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Autore: alessandroago_94    11/07/2016    11 recensioni
Antonio Giacomelli è un ragazzo molto timido e introverso, a cui piace trascorrere i pomeriggi suonando il pianoforte. Vive una vita assolutamente normale fintanto che viene a contatto con una famiglia, la famiglia Arriga. E da quel fatidico momento, da quando ha modo di incontrarsi per la prima volta e di scontrarsi con uno dei suoi tre componenti, la sua vita cambierà per sempre, poiché sarà proprio quella stessa famiglia Arriga, assieme ai pesanti segreti che porta con sé, a sconvolgere e a cambiare la sua esistenza, tra immensi drammi e gioie inaspettate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 16

CAPITOLO 16

 

 

 

 

In realtà, quella mattinata insolita passò abbastanza in fretta. Inutile dire che il mio sguardo si perse più volte in quell’ambiente selvatico.

Avevo sempre vissuto dentro le quattro mura della mia abitazione, inglobata all’interno di un anonimo paesetto che, tuttavia, anch’esso voleva tramutarsi in città, e nonostante la crisi economica ogni anno si gettavano sempre le basi di tanti cantieri edili, e non stentavo a credere nel fatto che ben presto anche quella piccola realtà si sarebbe tramutata in qualcosa di più vasto e complesso. Comunque, essendo abituato a mura di mattoni e di cemento, tutto quel verde scuro dell’erba provata dai primi freddi di stagione mi aveva davvero stregato.

Erano passate più di un paio d’ore da quando eravamo giunti lì, ma non mi ero ancora stancato di osservare e di esplorare ciò che mi circondava.

Roberto, che non aveva ancora pescato nulla, se ne stava in piedi a bordo del lago, le braccia incrociate su petto, mentre aveva fissato la canna da pesca, in modo da non doverla tenere continuamente tra le mani.

‘’Allora, Antonio, che ne pensi di tutto questo?’’, mi chiese, dopo aver passato un bel po’ di tempo in silenzio.

‘’Penso che sia favoloso. Mi piace questo posto, te l’ho già detto’’, gli risposi, andandomi a sedere su una sediolina pieghevole che si era portato dietro il mio interlocutore.

‘’Sono davvero felice che questo posto ti piaccia. Grazie per aver scelto di venire a farmi compagnia’’, mi disse, rivolgendomi uno sguardo tranquillo e sorridente.

‘’Grazie a te, per avermi fatto conoscere questo luogo. Sicuramente, se non mi ci avessi portato tu, non l’avrei neppure mai visto’’, mi limitai a rispondere, sedendomi sotto al tiepidissimo sole autunnale.

‘’Chissà. Fiero comunque di avertici portato’’.

Tornò il silenzio tra noi, e ben presto mi trovai a rialzarmi e a dirigermi verso il boschetto circostante.

Osservai le piante rampicanti che mi circondavano, notando cespugli di splendide rose canine, purtroppo spoglie in quel periodo dell’anno, e ripresi a fantasticare sulla bellezza del luogo durante la calda estate. M’immaginai di trovarmi lì, immerso nella verde e fiorita natura, e mi parve un sogno. Effettivamente, lo era, e mi ritrovai a rabbrividire a causa del fresco della mattina. Decisi quindi di tornare alla mia postazione soleggiata.

Roberto era ancora lì, in piedi, sulla riva del laghetto.

‘’Mi è venuto un certo languorino. Constatando che sono quasi le undici, direi che potremmo anche fare uno spuntino, visto che le proviste non ci mancano… che ne dici?’’, mi chiese, sciogliendosi momentaneamente dalla sua posizione irrigidita.

‘’Per me va bene’’, risposi, riconoscendo che pure io avrei messo volentieri qualcosa sotto i denti, dato che la colazione rapidissima e magra di quella mattina si era rivelata molto poco sostanziosa per il mio stomaco, come in effetti era per davvero.

L’uomo si mosse verso di me, e smettendo di badare la canna da pesca, ancora abbassata nelle acque placide e totalmente immobili del laghetto, si diresse direttamente all’interno della piccola tenda da campo, estraendo il cestino contenente le vivande.

‘’Mangiamo dentro, oppure fuori? Tieni presente che, se mangiamo dentro, dobbiamo stare comunque seduti a terra… se invece pranziamo fuori, possiamo usufruire del piacere delle sedie. Decidi tu’’, mi chiese, guardandomi.

‘’Mangeremo fuori’’, mi limitai a rispondere, come se fosse stata una risposta ovvia e scontata. Effettivamente, la tendina mi appariva ristretta, e in più mi andava di continuare a stare immerso nella luce del sole, che a quell’ora finalmente cominciava un po’ a scaldare il mio vestiario, e di conseguenza anche il mio corpo.

Roberto annuì e, dopo aver sistemato le sedie ed aver messo su una sorta di tavolino fai da te, ovviamente fragile ma costruito in un lampo con un grosso pezzo di tronco trovato in zona e ricoperto dal muschio, con appoggiato sopra una lamierina che, molto probabilmente, non avevo scorto prima poiché era rimasta all’interno della tenda da campeggio. Rimasi sorpreso da tanta abilità di arrangiarsi.

‘’Sono stupito dalle tue capacità’’, gli feci infatti notare, sedendomi. Lui ridacchiò sotto i folti baffi.

‘’Sono stato abituato fin da piccolo all’arte di arrangiarmi, e col tempo ho imparato a sfruttare ogni oggetto che mi capita a tiro, e che può essermi utile sul momento. Certo, un po’ di previdenza aiuta, però bisogna anche sapersela cavare. E questo è quello che in certi casi manca a quelli della vostra generazione’’.

‘’Uhm… è vero’’, mi limitai a dirgli, riconoscendo che io non sarei stato in grado di sapermela cavare così tanto in fretta.

‘’La campagna era un luogo duro, e mio padre pure. Ti ho già raccontato, durante quella notte insonne, che il mio genitore non era certo un santo. Per non rischiare punizioni, dovevo fare in fretta tutto ciò che mi diceva; in fondo, questa continua spinta dettata dalla paura non mi ha fatto male’’.

Annuii, mentre lui frugava dentro al cestino, che gli avevo nuovamente consegnato.

‘’Quanto mi piacerebbe tornare a vivere in campagna. Purtroppo, le vicissitudini me l’hanno impedito, finora, ma spero di tornarci un giorno’’, tornò a dire il mio interlocutore, porgendomi un panino incellofanato ed amorevolmente preparato da mia madre.

‘’Vedrai, se lo vorrai un giorno potrai realizzare questo tuo desiderio’’.

‘’Tu credi? Speriamo. Sta di fatto che Livia odia gli ambienti rurali, e lei non verrebbe mai a viverci. Figuriamoci Federico! E poi, per ora siamo incatenati in paese. Se il futuro sarà clemente, forse un giorno realizzerò il mio desiderio, hai ragione… d’altronde, la casa dei miei genitori è ancora di mia proprietà, ed è gestita da alcuni contadini di fiducia, che danno anche un’occhiata alla produzione agricola delle terre rimaste in mio possesso. Niente di che eh, si tratta di un qualche vigneto e qualche ettaro tenuto a foraggio, che però se fossero gestiti al meglio potrebbero fruttare molto di più.

‘’Un giorno, se vorrai, potremmo andare a farci un giro; non dista molto da qui, solo che è parecchio fuori mano… pure io è da un sacco di tempo che non vado a farci una visita. Però l’ambiente è ristrutturato e tenuto bene’’, continuò a dirmi Roberto, afferrando anche lui un panino e addentandolo lentamente.

‘’Immagino’’, mi limitai a dirgli, concentrato sul mio pasto e sulla masticazione.

‘’Eh, ma la mia famiglia è più direzionata verso la città. Già il tuo paese sta a loro stretto, immaginati la campagna sperduta! Mia moglie tra l’altro ha avuto la fortuna di ereditare, da una lontana zia zitella, un bell’appartamento a pochi passi dalla zona centrale di Bologna, parecchio spazioso ma logicamente situato in una zona parecchio caotica della città, e come potrai ben immaginare quello non è un posto che mi piace. Però, credo che il prossimo anno andremo a vivere tutti lì, non appena Federico avrà completato le superiori. Magari poi potrà andare a studiare all’università, da lì più facilmente raggiungibile, ed avere tanti vantaggi… comunque, è totalmente arredato anche quello, e pronto all’uso. È proprio in quel posto dove sono andati a rifugiarsi l’altro giorno, lei e Federico, dopo che avevano discusso con me’’, concluse, rabbuiandosi leggermente e continuando a mangiare.

Io nel frattempo non mi azzardavo ad appoggiarmi a quella sorta di tavolino, temendo di ribaltare tutto, e mi affrettai ad assimilare tutte le informazioni che mi stava passando l’uomo. Non sapevo che i coniugi Arriga possedessero già ben due abitazioni abitabili, e questo mi lasciò un po’ perplesso, perché non riuscivo a comprendere il motivo del fatto che avessero scelto di venire a passare dieci mesi della loro vita in affitto, e in più nel mio paese, così distante da ambo i loro possedimenti.

Inutile sottolineare che quella volta non riuscii a trattenere ulteriormente la mia curiosità.

‘’Cosa vi ha spinto allora a venire in affitto a casa mia? Beh, avete già due case, in due ambienti diversi…’’, chiesi, lasciando che l’ultima frase mi morisse lentamente in gola. Non ero fatto per chiedere.

Roberto mi guardò per un attimo, riabbassò poi lo sguardo e mugugnò qualcosa.

‘’Non sto a raccontarti il motivo di questa scelta, magari un giorno te lo dirò oppure lo scoprirai da solo. Per ora, non ritengo opportuno parlarne, poiché ciò potrebbe andare a discapito di altri, al momento non presenti’’, chiuse il discorso, con un modo leggermente brusco.

Quella volta fui io ad abbassare lo sguardo, comprendendo che dovevo aver toccato un tasto sbagliato, che aveva fatto stonare il componimento quieto su cui fino a quel momento avevamo basato il nostro discorso.

Capii anche che il motivo di tale scelta abitativa doveva essersi resa necessaria per una qualche situazione famigliare non proprio limpida, forse proprio nata da qualche problema del mio nemico. Non credevo che la scelta fosse stata effettuata per Livia, quindi la mia attenzione scivolò verso Federico. Mi chiesi, interiormente quella volta, quale fosse il problema di quel ragazzo, riconoscendo che forse qualche aspetto di esso dovevo già averlo assaggiato e conosciuto.

Riscacciai quindi i miei intimiditi pensieri, stando in silenzio e non aggiungendo altro a quello che pareva un discorso chiuso dal mio interlocutore, che comunque dopo un qualche istante di silenzio e di pesante cupezza parve voler uscire da sotto quel velo misterioso che aveva gettato sulla vicenda da me appena accennata.

‘’Ti piacerebbe vivere in campagna?’’, chiese, a bruciapelo. Sapevo che lo faceva per raddrizzare di nuovo il discorso, in modo da riportarlo su una più retta e meglio gestibile via.

‘’… sì’’, gli risposi, seccamente e dopo un lieve sospiro, che parve divenire parte di un’ipotetica frase.

Roberto tornò a guardarmi, comprendendo che il mio disagio era tornato a farsi vivo, e che l’equilibrio precario che eravamo riusciti a raggiungere vacillava impietosamente. Di fronte alla mia risposta, che non lasciava tanto margine di discorso, parve anche lui in difficoltà a spiccicar parola.

Fui io a toglierlo dal pasticcio e ad aiutarlo, tuttavia dispiaciuto, poiché lui si stava comportando bene con me, ed io d’altronde non avevo alcun diritto di ficcanasare liberamente nella sua vita privata, quasi pretendendo egoisticamente delle risposte.

‘’Un giorno mi piacerebbe, sì. Però, chissà. Mi piacerebbe fare tante cose, dal suonare all’andare all’università’’, aggiunsi al mio sì biascicato poco prima.

‘’Uhm, tutti percorsi interessanti. Io ti consiglierei vivamente di cercare di farti spazio nel mondo della musica; sei davvero portato, per il pianoforte. In più hai inventiva, e segui spesso il tuo cuore mentre suoni. Hai una buona fantasia e una discreta creatività, a mio avviso, e questo è davvero qualcosa d’importante’’, riprese a dire l’uomo, visibilmente sollevato dal fatto che fossi stato io stesso ad incentivarlo a riprendere a parlare.

‘’Mi piacerebbe, ma si sa, a volte la vita prende strade strane… io stesso ho un po’ paura del futuro, lo ammetto. A volte, vorrei che il futuro fosse un foglio di carta bianco ed immacolato, dove ciascuno di noi potesse avere la possibilità di scriverci sopra e di realizzarci ciò che più lo renderebbe felice’’, dissi, in modo molto ingenuo.

‘’Sei un sognatore, noto. Ebbene, mi pare anche di comprendere che ti piacerebbe che fosse possibile riuscire ad organizzare l’intera vita, mettendo ordine al suo interno…’’.

‘’Prima di tutto, non mi ritengo un sognatore. Anzi, non sopporto molto chi sogna troppo e si distacca dalla realtà. Però, posso dirti tranquillamente che mi piacerebbe che tutto fosse più prevedibile, in modo da potersi preparare in anticipo a possibili urti, o ad altri problemi… insomma, avrai capito ciò che voglio dire. Mi piacerebbe che ci fosse un po’ più di prevedibile ordine ovunque’’, risposi, con difficoltà. Non trovavo facile spiegare ciò che stavo pensando, mentre nel frattempo cercavo anche di gustarmi il mio pasto.

‘’Sì, ok, ho capito ciò che intendi. Beh, in fondo hai ragione; sarebbe bello che ciascuno di noi potesse programmare la propria vita, a suo piacimento, e magari mettere anche ordine ovunque, pure nei vari eventi che si susseguono continuamente. Ma ti rendi conto che non si può domare il caos, che è sovrano della realtà? Insomma, bisogna arrendersi alla sorte e al caso, per forza di cose. E poi, la vita sarebbe molto noiosa se il tuo desiderio, che sarebbe sicuramente apprezzato da tante altre persone, si avverasse. Non esisterebbe più neppure lo stupore, ma una noia piatta, dato che sapremmo già tutto quello che ci capiterà, e questa non sarebbe quasi più vita’’, mi disse Roberto, saggiamente. Estrasse anche la bottiglia dell’acqua minerale naturale e colmò i bicchieri di entrambi.

‘’Penso che tu abbia ragione’’, aggiunsi, bevendo subito qualche sorso.

‘’Se ci pensi su un attimo, capirai che l’umanità, oltre tutto, ha affrontato i suoi limiti ed ha provato a cercare di rendere la realtà più semplice e prevedibile, grazie ai suoi più validi pensatori. Ad esempio, i matematici è dall’inizio dei tempi che cercano di dare certezze attraverso i numeri di loro invenzione, e alle loro regole e leggi, che nel corso di millenni sono diventate sempre più complesse ed astruse, finendo anche per diventare ingestibili tanto quanto il caos iniziale’’.

‘’Eh, a chi lo dici… io di matematica ci capisco davvero poco’’, dissi, ridacchiando.

‘’Vedi? In fondo, gli stessi numeri, inventati dall’uomo stesso per rendere la vita quotidiana più semplice e maggiormente organizzata, la rendono ancora più caotica. Non fermarti a pensare ai numeri che vanno dall’uno al dieci, non ha senso; rifletti con maggiore profondità, smonta la certezza matematica.

‘’Ad esempio; sappiamo per certo che, tra un numero intero ed un altro, esistono un’infinità di sequenze di altri numeri. Tra l’uno e il due, esistono infiniti numeri; uno virgola uno, uno virgola due, e così via, senza stare ad elencare un’improbabile ed infinita sfilza di lunghi numeri periodici. Tu pensa quante possibili combinazioni numeriche esistono tra l’uno e il dieci; infinite, e infiniti numeri.

‘’Lo sappiamo, inconsciamente, eppure la nostra mente, così tanto abituata a volerci semplificare la vita, non si sofferma su questo sconvolgente particolare, e vuole ripeterci che esiste l’uno, il due, il tre, e che uno più uno fa due, due più due fa quattro, e tre più tre fa sei. La matematica è una sorta di camera chiusa che cerca di contenere un’infinità di varianti numeriche e di probabilità, che logicamente non riescono ad essere contenute all’interno delle sue inesistenti quattro mura.

‘’Possiamo quindi dire che la matematica stessa, anche a rigore di logica, è una sorta di stanza dalle mura invisibili, create come per magia dall’essere umano, ma invisibili ed inconsistenti nella realtà’’.

Roberto stava nuovamente filosofando, ne ero certo, ma non gli stavo più dietro. Era un peccato, poiché effettivamente ciò che diceva aveva un senso, ma era troppo complesso e macchinoso per essere afferrato nella sua totalità da uno come me.

L’uomo, notando la perplessità che era impressa sul mio volto, si fermò improvvisamente e, guardandomi con fermezza, parve sciogliersi e mi sorrise.

‘’Ecco, stavo per tornare ad esagerare. Ma questa volta mi sono fermato in tempo. Tuttavia, riconosco di essere una sorta di nichilista, e lo sono, a modo mio. Diciamo che non credo a nulla che ai miei occhi possa sembrare in ordine, poiché esso nasconde sempre il caos, suo originario principio. In verità, mi piacerebbe smontare tutto ciò che vedo, in modo da poterlo analizzare meglio con piglio più critico, ma ci vuole forza per farlo, bisogna essere un grande pensatore per poterci davvero riuscire.

‘’Non dico che bisogna essere un grande scienziato, poiché gli scienziati molto spesso basano interi loro studi su appunti matematici, ed ho appena parlato male della matematica stessa, che trovo sì utile, ma fallace nel suo punto cardine, che sarebbe quello di offrire certezze e punti fermi, riuscendoci, ma solo in parte e parecchio superficialmente. Ma a questo punto mi chiedo; io chi sono? Uno sciocco, ovvio. Che annoia e che spara sciocchezze’’, concluse, alzando un dito in aria. Poi, mi allungò il cestino contenente tante altre cibarie, e si mise a bere a grandi sorsi.

Io avevo a malapena finito il mio panino, dal tanto che ero stato trasportato dalle parole del mio interlocutore.

‘’Non è vero che sei uno sciocco, anzi. Il tuo modo di pensare, oserei dire per assurdo, mi piace parecchio. È solo che è un po’ difficile starti dietro’’, gli dissi, esprimendo il mio parere sulle sue autocritiche parole.

Roberto non smise di sorridermi.

‘’Tu sei troppo gentile, te lo dico sempre. Ehi, ma guarda un po’ chi c’è…’’, disse improvvisamente il mio saggio interlocutore, voltandosi di lato.

Seguendo il suo sguardo, notai con sorpresa che a pochi passi da noi c’era una magnifica papera, piccola e scura, che si stava dirigendo lentamente e timidamente verso il nostro tavolino improvvisato e traballante.

‘’Diamole qualcosina da mangiare’’, aggiunse Roberto, lanciandole qualche briciola di pane, subito divorata in gran fretta dal simpatico e piccolo volatile, per nulla intimidito dalla nostra presenza.

Mi affrettai a fare la stessa scelta dell’uomo, lanciandole anch’io qualche briciola.

‘’Non ci teme, la giovincella. Qui durante l’estate è sempre pieno di bambini, che le danno da mangiare briciole o pezzetti di pane. È abituata alla presenza umana’’, mi spiegò Roberto, senza togliere lo sguardo dall’animale selvatico.

‘’E’ una femmina?’’, chiesi, incuriosito dal fatto che il mio interlocutore avesse parlato della creatura utilizzando il femminile.

‘’Sì, è una femmina di germano reale. È difficile riconoscere i maschi dalle femmine durante questo periodo dell’anno, visto che durante l’autunno e l’inverno il loro piumaggio non è affatto differenziato. I maschi generalmente durante il periodo riproduttivo hanno le piume grigie, che diventano di una sfumatura verde scuro sulla testa e nera sulla parte centrale del dorso. Le femmine invece restano tutto l’anno di quel colore lì, marrone scuro. Questa femmina resta comunque distinguibile dai miei occhi esperti, poiché non ha alcuna sfumatura di altri colori maschili, che tuttavia non scompaiono totalmente neppure dopo la muda autunnale’’, mi spiegò il mio saggio interlocutore.

‘’Però! Te ne intendi di animali’’, gli dissi, assimilando le nuove nozioni che mi aveva passato. Non ero un esperto di volatili e di papere, ma mi piaceva sempre scoprire qualcosa di nuovo sui vari animali, visto che la natura restava uno dei miei interessi principali, assieme alla musica.

‘’Beh, come ben sai, ho sempre vissuto in campagna. Se un giorno tornerò a viverci, giuro che acquisterò una coppia di anatre domestiche. Mi piacciono questi volatili dai piedi palmati, non so il perché’’, mi disse con semplicità Roberto, tornando a lanciare qualche altra briciola alla bestiola, che, dal canto suo, doveva essere ormai sazia. Infatti, dopo un poco si allontanò da noi, sempre col suo passo altalenante e dalla parvenza goffa, per tornare a mollo nel lago.

Mentre osservavo l’anatra, un rumore forte e musicale mi spaventò, e mi fece sobbalzare sulla mia sedia, rischiando di far traballare il precario tavolino. Direzionando subito il mio sguardo verso il mio compagno di scampagnata, notai che tra le mani si rigirava una piccola fisarmonica a fiato.

Lo guardai, estasiato, tramutando il mio piccolo spavento in una folle curiosità.

‘’No… non dirmi che la sai suonare’’, gli chiesi, impacciato.

‘’Certo. L’ho appena provata, un attimo… ecco, beh, ho imparato a suonarla in gioventù, ora non sono più tanto esperto, ma per me questo oggetto è diventato una sorta di ricordo portafortuna. Lo porto sempre in tasca, con me’’, mi rispose, accennando alla tasca dei pantaloni. Poi, rapidamente, si mise l’oggetto tra le labbra, e stringendolo con la mano destra cominciò a soffiarci dentro e a muoverlo rapidamente. Ne uscì una sinfonia gradevole da udire, totalmente libera, di quelle che mi piacevano da morire.

Restai con le mani incrociate sotto al mento ad ascoltare quella gradevole musica per un po’, ma non mi sarei mai stancato di farlo, e avrebbe potuto suonare per tutto il pomeriggio imminente.

‘’Bravissimo, complimenti! Che bello, suoni benissimo!’’, gli dissi, estasiato, facendo anche un paio di applausi con le mani, non appena l’uomo allontanò il piccolo strumento dalle labbra.

Mi sorrise, placidamente.

‘’Beh, dai, diciamo che so ancora cavarmela. Piacere tutto mio, di aver suonato un po’ per te; diciamo che ho ricambiato brevemente la tua cortesia costante’’, tornò a dire Roberto, accennando ovviamente ai giorni in cui ne approfittava per entrare di soppiatto nella mia saletta ad ascoltare ciò che suonavo col pianoforte.

Poi, l’uomo mi fece l’occhiolino, si mise in tasca la fisarmonica e abbandonò la sua sedia, per tornare a dirigersi verso il lago e la sua canna da pesca, ancora immobile e con l’esca immersa nell’acqua.

 

Il pomeriggio passò con una fretta incredibile. Mai mi sarei creduto che me la sarei spassata così tanto, durante quella piccola uscita che non mi aveva mai entusiasmato neppure a provare a pensarla, nei giorni scorsi. Eppure, per un lungo periodo stetti in compagnia dei germani reali, visto che la femmina era ben presto tornata in compagnia di altri tre suoi simili, alla ricerca di cibo, e visto che ci era rimasto pane a volontà, dato che mia madre aveva riempito il cestino dei viveri con così tanta roba che avrebbe potuto sfamare un mezzo reggimento, ne approfittai per nutrirli abbondantemente.

I simpatici volatili mi si avvicinarono, ed io mi persi a guardarli, fintanto che Roberto non tornò da me, dopo aver ritratto la sua canna da pesca, ed averne già ridotto la sua lunghezza facendo la classica pressione sulle parti da cui era composta.

‘’Dai, su, smontiamo tutto. Sono già le quindici e trenta, e tra poco comincerà a fare troppo fresco’’, mi disse, cominciando a smontare la tenda, rimasta pressoché inutilizzata per tutta la giornata. Una giornata che era stata tiepida e soleggiata, e non avevo nulla da recriminarle.

Mi diressi verso di lui, per offrirgli un aiuto, quando un pensiero ovvio mi folgorò.

‘’Ma non hai pescato nulla?!’’, gli chiesi, esponendo quella domanda che mi pareva doverosa, dato che non l’avevo mai visto tirare su la canna da pesca dall’acqua, e il secchiello bianco che si era portato dietro era ancora totalmente vuoto ed immacolato.

Roberto mi guardò, elargendomi uno dei suoi soliti sorrisi rilassati.

‘’No, ovvio che no. Questo lago è di dimensioni troppo ridotte per contenere pesci, e i pochi pesciolini presenti sono molti piccoli e non possono abboccare all’amo’’, mi rispose, con grande semplicità. Io rimasi scosso da quell’affermazione, che detta così poteva apparire scontata.

‘’Ma come?! Non capisco. Hai detto che ci saremo recati qui per pescare…’’.

‘’Non porti troppe domande, Antonio. Sono un filosofo, no, me l’hai riconosciuto pure tu. E poi, quel che m’interessava era fare un’uscita, e magari far conoscere un posto nuovo anche a te, e la pesca era solo un pretesto che ho utilizzato per dare una motivazione sensata alla mia voglia. Sai, non mi andava di rovinare questa splendida giornata pescando e uccidendo pesci, basando quindi la mia felicità personale sulla pelle, o meglio, sulle squame di altre creature viventi’’.

Motivazione semplice e plausibile, peccato che io non l’avessi capita fino in fondo. Roberto era un uomo a volte imprevedibile, e il suo viso rilassato e sornione nascondeva in realtà una mente che era in grado di cogliermi sempre in contropiede, quando voleva.

Mi arresi a lui, e alla sua superiorità mentale.

‘’Ha ragione, maestro’’, gli dissi, cercando di sciogliere il mio stupore con una pacata ironia.

L’uomo rise a voce alta udendo quelle parole, poi andò alla ricerca del pacchetto delle sigarette, mettendosene poi una di esse tra le labbra.

‘’Caro discepolo, ti ho detto che nella vita regna il caos, ed esso a volte si può nascondere dietro ad una parvenza di regolarità. Bisogna imparare a non prevedere nulla, e a non volere dare sempre un senso forzato ad ogni situazione, cercando motivazioni varie anche quando le più valide sono state ormai smontate. Ora mi fumo questa sigaretta, piego la tenda e prendo su la lamierina e la canna da pesca, e se ti andrà, tu potrai portare alla macchina il secchiello e il cestino dei viveri. Torniamo a casa’’.

 

Giunsi a casa ancora scosso dal comportamento di Roberto. Ma ero piacevolmente rilassato.

Il viaggio di ritorno era stato più silenzioso di quello d’andata, però sempre allietato dalle varie canzoni dei Police. Mi ritenevo sodisfatto di quella giornatina, che tutto sommato si era rivelata piacevolmente gradevole. Mi ero preparato per affrontarla con giorni d’anticipo, studiando e facendo tutti i compiti durante il sabato, e non avevo nulla da recriminarmi; mi sentivo in pace con me stesso e la scampagnata, nonostante tutto, mi aveva fatto bene e mi aveva aiutato a staccare per un po’ la spina dalla solita, opprimente e noiosa routine.

Appena sceso dalla macchina, non feci in tempo neppure a richiudere lo sportello che notai mia madre ben piazzata nel mezzo della porta del garage, che ci veniva incontro per aiutarci a scaricare ciò che c’eravamo portati dietro fino al lago.

Mi rivolse un caldo sorriso, prima di chiedermi come fosse andata la giornata.

‘’Bene, mamma. È stata una giornatina piacevole’’, le risposi, sorridendo anch’io. Era la verità.

Poiché mia madre era una donna del tutto dedita ad ogni sorta di lavoro, non si perse in altre inutili chiacchiere, e dopo aver afferrato il cestino dei viveri, ancora pieno per metà, tornò in casa, seguita a ruota da me. Roberto rimase in garage, a sistemare il secchio e la tenda, cercando di rimetterli nell’angolo in cui erano stati riposti fino a quel giorno.

Una volta rientrato nella mia umile dimora, mi diressi in cucina, e quasi sbattei contro ad un torvo Federico, che mi passò da fianco e si diresse al piano superiore.

Mia madre aveva già la cena pronta, e la lasciò nel bel mezzo del tavolo, e non appena Roberto rientrò, pochi minuti dopo, chiamò al piano inferiore la sua intera piccola famiglia, per affrontare il pasto serale. Erano le diciannove, circa, e fuori ormai il buio regnava sovrano, contrastato solo dai lampioni lungo la strada e dalle luci dell’illuminazione blanda del nostro giardino.

Mentre entravano nella cucina, ed io mi dirigevo nella mia saletta, ad accudire il mio caro pianoforte, mi soffermai a guardare i miei inquilini; sia Livia che Federico mi lanciarono occhiate di fuoco, parecchio infastidite. Compresi che non avevo fatto bene quel giorno a seguire l’uomo della loro famiglia, e che forse avevo innervosito qualcuno, ma non volli prestarci caso.

Ero ancora rilassato, e su di me sentivo tutta la tranquillità di quella giornata ormai conclusa ed estremamente piacevole, e non mi andava di cominciare ad andare in paranoia e di rovinarmi la serata. Quindi, m’infilai in fretta nella mia buia saletta, che illuminai subito.

Mi sedetti al mio pianoforte, senza avere l’intenzione di suonare subito, ma solo di osservarlo per un po’, ma per quel giorno non erano finite le sorprese che il destino mi aveva riservato.

‘’Antonio, per favore, vai ad aprire la porta, che qualcuno ha suonato il campanello! Io sto servendo la cena…’’, disse ad alta voce mia madre, probabilmente dalla porta della cucina.

Con un sospiro, abbandonai il mio pianoforte e mi diressi verso l’ingresso come se fossi un automa, irritato dal fatto che la mia cara mamma in quel momento stava venendo selvaggiamente sfruttata dall’aristocratica e dal bullo, tuttavia obbedii al richiamo che mi aveva fatto ad alta voce.

Non avevo udito il campanello dalla mia saletta, come al solito, e dopo aver abbandonato il mio rifugio mi diressi a passi lenti verso l’atrio e la porta d’ingresso, chiedendomi di chi si potesse trattare a quell’ora. In genere, nessuno veniva mai a farci visita.

Sapendo che non si trattava di certo di qualcuno dei miei nuovi amici, aprii la porta con curiosità, lanciando una sbirciatina, per poi sobbalzare subito dopo. Di fronte a me, un uomo alto e magro mi stava fissando, dopo essere entrato nel giardino da solo, violando il cancelletto esterno senza alcuna autorizzazione.

Il problema principale era che sapevo chi era quell’uomo, e la mia mente era caduta in un baratro colmo di trepidante timore.

‘’Allora, mi vuoi fare entrare in casa oppure no? Cos’è, non mi riconosci più? Certo, sono passati dieci anni dall’ultima volta che mi hai visto, ma tu non sei cambiato per nulla, resti il solito imbambolato’’.

La sua voce tagliente mi tornò alla memoria, e confermò i miei più tremendi pensieri. Non mi scostai dalla porta, continuando a restare pietrificato sulla soglia.

‘’Oh, diamine, lasciami entrare’’, mi disse l’uomo con fare scocciato, spintonandomi indietro ed entrando in casa, con una discreta prepotenza.

Mio padre era improvvisamente tornato, dopo anni di latitanza, e a me non restava altro da fare che prenderne atto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, carissime lettrici e carissimi lettori!

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Il ritorno del padre di Antonio sarà un evento che scombussolerà un po’ le carte in tavola… vedremo come.

Per adesso ci tengo solo a ringraziare infinitamente tutti i lettori e i recensori del racconto. Vi adoro, e siete la mia forza! Senza di voi, questo racconto non sarebbe lo stesso, e forse neppure io lo sarei. Grazie per tutta la fiducia che riponete in questo scritto, e per i bellissimi complimenti che mi rivolgete ogni volta!

Grazie di cuore per tutto, e buona giornata J a presto J

   
 
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