Titolo:
Miraculous Heroes
Personaggi: Adrien Agreste,
Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: azione, romantico,
sovrannaturale
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what
if...?, original character
Wordcount: 2.771 (Fidipù)
Note: Buon salve! Eccomi qua con il consueto aggiornamento di
Miraculous Heroes (ancora 3 capitoli e questa storia giungerà al termine.
Sigh.)! Bene, bene. In questo capitolo ho usato la leggenda del filo rosso
(che non sto qui a spiegare, ci penserà più avanti qualcuno): ero
convintissima che fosse di origine giapponese e, invece, andando a fare un
po' di ricerche ho scoperto che aveva nazionalità cinese e che il
protagonista di questa leggenda si chiamava Wei. Come non prendere la
palla al balzo, eh?
Detto questo, come sempre, voglio ringraziarvi per essere giunti fino a questo capitolo. Grazie a chi legge silenziosamente, grazie a chi mi commenta sempre e a chi inserisce questa storia in una delle sue liste.
Grazie, davvero, grazie.
Rafael
sbadigliò, massaggiandosi gli occhi e sperando di cancellare la stanchezza
con quel gesto: «Non era necessario accompagnarmi.» mormorò Sarah,
fissandolo e abbozzando un sorriso: «Oltretutto non so come farai a
tornare a casa, dato che fra poco non ci saranno più corse.»
«Ho un kwami e non ho paura di usarlo.»
«Ehi!» sbuffò Flaffy, volando davanti al viso e guardandolo male: «Che
razza di…»
«Flaffy!» sibilò il giovane, afferrando l’esserino e gettandolo dentro la
tasca della felpa: «Quante volte ti ho detto di non volare come ti pare?»
«Ehi. Genio. Non c’è nessuno.» sbottò il kwami del Pavone, sospirando e
guardando verso Sarah e Mikko: «Scusatelo, signore, purtroppo non sempre
questo piccolo hobbit usa il cervello…»
«Hobbit?» sbuffò Rafael, mentre la ragazza ridacchiava, scuotendo il capo
e facendo ondeggiare le ciocche bionde: «Li hai lasciati sciolti…»
«Cosa?»
«I tuoi capelli. La maggior parte delle volte li tieni legati.»
«Ah. Mh.» la ragazza si portò una mano al pettinino dell’Ape, carezzandolo
con i polpastrelli: «Il mio Miraculous è un po’ difficile da indossare e
trovo più comodo quando ho i capelli tirati su.»
Rafael annuì, osservando le dita che carezzavano il monile e sorrise: «Ti
stanno bene in entrambi i modi.»
«Cosa?»
«I capelli. Stai bene sia quando li hai legati che sciolti come ora.»
«Ah. Grazie.» mormorò la ragazza, sorridendo e studiandolo: «Posso farti
una domanda?»
Un gemito si levò dalle labbra del giovane che, dopo aver inspirato
profondamente, allungò le gambe davanti a sé: «Odio quelle quattro parole,
di solito non portano a niente di buono.»
Sarah ridacchiò, poggiando i gomiti sulle gambe e il viso contro le mani,
studiando il compagno: «Perché ti comportavi come…beh, ti comportavi?»
«Prego?»
«Adrien mi ha parlato un po’ di te.»
«Quel gatto dovrebbe tenere la bocca chiusa, alle volte.» ringhiò Rafael,
scuotendo il capo e gettando una breve occhiata alla bionda: «Cosa vuoi
sapere?»
«Mh. Adrien mi ha detto che…» fece un lieve cenno con la mano per aria:
«beh, diciamo che sfarfalleggiavi da un fiore all’altro e ti atteggiavi a
grande uomo.»
«Ripeto: il gatto deve smettere di miagolare.»
«Beh?»
«Cosa?»
«Perché ti comportavi così?»
Il moro sbuffò, infossandosi nel sedile e guardando l’altra: «Non
mollerai, eh?»
«No. E poi abbiamo una ventina di minuti ancora, il tempo adatto per
sapere perché ti comportavi da...»
«Stronzo arrogante?» concluse per lei Rafael, sorridendo dolcemente:
«Perdono, se il mio linguaggio è pessimo, ma non sapevo come altro
definirmi.»
«Non hai una gran bella opinione di te, vero?»
«No.» rispose candidamente il ragazzo, fissando dritto davanti a sé:
«Voglio bene ai miei genitori, seriamente; ma ogni volta che li vedevo
partire pensavo che là fuori c’era qualcosa migliore di me, se preferivano
trascorrere il loro tempo là piuttosto che con loro figlio. Quando sei
bambino non vai a pensare che, forse, sono solo appassionati del loro
lavoro e la lontananza faceva male a me quanto a loro due; crescendo l’ho
capito, ma da piccolo…beh, ti chiederai cosa centra questo, giusto? Mh. Le
donne, quelle con cui sfarfalleggiavo, erano un palliativo per ridurre la
solitudine che sentivo dentro: se c’era qualcuno al mio fianco non potevo
sentirmi solo, no?»
«Ma perché non una ragazza fissa?»
«Perché nessuna aveva quel qualcosa…» si fermò, scuotendo la testa e
sorridendo: «Forse sono un romantico, ma penso che oltre a qualcuno che
allontanasse la mia solitudine fossi anche alla ricerca della mia anima
gemella.»
«Se mai esiste…»
«Non ci credi?»
«Nì.» mormorò la ragazza, puntando lo sguardo davanti a sé: «Ho visto i
miei genitori amarsi con tutto loro stessi e vedendo loro direi: sì,
esiste. Sicuramente da qualche parte la persona perfetta per me c’è, poi
vedo me e…»
«E?»
«Non so, alle volte penso esista, alle volte no.» Sarah scrollò le spalle,
sorridendo: «Beh, non che sia il mio interesse primario cercarla. Bene, mi
hai spiegato lo sfarfalleggiare di fiore in fiore. Il resto?»
«Il resto?»
«Rafael…»
«Beh, c’è poco da dire: da piccolo ho imparato che se ti dimostro subito
quello prepotente, nessuno ti darà noia.»
«Eri un bullo?»
«No, ma quelli ci pensavano due volte prima di prendersela con me.»
«Quindi per colmare la solitudine hai iniziato a uscire con tante ragazze
e per non essere sottomesso hai imparato a essere quello aggressivo…»
riepilogò la ragazza, annuendo con la testa: «Ma dietro queste maschere,
in verità, c’è un ragazzo dal cuore d’oro che mi ha subito aiutata quando
avevo bisogno e che cerca l’amore della sua vita. Mh. Penso di preferire
il vero Rafael a quello che indossavi fino a qualche tempo fa.»
«Ah sì?»
«Già.» Sarah ridacchiò, mordendosi il labbro inferiore: «Se fossimo in uno
di quel film che Mikko adora, tu saresti il cattivo ragazzo che è
diventato un…Mikko, com’è che dici di solito?»
La kwami gialla fece capolino dalla borsetta, poggiando le zampette sulla
zip e osservando il ragazzo: «Mh. Un cattivo ragazzo che è diventato un
patatone dal cuore di puro cioccolato?»
«Grazie, Mikko!» esclamò Sarah, ridacchiando all’espressione sconvolta del
compagno: «Tu hai il kwami fissato con Il signore degli anelli, io la
kwami romanticona che si divora film romantici.»
«Una patata con un cuore di puro cioccolato?»
«Cioccolato?» esclamò Flaffy, volando fuori e guardandosi intorno
impazzito: «Dove? Dove?»
«Tu hai dei problemi, Flaffy.» sospirò Rafael, acciuffando nuovamente il
kwami e mettendolo di nuovo nella tasca della felpa; con la coda
dell’occhio vide qualcosa alla sinistra, si voltò e rimase basito:
Willhelmina – o Bridgitte – Hart era seduta poco distante da loro, nel
vagone vuoto.
Era certo che non ci fosse stata, fino a poco prima.
«Cosa stai…» mormorò Sarah, voltandosi anche lei e trattenendo il fiato
alla vista della donna.
Willhelmina sorrise affabile, alzandosi in piedi e Rafael la imitò,
mettendosi davanti Sarah come a proteggerla: «Buonasera, Bee.» mormorò la
donna, posando lo sguardo freddo sulla ragazza: «So chi sei. Non è stata
una grande idea, quella di trasformarti davanti Mogui.» commentò, facendo
scivolare lo sguardo sul giovane: «Mh. Peacock, vero?»
«Già.» dichiarò baldanzoso Rafael, sorridendole: «Mentre come devo
chiamarti? Willhelmina? Bridgitte? Coeur Noir? Chiyou? Seriamente, hai
troppi nomi: fai pace con te stessa e scegline uno.»
«Dato che quell’insulsa donna ha perso la partita contro di me…» mormorò
Willhelmina, osservando interessata le unghie laccate di nero: «Ditemi:
quale preferite? Coeur Noir o Chiyou?»
«Ha perso la partita contro di te?»
«Quella stolta ha sperato che inglobandomi sarebbe riuscita a dominarmi,
non sapendo che io le lasciavo credere ogni cosa, finché non si è arresa
al mio potere.» dichiarò Coeur Noir, sorridendo ai due: «In vero, sono
quasi certa che aveva voluto prendere i Miraculous solo per annientarmi.»
«Ah. Quindi con tutti i Miraculous potremmo farti fuori?» domandò Rafael,
sorridendo: «Me lo segno in agenda: tizia con tanti nomi, può essere fatta
fuori con i sette Miraculous.»
«Io sono Chiyou, sono colui che non è stato sconfitto nemmeno
dall’Imperatore Giallo! Non sarete voi ad annientarmi.»
«Credici, cuoricina.»
«Rafael…» mormorò Sarah, poggiando una mano sulla spalla del ragazzo e
osservandolo mentre si voltava leggermente per vederla di sbieco: «Non
penso che farla arrabbiare porti a qualcosa.»
«Sarah, sto cercando di discutere con la mummia qua.»
Coeur Noir mosse le labbra, fissando i due giovani: «Presto, vi annienterò
tutti e allora non farete più gli spavaldi.» dichiarò, agitando poi le
mani e sparendo in una voluta di fumo nero.
Rafael si rilassò, scrollando le spalle e rilasciando l’aria che aveva
trattenuto negli ultimi secondi: «Perché i cattivi devono fare sempre
questi discorsi? Non mi annienterete e, puntualmente, vengono fatti
fuori.»
Adrien osservò la ragazza addormentata nel suo letto, sorridendo
dolcemente: Marinette era immersa nel sonno, con i due kwami acciambellati
vicino al volto; il corpo era coperto dalla camicetta che lui adorava
tanto e una spallina sottile era scivolata, rivelando parte del seno.
Il suo amore.
La sua vita.
Con un sorriso si voltò e, dopo aver mosso il mouse, lo schermo del pc si
accese, mostrandogli le foto di Marinette e di…
Sua madre.
Pavo.
Doveva ancora fare a patti con quanto era venuto a conoscenza quella sera:
sua madre, un’eroina di Parigi, che combatteva uno scienziato pazzo e lo
aveva seguito fino in Tibet…avrebbe voluto sapere di più, chiedere
maggiori dettagli a suo padre ma aveva visto lo sguardo che aveva, mentre
gli narrava velocemente, fatti avvenuti pochi anni prima e non se l’era
sentita di fare altre domande.
Per cosa poi?
Per sbattere contro un muro? Per venire ossessionato dal fantasma di
qualcuno che non c’era più?
Dove era?
Era ancora viva?
Perché aveva spedito il suo Miraculous?
L’aveva fatto lei o qualcun altro?
Troppe domande. Nessuna risposta.
Si era sentito così suo padre, quando si era ritrovato fra le mani il
Miraculous del Pavone?
Stese le gambe e gettò indietro la testa, socchiudendo gli occhi: se fosse
capitato a lui, se Marinette avesse seguito il loro nemico, sparendo
chissà dove, come si sarebbe sentito?
Storse le labbra al dolore sordo che gli aveva carpito il cuore e quasi
iniziò a comprendere il genitore: Sono
diventato Papillon per avere il potere dei Miraculous e riportare da me
qualcosa che amavo, questa era stata la spiegazione dell’uomo,
pochi giorni dopo la sconfitta finale che aveva subito da parte di Ladybug
e Chat Noir, e il quattordicenne che era allora non aveva compreso.
Non aveva capito la portata del dolore del genitore.
Poi la routine e la vita quotidiana aveva preso il sopravvento:
timidamente e lentamente era iniziata la storia con Marinette e l’aveva
sempre più coinvolto, facendogli relegare in un angolino le parole del
genitore; Gabriel stesso, poi, era cambiato e tornato a essere il genitore
di un tempo.
E tutto era stato dimenticato.
«Adrien?» la voce di Marinette gli giunse alle orecchie, facendogli aprire
gli occhi e voltare la testa, trovandola seduta sul bordo del materasso,
con i capelli sciolti che le carezzavano le spalle e incorniciavano il
volto; la ragazza sorrise, alzandosi e avvicinandosi a lui, poggiandogli
il mento sui capelli biondi e abbracciandolo da dietro: «Vuoi parlarne?»
Il giovane portò una mano al polso delicato della ragazza, stringendolo
nella sua presa come se si aggrappasse a lei e, effettivamente, era quello
che stava facendo: Marinette era la sua forza, la roccia che lo teneva
saldo.
«Ti ricordi quello che ci disse mio padre, quando gli chiedemmo perché?»
«Perché era diventato Papillon? Sì, disse che c’era un motivo se aveva
fatto quel che aveva fatto, ma non…»
«Qualche giorno dopo mi disse che aveva voluto il potere dei nostri
Miraculous per riportare indietro qualcosa che amava.»
«Intendi che…»
«Penso che li volesse per far tornare a casa mia madre.» mormorò Adrien,
chinando il capo e baciando la pelle del polso di lei: «Stasera non mi ha
detto tanto di lei e…» scosse il capo, sospirando: «E’ viva? E dove si
trova adesso? Perché non torna? Perché ha spedito il suo Miraculous? L’ha
fatto lei oppure…»
Marinette lo strinse a sé, premendo le labbra sulla testa bionda e
cullandolo dolcemente: «Quando questa storia sarà finita e saremo liberi
dal nostro impegno di eroi, andremo a cercarla.» dichiarò decisa,
sciogliendo l’abbraccio e scivolandogli davanti: «Anche a costo di andare
in Tibet, la troveremo.»
Adrien sorrise di fronte a quello sguardo deciso e a quella sicurezza
infinita che aveva sentito nella sua voce: «Sì. Come la mia lady
desidera.»
«No. Come il mio gatto signore e padrone vuole.»
Wei storse il naso, quando avvertì l’aroma del caffè: «Non ti piace, eh?»
domandò Lila, fissandolo da oltre il bordo della tazza e sorridendo: «In
Italia è anche più forte di questo. Quando vivevo dai miei nonni, ogni
mattina mi svegliavo con l’aroma del caffè, scendevo dal letto e andavo in
cucina e trovavo la nonna che poggiava la moka sul tavolo e poi tirava
fuori pane, burro e marmellata di tutti i tipi…»
Lila sospirò profondamente, appoggiando il viso sulla mano e sorridendo:
«I miei nonni materni vivono nella campagna toscana, un borgo vicino
Firenze e hanno un’azienda agricola: ogni mattina, prima di andare a
scuola, ascoltavo le voci degli operai che iniziavano la giornata nei
campi…»
«Oh. Abitavi in campagna?»
«Sì. Perché?»
«Beh, sei così…così…sofisto…soficastata…come si dice?»
«Cosa vuoi dire?»
«Mh. Elegante!» dichiarò Wei, illuminandosi: «Anche se non era la parola
che volevo. E dire che l’ho letta stamattina…»
«Elegante…mh, alcuni sinonimi sono Ricercata, raffinata, sofisticata…»
«L’ultimo!»
«Sofisticata? Ti do davvero quest’impressione.»
«Ehm. Sì.» dichiarò il cinese, massaggiandosi la nuca e abbassando lo
sguardo sulla tazza di the davanti a lui: «Sembri sempre uscita da una
rivista, sei bella ed elegante…»
«Spiacente di deluderti. Sono una grezza ragazza di campagna.» dichiarò
Lila, poggiando il viso sulle mani e osservandolo: «E tu saresti una
risorsa utile: sei forte e la fatica non ti spaventa, oltretutto sei un
lavoratore serio. Penso che al nonno piaceresti e ti troveresti bene
nell’azienda e a lavorare all’aperto.»
«Mi stai chiedendo di venire con te, quando tornerai in Italia?»
«Lo faresti?»
Wei sorrise, allungando una mano sul tavolo con il palmo verso l’alto e
attese che la ragazza poggiasse una delle sue sulla propria: «C’è una
leggenda che nasce in Cina: secondo la tradizione ogni persona porta, fin
dalla nascita, un invisibile filo rosso legato al mignolo della mano
sinistra che lo lega alla propria anima gemella. Il filo ha la
caratteristica di essere indistruttibile: le due persone sono destinate,
prima o poi, a incontrarsi e a sposarsi.» spiegò, intrecciando le dita con
quelle di Lila: «Mia madre mi ha sempre detto che mi ha dato il nome
dell’uomo della leggenda, perché anch’io, come lui, fossi benedetto dal
Dio dei matrimoni e trovassi subito colei che ha l’altro capo del mio
filo…»
Lila sorrise, allungandosi sul tavolo e, stringendo la mano dell’altro, lo
baciò: «Smetti di cercare, ok?» mormorò, osservandolo sorridere e annuire.
La ragazza piegò le labbra in un sorriso, allungandosi nuovamente verso il
giovane: «Se tornerò in Italia, verrai con me?»
«Sì.»
«Mi stai dicendo che la tipa dai mille nomi è apparsa in metro e vi ha
detto chiaramente che sapeva chi eravate e che ci attaccherà in maniera
definitiva?» domandò Adrien, passandosi una mano e abbozzando un sorriso a
una delle parrucchiere che, lacca e pettine alla mano, tornò alla carica
per sistemargli il ciuffo di capelli che aveva spostato.
«Sì.» sbuffò Rafael, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni e neri,
inspirando profondamente: «Sarah ha detto che avviserà lei Marinette, Lila
e Wei. Non mi sento sicuro.»
Adrien si voltò, verso il genitore che aveva ascoltato in silenzio fino a
quel momento: «Dobbiamo tenerci pronti…» dichiarò Gabriel, annuendo con la
testa: «Coeur Noir è alle strette: sa che la prossima volta la
annienteremo e quindi sferrerà per prima l’attacco.»
«Speriamo non sia durante la sfilata.» bofonchiò Adrien, prendendo il
borsalino che uno dei numerosi assistenti gli aveva passato, calcandoselo
in testa: «Beh, come vi sembro?»
«Un gangster.» dichiarò prontamente Rafael, osservando il collega e
quasi-amico, ruotare su se stesso: con il completo nero e il cappello
sembrava davvero uno di quei malavitosi degli anni Venti.
«Mando una foto a Marinette.»
«Sento Sarah se può filmare l’urlo che lancerà in classe, così potrò
prenderla in giro a vita.»
«Marinette, respira.»
«Non posso respirare!» dichiarò la ragazza, mostrando il cellulare e
facendosi vento con la mano: «Come faccio a respirare dopo aver visto
questo?»
Alya alzò le spalle, scuotendo il capo e sorridendo: le sembrava di essere
tornata indietro nel tempo, quando Marinette trovava una foto di Adrien su
una qualche rivista di moda e andava in iperventilazione.
Beh, adesso il modello gliele mandava direttamente le foto, ma questo non
cambiava il risultato finale.
«Sarah, cosa stai facendo?» domandò, osservando l’americana riprendere
Marinette e ridacchiare.
«Mh. Rafael mi ha mandato un messaggio, dicendo di riprenderla.»
Marinette si voltò verso la camera, sorridendo dolce: «Rafael, prova anche
solo a dire una parola e la ginocchiata che ti ho dato ti sembrerà niente,
in confronto a ciò che ti farò. Buona sfilata, ragazzi.»
«Glielo mando?»
«Manda.»
Un brivido corse lungo la schiena di Rafael mentre ascoltava la minaccia
di Marinette, mentre al suo fianco Adrien ridacchiava: «Quella ragazza
sarà mia moglie. Ci credi?»
«Tu hai dei gusti strani, amico.»
Fu inspirò profondamente, osservando il cielo e ascoltando il suono del
vento: c’era qualcosa che non andava, era come se il mondo intero lo
stesse mettendo in allarme.
Qualcosa stava per succedere.
Il jingle dell’edizione straordinaria del tg lo fece voltare verso la tv,
rimasta accesa: «Buongiorno a tutti!» dichiarò la voce decisa di Nadja
Chamack, mentre l’immagine della giornalista lasciava il posto a una
visuale aerea della Tour Eiffel e all’esercito di guerrieri neri che la
circondava: «Ancora una volta Parigi è in pericolo…»
«Bridgette!»