti piccoli e piuttosto vicini, in parte nascosti dalla visiera del berretto blu, si posarono su di me insieme ad un’espressione sorpresa ed un sorriso impacciato.
  • Ciao Gwyneth!
  • Vedo che sei sopravvissuto bene alla rivolta. Ho saputo che quando è scoppiato il caos, tu ti trovavi in infermeria insieme alla dottoressa e che siete entrambi stati aggrediti da un gruppo di detenuti. Chissà che brutta esperienza.
  • Niente di speciale, in realtà avevo la situazione sotto controllo.
Chissà perché a me invece era arrivata tutt’altra versione.
  • Ne sono convinta.  -  dissi evitando di sorridere.  -  Senti Green, c’è una cosa di cui vorrei parlarti, ma in realtà non so se sia una buona idea… insomma, sono un po’ in difficoltà, capisci?
L’uomo finse di distrarsi un attimo per lanciare una rapida occhiata alla scarna scollatura, prima di sollevare nuovamente gli occhi e rispondere:  -  Dimmi pure, ci sono problemi?
  • In realtà si tratta più di un favore.
  • Certo, quello che vuoi.
Ecco cosa mi piaceva di Green Rizzo, era il classico uomo che qualunque donna con un minimo fascino e una misura di seno più grande della prima sarebbe riuscita a raggirare anche ad occhi chiusi. Fin dal primo giorno, non era stato difficile interpretare le lunghe occhiate da ebete lanciatemi dalla guardia. Green Rizzo aveva una cotta per me e la cosa davvero divertente era che non si sforzava neanche di nasconderlo. Ecco perché avevo puntato su di lui, ottenere ciò che volevo sarebbe stato uno scherzo.
  • Il fatto è questo: il direttore Pope ha proibito a Lincoln Burrows di fare e ricevere telefonate per via di ciò che è successo a suo figlio, però a me sembra proprio una cosa inumana proibire ad un uomo di parlare con suo figlio, ti pare? Green, tu hai figli?
  • Veramente… no.
  • Neanch’io, ma probabilmente un giorno li avrò e penso che la preoccupazione di sapere che mio figlio è in pericolo mi divorerebbe.
  • Si capisco, il direttore però è stato chiaro in proposito.
Sporsi il labbro inferiore per assumere un’aria scontenta.  -  Questo lo so, però se tu concedessi a Burrows qualche minuto…
  • No, non se ne parla nemmeno!  -  esclamò l’uomo, agitando una mano davanti a sé come a respingere l’ipotesi risolutamente.  -  Dovrei trasgredire agli ordini, se facessi una cosa del genere potrei perdere il lavoro.
  • Si scusami, hai ragione. Non avrei dovuto chiedertelo. Non voglio certo metterti in difficoltà.  -  risposi conciliante.
  • Sai che se avessi potuto aiutarti…
  • Certo, certo lo so Green sul serio, non importa. Lo chiederò a Patterson, lui magari potrà trovare una soluzione.
  • Cosa, Patterson? Si vede che non lo conosci bene, lui non contravverrebbe mai ad un ordine dato da Pope, è un boyscout. Non contarci.
  • Beh, ci proverò lo stesso. Devo farlo, capisci? Io credo che concedere questa possibilità a quel pover uomo prima di salire sulla sedia elettrica sia d’obbligo. Vorresti che lasciasse questo mondo senza aver detto addio a suo figlio? E’ una cosa così triste!
L’uomo deglutì lucido di sudore sulle guance e sulla fronte.  -  Si, penso… credo che lo sia…
  • E’ quello che credo anch’io, per questo voglio fare un tentativo. Sono venuta da te prima perché so che sei bravo a cavartela in ogni situazione. Quando mi hanno raccontato quanto sei stato in gamba a tenere a bada quei detenuti durante la rivolta, non sono rimasta affatto sorpresa.
  • Ah no?  -  Sembrava incredibile anche a lui.
  • Certo! Non so se un altro al tuo posto avrebbe fatto lo stesso.
Per sedurre qualcuno, il trucco consisteva nel scoprire prima i suoi punti deboli. I punti deboli di Rizzo erano le donne e la convinzione di essere importante, oltre il fatto di apprezzare, come tutti, i complimenti.
  • Gwyneth, sul serio, vorrei poterti accontentare e far fare quella telefonata a Burrows, ma se Pope lo scoprisse io passerei dei guai seri.
  • Beh, io non glielo dirò di certo. Accanto all’uscita est che dà sul cortile c’è una cabina telefonica. Alla fine dell’ora d’aria, Lincoln passerà da lì per tornare nella sua cella. Se fossi tu a scortarlo, potresti concedergli qualche minuto per telefonare. Non vi vedrebbe nessuno. Ti prego Green, fallo per me.
  • Ma…
  • Puoi sempre raccontare di essere stato tramortito mentre accompagnavi Burrows nella sua cella, così non correresti rischi se qualcuno vi scoprisse…  -  Ormai avevo vinto quasi del tutto le resistenze della guardia, mancava un nonnulla per farla capitolare.  -  … e poi magari potresti darmi il tuo numero così quando sarò fuori di qui, cioè molto presto, potrei invitarti a cena e… ricambiare il favore.
Gli sorrisi maliziosa. L’uomo si sciolse come un cioccolatino al sole.
  • Accetteresti di uscire con me?
  • Assolutamente. Io ho un debole per gli uomini audaci.
   
 
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