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Autore: xwilliamseyes    12/07/2016    0 recensioni
Flora si ferma, si guarda alle spalle.
C'è il suo passato, incorniciato da tutte quelle domande rimaste ancora dubbi.
Si gira completamente e non vede altro che Zayn.
Quell'amore che aveva trasformato il suo cuore in ossessione.
Cerca risposte, Flora, nelle sue immagini sbiadite e in quegli odori acri di ortensie.
Ma alla fine solo due domande riecheggiano instancabili nel suo cervello: può un ossessione annullarsi come sabbia al vento? Possono due cuori, un tempo così uniti, dimenticarsi per sempre?
Una storia sugli eccessi, sulla condivisione, sui caratteri difficili, sulle parole non dette e sull'amore fatto di battiti infiniti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quattordicesimo Capitolo
 
Zayn mi guardava al di sotto di un paio di ciuffi neri, decisamente scomposti sulla fronte. Un mezzo sorriso gli aleggiava sulle labbra, la mano destra ancora poggiata sotto la mia nuca. I suoi occhi nei miei. Non sembrava per niente terrorizzato, a disagio, confuso o quant'altro, anzi, al contrario, completamente sicuro di quello che aveva fatto. Si allontanò da me con un gesto rapido per poi guardare altrove.  Dal mio canto, invece, l'imbarazzo c'era, eccome se c'era. Non si espresse in un paio di guance rosse ma in un respiro a mezz'aria, incapace di riprendersi e prendere coscienza di quello che per davvero era accaduto. Riprese a guardarmi con una nota di alter ego e determinazione. Non pensai a nulla se non al fatto che quel gesto fosse nei suoi pensieri da chissà quanto tempo. Non era stata questione di un caso ma di semplice e sincera volontà.
“Torniamo in pizzeria?” il tono di naturalezza con cui espresse quella domanda non mi sorprese, tant'è che ricambiai con un altrettanto naturale “si”. Mi afferrò per un polso, facendo scivolare le sue dita sulle mie, incrociandole perfettamente. Osservai quell'unione con fare confuso e stranamente divertito. Strinse sempre di più la sua pelle contro la mia, impedendomi di divincolarmi. Eppure io non avevo proprio intenzione di lasciarlo.
I nostri passi volarono lungo l'estesa rampa di scale per poi riposarsi nella calda automobile. 
Il viaggio fu silenzioso, movimentato solo da un paio di sguardi silenziosi che parevano giocare a nascondino. Non era certo timidezza la nostra, ma semplice inesperienza.
Quando scendemmo Zayn calcò una distanza tra i nostri corpi.
“Ci vediamo, allora”
“Certo”
Lo guardavo con un certo fascino e mistero. E a concentrarsi bene sentivo ancora il suo odore umidiccio e polveroso su di me, sul mio collo e sulle mie braccia. Un bacio era stato capace di fare tutto questo?
I suoi occhi si strizzarono in uno sguardo di approvazione e per un istante di spaesamento. Lentamente si voltò, dirigendosi con una certa fretta verso il tavolo della sua famiglia. Si richiuse su stesso, afferrando con voracità una fetta di pizza divorandone un boccone. Si lasciava scorrere l'olio lungo il mento, sembrava decisamente affamato.
A me, invece, la fame era passata. 
Feci dietrofront sostenendo un passo deciso verso l'uscita. Il sole del pomeriggio a picchiarmi sul collo nudo e le spalle fin troppo coperte. Aumentai di poco la mia velocità rincuorando un respiro affannato. 
Gli occhi perfettamente puntati in avanti ma forse, in fondo, da tutt'altra parte.
Io e Zayn eravamo questo? Pura e istintiva confusione? Un attimo prima eravamo sul punto di ucciderci di parole, l'altro di silenzi di passione. 
Mi tormentavo chiedendomi come tutto questo fosse possibile, se la stupida in questo enorme casino ero io, e soltanto io. Ripresi alla mente i suoi occhi. Quegli occhi capaci di dire un milione di bugie, di mutarsi in innocenza anche se bramosi di dominio. E per quanto ci fosse di sbagliato non potevo annullare, provare a capovolgere quell'immensa curiosità che era capace di suscitarmi. Quanto spavento c'era nel mio cuore, chissà quanto, eppure in quel momento era coperto, silenziato da una miriade di veli di attrazione. E l'attrazione ci rende ciechi, sordi e muti.
Quando le mie mani toccarono la porta di casa lo stomaco prese a fare strani rumori. L'ampia cucina era deserta, silenziosa e illuminata per metà. Piccole gocce d'acqua scendevano dal rubinetto rotto e umido. Mi avvicinai riempendo un mezzo bicchiere d'acqua che portai alla bocca con noncuranza. Avanzi poi verso il frigo dove agganciai un fetta di prosciutto e una sottiletta. Infilai tutto in un panino e mi lasciai trasportare da un sapore secco e decisamente salato. Lo stomaco cominciò a rilassarsi e a riprendersi su stesso, la testa a fare meno male e il cuore, invece, sempre più pesante. Una strana sensazione proprio all'altezza del petto. Mi sembrava che la ragione, la vera e giusta ragione si stesse riappropriando del mio corpo. La mia lucidità rischiarò i miei occhi sporchi. 
Io di illudermi non ne ho proprio voglia. Io non mi farò mai illudere. Io non sono come tutte le altre, io capisco cosa è giusto e cosa è sbagliato. Zayn non si prenderà gioco di me, non mi userà come un giocattolo perché semplicemente annoiato. E poi? E poi vogliamo parlare di tutti quei misteri? Quella busta, quella maledetta busta. Droga, ne sono sicura, sicurissima. Erba, cocaina, spinelli o Dio sa cosa. Cazzo, ho diciotto anni non quindici. Non sono mica scema.
Con una certa fierezza mi alzai dal tavolo di legno sferrando due pugni netti sul piano ruvido per metà. La gola mi bruciava di orgoglio e schietto femminismo. Il calore avanzava lungo il viso arrossato e le ascelle umidicce. 
Aprii il balcone e provai a prendere una boccata d'aria, a distendere per quanto mi fosse possibile i pensieri. Bestemmiai tra me e me la debolezza umana. Quel nostro essere istinto e ragione, quel nostro sbagliare di continuo prendendone effettiva coscienza sempre troppo tardi. 
Provavo a rassicurarmi, a darmi coraggio, a cancellare tutto. A cancellare il cuore che troppe volte accelerava il suo battito all'impazzata, si faceva sentire ancora e ancora. Che non dava tregua, che non si ammutoliva. 
Forse perché l'amore è vita e il cuore da' la vita. 
Coraggio serve nella vita, spudorato coraggio. 
I sentimenti sono la nostra più grande rovina, ma come si fa a zittirli?
Sbuffai rumorosamente gonfiando le guance, incapace di darmi una risposta fattibile e sensata. Eppure di rassegnarmi io non ne avevo proprio voglia. Io ero diversa, fottutamente diversa.
Una mano calda e ruvida mi toccò la spalla costringendomi ad un sussulto.
“Flora”
La voce soffusa di mio padre mi accarezzò il timpano. D'istinto mi voltai rivolgendogli un sorriso, destandomi con convinzione dalla mia mente fin troppo occupata.
“Cos'è questa faccia brutta?” 
Gli occhi erano strizzati da un paio di rughe e da un'espressione assonata. Si portò una mano sulla fronte cercando di ripararsi dai sottili raggi di sole che gli impedivano la vista completa del mio viso. Si avvicinò lentamente a me, afferrando con spontaneità la ringhiera di ferro arrugginito e bollente. Gli lanciai un mezzo sorriso, con una goccia di sudore a scendermi lungo la guancia destra.
“Niente, tutto bene”
Provai a mostrare un'espressione audace, disinvolta e sicura. Speravo di mascherare quelle mie assurde preoccupazioni che ormai straripavano da tutti i pori della mia pelle, tramutandosi in spasmi ed espressioni arricciate.
Sgranò gli occhi, sbuffando in una risata compiaciuta e presuntuosa.
“C'è qualcosa che non va”
Lo guardai disperata, con gli occhi imploranti di pietà. Non sapevo più dove nascondere il mio disagio. Non sono mai stata brava a dire le bugie, a nascondere le emozioni. 
Un paio di istanti di imbarazzante silenzio si posizionarono tra le nostre figure leggermente distanti.
Mio padre puntò il suo sguardo altrove, oltre i palazzi corrosi dall'afa. Sembrava essere alla ricerca di una qualche ispirazione o forse spiegazione. Abbassò lo sguardo sul ferro nero e lucido, torcendo le mani in rigidi pugni. 
“Non puoi mentire proprio a me, Flo”
Gli angoli della bocca si incurvarono in una smorfia. Non capivo se si trattasse di dispiacere, delusione o semplicemente orgoglio. Come padre si sentiva in potere di capirmi, di svelarmi, quasi di leggermi nel pensiero. Stiracchiò la slanciata figura, allontanandosi di qualche passo e tenendo le mani svogliatamente lungo i fianchi.
“Non ho niente, davvero”
Replicai. La voce paonazza, decisamente disperata. Incrociai le braccia sulla ringhiera ignorandone il bruciore che pian piano iniziò a sollecitare la mia pelle. E puntai a mia volta la vista altrove, cercando alla buona di evitarlo.
Anche di spalle sentivo il suo sguardo pesante, vicino al rimprovero sulla mia piccola e insignificante figura, ricurva su se stessa. Il respiro pesante e rassegnato, il mento leggermente barbuto grattato con una nota di sommessa rassegnazione.
“Va bene”
Sospirò prima di allontanarsi con passi silenziosi e leggeri. La sua ombra si distese lungo il largo balcone permettendomi di tirare un sospiro di sollievo. 
Con mio padre non parlavo quasi, anzi, con i miei non parlavo quasi mai.
Non erano in grado di capirmi, almeno come io volessi e intendessi essere capita. Preferivo stagnare nel mio silenzio angoscioso piuttosto che ricevere uno dei loro soliti e vecchi consigli, che tra l'altro si rivelavano puntualmente un frutto di vigliaccheria e timidezza.
E la vigliaccheria nella vita proprio non era nei progetti. 
Mi sentivo decisamente meglio quando i raggi del sole finalmente si nascosero per metà dietro una piccola collina in lontananza. Mi lasciai trasportare da quello spettacolo aranciato prima di tornare dentro. 
Il cuore aveva ripreso a lasciarmi respirare come una persona normale. Lento e rilassato era il mio respiro, leggera e vuota la mia mente. Un sottile ricordo dell'incontro di quel pomeriggio mi balenava irrimediabilmente ancora tra i pensieri. Tuttavia, sentivo il potere di contenerlo, di dominarlo. 
Un bacio, cos'altro è un bacio? Un incontro istantaneo di due labbra.
Un incontro istantaneo che si consuma in fretta ma che dura nel tempo.
E per me il tempo non doveva necessariamente mostrarsi duraturo.
Mi gettai sul divano caldo e consumato. Un rivolo di silenziosa polvere si liberò nell'aria costringendomi ad uno sbuffo spontaneo. Agitai una mano all'aria allungandomi poi verso il telecomando posizionato sul piccolo mobile di legno decorato. Tentai un tasto, due, tre alla ricerca di un canale quantomeno interessante. Un paio di film in bianco e nero, commedie senza speranza, repliche su repliche di vecchie serie tv andate ormai a male.
Il trillo del telefono interruppe l'aria monotona rigettandomi in uno stato di noia. 
“Vai tu, Gabrielle?”
Urlò dal bagno mio padre, con la voce ovattata dal getto di acqua.
Con una spinta di decisione mi misi in piede, pestando a piedi nudi il liscio pavimento in marmo. Le dita piegate per metà e uno slancio verso la cornetta.
“Pronto?”
“Buonasera, sono Zayn, un amico di Flora. Flora è in casa?”


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Buon martedì mattina a chi mi leggerà in questo momento! 
Rileggendo il vecchio capitolo mi sono resa conto che scarseggia parecchio di descrizioni, Flora e Zayn mi sembrano tanto due marionette (bleah), così in questo ho abbondato e tutto mi è costato una bella disperazione.
Flora è tormentata. Ha paura di quello che possa fare Zayn al suo cuore, ha paura di rimanere delusa. E poi non si fida. Non si fida. Ma cosa cacchio c'era in quella busta? Droga, possbile? Voi cosa ne pensate?
Spero vi piaccia!
Un bacio.
-Manu

 
- ZAYN -



(che meraviglia queste foto che escono all'improvviso..)

 
  
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