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Autore: GirlWithChakram    15/07/2016    3 recensioni
Janice Covington e Melinda Pappas, dopo aver recuperato le mitiche pergamene di Xena, trovano, tra i numerosi appunti di Harry Covington, un indizio che rivela la presenza di altri scritti perduti. Le due amiche dovranno dunque attraversare la Grecia, dilaniata dal conflitto mondiale, nella speranza di sopravvivere anche a questa avventura, tra incontri, scontri ed imprevisti, per portare alla luce l'antico tesoro e forse qualcosa di più.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altro Personaggio, Gabrielle, Xena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The incredibly true story of two friends on a quest

Al mio risveglio, la prima cosa che notai fu un brillante paio di iridi verdi che mi osservavano nella debole luce dell’alba, che filtrava dalla finestra mal chiusa.
«Ti piace spiare la gente che dorme, pervertita?» sussurrai, facendole il verso.
«Quanto sei scema» ridacchiò, sorridendomi.
Mi puntellai sui gomiti, osservando la stanza ancora avvolta nella penombra. «I nostri due simpatici ospiti dormono ancora?»
Janice annuì.
«Per noi è quasi ora di partire, però» osservai «Il sole deve essere sorto già da un po’.»
«Da più di mezz’ora» mi informò, stropicciandosi gli occhi.
«E tu da quanto sei sveglia?» domandai, vedendola sbadigliare.
«Da un po’» mormorò «Non riuscivo a dormire… L’idea di dovercene andare da qui, onestamente, mi turba» confessò «Ho un brutto presentimento.»
«Ammetti che in realtà non vuoi passare del tempo da sola con me» la stuzzicai, per alleggerire l’atmosfera.
«Oh» sussurrò, mentre un’espressione maliziosa le invadeva il volto «Non potresti essere più in errore…»
Non era esattamente il risultato che avevo intenzione di ottenere, ma fui soddisfatta di averla distratta dal suo precedente turbamento.
Non feci in tempo a registrare quanto stesse accadendo, che mi ritrovai le sue labbra incollate alle mie, mentre sentivo il mio cuore iniziare a galoppare.
«Questa sera avremo modo di approfondire» concluse ammiccando, dopo essersi staccata da me.
Passò una decina di minuti prima che i due dormiglioni si svegliassero, ma nel frattempo noi avevamo già radunato la maggior parte dei nostri averi.
«Fermatevi almeno per un tazza di the» ci supplicarono, ma dovetti puntare i piedi per rifiutare, eravamo già in ritardo sulla nostra tabella di marcia.
I saluti furono, naturalmente, il momento peggiore. Avevamo passato insieme solo una manciata di giorni, ma avevamo legato davvero molto e l’idea che probabilmente non ci saremmo rivisti più metteva tutti di malumore.
I gesti che ci scambiammo non erano sufficienti ad esprimere tutto ciò che stavamo provando e le brevi frasi di commiato celavano dietro di sé più profondi e sentiti messaggi che mai sarebbero stati pronunciati ad alta voce.
«Ti voglio bene, sono così contento di averti conosciuto» mi disse Jason, dandomi un paio di forti pacche sulle spalle «Sei davvero una donna straordinaria.»
Quando passai di fronte ad Herbert, notai che lui aveva gli occhi lucidi. Il suo bel viso, solitamente solare, era come avvolto in una maschera di tristezza da cui a breve sarebbero potute scaturire lacrime. Aprì la bocca e riuscì ad emettere solo un balbettio confuso. Gli sorrisi ed allungai le braccia per abbracciarlo, dato che nessuno dei due era in grado di parlare. In un frazione di secondo venni stritolata dalla sua solida presa. «Ti voglio tanto bene, non ti dimenticherò mai» mugolò, mentre aumentava la stretta, rischiando di spezzarmi qualche costola.
«Anche io, Herb. Anche io» replicai, nascondendo una lacrima che aveva iniziato a danzare dalla mia guancia al fondo degli occhiali.
Mi scostai dai due, lasciando che Janice ricevesse a propria volta i saluti.
Jay le strinse vigorosamente la mano, ringraziandola ancora una volta per avergli salvato la vita. L’austriaco, invece, la attirò a sé e le sussurrò una frase che riuscii a cogliere a fatica: «Abbi cura di Mel. Se la farai soffrire o le capiterà qualcosa, ne risponderai a me e non importa quanti chilometri ci saranno tra noi, io ti troverò e te la farò pagare.»
«La proteggerò come faresti tu» promise la biondina «E la amerò come non potresti mai.»
Entrambi sorrisero e sciolsero quell’ultimo abbraccio.
«Fate buon viaggio» gridarono all’unisono i due uomini quando ormai ci eravamo allontanate dalla soglia della capanna.
«E salutateci Nea Poteidaia!» urlò Schwarz.
Mi voltai un’ultima volta, osservando i nostri amici sventolare le mani come matti. Avrei sentito molto la loro mancanza, ma le pergamene di Xena ci stavano chiamando.
Percorremmo il primo tratto di strada in silenzio, camminando affiancate dove possibile, tornando sulla via principale diretta a sud, verso Vasilika.
Non essendo più abituata a marciare tanto su strade dissestate, soprattutto usando quelle scarpe da montagna un po’ troppo strette, la mattinata non era ancora conclusa quando scoprii che i miei delicati piedi si stavano riempiendo di piccole ferite e vesciche generate dallo sfregamento.
Lamentarmi non sarebbe servito a nulla, quindi strinsi i denti e continuai ad avanzare, tenendo dietro a Jan con fatica, dato che lei andava talmente veloce da sembrare sul punto di mettersi a correre.
«Ho una brutta sensazione, proprio brutta…» andò avanti a borbottare fino a che non ci fermammo per il pranzo «Te l’ho mai detto che sono un po’ sensitiva? So prevedere i disastri.»
Annuii, ascoltandola con spento interesse.
«Per esempio: proprio il giorno prima che tu piombassi in mezzo al mio scavo avevo avuto una terribile serie di brividi, chiaro segno che qualcosa di catastrofico sarebbe avvenuto.»
«Il mio arrivo sarebbe stato una catastrofe, eh?» commentai con finta stizza.
«Certo! Ti sei tirata dietro tutti quegli scagnozzi di Smythe che hanno impallinato di piombo la mia tenda e il mio cappello!» rispose ridacchiando.
Sbocconcellando il mio panino con formaggio ed affettato, scossi la testa. Figuriamoci se non doveva esserci quel maledetto copricapo di mezzo dissi a me stessa, sbirciando con la coda dell’occhio l’oggetto incriminato.
«Ma riguardo questa volta» riprese, cogliendomi alla sprovvista «Sono seria.»
Eravamo sedute vicine e lasciai scivolare la mia mano nella sua per rassicurarla. «Non è il caso di essere così tragica e pessimista, vedrai che si rivelerà solo un erroneo presentimento.»
«Speriamo» sospirò, tornando a mangiare.
La osservai e mi si strinse il cuore a vedere la sua espressione corrucciata, ma potevo fare ben poco, se non starle accanto dimostrandole che tutto sarebbe andato bene.
Finito il pasto, proseguimmo discendendo il pendio lungo i tornanti, evitando una brutta scarpata dove le piogge dei giorni precedenti avevano causato qualche frana. Purtroppo, il mio dolore ai piedi ci costrinse presto a rallentare, fino a che, prima ancora che il sole tramontasse, decretai che non fossi in grado di muovere un solo passo in più.
«Manca ancora un po’ fino a Vasilika» constatò la bionda «E forse non sarebbe bene arrivarci di notte, potremmo trovare qualche pattuglia in ricognizione.»
«Quindi ci fermiamo?»
«Sì» confermò «Troviamo una radura e piantiamo la tenda.»
Poco fuori dal percorso segnato, trovammo ciò che faceva per noi e mentre Janice si occupava di sistemare il nostro riparo, io sfoderai il mio immancabile quadernetto.
 
Diario di Melinda P. Pappas
13 Maggio 1942, monte Chortiatis, Grecia
La Dr.ssa Covington ed io stiamo proseguendo la discesa verso la città di Vasilika per procedere poi verso Nea Poteidaia. La nostra collaborazione sembra non poter andare meglio di così, presto arriveremo alle tanto agognate pergamene.
 
Sollevai un momento la matita, indecisa se aggiungere qualcosa, quando mi sentii sfilare di mano il diario.
«Preso!» gongolò la Covington, sventolandomi il maltolto sotto il naso «Voglio proprio sapere che cosa c’è di tanto segreto tra queste pagine…»
«Non c’è assolutamente niente che ti interessi» replicai, tentando di recuperare il mio quaderno, ma l’archeologa era molto più agile di me, che ero per di più rallentata dalle ferite fresche di giornata.
«Forza, Mel! Vieni a prenderlo!» mi stuzzicò, mettendosi a saltellare in giro per lo spiazzo.
Dopo dieci minuti di inseguimento senza risultato, mi gettai senza fiato sul morbido letto erboso. Sopra di me scorgevo le fronde illuminate dai raggi aranciati del sole che aveva iniziato a sparire oltre l’orizzonte, doveva essere più tardi di quanto pensassi.
«Tregua» rantolai, vedendola allungarsi accanto a me «Non ho più l’età per queste cose.»
In tutta risposta, la biondina iniziò a farmi il solletico, levandomi dai polmoni quella poca aria che mi era rimasta. Cominciai a rotolarmi, nel tentativo di allontanarmi da lei, ma finii solamente con l’offrirle più punti su cui infierire.
«Pietà!» iniziai a strillare, mentre la vista mi si offuscava per via delle lacrime.
«Solo se mi lasci tenere il diario per leggerlo» stabilì Janice, senza smettere di tormentarmi.
«Va bene, va bene» capitolai, sentendo che le sue malefiche dita si allontanavano finalmente da me.
«E adesso ti occuperai di recuperare la cena» ordinò, strizzandomi l’occhio «Alla mia maniera.»
«Come, scusa?» domandai perplessa, risistemandomi la camicetta e i capelli in disordine.
Mi lanciò la frusta, che afferrai al volo per miracolo. «Cattura qualcosa» mormorò malignamente.
I miei tentativi di opposizione vennero stroncati sul nascere.
«Portati dietro lo zaino» mi suggerì «E se trovi qualche erba o radice commestibile cacciala dentro, così vedremo di arricchire la carne.»
Riluttante, mi rimisi il peso sulle spalle, pronta a partire per quella mia impresa in solitaria.
«Quando tornerai, ti preparerò la cena e ti massaggerò i piedi, per ricambiare il favore» proseguì, con tono mellifluo.
Sbuffai, cominciando a mettermi in moto.
«Aspetta» mi fermò, quando ormai le avevo voltato le spalle da un po’ «Prendi questo, come portafortuna.»
Mi baciò sulle labbra, mi calcò il proprio cappello in testa e mi diede una pacca sulle spalle, il tutto in una frazione di tempo talmente breve che a fatica riuscii a distinguere l’ordine degli eventi. Ancora inebetita, mi misi in marcia.
Non ero brava quanto la mia compagna a trovare le tracce, ma durante il periodo passato con Jason ed Herbert aveva passato diverse ore ad istruirmi, quindi quella era l’occasione per dimostrarle che avevo imparato qualcosa.
Mi chinai in un punto in cui la terra mi sembrava smossa da poco ed ebbi fortuna, individuando quella che sembrava la pista di un coniglio.
La seguii per qualche minuto, convinta di avere la creatura in pungo, ma quando mi ritrovai ad inciampare in una radice in cui avevo incespicato poco prima, compresi di aver girato in tondo.
Ricominciai da capo, cercando nuove orme.
Nel mio girovagare trovai qualche erba aromatica, che avevo visto usare in passato dall’archeologa, ma rinunciai a raccogliere una specie di fungo dal pessimo odore, che sarebbe potuto essere perfettamente commestibile, ma che allo stesso modo sarebbe potuto essere letale.
Non avendo un orologio non seppi esattamente quanto tempo trascorsi a vagare in cerca di materie appetibili, ma quando le ombre iniziarono ad allungarsi troppo, sconfitta per non essere riuscita ad ottenere alcunché, mi diressi verso il campo.
Insicura su che strada avessi intrapreso, feci affidamento sul mio senso dell’orientamento, ma anche sui segni che il mio primo passaggio aveva lasciato. C’erano molti rami spezzati, sassolini smossi, punti in cui la mia goffaggine mi aveva fatto sbattere contro i tronchi, portando via porzioni del muschio che cresceva florido.
Lasciando che fosse il mio istinto a guidarmi, tornai nella zona della radura, in cui Janice aveva probabilmente acceso un fuoco del cui fumo percepivo l’odore.
Mi ci volle qualche istante per realizzare che il sentore di fumo che giungeva alle mie narici era sì quello di un falò, ma misto a quello di tabacco.
«Ma non è uno dei sigari di Jan» mormorai tra me e me.
Muovendomi con più cautela, arrivai a trovare il mozzicone di una sigaretta, ancora caldo, gettato in un punto in cui sovrapponevano diverse orme. Impronte di scarponi.
Un brivido mi percorse la schiena, ripensando ai brutti presentimenti a cui io mi ero rifiutata di dare peso. Dovevo affrettarmi, dovevo assicurarmi che la mia amica stesse bene.
Quando intravidi il bagliore delle fiamme ondeggiare nella selva di tronchi, scattai avanti e tirai un sospiro di sollievo, che morì non appena ebbe lasciato la mia bocca. Dalla parte opposta dello spiazzo, quella che l’archeologa stava osservando dandomi le spalle, comparve una decina di uomini, con inequivocabili divise tedesche.
«Ma guarda un po’ chi abbiamo qui» disse uno degli intrusi, gettando lontano da sé quella che immaginavo essere una sigaretta e staccandosi leggermente dal gruppo «Mi riconosci, dottoressa?»
Strizzai gli occhi, sperando che l’aiuto fornito dai miei occhiali fosse sufficiente per identificare l’uomo.
«Sei uno degli scagnozzi di Smythe» ringhiò la bionda, facendo scivolare la mano verso la fondina del revolver.
«L’unico che è sopravvissuto a quello scavo d’inferno» rispose lui.
«Solo perché sei stato abbastanza codardo da dartela a gambe prima di entrare nel tempio» lo provocò lei, facendo per alzarsi, con l’intenzione di estrarre la pistola.
«Fossi in te non lo farei» la immobilizzò «Siamo tutti armati e sappiamo sparare veloce quanto te. Potresti farmi fuori, ma ti beccheresti una pallottola prima ancora di aver mollato il grilletto.»
La Covington sembrò contemplare le proprie possibilità e con rassegnazione levò le mani in segno di resa. «Chi sei e cosa vuoi?»
«Cedric McLane, per servirti» ghignò «E cosa mai potrei volere?»
Le ultime sillabe si persero nel silenzio, mentre io mi piantavo le unghie nei palmi delle mani, incapace di fare anche il più minimo movimento.
«Voglio consegnarti alle autorità di competenza e riscuotere la ricompensa» proseguì «C’è una bella taglia sulla tua testa, sai? Ai capi tedeschi non è piaciuto come hai fatto saltare in aria Smythe e quella tomba su cui avevano messo gli occhi.»
«Come sapevate dove trovarmi?» domandò fredda.
«I nostri informatori a Chortiatis hanno detto di averti vista passare da là, in compagnia di una donna mora, un paio di settimane fa e noi ci siamo appostati aspettandoti a valle» spiegò Cedric, scostandosi indietro un ciuffo di capelli neri.
All’improvviso lo riconobbi. Quando ero entrata nella tenda di Janice per presentarmi a lei, lui mi aveva minacciato, intimandomi di consegnargli la valigetta. Era riuscito a scappare dopo la sparatoria e non avevo idea di che fine avesse fatto.
«Ma non mi avete trovato e così avete iniziato a battere i sentieri risalendo la montagna» concluse l’archeologa, sapendo di avere ragione «Bene, ora mi avete presa. Cos’altro vi interessa?»
«Le pergamene e la tua amichetta» sbottò «Dove sono?»
«Le pergamene sono perdute» mentì «Bruciate con il tempio. Quanto alla mia compagna …»
«Perquisitela!» ordinò ai compagni prima che lei potesse continuare.
Le svuotarono lo zaino, le levarono la pistola ed iniziarono a tastarla in modo rude. Avrei dato qualsiasi cosa per avere un’arma e la forza di intervenire.
Il mio quadernetto finì in fretta tra le mani di McLane.
«Cosa abbiamo qui?» sussurrò, sfogliandolo soddisfatto «Un bel diario di viaggio… Che non porta il tuo nome.»
«Era della mia compagna, appunto» rispose secca Jan «Se mi avessi lasciato finire, sapresti che lei è in fondo ad una scarpata. Questa mattina abbiamo avuto una discussione ed è stato necessario liberarmi di lei.»
L’uomo rise. «Allora è vero che non si dovrebbe mai voltare le spalle ad un Covington! Lo avevo sentito dire anche di tuo padre.»
Lei non replicò, ma si limitò ad annuire.
«Quindi, perché conservare questo bel cimelio? Vediamo…» Si mise a leggere e scoprì subito dell’esistenza delle altre pergamene.
«Legatele ben strette le mani e vediamo di metterci subito in viaggio, dobbiamo andare a Nea Poteidaia» comunicò ai compari.
«Perché?» domandò uno «Non dobbiamo consegnarla al presidio di Salonicco?»
«Lo faremo» sogghignò Cedric «Dopo che ci avrà condotto dalle altre pergamene di Xena. Rivendere quelle anticaglie ci frutterà molto più della stupida ricompensa per questo mucchio d’ossa.»
La banda sembrò essere molto contenta di quella prospettiva e si mise ad esultare, mentre Janice veniva legata ai polsi e spinta a forza verso il confine della radura.
«Che fine ha fatto il cappello?» domandò all’improvviso l’ex scagnozzo di Smythe «Mi avevano detto che era una cosa importante per voi Covington.»
«Quella stronza me l’ha strappato dalle grinfie prima di precipitare» rispose l’interpellata, con una nota di disprezzo inquietantemente realistica «Se volete andarlo a recuperare per me, ve ne sarei grata. E tirate qualche pallottola in più a quella megera, tanto per essere certi che sia morta.»
«Eri arrivata proprio ad odiarla, eh?» ridacchiò.
«Più di quanto immagini.»
Strinsi a me il cappello, inspirando l’odore che lo permeava. Sapevo cosa stava facendo: cercava di proteggermi. Se avessero avuto il sospetto che fossi ancora viva, si sarebbero messi sulle mie tracce e nel frattempo avrebbero potuto trovare anche il nascondiglio della nostra coppia di amici. Jan stava salvando la vita a tutti noi.
«Allora sarà meglio muoversi, prima mettiamo le mani su quelle pergamene, meglio sarà» decretò il soldato «Torniamo a Vasilika e troviamo un mezzo fino alle rovine.»
Il resto del plotone gli ubbidì senza fiatare. Due tizi afferrarono la bionda per le braccia e la spintonarono in mezzo alla colonna.
«E tu vedi di fare la brava bambina o troveremo modi molto meno piacevoli e cordiali per renderti collaborativa» concluse con un ghigno sadico.
Deglutii, terrorizzata da quell’eventualità. Dovevo sbrigarmi e seguirli, a debita distanza per far sì che non mi individuassero.
Avevo fame, ero stanca e indolenzita, ma non avevo tempo per lamentarmi o sostare, Janice aveva bisogno di me, era compito mio salvarla. Dai più inaccessibili recessi della mia mente si fecero largo altri ricordi di Xena e seppi con certezza di essere nel giusto, perché lei per Gabrielle avrebbe fatto esattamente lo stesso.


NdA: eccoci qui ancora una volta, folks, con un nuovo aggiornamento. Come avrete letto, le cose si sono complicate, naturalmente non potevo far sì che le nostre protagoniste arrivassero sane e salve al sito senza intoppi o problemi vari. Putroppo devo annunciarvi che per scoprire come proseguirà la faccenda dovrete attendere un po' più del solito... Anche gli autori vanno in vacanza e si vedono costretti a saltare un aggiornamento, per cui l'appuntamento è tra quattro settimane, non due. Ringraziamenti soliti, dovuti e necessari a wislava e Stranger in Paradise, per il costante aiuto e supporto. E niente, qui mi congedo, gente. Passate una buona estate (anche se ormai è cominciata da un po') e ci si rivede, spero, tra un mese.

 
   
 
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