CAPITOLO 16
In realtà, quella mattinata insolita passò abbastanza in
fretta. Inutile dire che il mio sguardo si perse più volte in quell’ambiente
selvatico.
Avevo sempre vissuto dentro le quattro mura della mia
abitazione, inglobata all’interno di un anonimo paesetto che, tuttavia,
anch’esso voleva tramutarsi in città, e nonostante la crisi economica ogni anno
si gettavano sempre le basi di tanti cantieri edili, e non stentavo a credere
nel fatto che ben presto anche quella piccola realtà si sarebbe tramutata in
qualcosa di più vasto e complesso. Comunque, essendo abituato a mura di mattoni
e di cemento, tutto quel verde scuro dell’erba provata dai primi freddi di
stagione mi aveva davvero stregato.
Erano passate più di un paio d’ore da quando eravamo giunti
lì, ma non mi ero ancora stancato di osservare e di esplorare ciò che mi
circondava.
Roberto, che non aveva ancora pescato nulla, se ne stava in piedi
a bordo del lago, le braccia incrociate su petto, mentre aveva fissato la canna
da pesca, in modo da non doverla tenere continuamente tra le mani.
‘’Allora, Antonio, che ne pensi di tutto questo?’’, mi
chiese, dopo aver passato un bel po’ di tempo in silenzio.
‘’Penso che sia favoloso. Mi piace questo posto, te l’ho già
detto’’, gli risposi, andandomi a sedere su una sediolina pieghevole che si era
portato dietro il mio interlocutore.
‘’Sono davvero felice che questo posto ti piaccia. Grazie per
aver scelto di venire a farmi compagnia’’, mi disse, rivolgendomi uno sguardo
tranquillo e sorridente.
‘’Grazie a te, per avermi fatto conoscere questo luogo.
Sicuramente, se non mi ci avessi portato tu, non l’avrei neppure mai visto’’,
mi limitai a rispondere, sedendomi sotto al tiepidissimo sole autunnale.
‘’Chissà. Fiero comunque di avertici portato’’.
Tornò il silenzio tra noi, e ben presto mi trovai a rialzarmi
e a dirigermi verso il boschetto circostante.
Osservai le piante rampicanti che mi circondavano, notando
cespugli di splendide rose canine, purtroppo spoglie in quel periodo dell’anno,
e ripresi a fantasticare sulla bellezza del luogo durante la calda estate. M’immaginai
di trovarmi lì, immerso nella verde e fiorita natura, e mi parve un sogno.
Effettivamente, lo era, e mi ritrovai a rabbrividire a causa del fresco della
mattina. Decisi quindi di tornare alla mia postazione soleggiata.
Roberto era ancora lì, in piedi, sulla riva del laghetto.
‘’Mi è venuto un certo languorino. Constatando che sono quasi
le undici, direi che potremmo anche fare uno spuntino, visto che le proviste
non ci mancano… che ne dici?’’, mi chiese, sciogliendosi momentaneamente dalla
sua posizione irrigidita.
‘’Per me va bene’’, risposi, riconoscendo che pure io avrei
messo volentieri qualcosa sotto i denti, dato che la colazione rapidissima e
magra di quella mattina si era rivelata molto poco sostanziosa per il mio
stomaco, come in effetti era per davvero.
L’uomo si mosse verso di me, e smettendo di badare la canna
da pesca, ancora abbassata nelle acque placide e totalmente immobili del
laghetto, si diresse direttamente all’interno della piccola tenda da campo,
estraendo il cestino contenente le vivande.
‘’Mangiamo dentro, oppure fuori? Tieni presente che, se
mangiamo dentro, dobbiamo stare comunque seduti a terra… se invece pranziamo
fuori, possiamo usufruire del piacere delle sedie. Decidi tu’’, mi chiese,
guardandomi.
‘’Mangeremo fuori’’, mi limitai a rispondere, come se fosse
stata una risposta ovvia e scontata. Effettivamente, la tendina mi appariva
ristretta, e in più mi andava di continuare a stare immerso nella luce del
sole, che a quell’ora finalmente cominciava un po’ a scaldare il mio vestiario,
e di conseguenza anche il mio corpo.
Roberto annuì e, dopo aver sistemato le sedie ed aver messo
su una sorta di tavolino fai da te, ovviamente fragile ma costruito in un lampo
con un grosso pezzo di tronco trovato in zona e ricoperto dal muschio, con
appoggiato sopra una lamierina che, molto probabilmente, non avevo scorto prima
poiché era rimasta all’interno della tenda da campeggio. Rimasi sorpreso da
tanta abilità di arrangiarsi.
‘’Sono stupito dalle tue capacità’’, gli feci infatti notare,
sedendomi. Lui ridacchiò sotto i folti baffi.
‘’Sono stato abituato fin da piccolo all’arte di arrangiarmi,
e col tempo ho imparato a sfruttare ogni oggetto che mi capita a tiro, e che
può essermi utile sul momento. Certo, un po’ di previdenza aiuta, però bisogna
anche sapersela cavare. E questo è quello che in certi casi manca a quelli
della vostra generazione’’.
‘’Uhm… è vero’’, mi limitai a dirgli, riconoscendo che io non
sarei stato in grado di sapermela cavare così tanto in fretta.
‘’La campagna era un luogo duro, e mio padre pure. Ti ho già
raccontato, durante quella notte insonne, che il mio genitore non era certo un
santo. Per non rischiare punizioni, dovevo fare in fretta tutto ciò che mi
diceva; in fondo, questa continua spinta dettata dalla paura non mi ha fatto
male’’.
Annuii, mentre lui frugava dentro al cestino, che gli avevo
nuovamente consegnato.
‘’Quanto mi piacerebbe tornare a vivere in campagna.
Purtroppo, le vicissitudini me l’hanno impedito, finora, ma spero di tornarci
un giorno’’, tornò a dire il mio interlocutore, porgendomi un panino
incellofanato ed amorevolmente preparato da mia madre.
‘’Vedrai, se lo vorrai un giorno potrai realizzare questo tuo
desiderio’’.
‘’Tu credi? Speriamo. Sta di fatto che Livia odia gli
ambienti rurali, e lei non verrebbe mai a viverci. Figuriamoci Federico! E poi,
per ora siamo incatenati in paese. Se il futuro sarà clemente, forse un giorno
realizzerò il mio desiderio, hai ragione… d’altronde, la casa dei miei genitori
è ancora di mia proprietà, ed è gestita da alcuni contadini di fiducia, che danno
anche un’occhiata alla produzione agricola delle terre rimaste in mio possesso.
Niente di che eh, si tratta di un qualche vigneto e qualche ettaro tenuto a
foraggio, che però se fossero gestiti al meglio potrebbero fruttare molto di
più.
‘’Un giorno, se vorrai, potremmo andare a farci un giro; non
dista molto da qui, solo che è parecchio fuori mano… pure io è da un sacco di
tempo che non vado a farci una visita. Però l’ambiente è ristrutturato e tenuto
bene’’, continuò a dirmi Roberto, afferrando anche lui un panino e addentandolo
lentamente.
‘’Immagino’’, mi limitai a dirgli, concentrato sul mio pasto
e sulla masticazione.
‘’Eh, ma la mia famiglia è più direzionata verso la città.
Già il tuo paese sta a loro stretto, immaginati la campagna sperduta! Mia
moglie tra l’altro ha avuto la fortuna di ereditare, da una lontana zia
zitella, un bell’appartamento a pochi passi dalla zona centrale di Bologna, parecchio
spazioso ma logicamente situato in una zona parecchio caotica della città, e
come potrai ben immaginare quello non è un posto che mi piace. Però, credo che
il prossimo anno andremo a vivere tutti lì, non appena Federico avrà completato
le superiori. Magari poi potrà andare a studiare all’università, da lì più facilmente
raggiungibile, ed avere tanti vantaggi… comunque, è totalmente arredato anche
quello, e pronto all’uso. È proprio in quel posto dove sono andati a rifugiarsi
l’altro giorno, lei e Federico, dopo che avevano discusso con me’’, concluse,
rabbuiandosi leggermente e continuando a mangiare.
Io nel frattempo non mi azzardavo ad appoggiarmi a quella
sorta di tavolino, temendo di ribaltare tutto, e mi affrettai ad assimilare
tutte le informazioni che mi stava passando l’uomo. Non sapevo che i coniugi
Arriga possedessero già ben due abitazioni abitabili, e questo mi lasciò un po’
perplesso, perché non riuscivo a comprendere il motivo del fatto che avessero
scelto di venire a passare dieci mesi della loro vita in affitto, e in più nel
mio paese, così distante da ambo i loro possedimenti.
Inutile sottolineare che quella volta non riuscii a
trattenere ulteriormente la mia curiosità.
‘’Cosa vi ha spinto allora a venire in affitto a casa mia?
Beh, avete già due case, in due ambienti diversi…’’, chiesi, lasciando che
l’ultima frase mi morisse lentamente in gola. Non ero fatto per chiedere.
Roberto mi guardò per un attimo, riabbassò poi lo sguardo e
mugugnò qualcosa.
‘’Non sto a raccontarti il motivo di questa scelta, magari un
giorno te lo dirò oppure lo scoprirai da solo. Per ora, non ritengo opportuno
parlarne, poiché ciò potrebbe andare a discapito di altri, al momento non
presenti’’, chiuse il discorso, con un modo leggermente brusco.
Quella volta fui io ad abbassare lo sguardo, comprendendo che
dovevo aver toccato un tasto sbagliato, che aveva fatto stonare il componimento
quieto su cui fino a quel momento avevamo basato il nostro discorso.
Capii anche che il motivo di tale scelta abitativa doveva essersi
resa necessaria per una qualche situazione famigliare non proprio limpida,
forse proprio nata da qualche problema del mio nemico. Non credevo che la
scelta fosse stata effettuata per Livia, quindi la mia attenzione scivolò verso
Federico. Mi chiesi, interiormente quella volta, quale fosse il problema di
quel ragazzo, riconoscendo che forse qualche aspetto di esso dovevo già averlo
assaggiato e conosciuto.
Riscacciai quindi i miei intimiditi pensieri, stando in
silenzio e non aggiungendo altro a quello che pareva un discorso chiuso dal mio
interlocutore, che comunque dopo un qualche istante di silenzio e di pesante
cupezza parve voler uscire da sotto quel velo misterioso che aveva gettato
sulla vicenda da me appena accennata.
‘’Ti piacerebbe vivere in campagna?’’, chiese, a bruciapelo.
Sapevo che lo faceva per raddrizzare di nuovo il discorso, in modo da
riportarlo su una più retta e meglio gestibile via.
‘’… sì’’, gli risposi, seccamente e dopo un lieve sospiro,
che parve divenire parte di un’ipotetica frase.
Roberto tornò a guardarmi, comprendendo che il mio disagio
era tornato a farsi vivo, e che l’equilibrio precario che eravamo riusciti a
raggiungere vacillava impietosamente. Di fronte alla mia risposta, che non
lasciava tanto margine di discorso, parve anche lui in difficoltà a spiccicar
parola.
Fui io a toglierlo dal pasticcio e ad aiutarlo, tuttavia
dispiaciuto, poiché lui si stava comportando bene con me, ed io d’altronde non
avevo alcun diritto di ficcanasare liberamente nella sua vita privata, quasi
pretendendo egoisticamente delle risposte.
‘’Un giorno mi piacerebbe, sì. Però, chissà. Mi piacerebbe
fare tante cose, dal suonare all’andare all’università’’, aggiunsi al mio sì
biascicato poco prima.
‘’Uhm, tutti percorsi interessanti. Io ti consiglierei
vivamente di cercare di farti spazio nel mondo della musica; sei davvero
portato, per il pianoforte. In più hai inventiva, e segui spesso il tuo cuore
mentre suoni. Hai una buona fantasia e una discreta creatività, a mio avviso, e
questo è davvero qualcosa d’importante’’, riprese a dire l’uomo, visibilmente
sollevato dal fatto che fossi stato io stesso ad incentivarlo a riprendere a
parlare.
‘’Mi piacerebbe, ma si sa, a volte la vita prende strade
strane… io stesso ho un po’ paura del futuro, lo ammetto. A volte, vorrei che
il futuro fosse un foglio di carta bianco ed immacolato, dove ciascuno di noi
potesse avere la possibilità di scriverci sopra e di realizzarci ciò che più lo
renderebbe felice’’, dissi, in modo molto ingenuo.
‘’Sei un sognatore, noto. Ebbene, mi pare anche di
comprendere che ti piacerebbe che fosse possibile riuscire ad organizzare
l’intera vita, mettendo ordine al suo interno…’’.
‘’Prima di tutto, non mi ritengo un sognatore. Anzi, non
sopporto molto chi sogna troppo e si distacca dalla realtà. Però, posso dirti
tranquillamente che mi piacerebbe che tutto fosse più prevedibile, in modo da
potersi preparare in anticipo a possibili urti, o ad altri problemi… insomma,
avrai capito ciò che voglio dire. Mi piacerebbe che ci fosse un po’ più di
prevedibile ordine ovunque’’, risposi, con difficoltà. Non trovavo facile
spiegare ciò che stavo pensando, mentre nel frattempo cercavo anche di gustarmi
il mio pasto.
‘’Sì, ok, ho capito ciò che intendi. Beh, in fondo hai
ragione; sarebbe bello che ciascuno di noi potesse programmare la propria vita,
a suo piacimento, e magari mettere anche ordine ovunque, pure nei vari eventi
che si susseguono continuamente. Ma ti rendi conto che non si può domare il
caos, che è sovrano della realtà? Insomma, bisogna arrendersi alla sorte e al
caso, per forza di cose. E poi, la vita sarebbe molto noiosa se il tuo
desiderio, che sarebbe sicuramente apprezzato da tante altre persone, si
avverasse. Non esisterebbe più neppure lo stupore, ma una noia piatta, dato che
sapremmo già tutto quello che ci capiterà, e questa non sarebbe quasi più vita’’,
mi disse Roberto, saggiamente. Estrasse anche la bottiglia dell’acqua minerale
naturale e colmò i bicchieri di entrambi.
‘’Penso che tu abbia ragione’’, aggiunsi, bevendo subito
qualche sorso.
‘’Se ci pensi su un attimo, capirai che l’umanità, oltre
tutto, ha affrontato i suoi limiti ed ha provato a cercare di rendere la realtà
più semplice e prevedibile, grazie ai suoi più validi pensatori. Ad esempio, i
matematici è dall’inizio dei tempi che cercano di dare certezze attraverso i
numeri di loro invenzione, e alle loro regole e leggi, che nel corso di
millenni sono diventate sempre più complesse ed astruse, finendo anche per
diventare ingestibili tanto quanto il caos iniziale’’.
‘’Eh, a chi lo dici… io di matematica ci capisco davvero
poco’’, dissi, ridacchiando.
‘’Vedi? In fondo, gli stessi numeri, inventati dall’uomo
stesso per rendere la vita quotidiana più semplice e maggiormente organizzata,
la rendono ancora più caotica. Non fermarti a pensare ai numeri che vanno
dall’uno al dieci, non ha senso; rifletti con maggiore profondità, smonta la
certezza matematica.
‘’Ad esempio; sappiamo per certo che, tra un numero intero ed
un altro, esistono un’infinità di sequenze di altri numeri. Tra l’uno e il due,
esistono infiniti numeri; uno virgola uno, uno virgola due, e così via, senza
stare ad elencare un’improbabile ed infinita sfilza di lunghi numeri periodici.
Tu pensa quante possibili combinazioni numeriche esistono tra l’uno e il dieci;
infinite, e infiniti numeri.
‘’Lo sappiamo, inconsciamente, eppure la nostra mente, così
tanto abituata a volerci semplificare la vita, non si sofferma su questo
sconvolgente particolare, e vuole ripeterci che esiste l’uno, il due, il tre, e
che uno più uno fa due, due più due fa quattro, e tre più tre fa sei. La
matematica è una sorta di camera chiusa che cerca di contenere un’infinità di
varianti numeriche e di probabilità, che logicamente non riescono ad essere
contenute all’interno delle sue inesistenti quattro mura.
‘’Possiamo quindi dire che la matematica stessa, anche a
rigore di logica, è una sorta di stanza dalle mura invisibili, create come per
magia dall’essere umano, ma invisibili ed inconsistenti nella realtà’’.
Roberto stava nuovamente filosofando, ne ero certo, ma non
gli stavo più dietro. Era un peccato, poiché effettivamente ciò che diceva
aveva un senso, ma era troppo complesso e macchinoso per essere afferrato nella
sua totalità da uno come me.
L’uomo, notando la perplessità che era impressa sul mio
volto, si fermò improvvisamente e, guardandomi con fermezza, parve sciogliersi
e mi sorrise.
‘’Ecco, stavo per tornare ad esagerare. Ma questa volta mi
sono fermato in tempo. Tuttavia, riconosco di essere una sorta di nichilista, e
lo sono, a modo mio. Diciamo che non credo a nulla che ai miei occhi possa
sembrare in ordine, poiché esso nasconde sempre il caos, suo originario
principio. In verità, mi piacerebbe smontare tutto ciò che vedo, in modo da poterlo
analizzare meglio con piglio più critico, ma ci vuole forza per farlo, bisogna
essere un grande pensatore per poterci davvero riuscire.
‘’Non dico che bisogna essere un grande scienziato, poiché
gli scienziati molto spesso basano interi loro studi su appunti matematici, ed
ho appena parlato male della matematica stessa, che trovo sì utile, ma fallace
nel suo punto cardine, che sarebbe quello di offrire certezze e punti fermi,
riuscendoci, ma solo in parte e parecchio superficialmente. Ma a questo punto
mi chiedo; io chi sono? Uno sciocco, ovvio. Che annoia e che spara
sciocchezze’’, concluse, alzando un dito in aria. Poi, mi allungò il cestino
contenente tante altre cibarie, e si mise a bere a grandi sorsi.
Io avevo a malapena finito il mio panino, dal tanto che ero
stato trasportato dalle parole del mio interlocutore.
‘’Non è vero che sei uno sciocco, anzi. Il tuo modo di
pensare, oserei dire per assurdo, mi piace parecchio. È solo che è un po’
difficile starti dietro’’, gli dissi, esprimendo il mio parere sulle sue
autocritiche parole.
Roberto non smise di sorridermi.
‘’Tu sei troppo gentile, te lo dico sempre. Ehi, ma guarda un
po’ chi c’è…’’, disse improvvisamente il mio saggio interlocutore, voltandosi
di lato.
Seguendo il suo sguardo, notai con sorpresa che a pochi passi
da noi c’era una magnifica papera, piccola e scura, che si stava dirigendo
lentamente e timidamente verso il nostro tavolino improvvisato e traballante.
‘’Diamole qualcosina da mangiare’’, aggiunse Roberto,
lanciandole qualche briciola di pane, subito divorata in gran fretta dal
simpatico e piccolo volatile, per nulla intimidito dalla nostra presenza.
Mi affrettai a fare la stessa scelta dell’uomo, lanciandole
anch’io qualche briciola.
‘’Non ci teme, la giovincella. Qui durante l’estate è sempre
pieno di bambini, che le danno da mangiare briciole o pezzetti di pane. È
abituata alla presenza umana’’, mi spiegò Roberto, senza togliere lo sguardo
dall’animale selvatico.
‘’E’ una femmina?’’, chiesi, incuriosito dal fatto che il mio
interlocutore avesse parlato della creatura utilizzando il femminile.
‘’Sì, è una femmina di germano reale. È difficile riconoscere
i maschi dalle femmine durante questo periodo dell’anno, visto che durante
l’autunno e l’inverno il loro piumaggio non è affatto differenziato. I maschi
generalmente durante il periodo riproduttivo hanno le piume grigie, che
diventano di una sfumatura verde scuro sulla testa e nera sulla parte centrale
del dorso. Le femmine invece restano tutto l’anno di quel colore lì, marrone
scuro. Questa femmina resta comunque distinguibile dai miei occhi esperti,
poiché non ha alcuna sfumatura di altri colori maschili, che tuttavia non
scompaiono totalmente neppure dopo la muda autunnale’’, mi spiegò il mio saggio
interlocutore.
‘’Però! Te ne intendi di animali’’, gli dissi, assimilando le
nuove nozioni che mi aveva passato. Non ero un esperto di volatili e di papere,
ma mi piaceva sempre scoprire qualcosa di nuovo sui vari animali, visto che la
natura restava uno dei miei interessi principali, assieme alla musica.
‘’Beh, come ben sai, ho sempre vissuto in campagna. Se un
giorno tornerò a viverci, giuro che acquisterò una coppia di anatre domestiche.
Mi piacciono questi volatili dai piedi palmati, non so il perché’’, mi disse
con semplicità Roberto, tornando a lanciare qualche altra briciola alla
bestiola, che, dal canto suo, doveva essere ormai sazia. Infatti, dopo un poco
si allontanò da noi, sempre col suo passo altalenante e dalla parvenza goffa,
per tornare a mollo nel lago.
Mentre osservavo l’anatra, un rumore forte e musicale mi
spaventò, e mi fece sobbalzare sulla mia sedia, rischiando di far traballare il
precario tavolino. Direzionando subito il mio sguardo verso il mio compagno di
scampagnata, notai che tra le mani si rigirava una piccola fisarmonica a fiato.
Lo guardai, estasiato, tramutando il mio piccolo spavento in
una folle curiosità.
‘’No… non dirmi che la sai suonare’’, gli chiesi, impacciato.
‘’Certo. L’ho appena provata, un attimo… ecco, beh, ho
imparato a suonarla in gioventù, ora non sono più tanto esperto, ma per me
questo oggetto è diventato una sorta di ricordo portafortuna. Lo porto sempre
in tasca, con me’’, mi rispose, accennando alla tasca dei pantaloni. Poi,
rapidamente, si mise l’oggetto tra le labbra, e stringendolo con la mano destra
cominciò a soffiarci dentro e a muoverlo rapidamente. Ne uscì una sinfonia
gradevole da udire, totalmente libera, di quelle che mi piacevano da morire.
Restai con le mani incrociate sotto al mento ad ascoltare
quella gradevole musica per un po’, ma non mi sarei mai stancato di farlo, e
avrebbe potuto suonare per tutto il pomeriggio imminente.
‘’Bravissimo, complimenti! Che bello, suoni benissimo!’’, gli
dissi, estasiato, facendo anche un paio di applausi con le mani, non appena
l’uomo allontanò il piccolo strumento dalle labbra.
Mi sorrise, placidamente.
‘’Beh, dai, diciamo che so ancora cavarmela. Piacere tutto
mio, di aver suonato un po’ per te; diciamo che ho ricambiato brevemente la tua
cortesia costante’’, tornò a dire Roberto, accennando ovviamente ai giorni in
cui ne approfittava per entrare di soppiatto nella mia saletta ad ascoltare ciò
che suonavo col pianoforte.
Poi, l’uomo mi fece l’occhiolino, si mise in tasca la
fisarmonica e abbandonò la sua sedia, per tornare a dirigersi verso il lago e
la sua canna da pesca, ancora immobile e con l’esca immersa nell’acqua.
Il pomeriggio passò con una fretta incredibile. Mai mi sarei
creduto che me la sarei spassata così tanto, durante quella piccola uscita che
non mi aveva mai entusiasmato neppure a provare a pensarla, nei giorni scorsi.
Eppure, per un lungo periodo stetti in compagnia dei germani reali, visto che
la femmina era ben presto tornata in compagnia di altri tre suoi simili, alla
ricerca di cibo, e visto che ci era rimasto pane a volontà, dato che mia madre
aveva riempito il cestino dei viveri con così tanta roba che avrebbe potuto
sfamare un mezzo reggimento, ne approfittai per nutrirli abbondantemente.
I simpatici volatili mi si avvicinarono, ed io mi persi a
guardarli, fintanto che Roberto non tornò da me, dopo aver ritratto la sua
canna da pesca, ed averne già ridotto la sua lunghezza facendo la classica
pressione sulle parti da cui era composta.
‘’Dai, su, smontiamo tutto. Sono già le quindici e trenta, e tra
poco comincerà a fare troppo fresco’’, mi disse, cominciando a smontare la
tenda, rimasta pressoché inutilizzata per tutta la giornata. Una giornata che
era stata tiepida e soleggiata, e non avevo nulla da recriminarle.
Mi diressi verso di lui, per offrirgli un aiuto, quando un
pensiero ovvio mi folgorò.
‘’Ma non hai pescato nulla?!’’, gli chiesi, esponendo quella
domanda che mi pareva doverosa, dato che non l’avevo mai visto tirare su la
canna da pesca dall’acqua, e il secchiello bianco che si era portato dietro era
ancora totalmente vuoto ed immacolato.
Roberto mi guardò, elargendomi uno dei suoi soliti sorrisi
rilassati.
‘’No, ovvio che no. Questo lago è di dimensioni troppo
ridotte per contenere pesci, e i pochi pesciolini presenti sono molti piccoli e
non possono abboccare all’amo’’, mi rispose, con grande semplicità. Io rimasi
scosso da quell’affermazione, che detta così poteva apparire scontata.
‘’Ma come?! Non capisco. Hai detto che ci saremo recati qui
per pescare…’’.
‘’Non porti troppe domande, Antonio. Sono un filosofo, no, me
l’hai riconosciuto pure tu. E poi, quel che m’interessava era fare un’uscita, e
magari far conoscere un posto nuovo anche a te, e la pesca era solo un pretesto
che ho utilizzato per dare una motivazione sensata alla mia voglia. Sai, non mi
andava di rovinare questa splendida giornata pescando e uccidendo pesci,
basando quindi la mia felicità personale sulla pelle, o meglio, sulle squame di
altre creature viventi’’.
Motivazione semplice e plausibile, peccato che io non
l’avessi capita fino in fondo. Roberto era un uomo a volte imprevedibile, e il
suo viso rilassato e sornione nascondeva in realtà una mente che era in grado
di cogliermi sempre in contropiede, quando voleva.
Mi arresi a lui, e alla sua superiorità mentale.
‘’Ha ragione, maestro’’, gli dissi, cercando di sciogliere il
mio stupore con una pacata ironia.
L’uomo rise a voce alta udendo quelle parole, poi andò alla
ricerca del pacchetto delle sigarette, mettendosene poi una di esse tra le
labbra.
‘’Caro discepolo, ti ho detto che nella vita regna il caos,
ed esso a volte si può nascondere dietro ad una parvenza di regolarità. Bisogna
imparare a non prevedere nulla, e a non volere dare sempre un senso forzato ad
ogni situazione, cercando motivazioni varie anche quando le più valide sono
state ormai smontate. Ora mi fumo questa sigaretta, piego la tenda e prendo su
la lamierina e la canna da pesca, e se ti andrà, tu potrai portare alla
macchina il secchiello e il cestino dei viveri. Torniamo a casa’’.
Giunsi a casa ancora scosso dal comportamento di Roberto. Ma
ero piacevolmente rilassato.
Il viaggio di ritorno era stato più silenzioso di quello
d’andata, però sempre allietato dalle varie canzoni dei Police. Mi ritenevo
sodisfatto di quella giornatina, che tutto sommato si era rivelata piacevolmente
gradevole. Mi ero preparato per affrontarla con giorni d’anticipo, studiando e
facendo tutti i compiti durante il sabato, e non avevo nulla da recriminarmi;
mi sentivo in pace con me stesso e la scampagnata, nonostante tutto, mi aveva
fatto bene e mi aveva aiutato a staccare per un po’ la spina dalla solita,
opprimente e noiosa routine.
Appena sceso dalla macchina, non feci in tempo neppure a
richiudere lo sportello che notai mia madre ben piazzata nel mezzo della porta
del garage, che ci veniva incontro per aiutarci a scaricare ciò che c’eravamo
portati dietro fino al lago.
Mi rivolse un caldo sorriso, prima di chiedermi come fosse
andata la giornata.
‘’Bene, mamma. È stata una giornatina piacevole’’, le
risposi, sorridendo anch’io. Era la verità.
Poiché mia madre era una donna del tutto dedita ad ogni sorta
di lavoro, non si perse in altre inutili chiacchiere, e dopo aver afferrato il
cestino dei viveri, ancora pieno per metà, tornò in casa, seguita a ruota da
me. Roberto rimase in garage, a sistemare il secchio e la tenda, cercando di
rimetterli nell’angolo in cui erano stati riposti fino a quel giorno.
Una volta rientrato nella mia umile dimora, mi diressi in
cucina, e quasi sbattei contro ad un torvo Federico, che mi passò da fianco e
si diresse al piano superiore.
Mia madre aveva già la cena pronta, e la lasciò nel bel mezzo
del tavolo, e non appena Roberto rientrò, pochi minuti dopo, chiamò al piano
inferiore la sua intera piccola famiglia, per affrontare il pasto serale. Erano
le diciannove, circa, e fuori ormai il buio regnava sovrano, contrastato solo
dai lampioni lungo la strada e dalle luci dell’illuminazione blanda del nostro
giardino.
Mentre entravano nella cucina, ed io mi dirigevo nella mia
saletta, ad accudire il mio caro pianoforte, mi soffermai a guardare i miei
inquilini; sia Livia che Federico mi lanciarono occhiate di fuoco, parecchio
infastidite. Compresi che non avevo fatto bene quel giorno a seguire l’uomo
della loro famiglia, e che forse avevo innervosito qualcuno, ma non volli
prestarci caso.
Ero ancora rilassato, e su di me sentivo tutta la
tranquillità di quella giornata ormai conclusa ed estremamente piacevole, e non
mi andava di cominciare ad andare in paranoia e di rovinarmi la serata. Quindi,
m’infilai in fretta nella mia buia saletta, che illuminai subito.
Mi sedetti al mio pianoforte, senza avere l’intenzione di
suonare subito, ma solo di osservarlo per un po’, ma per quel giorno non erano
finite le sorprese che il destino mi aveva riservato.
‘’Antonio, per favore, vai ad aprire la porta, che qualcuno
ha suonato il campanello! Io sto servendo la cena…’’, disse ad alta voce mia
madre, probabilmente dalla porta della cucina.
Con un sospiro, abbandonai il mio pianoforte e mi diressi
verso l’ingresso come se fossi un automa, irritato dal fatto che la mia cara
mamma in quel momento stava venendo selvaggiamente sfruttata dall’aristocratica
e dal bullo, tuttavia obbedii al richiamo che mi aveva fatto ad alta voce.
Non avevo udito il campanello dalla mia saletta, come al
solito, e dopo aver abbandonato il mio rifugio mi diressi a passi lenti verso
l’atrio e la porta d’ingresso, chiedendomi di chi si potesse trattare a quell’ora.
In genere, nessuno veniva mai a farci visita.
Sapendo che non si trattava di certo di qualcuno dei miei
nuovi amici, aprii la porta con curiosità, lanciando una sbirciatina, per poi
sobbalzare subito dopo. Di fronte a me, un uomo alto e magro mi stava fissando,
dopo essere entrato nel giardino da solo, violando il cancelletto esterno senza
alcuna autorizzazione.
Il problema principale era che sapevo chi era quell’uomo, e
la mia mente era caduta in un baratro colmo di trepidante timore.
‘’Allora, mi vuoi fare entrare in casa oppure no? Cos’è, non
mi riconosci più? Certo, sono passati dieci anni dall’ultima volta che mi hai
visto, ma tu non sei cambiato per nulla, resti il solito imbambolato’’.
La sua voce tagliente mi tornò alla memoria, e confermò i
miei più tremendi pensieri. Non mi scostai dalla porta, continuando a restare
pietrificato sulla soglia.
‘’Oh, diamine, lasciami entrare’’, mi disse l’uomo con fare
scocciato, spintonandomi indietro ed entrando in casa, con una discreta
prepotenza.
Mio padre era improvvisamente tornato, dopo anni di
latitanza, e a me non restava altro da fare che prenderne atto.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti, carissime lettrici e carissimi lettori!
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.
Il ritorno del padre di Antonio sarà un evento che
scombussolerà un po’ le carte in tavola… vedremo come.
Per adesso ci tengo solo a ringraziare infinitamente tutti i
lettori e i recensori del racconto. Vi adoro, e siete la mia forza! Senza di
voi, questo racconto non sarebbe lo stesso, e forse neppure io lo sarei. Grazie
per tutta la fiducia che riponete in questo scritto, e per i bellissimi
complimenti che mi rivolgete ogni volta!
Grazie di cuore per tutto, e buona giornata J a presto J