Kaito entrò nella Sala Grande
stiracchiandosi. Era in netto ritardo, tutta la tavolata di Grifondoro era già
seduta e nel pieno della colazione. Ginny lo accolse con un sorriso.
«Ancora problemi col fuso orario?»
«Un pochino, come sempre, ma fra un paio di
giorni sarà tutto risolto. Allora, novità?»
La ragazza gli porse un plico: «Aoko
stamattina era carica di posta per te.»
«Poverina…»
Il ragazzo sfogliò svogliatamente la sua
posta. C’erano la Gazzetta del Profeta, il suo giornale giapponese, una lettera
dalla mamma che gli chiedeva com’era andato il viaggio, ma furono le ultime tre
buste ad attirare la sua attenzione. Aprì la prima.
Il signorino Saguru Akuba è stato riportato
alla stazione di King’s Cross. È in buone condizioni
di salute, la sua memoria è stata cancellata dal Ministero ed è convinto di
averti perso di vista fra la folla dei viaggiatori prima di vederti
attraversare la barriera. Gli è anche stato fatto credere di aver avuto un
leggero calo di zuccheri, e che quindi abbia perso i sensi per un po’. Speriamo
che questo basti a giustificare il suo sfasamento e la perdita del senso del
tempo. A quanto ci risulta, sta già prenotando un volo per ritornare in
Giappone, quindi non c’è motivo di darsi pensiero per lui.
Auguro un buon
primo giorno di lezione.
Professoressa Minerva
McGranitt
Kaito sorrise. Per fortuna anche quella era
risolta, ma dubitava seriamente che Saguru si fosse
fatto infinocchiare davvero dalla storia del calo di zuccheri. Come si vedeva
che non lo conoscevano bene quanto lui…
Passò alla seconda busta. Era il suo
orario. Alzò un sopracciglio.
«Alla faccia della giornatina leggera! È
normale che abbia tutte le nuove materie oggi?»
Stephen sventolò il suo orario: «Non sei
l’unico, siamo tutti messi così…»
«Al mattino Aritmanzia
e Difesa contro le Arti Oscure, mentre al pomeriggio due ore di Cura delle Creature
Magiche e Babbanologia… ci sarà da divertirsi!»
Smise di essere ironico quando riconobbe la
scrittura dell’ultima lettera, che aprì con impazienza.
Caro
Kaito, non ho dimenticato assolutamente la nostra promessa. Un anno è passato,
tu hai compiuto diciotto anni e il mio Voto Infrangibile è finalmente caduto.
Presentati stasera nel mio ufficio, alle 21.30, la parola d’ordine per il gargoyle di guardia è “Crem
caramel vanigliato”. Come la scorsa volta, porta con te questa lettera, servirà
come eventuale lasciapassare per Gazza.
Spero
ti possa godere il rientro ad Hogwarts.
A
questa sera
Albus
Silente
A Kaito tremarono leggermente le mani. Era
un anno che attendeva quelle parole. Deglutì emozionato, poi con un sospiro
recuperò la sua faccia da poker e si servì una rapidissima colazione. Anche se la
giornata si preannunciava durissima, adesso aveva un ottimo motivo per arrivare
alla fine.
Thomas sorrise imbarazzato: «E dire che
pensavo di essere l’unico ad aver scelto Aritmanzia…»
Kaito rispose: «E invece siamo in tre,
visto? Però, per favore, Colin, non farti riconoscere subito, inizia a fare
fotografie dalla quarta o quinta lezione se proprio non puoi farne a meno…»
Il ragazzo sorrise furbetto, facendo
intravvedere l’obiettivo nella borsa: «Dipende da quanto sarà interessante la
lezione!»
L’aula di Aritmanzia
era fra le più spoglie che Kaito avesse mai visto, forse battuta solo da quella
di Storia della Magia. Ma se il professor Rüf era
giustificato dalla sua incorporeità a non mettere cartine o non scrivere mai
sulla lavagna, non sapeva spiegarsi il motivo per cui un insegnante di
matematica magica non dovesse utilizzare i gessetti. I tre Grifondoro si
accomodarono insieme ai loro colleghi di Corvonero,
ben più numerosi di loro, per poi trasalire quando l’insegnante sbatté la porta
entrando. Era una donna alta, longilinea a dir poco, con un volto severo e
squadrato, con i zigomi prominenti, che si soffermò su ognuno di loro con gli occhi
acquamarina squadrandoli con attenzione, come uno scultore valuta il marmo
prima di scegliere quale diventerà la sua opera d’arte. Era giovane, calcolando
la media degli insegnanti di Hogwarts, doveva avere tra i trentacinque e i
quarant’anni. Aveva una cascata di capelli lunghissimi, ben oltre la schiena,
sciolti e corvini, quasi indistinguibili dalla divisa dello stesso colore.
Si sistemò in piedi di fronte alla
cattedra, con la schiena perfettamente ritta e le braccia incrociate.
«Sono Septima Vector, la vostra insegnante di Aritmanzia.
Aritmanzia, badate bene, non matematica. Se qualcuno
è entrato in quest’aula pensando di dover svolgere le tabelline con l’ausilio
di una bacchetta magica, prego, quella è la porta. Questa è considerata una
delle materie più difficili e complicate dagli studenti, insieme alla lettura
delle Antiche Rune. Sentirete voci terribili sull’Aritmanzia,
ebbene, posso dirvi una cosa. Non state a sentire le voci, sono fuorvianti.
Qualunque orribile nefandezza potrete udire su di me e sulla mia materia è
errata. Io sono molto peggio. In quest’aula assisterete a cose più terribili di
qualunque racconto possano avervi riferito.»
Kaito mantenne la sua faccia da poker, ma
non poté trattenersi dal paragonare quella Vector
agli altri insegnanti. Sembrava un mix fra la McGranitt e Piton.
Terribile.
La professoressa continuò: «E questo non
dipende strettamente dal mio carattere tutt’altro che clemente. L’Aritmanzia è una materia implacabile. L’unica cosa che ha
in comune con la matematica, oltre che i numeri, è l’impietosa precisione. Qua
non esistono le vie di mezzo, i risultati sono o giusti o sbagliati, punto.
Nessun appello, nessuna giustificazione, non ne voglio sentire. Se qualcuno vi
ha dipinto l’Aritmanzia come “Divinazione fatta con i
numeri”, fatemi il piacere, la prossima volta che lo vedete, dategli uno sputo
in un occhio da parte mia, quelli sono pseudo studenti che, se non vi stanno
riferendo voci di corridoio, hanno assistito alla prima lezione e non solo si
sono spaventati per la complessità e sono scappati, ma ne hanno anche
completamente travisato il senso. Io sono qui per insegnarvi che ogni cosa ha
in sé della magia, anche e soprattutto i numeri. Non sono messi a caso, mai,
neanche quando credete di dirne qualcuno senza pensarci. I numeri sono un
alfabeto, esattamente come le lettere che usate per pronunciare gli
incantesimi. I più grandi esperti della materia sono in grado di lanciare
qualunque magia pronunciando il suo corrispettivo matematico. Le cifre si
legano a noi in molti modi, per carattere, affinità e magia, e questo non vale
solo per noi maghi, ma anche per quelle persone che vengono chiamate volgarmente
Babbani. Non disprezzateli mai, signori, perché sono
stati molti di loro, con le loro scoperte nel campo della matematica e della
fisica, a ispirare molte delle nostre ricerche tutt’ora in corso. Vi avverto,
dunque, che il primo che pronuncerà parole di disprezzo o scherno verso i Babbani sarà considerato espulso dal corso con il massimo
del disonore. Lo studioso di Aritmanzia ha la mente
aperta per poter cogliere qualunque ispirazione numerica, da dovunque essa
provenga. I Babbani sostengono che la natura abbia in
sé la matematica, e portano a sostegno prove geometriche e frattali. Hanno
ragione e vi dirò di più: la natura ha in sé la magia sotto forma di numero. Io sono qui solo per insegnarvi a
leggerla, nulla di più. Gran parte del lavoro sarà individuale, tuttavia sarò
sempre a disposizione per qualunque chiarimento, ripetizione, approfondimento.
Portatemi qualunque vostra teoria aritmanzica senza
timore, anche se doveste presentarmi una completa ovvietà o inesattezza non
sarete derisi né puniti, ma apprezzerò il vostro lavoro. Certo, a meno di una
completa presa in giro nei miei confronti, in tal caso sarò implacabile.»
Kaito aveva ascoltato tutto e doveva
ammettere che la professoressa era riuscita ad attirare non poco la sua
attenzione. Dalla sua spiegazione l’Aritmanzia
sembrava una complessa via di mezzo fra matematica, fisica, magia e psicologia.
Con un gesto di bacchetta, la Vector fece comparire il libro fra le mani: «Bene, ora aprite
il volume a pagina 8, cominceremo con le basi.»
Gli studenti ubbidirono immediatamente.
L’insegnante teneva con la mano destra il volume aperto, mentre, nella
sinistra, con la bacchetta, disegnava delle cifre direttamente nell’aria, con
un processo che a Kaito fece venire un piccolo brivido. L’unica altra occasione
che aveva avuto di vederlo era stato nella Camera dei Segreti, ad opera dello
stesso Tom Riddle. Ma almeno questo spiegava perché
la lavagna fosse praticamente nuova di zecca.
«Vi ho detto che ogni cosa che esiste può
essere tradotta in valori numerici. Questo vale anche e soprattutto per le
parole e per i nomi. Quello su cui vorrei che vi concentraste oggi è l’analisi aritmanzica dei vostri nomi. Prego, osservate lo schema
riportato sui vostri libri.»
Kaito abbassò lo sguardo sulla pagina.
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
6 |
7 |
8 |
9 |
A |
B |
C |
D |
E |
F |
G |
H |
I |
J |
K |
L |
M |
N |
O |
P |
Q |
R |
S |
T |
U |
V |
W |
X |
Y |
Z |
|
«Questo è uno schema molto semplice e
riduttivo, adatto ai principianti. Più avanti vedremo che la situazione è un
po’ più complessa di come vi viene presentata in questa pagina, ma per oggi può
bastare. Come vedete ad ogni lettera dell’alfabeto è associata un numero. Siete
pregati di tradurre numericamente il nostro nome e cognome e di fare la somma
dei valori ottenuti. Se avrete ottenuto un numero a due o più cifre, com’è
altamente probabile, sommate ancora queste cifre fra loro fino ad ottenere una
cifra unica. Quello che avrete ottenuto è detto in gergo numero del carattere e indicherebbe, se credete a queste cose, il
vostro tipo di carattere. Potrete rifare i calcoli usando solo le vocali
contenute nel vostro nome e cognome, e otterrete il numero del cuore, che dovrebbe riferirsi alla vita interiore,
rappresentando i vostri desideri e timori segreti, o con le consonanti, per
calcolare il numero sociale, riferito
alla vostra personalità esteriore, all’aspetto di voi che mostrate al mondo.
Sia chiaro, così come vi vengono presentate in questo volume sembra una sorta
di attività divinatoria. Qua non si predice il futuro, qua si analizzano il
presente, i numeri, la magia e basta. L’obiettivo
di questo esercizio è principalmente prendere familiarità con alcuni degli
strumenti che useremo nelle prossime lezioni. Nelle pagine successive troverete
dei risultati, leggeteli pure e limitatevi a riflettere se i numeri possono o
meno aiutarci a scoprire un aspetto meno visibile di ciò che ci circonda.»
Kaito prese penna e pergamena e iniziò a
fare i conti che gli erano stati richiesti.
Kaito Kuroba
21926
239621
Numero del carattere:
2+1+9+2+6+2+3+9+6+2+1= 43 = 4+3= 7
Incuriosito, il ragazzo prese la
descrizione che sembrava corrispondergli.
“SETTE:
sensibili, intuitivi e brillanti, i Sette amano i compiti impegnativi e le
sfide.”
Kaito ridacchiò. Come negarlo?
“Spesso
sono seri, studiosi e interessati a tutto ciò che è misterioso. Per loro
l’originalità e l’immaginazione sono più importanti del denaro e dei beni materiali.”
Il ragazzo alzò un sopracciglio. Caspita se
ci aveva azzeccato! La sua passione per i misteri, l’unica cosa che aveva in
comune con i suoi amici/nemici detective, era il motivo che lo aveva portato in
quella scuola. La sua originalità era innegabile, e Nakamori
non avrebbe potuto dirgli nulla sull’attaccamento ai beni materiali, visto che
restituiva ogni singolo gioiello rubato.
“Possono
anche essere pessimistici, insicuri e sarcastici.”
Sulle prime due affermazioni non era del
tutto d’accordo, ma sull’ultima indubbiamente sì.
Il ragazzo rimase comunque colpito da
quante cose ritrovasse in quelle descrizioni. Decise di continuare con il
numero successivo.
Numero del cuore: 1+9+6+3+6+1= 26=
2+6= 8
Di nuovo sfogliò le pagine fino ad arrivare
al punto giusto.
“OTTO: implica la possibilità di grande successo
negli affari, nella finanza e in politica. Gli Otto sono pratici, ambiziosi,
determinati e lavoratori.”
Fin qui Kaito non poteva avere nulla da
ridire, anche se non si vedeva molto in politica. Tuttavia sicuramente, a modo
suo, c’entrava con affari e finanza e aveva spesso per le mani grosse quantità
di denaro.
“Possono
essere anche gelosi, avidi, dominatori e assetati di potere.”
In quel punto il ragazzo storse il naso.
Non si riconosceva molto in quei difetti. Forse aveva la tendenza a imporsi,
sì, ma non a dominare. E se fosse stato avido o assetato di potere, si sarebbe
tenuto tutti i diamanti che aveva avuto a disposizione. In quanto alla gelosia…
non ne era sicuro. Sì, quando Saguru era girato per
un po’ intorno ad Aoko la cosa gli aveva dato non poco fastidio, ma abbastanza
per definirla gelosia?
“Si dice
che questo sia il numero più imprevedibile, e che possa significare tanto
l’apice del successo quanto l’abisso del fallimento; entrambe le possibilità
sono presenti fin dall’inizio.”
Al ragazzo sfuggì un sorriso.
L’imprevedibilità gli si addiceva, ed era ben felice di non sapere cosa potesse
attendergli il futuro.
Arrivato ormai quasi alla fine, Kaito fece
anche l’ultimo calcolo.
Numero sociale: 2+2+2+9+2= 17= 1+7=8
Il libro dava la stessa spiegazione. A
quanto pareva, nonostante la sua cara faccia da poker, secondo l’Aritmanzia mostrava esattamente quello che provava. A Kaito
sfuggì una smorfia. Forse suo padre non avrebbe approvato…
La voce della professoressa Vector lo risollevò dai suoi pensieri: «Bene, se pensate di
aver capito il metodo, usate il tempo che vi rimane per provare ad applicarlo
anche a un vostro conoscente.»
Kaito rimase un attimo sovrappensiero. Chi
avrebbe dovuto analizzare? Per un attimo pensò ai Malandrini, ma non avrebbe
saputo a chi dare la precedenza, senza contare che probabilmente gli avrebbero
chiesto di rifarlo, prima o poi, giusto per curiosità.
Quasi senza rendersene conto, la sua mano scrisse
un nome:
Aoko Nakamori
Il ragazzo sorrise. E perché no? Dopotutto lei non sarebbe mai venuta a saperlo…
Aoko Nakamori
1626 51214699
Numero del carattere:
1+6+2+6+5+1+2+1+4+6+9+9= 52= 5+2= 7
Il volto del ragazzo avvampò per un paio di
secondi.
Stesso
numero?
Cercò di trattenere una risatina isterica.
Cos’era, un modo indiretto per dirgli che erano anime gemelle?
Tentando di non pensare alle possibili
implicazioni, si concentrò sul secondo calcolo.
Numero del cuore: 1+6+6+1+1+6+9= 30=
3+0= 3
Tirò un sospiro di sollievo, almeno in
questo caso il numero era diverso! Incuriosito, iniziò a leggere.
“TRE:
indica talento, energia, temperamento artistico, senso dell’umorismo e facilità
nei rapporti interpersonali. I Tre sono spesso fortunati, tolleranti e ricchi e
hanno grande successo, ma possono essere dispersivi, suscettibili e
superficiali.”
Gli sfuggì un sorriso carico di nostalgia.
Sì, in quella descrizione la rivedeva perfettamente. Aoko era sempre piena di
energia, anche troppo, spesso era l’unica in grado di stargli sempre dietro. Il
suo successo e la sua capacità di fare amicizia facilmente erano innegabili,
Aoko non aveva mai litigato con nessuno e in classe era ammirata da tutti. Come
scordare poi il modo in cui aveva conquistato persino Fred, George e Sheridan,
quando erano venuti a trovarlo? La riconosceva persino nei suoi difetti,
adorava quanto poteva essere suscettibile, in passato si era divertito da
morire a prenderla in giro per questo!
Rassicurato, si mise a fare l’ultimo
calcolo:
Numero sociale: 2+5+2+4+9= 22= 2+2=4
“QUATTRO:
questo numero rimanda alla stabilità e alla fermezza. Ai Quattro piace lavorare
sodo, sono pratici, affidabili e con i piedi saldamente a terra; preferiscono
la logica e la ragione ai voli della fantasia. Sono bravi nell’organizzare e
portare a termine i compiti. Sono prevedibili e possono essere ostinati, sospettosi,
troppo realistici e inclini agli scoppi d’ira.”
Cosa c’era da aggiungere? Aoko, da quando
poteva ricordare, era sempre stata ricercatissima dai compagni per qualunque cosa ci fosse
stata da organizzare, non ultimo lo spettacolo del Mago di Oz
a cui l’aveva costretto a partecipare, e lei non si era mai tirata indietro, ma
aveva messo sempre tutta se stessa. La ragazza, poi, era prevedibilissima e
sembrava sempre sul punto di esplodere dalla rabbia, se messa sotto pressione
nel modo giusto, e le aveva fatto una marea di scherzi approfittando proprio di
questo. Sospettosa lo era di sicuro, ricordava benissimo quella volta che si
era convinta che lui fosse davvero Kaito Kid, e aveva faticato non poco a farla
desistere dalle sue indagini. Però, insomma, come si dice, tale padre tale
figlia, no? Sull’ostinazione nulla da ridire, poteva contare sulle dita della
mano le volte che era riuscito a farle cambiare idea su qualche argomento,
senza contare, poi, la sua avversione incrollabile per Kaito Kid, che nemmeno
pomeriggi su pomeriggi passati con le amiche di parere opposto erano riusciti a
minare.
L’insegnante batté le mani, una volta sola:
«Bene, per oggi abbiamo finito. Ci vedremo al prossimo incontro.»
Colin si alzò, rimettendo in ordine le sue
cose: «Uao, con me ci ha azzeccato alla perfezione!»
Thomas annuì: «Sì, direi che anche a me
quadrava, in fondo. E tu, Kaito?»
Il prestigiatore esibì la sua faccia da
poker: «Sì, più o meno, c’era qualcosa che quadrava e qualcosa no. Come sempre,
credo, in queste cose.»
Usciti dall’aula, Kaito, Thomas e Colin si
riunirono ai loro compagni di Casa per andare a Difesa contro le Arti Oscure.
Colin, prevedibilmente, aveva già la macchina pronta all’uso e, chi più chi
meno, erano tutti curiosi di vedere cosa sarebbe successo. Molti avevano
un’aria nervosa. Kaito attribuì il loro timore all’aspetto minaccioso
dell’insegnante, ma non poté non notare che molti lo guardavano insistentemente
di sottecchi.
Le sue preoccupazioni vennero accantonate
dal tonfo dei passi disuguali di Moody che percorreva
il corridoio, fino a quando entrò in classe, terrorizzante come sempre. Si
vedeva appena il piede di legno a forma di zampa spuntare da sotto il mantello.
L’uomo si sedette arrancando dietro la
cattedra e, guardando con il suo occhio azzurro i volumi di Le Forze Oscure:
Guida all'Autodifesa sui loro
banchi, borbottò: «Potete metterli via, quei libri. Non vi serviranno.»
Mentre, perplessi, ubbidivano, Moody estrasse il registro, allontanò la lunga chioma di
capelli brizzolati dal viso contorto e sfigurato e prese a fare l'appello, con
l'occhio normale che scorreva sicuro la lista mentre l'occhio magico roteava,
indugiando su ogni studente quando rispondeva alla chiamata.
Al termine dell’elenco, riprese: «Allora, ho
ricevuto una lettera dal professor Lupin a proposito di questa classe. Mi pare
che abbiate una preparazione piuttosto solida nell'affrontare le Creature
Oscure, ma siete indietro, molto indietro, sulle maledizioni. Quindi sono qui
per spiegarvi nel dettaglio quello che i maghi possono farsi gli uni agli
altri. Ho un anno per insegnarvi come affrontare le Forze...»
«E poi?»
L'occhio magico di Moody
roteò per fissarsi su Kaito, che ricambiò il suo sguardo, impassibile; i
compagni, conoscendo l’amico, si tennero pronti. Kaito era famoso per le sue
uscite al primo incontro con un insegnante.
«Kuroba, se ricordo bene dall’elenco,
giusto?»
«Esatto.»
Tutti temettero il peggio, ma dopo un
attimo l’insegnante sorrise, per la prima volta, rendendo il suo volto segnato
di cicatrici più devastato e contorto che mai.
«Poi me ne andrò. Un favore speciale a
Silente... un anno, e poi torno alla mia vita tranquilla di pensionato.»
Fece
una risata roca, e poi batté le mani nodose.
«Allora, cominciamo subito. Le maledizioni.
Assumono forze e forme diverse. Ora, secondo il Ministero della Magia dovrei
insegnarvi le contromaledizioni e fermarmi lì. Non
dovrei mostrarvi come sono fatti gli Anatemi Oscuri illegali prima del sesto
anno. Si ritiene che non siate grandi abbastanza da affrontarli fino ad allora.
Ma il professor Silente ha un'opinione più alta dei vostri nervi, pensa che
possiate farcela, e prima sapete che cosa dovrete fronteggiare meglio è, dico
io. Per questo ho deciso di fare la stessa lezione introduttiva a tutti gli
studenti dal terzo anno in poi. Insomma, come potete difendervi da qualcosa che
non avete mai visto? Un mago che sta per scagliarvi contro un anatema illegale
non vi dirà cosa ha intenzione di fare. Non ha intenzione di comportarsi
lealmente. Dovete essere preparati. Dovete essere vigili e attenti.»
Kaito lo guardò sempre più incuriosito.
Davvero aveva intenzione di anticipare il programma di ben tre anni?
«Allora... qualcuno di voi sa a quali
maledizioni corrispondono le pene più gravi secondo la legge magica?»
Parecchie mani si alzarono esitanti, ma
Malocchio le ignorò tutte e si rivolse a Kaito: «E tu? Cosa ne pensi?»
Preso un po’ in contropiede, il
prestigiatore rispose: «Penso che nell’elenco sia incluso qualunque incantesimo
possa togliere la vita.»
L’uomo annuì: «Buona risposta, non sapendo
nulla sull’argomento. Hai usato il plurale, ma in realtà esiste un solo
incantesimo di morte, l’Avada Kedavra, l'Anatema che
uccide.»
Moody si alzò pesantemente sui piedi
scompagnati, aprì il cassetto della scrivania ed estrasse un barattolo di
vetro. Dentro zampettavano tre grossi ragni neri. Nicole fece una smorfia,
probabilmente era aracnofobica.
Moody pescò nel barattolo, prese uno dei ragni e
lo tenne nel palmo della mano in modo che tutti lo vedessero, prima di posarlo
sulla cattedra.
Il ragno prese a zampettare affannosamente
sulla superficie di legno.
Moody levò la bacchetta, e ruggì: «Avada Kedavra!»
Ci furono un lampo di luce verde accecante
e un rumore improvviso, come se un'entità enorme e invisibile galleggiasse
nell'aria: il ragno si rovesciò sulla schiena all'istante, intatto ma
inequivocabilmente morto. Parecchie ragazze lanciarono grida soffocate e
nemmeno Kaito ne fu totalmente indifferente. Deglutì immaginando cosa sarebbe
accaduto se al posto di un ragno ci fosse stata una persona.
Moody spazzò via il ragno morto dalla cattedra.
«Non è bello. Non è piacevole. E non c'è contromaledizione. Non c'è modo di fermarlo. Solo una
persona, che si sappia, è mai sopravvissuta, e questa persona frequenta
quest’istituto. Inutile che vi dica il nome, lo conoscerete sicuramente tutti.»
Kaito annuì. Il riferimento ad Harry era
più che evidente. Sospirò leggermente, immaginando quale avrebbe potuto essere
la sua reazione quando anche a lui sarebbe toccata quella lezione introduttiva.
L’insegnante riprese: «Avada Kedavra è una maledizione che ha bisogno
di essere sostenuta da un grande potere magico: potreste estrarre tutti le
vostre bacchette adesso, puntarle contro di me, e pronunciare le parole, e
dubito che mi fareste uscire anche solo il sangue dal naso. Ma questo non ha
importanza. Non sono qui per insegnarvi come si fa. Ora, se non esiste contromaledizione, perché ve l'ho mostrata? Perché
dovete sapere. Dovete capire che cos'è il peggio. Non dovete trovarvi in
una situazione in cui dobbiate affrontarlo. Vigilanza costante!»
Tutta quanta la classe sobbalzò.
Come se nulla fosse successo, Moody chiese: «Qualcun altro ne sa una? Un'altra
maledizione illegale?»
Ginny alzò titubante la mano: «A casa papà
parla ogni tanto di una Maledizione Imperius, ma non
so quanto sia illegale…»
Il professore soffermò entrambi gli occhi
su di lei, facendola sussultare dalla sorpresa: «Tu devi essere l’unica figlia femmina
di Arthur Weasley, eh? Tuo padre mi ha tirato fuori da un bel guaio qualche
giorno fa... non mi sorprende che Arthur la conosca, ha procurato al Ministero
un sacco di guai tutti insieme, la Maledizione Imperius.»
Mentre parlava, Malocchio afferrò l’ennesimo
ragno e posò anche questo sulla cattedra. L’animaletto tentò la fuga,
probabilmente terrorizzato dalla sorte toccata al suo compagno. Moody puntò la bacchetta contro di lui e borbottò: «Imperio!»
Il
ragno si calò con un balzo dalla mano di Moody appeso
a un sottile filo di seta, e prese a dondolarsi avanti e indietro come su un
trapezio. Tese le zampe rigidamente, poi fece un salto all'indietro, spezzando
il filo e atterrando sulla scrivania, dove cominciò a fare la ruota in cerchio.
Moody agitò la bacchetta, e il ragno si alzò su due
delle zampe posteriori e si esibì in quello che era un inconfondibile passo di tip tap.
Tutti
risero: tutti tranne Moody.
«Vi
sembra divertente, eh? Vi piacerebbe, eh, se lo facessi a voi?»
Le
risate si spensero quasi all'istante.
Il professore sussurrò, mentre il ragno si
appallottolava e cominciava a rotolare: «Controllo totale. Potrei costringerlo
a saltare fuori dalla finestra, ad affogarsi, a ficcarsi giù per la gola di uno
di voi... anni fa, c'erano un sacco di maghi e streghe controllati dalla
Maledizione Imperius; un bel lavoretto per il
Ministero, cercare di stabilire chi era costretto a fare certe cose e chi le
faceva di sua spontanea volontà. Silente mi ha concesso di farvi vedere gli
effetti di questa maledizione, ma non di addestrarvi per contrastarla,
nonostante le mie ripetute proteste sostiene che per voi sia ancora un po’
troppo presto. In ogni caso sappiate che in questo caso una soluzione c’è, ma
richiede uno sforzo di volontà immenso, che non tutti possiedono, e non solo
per l’età o per la poca esperienza… meglio evitare di esserne vittime, se
potete. VIGILANZA COSTANTE!»
Di nuovo la maggior parte delle persone
sussultarono sul posto, mentre Moody faceva rientrare
educatamente il ragno nel barattolo.
«Altre?»
Un Serpeverde alzò la mano titubante: «La Cruciatus?»
Annuendo, l’insegnante afferrò il terzo
ragno nel barattolo e lo mise, come ormai di consueto sulla cattedra. Questo rimase
immobile, in apparenza troppo spaventato per muoversi.
«La Maledizione Cruciatus…
dev'essere un po' più grosso perché possiate capire.» Puntò la bacchetta contro
il ragno: «Engorgio!»
Il ragno si gonfiò. Ora era più grosso di
una tarantola. Nicole cercò di rintanarsi il più possibile sotto il banco. Moody alzò di nuovo la bacchetta, la puntò contro il ragno
e mormorò: «Crucio!»
D'un tratto, le zampe del ragno si
piegarono sotto il suo corpo; l'animale si rovesciò e prese a contorcersi
orribilmente, dondolando da una parte all'altra. Non emise alcun suono, ma Kaito
non ebbe difficoltà ad immaginarsi le grida disumane se al suo posto ci fosse
stato un uomo sottoposto a quella tortura. Moody non
spostò la bacchetta, e il ragno cominciò a sobbalzare e ad agitarsi più
violentemente...
Finalmente l’uomo alzò la bacchetta. Le
zampe del ragno si rilassarono, ma continuò a contorcersi.
«Reducio.»
Il ragno rimpicciolì fino a tornare della
sua misura normale. Moody lo rimise nel barattolo,
insieme al collega sotto ipnosi.
«Dolore. Non c'è bisogno di pinze schiacciapollici o coltelli per torturare qualcuno se
sapete scagliare la Maledizione Cruciatus... anche
quella era molto popolare, una volta.»
Si fermò, come perso per un attimo nei
ricordi, poi riprese: «Ora... questi tre anatemi, Avada
Kedavra, Imperius e Cruciatus, sono noti come le Maledizioni Senza Perdono.
L'uso su un essere umano basta a meritare una condanna a vita ad Azkaban. È
questo che dovete combattere. È questo che dovrete imparare a contrastare. Avrete
bisogno di preparazione. Avrete bisogno di essere attrezzati. Ma soprattutto,
avrete bisogno di esercitare una costante, incessante vigilanza. Fuori
le penne... ricopiate...»
Passarono il resto della lezione a prendere
appunti su ciascuna delle Maledizioni Senza Perdono. Nessuno parlò finché non
suonò la campana, e anche quando Moody li ebbe
congedati e furono usciti dalla classe, la conversazione ristagnava.
Nicole continuava ad avere un colorito
verdastro. Colin aveva una faccia smunta: «Ero talmente impressionato che non
sono riuscito a trovare il coraggio di scattare neanche una foto.»
Stephen sospirò: «E questo dovrebbe dirci
tutto…»
Ginny commentò: «Poveri ragni…»
Kaito annuì. Non era un grande animalista,
ma non aveva potuto non immaginarsi le stesse scene a cui avevano assistito
sostituendo ai ragni esseri umani. L’effetto era stato terribile. Sheridan e
Thomas non dissero nulla, ma dalle loro facce stavano probabilmente pensando la
stessa cosa.
L’ora del pranzo, dopo quelle emozioni,
sembrò una manna dal cielo. Kaito si sedette al tavolo, al fianco di Fred e
George. Sheridan, per una volta, decise di rimanere vicino alle sue compagne.
«Abbiamo saputo che avete avuto Moody, stamattina! Allora, com’è?»
Kaito soppesò bene la sua risposta: «…
particolare…»
«E dai, dacci qualche dettaglio!»
«Non mentre sto mangiando, o mi verrà il
voltastomaco.»
«Addirittura?»
Il ragazzo annuì servendosi le patate al
forno. I due gemelli si scambiarono un’occhiata d’intesa: «Allora forse potremo
distrarti un po’ parlando di tutt’altro argomento.»
Kaito rispose, prima di mettere in bocca la
prima forchettata di arrosto: «Prego, sono tutt’orecchi.»
«È da un po’ che ci pensiamo, ma ormai ne
siamo convinti.»
«Abbiamo deciso cosa fare quando finiremo
gli studi.»
«Interessante… ditemi!»
«Che ne dici se aprissimo un bel negozio di
scherzi?»
Gli occhi di Kaito s’illuminarono: «Non mi
viene in mente un lavoro più adatto per voi due, siete dei geni a riguardo!»
«Abbiamo già anche il nome: Tiri Vispi Weasley!»
«Sì, ma ci serviranno ancora un bel po’
d’idee… e di soldi, prima di poterlo aprire davvero…»
«Per le prime consideratemi dei vostri, per
il resto… si troverà una soluzione.»
«Forse l’abbiamo già, se mamma non ci
brucia di nuovo i moduli…»
Il prestigiatore prese un bicchiere d’acqua
e lo svuotò tutto d’un fiato, ma d’un tratto una parte gli finì di traverso.
Rosso in viso, iniziò a tossire disperatamente, nel tentativo di sputare
l’acqua in eccesso. Fred e George iniziarono a dargli poderose manate sulla
schiena, fino a che, finalmente, Kaito riprese a respirare. Ridacchiò.
«Cavoli, stavolta mi è sembrato di
soffocare davvero…»
Solo a quel punto si rese conto che tutte
le ragazze del suo anno sedute al tavolo, più Stephen, erano impallidite e
avevano un’aria terrorizzata. Sheridan era la più calma delle tre, ma anche lei
era tutt’altro che tranquilla.
«Bè? allora? Che sono quelle facce? Mai
visto andare l’acqua di traverso a qualcuno?»
Ginny iniziò a trovare interessante la
decorazione della tovaglia, mentre il suo volto diventava dello stesso colore
dei suoi capelli; Nicole iniziò ad arrotolarsi una ciocca su un dito; Stephen e
Sheridan si scambiarono uno sguardo d’intesa.
«Vedi, oggi è successo che…»
Nicole la interruppe: «No, non devi
dirglielo! È stata chiara, noi non dobbiamo interferire con il destino!»
La ragazza le guardò entrambe e sbottò: «Se
continuate a guardarlo con quell’aria da funerale interferite comunque col suo
destino! Kaito non è scemo, penso che se ne sia già accorto!»
Il prestigiatore alzò un dito: «Scusate, se
mi permetto d’intervenire, sarei solo il diretto interessato…»
Stephen gli mise una mano sulla spalla:
«Lascia stare, è che sono troppo impressionabili. Io e Sheridan ne abbiamo
parlato, prima, se dirti tutto o meno, e avevamo deciso di lasciare perdere,
perché sapevamo che ti saresti arrabbiato e basta…»
«Arrabbiato per cosa?»
Sheridan sospirò: «Mentre voi eravate ad Aritmanzia, noi avevamo lezione di Divinazione…»
«Sì, lo sapevo, e allora?»
«Allora, la lettura delle foglie di tè ha
dato come risultato che qualcuno di noi, fra i più maturi, caratterizzato dal
colore bianco, durante quest’anno
avrebbe rischiato seriamente la vita.»
Ginny aggiunse, con una vocina strozzata:
«E forse l’avrebbe persa davvero.»
Nicole annuì: «Il pensiero è andato subito
a te, sei il più grande fra noi e hai la bacchetta bianca… non volevamo
crederci, ma quando prima ti stavi soffocando, noi…»
Con un volto serio come non mai, Kaito si
alzò dal tavolo senza neppure finire di mangiare. Stephen alzò gli occhi al
cielo: «Ecco, lo sapevo… è troppo prevedibile!»
Sheridan cercò di fermarlo, prendendolo per
la manica della divisa: «Dove vai?»
Kaito si divincolò: «A fare quattro
chiacchiere con la Cooman. Non mi piace l’idea di
essere guardato tutto l’anno come un appestato in punto di morte e,
soprattutto, non mi piace l’idea che quella pazza vi terrorizzi così. Arriverò
in tempo per la lezione di Hagrid, promesso.»
Sheridan fece per seguirlo, ma Kaito la bloccò:
«Non seguirmi, non è il caso, non ho intenzione di mettermi nei guai. Ma un
paio di cose le dobbiamo chiarire subito, prima che degenerino. Resta qui, o mi
troverò costretto a usare mosse che t’impedirebbero di starmi dietro.»
Il tono perentorio del ragazzo e la minaccia
velata convinsero ancora di più la ragazza che Kaito era a dir poco furioso, ma
alla fine, a malincuore e con grande preoccupazione, gli diede retta, pregando
che la sua faccia da poker reggesse anche quella prova.
Il ragazzo fece i gradini fino in cima alla
torre di Divinazione a due a due. Era veramente molto arrabbiato, non tanto per
le minacce alla sua persona, quanto per la preoccupazione immotivata che aveva
causato nei suoi compagni. Ginny e Nicole erano già abbastanza impressionabili
di loro, d’accordo, ma per aver fatto sbiancare in quel modo anche Sheridan e
Stephen dovevano avergli taciuto gran parte delle fandonie di quella donna. Arrivato
in cima alla torre, riconobbe la botola da cui qualche volta aveva visto
scendere i gemelli l’anno prima. Era chiusa, ma il ragazzo non si fece problemi
a bussare aiutandosi con la bacchetta.
Una voce ovattata rispose dall’interno:
«Chi mi cerca?»
Kaito non riuscì a trattenere l’ironia:
«Indovini!»
«Insomma, non sono in vena di scherzi!»
«Neppure io, mi creda! Sono Kaito Kuroba,
lo studente di terzo anno di Grifondoro di cui oggi ha predetto la morte ai
miei compagni. Volevo parlarle proprio a proposito di questa questione…»
La botola si aprì appena, permettendo ai
grossi occhiali della Cooman di fare capolino. Non
appena però, ebbe inquadrato il volto di chi aveva parlato, la professoressa
sbarrò gli occhi e fece per richiudere: «La bacchetta bianca!»
Kaito però fu più veloce. Con una rapida
mossa infilò uno dei suoi libri nella fessura, impedendo la chiusura della
botola.
«Esatto, sono il proprietario della
bacchetta bianca che tanto la sconvolge. Vedo che neanche lei si è scordata di
me, bene, semplificherà le cose.»
La donna indietreggiò spaventata e Kaito ne
approfittò per fare un bel salto, aggrapparsi con entrambe le mani al bordo
della botola e fare irruzione nella stanza. Spuntò nell'aula più strana che
avesse mai visto. In effetti non aveva l'aspetto di un'aula, sembrava più un
incrocio tra un solaio e una sala da tè vecchio stile. Ospitava almeno venti
tavolini rotondi, tutti circondati da poltroncine foderate di chintz e piccoli,
grassi sgabelli. Il tutto era illuminato da una bassa luce scarlatta; le tende
alle finestre erano tirate, e le numerose lampade erano drappeggiate con
sciarpe rosso scuro. C'era un caldo soffocante, e il fuoco che ardeva nel
camino lambendo un grosso bollitore di rame emanava un profumo intenso, quasi
malsano. Gli scaffali che correvano tutto attorno ai muri circolari erano
stipati di piume dall'aria polverosa, mozziconi di candele, scatole di vecchie
carte da gioco, innumerevoli sfere di cristallo argentate e una gran varietà di
tazze da tè. Atmosfera senza dubbio interessante, ma Kaito non era arrivato fin
lì per apprezzare l’arredamento.
La Cooman si era
ritratta spaventata, avvolgendosi ancora di più nel suo scialle, in gesto di
protezione: «Che modi!»
«Mi dispiace per il poco tatto, ma anche
lei stamattina non ne ha avuto con i miei compagni.»
«Di cosa stai parlando?»
«Parlo delle minacce di morte imminente
rivolte a me che stamattina ha predetto ai miei compagni.»
La donna lo squadrò da capo a piedi, quasi
con disprezzo: «Tu non credi nei poteri della Vista, vero? Certo che no, o frequenteresti
il mio corso.»
«Senta, i miei pareri sulla sua materia non
sono l’argomento di cui sono venuto a discutere! Gradirei soltanto che
smettesse di spaventare i miei compagni, soprattutto usando il sottoscritto per
farlo!»
«Io mi limito a rendere visibili i segni
del destino che gli altri si rifiutano di notare.»
«Allora, se proprio non può fare a meno di
farsi gli affari miei, almeno li tenga per sé! Per una questione di privacy,
quantomeno! Se i miei compagni mi riferiranno altri episodi del genere, mi
troverò costretto a parlare con la McGranitt, l’avverto.»
«È una minaccia?»
«Mi piacerebbe renderle la pariglia ma no,
nessuna minaccia. A meno che lei non ritenga la McGranitt in grado di
procurarle gravi danni…»
La donna si limitò a sospirare scuotendo la
testa: «Non potevo aspettarmi che guai da te, dopotutto… l’ho capito dal primo
giorno che ti ho visto.»
Kaito capì di stare parlando contro un
muro, così fece per andarsene. Doveva ancora passare in camera per ritirare il coso per Hagrid prima che iniziasse la
sua lezione. Poi di colpo si fermò e si voltò un’ultima volta verso la donna.
«Si può sapere almeno perché ce l’ha tanto con la mia bacchetta?»
La Cooman abbassò
lo sguardo, con aria triste: «Il possessore della bacchetta bianca è
annunciatore di gravi sventure e disgrazie per tutti noi.»
Kaito scosse la testa, stufo: «Allora
quando avrò queste cattive notizie le manderò una cartolina via gufo, va bene?
Arrivederci, stia bene e la smetta un po’ con queste previsioni del malaugurio,
fanno male al suo umore e a quello degli altri.»
La donna si limitò a osservarlo con
espressione funerea mentre il ragazzo chiudeva la botola alle sue spalle.
«Fosse mia, ragazzo… magari fosse mia…»
Hagrid li stava aspettando fuori, la mano
sul collare del suo enorme cane nero, Thor. Per terra ai suoi piedi c'erano
parecchie casse di legno, e Thor uggiolava e tirava il collare, chiaramente
impaziente di indagare più da vicino sul contenuto. Quando ci si avvicinava, si
udiva uno strano rumore di sonagli, punteggiato da quelle che sembravano
piccole esplosioni.
Hagrid accolse i nuovi studenti con un gran
sorriso, ben mimetizzato dall’enorme barba nera: «Benvenuti! Benvenuti! Sono
contento di vedervi qua, alla mia lezione… ma che sono quelle cose che vi
portate?»
Tutti gli studenti, sia Grifondoro che Tassorosso, si erano attrezzati in vario modo. Fu una voce
familiare ma affannata a rispondere.
«Sono i tuoi libri, Hagrid! Potevi anche
darcene di meno aggressivi, accidenti! Ho rischiato di vedermi divorati gli
altri da questo cannibale di carta…»
Kaito era giunto di corsa, giusto in tempo
per la lezione. Sheridan gli diede una gomitata, mentre tutti i compagni che
frequentavano il corso, Stephen, Ginny e ovviamente Colin, che probabilmente si
era iscritto solo per poter avere dei nuovi, strani soggetti per le sue
fotografie, lo guardavano preoccupati.
«Che sono quelle facce? Tranquilli, non ho
fatto perdere nessun punto alla Casa e la Cooman era
ancora viva e in buona salute quando ci siamo lasciati… e anche io, se a
qualcuno interessasse ancora.»
Sheridan alzò gli occhi al cielo, tenendo
ben salda la sua gabbietta: «Vediamo cosa ci dirà la prossima volta…»
Hagrid si era perso la discussione,
preoccupato da come tutti i suoi studenti si erano ingegnati per portare i
libri a lezione senza essere morsi: la maggior parte li avevano legati con
spaghi, magiscotch, cinture, graffette o infilati in
borse strettissime. Qualcuno aveva trovato soluzioni più originali, come
Sheridan, che l’aveva rinchiuso in una gabbietta da criceti con maniglia, che
teneva con dei guanti piuttosto robusti per evitare morsi accidentali. Ma il
premio era sicuramente di Kaito, anche se, vista la precedente invenzione delle
cinture di sicurezza per manici di scopa, nessuno della sua classe aveva avuto
dubbi in proposito: in qualche modo, con non poco coraggio, era riuscito a
infilare le pagine del libro dentro una museruola; non contento, l’aveva poi
legato con una cintura a cui aveva fissato anche una corda per poterlo
trasportare come se si fosse trattato di un guinzaglio. Il risultato era che il
prestigiatore si trascinava dietro il libro di testo né più né meno come si
fosse trattato di un piccolo cagnolino molto aggressivo.
Hagrid scosse la testa sconsolato: «Possibile
che anche quest’anno nessuno è riuscito a capire?»
Prese la copia di Ginny, tolse i vari
strati di spago e graffette e, ignorando il libro che cercò subito di morderlo,
fece scorrere il gigantesco indice lungo il dorso. Il libro rabbrividì, poi si
aprì e rimase immobile nella sua mano.
«Visto? Dovete solo accarezzarlo.»
Un po’ più rassicurati, i ragazzi si
accinsero a fare le coccole ai loro volumi.
Ginny fece una smorfia stizzita,
riprendendo la sua copia: «Scommetto che Fred, George e Ron
lo sapevano, ma non me l’hanno detto giusto per farmi il solito scherzo!»
Hagrid si rivolse a Kaito in tono incerto:
«Be'... sono divertenti, no?»
Trafficando con la sua museruola, il
ragazzo rispose: «Sotto un certo punto di vista, Hagrid, ma devi anche trovare
chi apprezza il tuo humour.»
«Non dirmecelo,
che l’anno scorso Malfoy mi ha fatto un macello…»
Sheridan, intanto, si stava altamente
pentendo della sua scelta della gabbietta. La sua mano non passava attraverso
la grata e ad aprire il lucchetto c’era il rischio tutt’altro che remoto che il
libro scappasse prima di poterlo accarezzare. Per toglierla d’imbarazzo, Kaito
le porse uno di quei bastoni con le manine in punta che si usano per grattarsi
la schiena: «Prova con questo.»
La ragazza guardò un po’ perplessa
l’oggetto: «Tu un giorno o l’altro mi dovrai spiegare da dove tiri fuori tutte
queste stramberie dal nulla…»
Kaito le fece l’occhiolino: «Il trucco è
non uscire mai di casa impreparati.»
Hagrid riprese la lezione: «Oggi mi è
arrivato un carico di roba simpatica di cui prenderci cura: Schiopodi
Sparacoda!»
«I cosa?»
Hagrid indicò il contenuto delle casse.
Molti sobbalzarono, compreso Kaito, che si era presentato a lezione
relativamente tranquillo, pensando che dopo un Basilisco non poteva capitargli molto
di peggio. Le creature che aveva davanti, però, lo fecero in parte ricredere: avevano
l'aspetto di aragoste deformi senza corazza, orrendamente pallide e viscide,
con le zampe che sbucavano da punti molto strani, e senza testa, almeno non
visibile. In ogni cassa ce n'erano un centinaio, ciascuno lungo una ventina di
centimetri, e brulicavano l'uno addosso all'altro, urtando ciechi contro i lati
dei contenitori. Emanavano un fortissimo odore di pesce marcio. Ogni tanto
dalla coda di uno Schiopodo volavano via delle
scintille, e con un piccolo fuut questo
schizzava in avanti di parecchi centimetri.
«Sono
appena usciti dall'uovo! Se ne occuperanno quelli del quarto anno, ma ho
pensato che era un peccato non farveli vedere almeno una volta!»
Dagli
sguardi che si scambiarono i ragazzi, molti erano concordi che avrebbero fatto
volentieri a meno del piacere.
«Se
volete anche voi provare a darci da mangiare, io ho qua uova di formica e
fegato di rana e un po' di bisce: provate un po' di tutto. Io non ne ho mai tenuti
prima, non so che cosa ci piace.»
L’ultima
affermazione fece perdere ad Hagrid almeno dieci punti di competenza agli occhi
degli studenti, che lo fissarono preoccupati. Ci volle un po’ perché i primi
trovassero il coraggio di prendere un po’ di quella roba e portarla dagli Schiopodi. Kaito guardò gli animali da varie angolazioni,
per poi esclamare: «Ehi, Hagrid, sei sicuro che questi cosi ce l’abbiano una
bocca? Io non ne vedo nessuna…»
Hagrid gli sorrise compiaciuto: «Questo è
parte della ricerca…»
Il prestigiatore tenne per sé parte delle
sue osservazioni sul regolamento sulla sicurezza degli studenti. In fondo per
lui non era un grosso problema, amava il rischio, ma era un po’ preoccupato per
i compagni. Un urletto di un Tassorosso gli confermò
i suoi timori.
«Ahi! Mi ha morso!»
Hagrid lo guardò con tutta la tranquillità
di questo mondo: «Visto? Questo risponde alla tua domanda, se morde vuol dire
che ha una bocca!»
Poi si avvicinò allo studente, lo liberò
senza sforzo e commentò: «Quella non era la bocca, penso ti ha solo afferrato.
Ti sei fatto male?»
Non ebbe il tempo di rispondere che lo Schiopodo fra le mani di Kaito fece un rumore stranissimo.
Al primo accenno di scintille il ragazzo, d’istinto, tirò fuori un sacchetto e
lo buttò sull’animale, che venne subito ricoperto da una schiuma bianca e
soffice.
Hagrid accorse preoccupato: «Che ci stai
facendo?»
«Tranquillo, è solo schiuma antincendio,
quella degli estintori. Ne porto sempre con me nel caso i trucchi di prestigio
col fuoco andassero male…»
«Ma me lo affoghi!»
«E quello per poco non mi ustionava!»
Il ragazzo si rese conto di essere ancora
molto nervoso per lo scontro con la Cooman. Con un
sospiro, si scusò: «Non volevo fargli del male, ho agito senza pensare, scusa.»
Ginny, con un sorriso, si avvicinò e fece
un incantesimo che fece sparire tutta la schiuma, lasciando lo Schiopodo lindo e pulito.
Fece loro un occhiolino: «Aiutare la mamma
in casa a volte è utile.»
Il resto della lezione si svolse senza
ulteriori incidenti, ma furono tutti felici quando le due ore scaddero.
Salutarono tutti Hagrid e, con un po’ di stanchezza, Kaito e Thomas si
avviarono verso l’aula di Babbanologia.
I due ragazzi entrarono titubanti nella
stanza e guardarono stupiti l’ambiente. Non un angolo di parete era stato
lasciato scoperto: articoli di giornali babbani,
fotografie immobili provenienti da ogni parte del mondo, istruzioni per
l’assemblaggio di mobili, schemi elettrici, tenuti con scotch, puntine e colla
tappezzavano tutto in un guazzabuglio di colori indecifrabile a una prima
occhiata. Un po’ perplessi, Kaito e Thomas si sedettero vicini. Il ragazzo più
piccolo era nervoso, si aggiustava continuamente gli occhiali.
«Paura del mondo babbano,
Thomas?»
Il ragazzo ridacchiò, sistemandosi un
ciuffo color sabbia: «No, no, anzi… i miei nonni paterni sono Babbani. Solo che quando vado da loro mi sento sempre fuori
posto, è un ambiente così diverso da quello a cui sono abituato… papà prova a
spiegarmi qualcosa, ma anche lui vive nel mondo magico da troppo tempo. Spero
che frequentando questo corso potrò capire meglio i miei nonni la prossima
volta che li andrò a trovare.»
Il prestigiatore gli sorrise: «Un ottimo
proposito, più lodevole del mio di sicuro.»
«E tu? Perché ti sei iscritto? Non vieni
già da una famiglia babbana?»
«Potrei fare l’Hermione della situazione e
dire che vorrei approfondire l’argomento dal punto di vista magico… ma la
verità è solo che spero in voti facili.»
Thomas ridacchiò: «Manterrò il tuo segreto,
ma solo se mi aiuterai con i compiti.»
«Piccolo ricattatore impertinente! E va
bene…»
Continuarono a scherzare per un po’, mentre
nella classe entravano ancora un paio di Tassorosso, ma
si zittirono immediatamente quando entrò l’insegnante. Era una donna davvero
molto giovane, piccola e magra, con i capelli ricci biondi, tagliati corti, e
con gli occhi scuri. Aveva un bel sorriso allegro e, a giudicare da come
saltellava sul posto, sembrava non poter stare ferma un secondo.
«Sono Charity Burbage,
la vostra insegnante di Babbanologia. Quanto
conoscete i Babbani? Qualcuno viene da una famiglia Babbana?»
Una sola mano si levò. L’insegnante fissò
Kaito con aria deliziata, sbattendo le mani, poi subito riprese a parlare con
quella sua voce acutissima e con parlantina veloce, quasi fulminea: «Oh,
finalmente! Mi capitano sempre pochissimi studenti di origine babbana! Dimmi, dimmi, da dove vieni? Inghilterra? Galles?
Scozia?»
Il ragazzo fece una smorfia imbarazzata:
«Giappone…»
Il volto della Burbage
s’illuminò: «Uno studente orientale! Fantastico, potremo studiare anche le
differenze culturali! Meraviglioso! Se studio bene la cosa, saresti disposto ad
intervenire anche in qualche altra mia lezione?»
Il prestigiatore si trovò un po’ in
imbarazzo: «Si può fare…»
«Perfetto, perfetto! Oh, ma che bello poter
iniziare con così tante belle premesse! Siamo un po’ pochini, ma pazienza,
vorrà dire che faremo amicizia più velocemente! Dovrei imparare in fretta anche
i vostri nomi, allora!»
Veloce come un razzo, la donna andò a
sedersi dietro la cattedra e prese il registro: «Dunque, Benedicta?»
L’unica ragazza presente alzò la mano.
«Bene! Ah, questo dev’essere il nostro
giapponese! Kuroba!»
Il ragazzo non alzò neanche la mano, si
limitò a sorridere. La signora era indubbiamente entusiasta del suo lavoro,
anche troppo.
«Eccolo lì! Rourke?»
Thomas alzò la mano e la Burbage gli sorrise di rimando: «L’altro Grifondoro,
perfetto! Quindi ad esclusione, tu devi essere Zacleyn.»
Il robusto ragazzo biondo annuì di rimando.
La professoressa scattò nuovamente in piedi, come se fosse incapace di rimanere
ferma più a lungo, e iniziò a passeggiare indicando le pareti: «Ho cercato di
raccogliere su queste pareti quanto di più misterioso e affascinante ci possa
offrire il mondo Babbano! Scopriremo insieme
meraviglie di cui potete solo avere una vaga impressione… a parte te, Kuroba!
Mi raccomando, eh, se qualcosa non ti quadra diccelo, magari possono essere
anche solo differenze culturali, ma è bello scoprirle insieme, no? Comunque,
oggi per cominciare ho pensato di partire da una cosa piccola piccola piccola! Ecco qua,
secondo voi che cos’è? Kuroba non suggerire, mi raccomando!»
Il ragazzo sospirò. Non aveva mai avuto
problemi ad essere al centro dell’attenzione, ma quella donna esagerava!
I suoi tre compagni, invece, si
avvicinarono incuriositi alla professoressa, che teneva sul palmo della mano un
rettangolino molto piccolo, colorato, con i lati frastagliati e con disegnato
sopra un volto. I ragazzi erano molto perplessi.
«Su, avanti, avanti! Ipotesi su cosa possa
essere?»
La ragazza Tassorosso
propose timidamente: «Un… ritratto portatile?»
«Acqua, acqua, sei completamente fuori
strada! Altre idee? No? Kuroba, tu lo sai?»
Kaito annuì: «Un francobollo.»
«Un francobollo, bravissimo! Intanto, prima
di scoprire cos’è e a cosa serva, analizziamolo! È un oggetto babbano? Ne siamo sicuri? Da cosa lo possiamo capire?»
Thomas alzò la mano: «L’immagine è ferma.»
«Giusto, i ritratti e in generale le
immagini prodotte dai Babbani non si muovono. Questo
le rende da una parte più noiose, dal punto di vista di un mago, ma dall’altra
molto più dettagliate e precise, perché possono permettersi di soffermarsi sul
minimo dettaglio. Poi?»
Aspettò un po’, ma visto che nessuno
rispose, continuò: «Il materiale. Questa non è pergamena, vedete? È più
sottile, più bianca, lo vedete bene qua, sul retro, e tuttavia molto
resistente. Si chiama carta, la producono a partire dagli alberi con un
procedimento complesso che presto vedremo insieme. Allora, a cosa serve questo
oggetto? Vi do un altro indizio, c’è della colla sul retro! Ancora nessuno?
Serve per la posta! Questo francobollo s’incolla sulla busta ed è un indizio
importantissimo, insieme all’indirizzo, per aiutare il postino babbano!»
Kaito iniziò ad inarcare un sopracciglio.
«La figura ritratta è femminile, quindi il
postino saprà che deve consegnarla a una donna! Ci sono anche quelli maschili,
ovviamente, ma oggi non ne ho trovati… visto quante meraviglie si celano dietro
un oggetto così piccolo? Alcuni hanno decorazioni di pregio, tanto che so che
alcuni Babbani li collezionano pure! Va bene, per
oggi basta così, è il primo giorno, l’ultima ora, e sarete stanchi! Vi aspetto
alla prossima lezione, buona serata a tutti!»
Thomas raccolse le sue cose, ma vide che
Kaito non si muoveva: «Non vieni?»
Il ragazzo gli sorrise: «Vai pure avanti
tu, chiedo solo una cosa all’insegnante e ti seguo subito.»
Il compagno si aggiustò gli occhiali
preoccupato: «Non esagerare come tuo solito.»
E gli ubbidì uscendo dall’aula. Kaito alzò
gli occhi al cielo: possibile che i suoi compagni avessero così poca fiducia in
lui?
La Burbage notò
subito che si era attardato: «Oh, Kuroba! Dimmi tutto!»
«Sa perché non ha trovato un francobollo
inglese con l’effige maschile?»
La donna fece una smorfia, assalita da un
dubbio tremendo: «Non… non li avevano finiti?»
Kaito scosse la testa: «La donna ritratta è
la regina attualmente sul trono nel Regno Unito. Sul francobollo c’è l’immagine
del sovrano, quindi solo se ci fosse un re avrebbe trovato un francobollo
maschile.»
La donna sbarrò gli occhi: «Oh, accidenti!
Ma così tutta la mia teoria crolla! E allora a cosa serve un francobollo?»
«È una sorta di ricevuta di pagamento per
il servizio di consegna. E sì, ci sono i collezionisti, proprio perché sui
francobolli non ci sono raffigurati solo volti, anzi, i filatelisti apprezzano
molto quelli che sembrano dei piccoli quadri.»
La donna iniziò a passarsi le mani nei
capelli: «Oh, che figura! Ma perché non mi hai interrotta subito?»
«Per non farle perdere subito la faccia di
fronte agli altri studenti. Lei è cresciuta nel mondo magico, ha studiato i Babbani solo attraverso i libri e, dove non ha trovato
risposte, ha indagato per conto suo, vero?»
La donna lo guardò sorpreso: «Esatto, ma
come…»
«Non bisogna essere dei grandi detective
per capirlo. Ha iniziato la presentazione del francobollo con un’analisi
accurata, quasi scientifica. Questo non è il modo di fare di uno che s’atteggi
a insegnante senza esserlo davvero. Il suo problema, però, è che ha cercato di
compensare la mancanza d’informazioni facendo dei paragoni con il mondo magico,
e questo è sbagliato, perché non tutto è paragonabile in modo così semplice. È
perché apprezzo il suo impegno che non l’ho smentita di fronte a tutti. Mi
creda, i professori che s’improvvisano tali non li sopporto, chieda un po’ a
Thomas cosa non ho combinato ad Allock, un paio d’anni fa…»
La donna si abbandonò su una sedia.
Sembrava che le si fossero scaricate improvvisamente le batterie.
«Amo il mondo babbano,
davvero. Sono nata e cresciuta in una famiglia purosangue, ma sono rimasta
subito affascinata dai nostri… vicini di
casa, mi piace chiamarli così. Hanno un modo di vivere completamente
diverso dal nostro, è quasi come se fossimo due specie diverse, e invece siamo
tutti esseri umani, meravigliosi esseri umani! La differenza fra noi e i Babbani è solo che noi ci adagiamo su quanto la magia può
offrirci, loro s’ingegnano per trovare mille e mille soluzioni, a volte persino
migliori di noi! Pensa anche solo ai telegiornali! Noi per sapere una notizia
all’interno del nostro Stato dobbiamo aspettare almeno la stampa del Profeta, o
un gufo, o un passaparola. Loro lo sanno subito, quasi istantaneamente, e da
tutto il mondo! Come si fa a non amare i Babbani? Io
davvero non capisco quelli che sostengono la “purezza della razza”… come se si
trattasse di creature diverse da noi! Non sanguiniamo, forse, entrambi? Non
pensiamo, ragioniamo, ipotizziamo, odiamo, amiamo? Se non ci fossimo incrociati
con i Babbani saremmo tutti estinti da un pezzo! E se
non fossimo la stessa cosa, allora perché esisterebbero dei maghi nati da
famiglie babbane e i Maghinò?
Ho studiato la loro cultura sui migliori manuali, i più antichi esistenti!»
«E questo forse è stato il suo primo
errore.»
«Eh?»
Kaito le sorrise: «Gliel’ho detto, la
società dei maghi e quella dei Babbani sono
radicalmente diverse, e quello che per i maghi può essere un pregio, per i Babbani a volte è un difetto, e viceversa. La società dei
maghi è sostanzialmente stabile, da quel che ho potuto capire non è cambiata
molto negli ultimi tre secoli. I Babbani invece
evolvono continuamente, cambiano radicalmente non solo da una generazione
all’altra, a volte persino da un decennio all’altro! Questo li rende molto
complicati da studiare seriamente…»
La Burbage lo
guardò con uno scintillio negli occhi: «… ma anche incredibilmente più
affascinanti!»
Il ragazzo rise: «Mi piace il suo spirito!
Se non trova un manuale che faccia al caso suo, ne scriva uno lei! Applichi il
suo meraviglioso metodo scientifico, si faccia passeggiate fra le vie di Londra
accompagnata da qualche mago di origine babbana che
le possa spiegare quello che vede, legga libri e giornali babbani,
faccia indagini fra gli studenti della scuola cresciuti in famiglie non
magiche, soprattutto i più piccoli, sono ancora freschi di memoria… e non si
dimentichi di aggiornare continuamente le sue ricerche. C’era un Babbano che diceva che ogni fine è solo un nuovo inizio…»
La donna gli porse la mano: «Ti ringrazio,
Kuroba, mi hai aiutato davvero molto. Se sbaglio ancora qualcosa mi aiuterai a
correggermi?»
Il prestigiatore gliela strinse con forza:
«Con molto piacere.»
La cena trascorse relativamente tranquilla.
I suoi compagni si stavano scambiando le impressioni sulla giornata e sulle
nuove materie, ma Kaito prestò poca attenzione al resoconto di Nicole sulla
lettura delle Antiche Rune, anche se era l’unica ad esserci andata. Non poteva
non provare un filo d’ansia per l’incontro con il preside che lo attendeva di
lì a poco. In fondo, aveva atteso quel momento per un anno intero.
Così, non appena scattarono le nove, Kaito
uscì dalla Sala Comune stringendo la lettera di Silente e si avviò per i
corridoi deserti, incredibilmente senza incontrare Gazza, fino a raggiungere
l’ufficio del preside, esattamente dove Harry gli aveva spiegato, al secondo
piano. Si fermò di fronte a un orribile e immenso mascherone di pietra e, guardandolo
dritto negli occhi esclamò: «Crem caramel vanigliato!»
A quelle parole il mascherone prese vita e
fece un balzo di lato, mentre la parete si apriva, rivelando una scala a
chiocciola che si muoveva dolcemente verso l'alto, come una scala mobile.
«Mica male! Hai capito le comodità di
essere preside? Queste sono scale
come si deve!»
Non appena ci mise un piede sopra, un tonfo
annunciò la parete che si era richiusa alle sue spalle. Il ragazzo fece un
sospiro deciso. Ormai era in ballo. I gradini salirono a spirale, su su, sempre più in alto, fino a giungere di fronte a una
porta di quercia lucente con un batacchio di rame a forma di grifone. Kaito lo
impugnò e diede un paio di colpi alla porta, che si aprì senza fare rumore.
Il ragazzo si guardò intorno. Era una
stanza circolare, grande e bella, piena di oggetti e rumorini strani. Su alcuni
tavoli dalle gambe lunghe e sottili, avvolti in nuvolette di fumo, erano posati
molti curiosi strumenti d'argento. Le pareti erano ricoperte di ritratti di
vecchi e vecchie presidi, garbatamente appisolati nelle loro cornici. C'era
anche un'enorme scrivania con le zampe ad artiglio, e dietro, su uno scaffale,
era poggiato un cappello da mago, frusto e stracciato, che immediatamente Kaito
riconobbe essere il Cappello Parlante.
Al suo fianco, in una bacheca di vetro, c’era una splendida spada
d'argento, con grossi rubini incastonati nell'elsa, la spada di Godric Grifondoro che lui stesso aveva impugnato al primo
anno, oltre che usato come stampella. A ricordargli quell’avventura c’era
anche, su un trespolo d'oro dietro
alla porta, Fanny, che a vederlo cantò felice. Al suo fianco c’era l’uomo che
lo aveva mandato a chiamare.
«Buonasera
Kaito.»
«Buonasera,
professore.»
«Sei
puntualissimo, bene! Ma immagino che dopotutto fossi impaziente, dopo un anno
di attesa…»
Il ragazzo non
rispose e il preside attraversò la stanza, diretto verso un armadio nero, da cui prese qualcosa che
poggiò sulla scrivania. Quando tornò a rivolgersi a Kaito, ogni traccia di quel
suo solito rassicurante sorriso con cui l’aveva accolto sembrava svanita.
«Voglio che una cosa ti sia ben chiara,
Kaito. Questa non sarà una serata facile, né per te, né tanto meno per me.
Quando avrò risposto a tutte le tue domande, quando uscirai da quella porta, nulla
sarà più come prima.»
Kaito gli restituì lo stesso sguardo serio,
in silenzio. Non era necessario dire nulla, era Silente a dover parlare.
L’anziano uomo continuò: «Ho pensato molto
a come affrontare questo momento. Avrei potuto farti un lungo e complicato spiegone, ma poi ho pensato che, visto cosa devo rivelarti,
avresti preso le mie parole per i deliri di un povero vecchio pazzo. E poi
magari dopo una giornata di lezioni, eri stufo di sentir insegnanti blaterare…
così ho pensato di usare questo. Vieni, avvicinati.»
Kaito obbedì. Quello fra le mani del
preside era un basso bacile di pietra, con strane figure incise sul bordo,
probabilmente rune o comunque simboli che il ragazzo non era in grado di
leggere. Conteneva una sostanza strana, liquida o forse gassosa, era difficile
capirlo, di un colore argento luminoso e biancastro, e si muoveva
incessantemente; la superficie s'increspò come acqua accarezzata dal vento, e
poi, simile alle nuvole in cielo, si separò e vorticò dolcemente.
«Quest’oggetto si chiama Pensatoio, ed è in
dotazione ad ogni preside di Hogwarts. A volte, e sono certo che conosci questa
sensazione, ho l'impressione di avere semplicemente troppi pensieri e troppi
ricordi stipati nella mente. Quando mi capita, uso il Pensatoio. Basta travasare
i pensieri in eccesso dalla propria mente, versarli nel bacile ed esaminarli a
piacere. Diventa più facile riconoscere trame e collegamenti, sai, quando
assumono questa forma.»
Kaito guardò il contenuto del bacile con
una smorfia: «Quindi quelli sarebbero i suoi ricordi?»
«Esattamente. Posso utilizzare i miei o
anche quelli di una terza persona. E in questa forma posso anche riviverli,
come se fossero un film. Guarda.»
Estrasse la bacchetta e infilò la punta tra
i propri capelli d'argento, vicino alla tempia. Quando la tolse, parve che dei
capelli vi restassero attaccati, ma in realtà si trattava di una striscia
scintillante della stessa strana sostanza bianco-argentea che riempiva il
Pensatoio e che venne prontamente aggiunta.
«Ecco, ho aggiunto adesso i ricordi che
volevo mostrarti stasera.»
«Vuole mostrarmi i suoi ricordi… là
dentro?»
Silente annuì e il prestigiatore ridacchiò:
«Gli psicanalisti pagherebbero a peso d’oro quell’affare!»
Il preside continuò: «I ricordi che ti
mostrerò stasera appartengono tutti a me, tranne uno…»
Estrasse dalla tasca dell’abito una fiala,
contenente la stessa sostanza biancastra che aveva aggiunto poco prima nel
Pensatoio.
«Questo è un ricordo eccezionale, Kaito, di
cui gradirei non facessi parola con nessuno. Appartiene a un Babbano. Normalmente non sono solito “prelevare” ricordi di
chi non c’entra con il mondo della magia, ma questa era una prova eccezionale,
unica nel suo genere… la legge dei maghi, tuttavia, non ha stabilito regole sul
trattamento dei ricordi dei Babbani.»
«E ciò che la legge non vieta, implicitamente
consente… conosco l’antifona, sono abituato a lavorare ai limiti della legge,
stia tranquillo, terrò la bocca chiusa.»
Silente aprì la fiala e aggiunse quel
ricordo agli altri: «Spero che quello che vedrai possa rispondere alle tue
domande, benché, ti avverto, sarà doloroso.»
«Non ho paura.»
Silente gli sorrise intenerito, come se il
ragazzo avesse appena detto inconsapevolmente un’enorme sciocchezza: «Ti prego
di avere pazienza con me, questa sera. Anche se starai male, ti chiederei di
sopportare fino alla fine, potremmo non avere un’altra occasione di rivederci
con questa tranquillità con l’incombenza dell’imminente Torneo Tremaghi. In ogni caso, se ne sentirai il bisogno, ti prego
di tralasciare pure con me la tua pur ottima faccia da poker.»
Kaito trasalì. Non ricordava di aver mai
parlato con il preside di quel particolare.
L’uomo gli porse una mano: «Vieni,
avvicinati.»
Il ragazzo fece una smorfia imbarazzata:
«Ehm… è sicuro che non le dispiaccia se invado così la sua privacy?»
Silente gli sorrise intenerito e si limitò
a dirgli: «Prendi un bel respiro, Kaito. Stiamo per cominciare.»
Ehm... saaaalve.... come va?
Sì, lo so, sono sparita per mesi, e mi dispiace enormemente. Purtroppo,
come avevo avvertito, gli impegni universitari si sono fatti troppo incombenti
per riuscire a gestire tutto, comprese tutte le mie storie. Rassicuro anche gli
eventuali lettori di Richiamo di sangue, mi rimetterò presto anche su quella
storia. Ora devo concentrarmi anche sulla tesi, ma farò del mio meglio per non
far passare di nuovo tutto questo tempo, anche perché con la suspense con cui
vi ho lasciato penso che mi linciate!
Intanto, un paio di note. Mi sono molto divertita a immaginare
due professoresse che nei libri sono solo accennate ma mai descritte nei
dettagli. Non vedremo molte loro lezioni, ma mi sembrava interessante da
approfondire, spero vi piaccia come le ho caratterizzate. Per quanto riguarda
la lezione di Aritmanzia, i dati sulla materia, per
quanto un pochino romanzati, li ho presi da un libro intitolato “Manuale per
apprendisti maghi” di Allan Zola Kronzek e Elizabeth Kronzek, edito da Speriling & Kupfer Editori, che spiega molte curiosità
sul mondo magico di Harry Potter. La mia edizione non è aggiornatissima, si
ferma al quinto libro, ma so che in circolazione ci sono edizioni aggiornate
fino al settimo. Se volete fare il calcolo aritmanzico
del vostro nome cercatelo!
Ringrazio quindi i commentatori, ovvero fenris,
Lunaby, Tsuki no Sasuke, mergana, sophi33,
Miciagatta33, _happy_04 (menzione speciale per essersi letta e recensita tutti
i capitoli in questi mesi) e _SayayMagicSuicune_. Sarà
rimasto qualcuno di voi dopo tutto questo tempo? Lo spero proprio...
Prossimo capitolo? Mi sembra chiaro, finalmente avrete quasi tutte
le risposte che aspettavate. Solo un avviso: questo sarà probabilmente il
capitolo più lungo in assoluto della storia, in cui si vedrà se davvero sono
riuscita a fare la brava sartina e a cucire bene la trama di Kaito Kid e quella
di Harry Potter, tenendo conto della marea d’indizi che vi ho lasciato in
questi trentun capitoli. Per questo motivo e per la tesi in corso potrebbe
volerci un pochino (ma meno degli infiniti
mesi d’attesa, per autoparodiarmi). Spero che ne
valga la pena.
Al prossimo capitolo, e abbiate fiducia, arriverà!
CIAO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Hinata 92