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Autore: ChiaraBaroons    23/07/2016    1 recensioni
CJ, caffeinomane terribilmente complicata, è una della poche consulenti per nuove generazioni rock, sulla faccia della Terra. Prima Donna dal passato praticamente sconosciuto, regala sarcasmo e cinismo nemmeno fossero caramelle, ma almeno ha la decenza di preparare a dovere le sue creature, prima che spicchino il volo nel panorama musicale che ama e venera.
I Thirty Seconds to Mars cominciano a pensare ad un nuovo progetto per il loro quinto album, anche se ogni loro tentativo si rivela un grosso, immenso buco nell'acqua.
Tra arresti, tempi passati con le famiglie e disinteresse che aleggia sulle loro teste, per un colpo di... fortuna, si mettono in contatto con questa CJ, che pare più un alieno per le voci che circolano. E non hanno idea di che faccia abbia, questa donna, quindi potrebbe esserlo davvero, un alieno, perché no?
Ci provano, a lavorare insieme, ci provano davvero. Ma tra CJ e Jared è subito guerra aperta ed è terribilmente difficile decidere l'Ape Regina. E non risparmiano frecciatine su capelli bianchi ed aspetti fiabeschi.
Ma è il modo migliore di sciogliere il ghiaccio, quello, no? E tra il tempo passato insieme per lavoro ed il passato che torna a farsi vivo, magari qualcosa succede davvero.
Genere: Commedia, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Rock Bazar - Capitolo Uno
Il mattino ha il sarcasmo in bocca.



1984. 
I Motley Crüe ed Ozzy Osbourne arrivano in Florida, scendono
dal loro tour bus ed Ozzy sniffa una scia di formiche dallo stecco di un
ghiacciolo lasciato a terra. E, a tutto questo, assiste CJ, all’epoca una
semplice bambina di quattro anni, con le trecce ai capelli, le lentiggini sul
viso ed una bambola tra le mani.

2003.

Passano quasi vent’anni, durante i quali CJ dedica anima
e corpo alla musica, quasi fosse una figlia da accudire con cura. Ancora
segnata da quella visione di quand’era bambina, decide di seguire quegli
“ideali”, quelle assurde follie, quella scia di pazzia che il rock lascia
dietro di se. Tutto quanto.

1994.

Gli anni Novanta impazzano, le boy band fanno strage di
ormoni e la musica per lo più fa schifo, ma non per CJ, che spende ogni suo
spicciolo per farsi una cultura di quella che lei ritiene essere degna di nota,
per riempirsi di vecchi vinili e seguire l’esempio di quei folli che tanto
ammira e che tanto venera.

2015.

CJ è una delle poche consulenti sulla faccia della Terra
per le nuove generazioni che decidono di entrare nel mondo della musica rock,
che decidono che, far parte di quel mondo, vale tutta la fatica ed i sacrifici,
perché oramai  conosce quello spicchio di

mondo a menadito. Ne conosce i tranelli, gli schemi, le bellezze, le mutazioni.

Ai più fortunati fa addirittura da manager, nei primi
tempi, prima che riescano davvero a spiccare il volo.

Ed il suo lavoro le piace da impazzire. Ed è pagata alla
grande.

Poi incontra loro: band già conosciuta, già ascoltata,
già vista. Cercano un nuovo sound, o meglio, un modo per tornare alle origini,
a quello che non riescono più ad essere.

E per quanto vorrebbe evitarlo, anche CJ sarà costretta a
tornare indietro nel tempo, alle sue origini, ai motivi delle sue scelte, e
sarà un viaggio tutt’altro che facile.
 
After all there's only just the two of us
And here we are still fighting for our lives
Watching all of history repeat itself
Time after time
I'm just a dreamer
I dream my life away
I'm just a dreamer
Who dreams of better days
Ozzy Osbourne - Dreamer
 
 
Erano le otto del mattino quando CJ, colpita in pieno viso – ovviamente - da un raggio di sole che filtrava dalla finestra, si svegliò.
Per una maledettissima domenica non poteva arrivare ad almeno sei ore di sonno, no!, il mondo le remava contro e, anche in quello che era il suo primo giorno libero dopo secoli, era costretta ad alzarsi a quella che lei definiva l’alba.
Certo, la nottata precedente non aveva aiutato per nulla, nemmeno la quantità di alcool ingerito in quel pub di cui nemmeno ricordava il nome, come al solito: alla prima occasione di libertà, saliva in macchina e cercava il primo anonimo posto aperto e si piazzava al bancone, ignorando tutte le squallide proposte degli ubriachi che passavano nei dintorni e prestando attenzione solamente al bicchiere di bourbon che aveva davanti agli occhi.
Sì, abbastanza triste, direte. Ne era consapevole anche lei, ma in qualche modo doveva scaricare la tensione, ed essendo single da fin troppo tempo – e preferiva davvero evitare di pensarci -, l’unica possibilità era il sapore dolceamaro dell’alcool. Naturalmente, cercava di dimenticarsi degli effetti della mattina dopo, e ci riusciva anche, altrimenti non si sarebbe mai azzardata a ridursi in quello stato, per l’ennesima volta.
Dire che la testa le girava all’impazzata è dir nulla, ma, di certo, poteva farci ben poco: aveva passato un mese d’inferno al lavoro e, avere un’incapace al posto di un’assistente, non le aveva facilitato il lavoro. Glielo raddoppiava, peggiorava, dovendo pensare anche a che tipo di caramelle scegliere per la sala d’aspetto del suo ufficio.
Patetico.
La povera ed in innocente Lily era tanto bella quanto stupida.
CJ si era ritrovata fin troppe volte a fissarle le gambe, quasi sempre fasciate da jeans firmati, invidiando quella perfezione, e si convinse che quella fosse assoluta ingiustizia nei suoi confronti, costretta a far le corse nei negozi, durante i nuovi arrivi, per accalappiare le prima taglie 46 disponibili.
Ed a volte anche le 44 le andavano bene ed allora si festeggiava.
Cosa sarà stata, quella? Una 38 – 40? No, pura e semplice ingiustizia, ecco cosa. Ma finché Lily riusciva ancora ad accalappiare clienti grazie agli occhioni da cerbiatta e al decolté fin troppo abbondante per un fisico così minuto - ed ecco l’ennesima ingiustizia - tutto andava bene.
Il lavoro non le mancava, certo, e le piaceva da impazzire, anche se molte volte occupava sempre più ore della sua vita, infatti una mano in più al suo fianco le avrebbe fatto comodo.
Anche in quel momento, arenata sul letto, avvolta tra i lenzuoli, nemmeno fosse in un ristorante cinese e lei la portata principale, aveva bisogno di una mano. E di un’aspirina.
Magari due.
Non aveva idea di come avrebbe fatto ad uscire da quell’ammasso di stoffa che era diventato il suo letto, se non restarci dentro e riprendere sonno, ma quel maledetto raggio di sole non voleva saperne di passare oltre e di levarsi dal suo viso.
Spostati, Sole, devo dormire!
Forse nemmeno la sbornia era passata.
Non doveva lavorare quella mattina, per sua fortuna, altrimenti sarebbe stata un’impresa davvero comica essere in ufficio in quindici minuti, soprattutto in quelle condizioni.
Doveva vedere suo fratello Tom, a pranzo, dopo mesi di separazione.
Beato lui, il suo fratellino, ad aver trovato lavoro come interior designer e ad essere diventato uno tra i migliori negli Stati Uniti d’America, uno tra i più richiesti. Pagato per regalare consigli e per decidere se un divano, a destra o a sinistra, porta più fortuna oppure no. Assurdo.
In fin dei conti anche CJ veniva pagata - e anche molto profumatamente - per dare consigli, ma per lei era tutt’altra storia: riuscire a relazionarsi con giovani artisti che, nella maggior parte dei casi, volevano tutto servito su un piatto d’argento non era facile. Ma, diamine, l’orgoglio nel vedere le sue creature sfondare, farsi un nome al momento giusto, era semplicemente straordinario. Ed immenso.
Per quel motivo non aveva ancora abbandonato nulla, e non aveva intenzione di farlo! Aveva un team fantastico, al suo fianco – eccezion fatta di Lily -, e la aiutava in modo incredibile.
Dopo vari minuti, sprecati a cercare di capire come uscire da quel bozzo, CJ si decide a scendere dal letto, ormai troppo sveglia, ma comunque intontita, per poter riprendere sonno.
Aveva fin troppe ore davanti, prima di potersi preparare per incontrare il fratello, e pensare, anche solo per un momento, a poter far qualcosa inerente al suo lavoro, le faceva venire il voltastomaco. Aveva passato giorni infernali, pieni d’appuntamenti con nuovi artisti che chiedevano il suo aiuto e con produttori e discografici da convincere a scritturare i suoi ragazzi. Era una gara davvero dura trovare, tra i due, il più difficile da convincere che tutto sarebbe andato alla perfezione.
Come diamine le era saltato in mente di fare da consulente a nuove rock band ed a nuovi solisti? Come!?
E, da alcuni di questi, si era pure lasciata convincere ed era diventata loro manager a tutti gli effetti, o quasi: era sempre in cerca di un valido sostituto che non tarpasse le ali alle sue creature.
Non poteva andare avanti in quel modo, andando a dormire solamente dopo le due di notte, sveglia alle sei e trenta del mattino ed al lavoro per almeno dodici o quattordici ore al giorno.
Ah, ancora ricordava i bei tempi andati, quando ancora era una dipendente in quella squallida tavola calda del suo paese natale, quando i suoi turni duravano solamente sei ore, minuto più minuto meno. Tuttavia le era sempre stata stretta, quella vita, troppo monotona e priva di avventura, per i suoi gusti, che era cresciuta a forza di riff di chitarre, voci talmente forti da svegliare i suoi genitori al pian di sotto e sogni masticati sotto le coperte, nascondendosi da chi la credeva diversa solo per il suo essere anticonformista.
Era stata una fortuna aver racimolato tutto il denaro possibile grazie a quel lavoretto e prendere il primo bus per Los Angeles, quasi quindici anni prima.
Ora si era fatta una vita, una carriera e, chiunque fosse intenzionato ad entrare nel mondo del mercato discografico, conosceva il suo nome. Tutti sapevano chi fosse CJ e quali miracoli facesse con le nuove generazioni e lei, dal canto suo, continuava ad annotarsi tutti i gruppi ed i solisti che, grazie al suo aiuto, avevano fatto strada. Ed ogni volta che si aggiungeva qualche nome, questo, finiva direttamente sul muro della sua sala d’aspetto, scritto nero su bianco.
Le piaceva quella sua tradizione, nonostante molti la considerassero strana, ma almeno riusciva a far vedere al mondo intero che potenziale avesse lei.
Dopo aver percorso con passo strisciante la distanza tra la sua camera da letto e la cucina, non aspettò un momento a prepararsi un’immensa dose di caffè che, con ogni probabilità, non sarebbe durata un paio d’ore.
Poi si lamentava troppo per la sua stessa irascibilità, CJ! Ma al caffè non poteva rinunciarci.
Le avrebbero dovuto dare un premio onorario come maggior consumatrice di caffeina, o qualcosa del genere. Un premio era convinta di meritarselo, per forza.
Caffè pronto, biscotti a portata di mano ed un paio d’arance sul bancone della cucina: ecco la sua colazione. Tutto questo perché era convinta e pronta per diventare una taglia 44 a tutti gli effetti, nonostante fosse più che felice delle sue curve, ma si era stancata di tutte le occhiate delle commesse nei vari negozi – ovviamente 38 – 40, modello Lily -. Poi il fatto che a pranzo si ritrovasse sempre a divorare quantità incredibili di cibo spazzatura al lavoro non incideva, proprio per niente.
Cosa sarà mai?, continuava a ripetersi.
Inoltre, avrebbe dovuto sorbirsi la solita filippica di Tom, su quanto fosse importante mangiare cibo sano e cazzate simili e di quanto sarebbe bastato un minimo di attività fisica per valorizzare il suo corpo. Parlava lui, con tutti i suoi muscoli tonici e perfetti al punto giusto e con un lato B che era un’opera d’arte.
Il cibo spazzatura fa bene all’anima, fratello! E non ho tempo per poter andare a fare jogging!
L’aveva fatta sempre facile, lui, impegnato tra si e no una settimana al mese a casa di qualche stella del cinema o personaggio televisivo. E tutto il resto dei giorni a casa ad allenarsi oppure in vacanza. Bahamas, Messico, Canarie, Parigi, Roma, Tokyo… avesse avuto lei la sua fortuna, di certo, non si sarebbe ridotta ad ingurgitare cibo spazzatura per scacciare via il nervosismo. E Tom continuava a non capirlo!
Infondo, quelli erano i problemi di una trentaquattrenne in astinenza da sesso e senza nessuno con cui parlare apertamente – se non le pareti del suo ufficio -, cosa poteva saperne, lui?
Tuttavia avrebbe voluto davvero tanto buttarlo giù dal letto, a quell’ora, perché si ritrovò senza qualcosa da fare, se non pulire la casa – opzione che scartò non appena le balenò in testa -, ed aveva voglia di parlare con il suo fratellino e sapere come aveva trascorso le sue due ennesime settimane di ferie a Cuba. L’unica cosa che la fermò dal prendere in mano in telefono e svegliarlo così presto, per essere domenica, fu la possibile scia di parolacce ed insulti che si sarebbe lasciato dietro il suo caro fratellino.
Sì, certo, carissimo, ma non quando si improvvisava camionista provetto e sfoderava un repertorio degno di nota.
Nemmeno si rese conto – almeno non subito – del suo telefono cellulare, ovviamente ancora piazzato saldamente sul comodino della camera da letto, intento a suonare con il volume al massimo. Così cominciò correre come una perfetta idiota, con ancora mezzo biscotto in bocca, e rischio davvero di restarci secca, soprattutto quando andò a scontrarsi contro lo stipite della porta della camera da letto, per colpa di una traiettoria calcolata male.
La prossima volta pensa ad un openspace, CJ!
CJ al telefono”, esclamò tutta trafelata, continuando a masticare ciò che era rimasto di quel povero biscotto.
Crollò sul letto, ancora, stremata per quello spinning fuori programma e per il mal di testa che aveva deciso di torturarla all’improvviso. L’esempio lampante di come CJ e l’attività fisica fossero un binomio da scartare
Buongiorno boss”, rispose la voce, fin troppo allegra per i suoi gusti, dall’altra parte del telefono. “Spero di non averti svegliata”.
No, Mike”, sospirò sonoramente, lei, accorgendosi di avere il suo maestro d’immagine dall’altra parte del telefono. “Cercavo di battere il record mondiale dei cento metri in atletica. Che novità?”, sbottò, regolarizzando il respiro.
Tralasciando il caffè troppo acido che avrai già ingurgitato”, cominciò, facendola sorridere. “Ma davvero, CJ, come fai ad essere peggio di un limone di prima mattina?”.
Ah povero ed innocente Mike… nemmeno lui capiva l’importanza di una lunga dormita, la domenica.
Lui era stato il primo membro reclutato da CJ, per la sua agenzia. Continuava a ripetersi tutto in questa versione perché il fatto che fosse stato proprio Mike a darle l’idea di inventarsi un lavoro del genere non le andava proprio a genio.
In breve, lui era stato la prima conoscenza di CJ a Los Angeles e, dopo un paio d’anni di amicizia, il poveretto le aveva proposto quella che, inizialmente, le era sembrata un’idea assurda e fuori dal comune, ma più si soffermava a pensarci più CJ si convinceva che poteva davvero riuscirci.
Così prese in affitto un monolocale, mise su una parete di cartongesso ed una porta e lo trasformò in un ufficio con una sala d’aspetto claustrofobica, scarse possibilità di successo e aria condizionata non proprio funzionante. Bei tempi, quelli, quando come assistente aveva Mike – e non un’oca giuliva sempre pronta a starnazzare -, efficiente e puntiglioso da far quasi spavento, poi ovviamente lui aveva cominciato a far valere sempre di più il suo punto di vista – e sbagliava davvero pochissime volte nelle sue teorie – e CJ si sentì obbligata a dargli una promozione, se così si poteva chiamare, ed era diventato il suo vice nonché responsabile dell’immagine dei clienti che avevano deciso di affidarsi a loro.
Poi la loro attività aveva cominciato a farsi conoscere, ad avere sempre più clienti, loro avevano alzato leggermente i prezzi e gli incassi erano raddoppiati; trovarono una nuova struttura da poter utilizzare, così si spostarono ed ingrandirono l’attività, assumendo una nuova assistente/segretaria – la cara e dolce Lily -, Philip e Olivia, esperti in mercato discografico – reduci da una riduzione del personale di un’etichetta indipendente -,  e Joseph, musicista di mezz’età, stanco di esibirsi a richiesta in assurdi e squallidi locali, neanche fosse stato un addetto al karaoke.
Avevano tirato su una bella squadra, CJ e Mike, per nulla omogenea, ma ognuno aveva quella speciale particolarità che lo faceva combaciare alla perfezione con quel lavoro.
Ehi CJ, mi stai ascoltando!?”, le chiese, lui, facendola tornare con la mente al presente.
No, Mike”, confessò, con una risata, pronta a stuzzicarlo come sempre. “Stavo ripensando alla nostra storia d’amore”.
Ti piacerebbe, tesoro”, rispose Mike, unendosi a lei. “Ma finché Mr. McConaughey non lascia la moglie, arriva da me con un mazzo di rose rosse ed una proposta di matrimonio, io non mi concedo a nessuno”.
Signore e signori, ecco a voi Mike Wilson, maledettamente bravo nel suo lavoro, dannatamente bello e… palesemente gay. Un gran peccato, pensò CJ, la prima volta che lo incontrò.
Non ci sperare, Mike”, cercò di articolare lei, troppo occupata a ridere per poter dire qualche cosa di sensato. “Se Matthew lascia la moglie, io sono la prima della lista”.
Si, certo, boss”, sbuffò, lui. “Possiamo tornare alla normalità, invece di sparare cazzate? Perché, fidati, in cima alla lista di certo non ci sei tu”.
Come vuoi, tesoro, dimmi tutto”, lo spronò, lei, rimettendosi in piedi e dirigendosi ancora verso la cucina per terminare la colazione.
Mi ha chiamato Lily”, cominciò, demolendo all’istante il quasi buon umore di CJ. “E mi ha detto che si è trovata parecchi messaggi nella segreteria telefonica dell’ufficio: Matt non vuole saperne!”.
No, per lei era assolutamente impossibile passare una domenica in santa pace, senza che qualcuno le rompesse le palle per il lavoro, senza che quella ragazza – che al posto di neuroni sembrava avere farfalle svolazzanti ed usignoli, che nemmeno Biancaneve se li sarebbe sognati – sbagliasse nelle sue mansioni. Sperava di poter passare una buona giornata rilassante, insieme a suo fratello, con una buona dormita – che era già andata a farsi benedire – e senza preoccupazioni per il lavoro, ma niente da fare: tutto le remava contro.
Ricordami di uccidere quella ragazza, Mike”, sospirò, esasperata dall’incompetenza di quell’oca giuliva. “Non penso ci voglia una laurea per dire di richiamare lunedì mattina, o sbaglio?!”.
Oh, ma lo ha fatto, davvero”, cominciò lui, cercando di salvare il salvabile. “E non sto cercando di giustificarla, sai quanto io faccia fatica a digerire quella ragazza, ma ha ribadito a Matt non so quante volte di non chiamare di domenica, ma non lui non vuol sentire ragioni, così ha cominciato a tempestare la segreteria dell’ufficio oltre che il numero privato di Lily”.
Aspetta, cosa… il numero privato di Lily!?”.
Come se non si aspettasse una cosa del genere, CJ, come se non si aspettasse che Lily si cimentasse in ben altri impieghi, ben lontani da quello da segretaria.
Come? Non lo sai, boss?”, esclamò, Mike, dall’altra parte del telefono, quasi allibito dalla domanda del suo capo. “Beh allora dovresti aggiornare il portfolio della tua assistente ed aggiungere, tra le mansioni, la dicitura groupie”, aggiunse, con una lieve risata.
Ecco, appunto.
CJ era rimasta all’oscuro di tutto, anche se ovviamente sapeva che per Lily sarebbe stato difficile tenere le gambe chiuse, davanti al fascino dell’artista maledetto, ma sperava che almeno con quel disperato di Matt riuscisse a trattenersi.
Arriverà il giorno in cui mi stancherò davvero di quella ragazza”, mormorò sommessamente, CJ. Aveva esaurito la pazienza: invece di semplificarle tutto quanto, Lily non faceva altro che rendere ogni singola questione sempre più difficile, e non la sopportava più per questo. Soprattutto quando saltava su con migliaia di idee – una peggiore dell’altra – per rendere più attiva la sua figura da segretaria.
Risultava fin troppo attiva anche senza in consenso di CJ, quella, ed il suo posto di lavoro incideva ben poco nella media.
Sì, poi perderai quel terzo dei clienti che ti seguono solamente per dare una sbirciatina alla scollatura di Lily”.
E quelli che, oltre alla scollatura, sono riusciti a vedere anche molto di più? Ce li siamo dimenticati?”, ribatté lei, sempre più inacidita dalla questione.
Sentì Mike scoppiare a ridere, di gusto, e non riuscì a non seguirlo a ruota, ridendo delle sue stesse parole.
Di Lily ci occuperemo in seguito, boss, ora dobbiamo pensare a Matt”, disse poi, lui, tornando al nocciolo della questione.
CJ lo maledisse per il suo essere così puntiglioso e snervante, a volte anche troppo, ma sapeva di dover sistemare tutte le questioni il prima possibile, prima che quel ragazzino le mandasse in fumo il cervello.
Buttò giù in un solo sorso ciò che era rimasto del caffè, lasciando sul bancone una delle arance che non aveva ancora toccato, e tornò in camera sua, pronta per cambiarsi d’abito e prepararsi per fare un salto in ufficio.
Dove sei ora, tu?”, gli chiese, indecisa su cosa indossare.
Sono al bar davanti casa mia, ti raggiungo in ufficio?”.
Tra mezzora sono la, Mike”, lo informò. “E portami un caffè, per favore, quello di poco fa non mi è bastato”.
Macchiato, però”, obiettò, lui. “Troppa caffeina ti rende ancora più scorbutica di quanto tu non sia già”.
Lo so, tesoro, ma se non sono scorbutica rischio di farmi mettere i piedi in testa anche da te”, rispose a tono, CJ, ridendo e cercando di infilarsi i jeans senza cadere rovinosamente a terra, con il cellulare stretto tra l’orecchio e la spalla destra.
Nemmeno lo sai, ma io ti controllo di già, boss”, ribatté lui, non facendosi impressionare dalle parole di CJ. “Infatti dal prossimo mese deciderai di darmi un aumento”.
CJ scoppiò a ridere, più sollevata di prima per avere una persona del genere al suo fianco. Senza Mike non sarebbe andata avanti un giorno. “Si, certo, tesoro, continua a sognare”.
Entrambi chiusero la chiamata e CJ non attese un momento di più per correre in bagno per darsi una rinfrescata, gettandosi in viso acqua ghiacciata per svegliarsi appieno.
Doveva correre per non arrivare in ritardo in ufficio, sperando che il traffico di L.A. non decidesse di tenerla imbottigliata per le strade, altrimenti sarebbe stata davvero fottuta e chi si sarebbe sorbito, successivamente, le filippiche di Mike sulla puntualità e su quanto, anche solo un lieve ritardo potesse far brutta impressione sulla clientela. Aveva tutte le ragioni del mondo, per carità, ma a volte rompeva davvero le palle.
Jeans stretti, bikers, una camicetta di raso di seta bianca smanicata ed il suo immancabile chiodo in pelle, vecchio quasi quanto lei, ma sempre in splendida forma, tanto da sembrare appena uscito dal miglior negozio di Los Angeles.
Look informale per la domenica, ma perfetto comunque per il lavoro, soprattutto con il caldo che si presentava a febbraio.
Capelli in pieno caos domenicale – giusto una sistemata veloce con le mani – ed un filo di trucco, quasi invisibile.
A volte era troppo semplice, troppo ripetitiva nel modo di vestirsi, e lo sapeva bene, ma aveva provato svariate volte a conciarsi per bene per il lavoro, ma era come essere nel corpo di un’altra persona e, dopo poco, aveva cominciato a sentire la mancanza delle sue scarpe comode, aveva cominciato a reclamare un paio di pantaloni e non quelle stupide gonne da ufficio che, nel suo armadio, non prendevano altro che polvere.
Era semplicemente se stessa, con l’umore che andava in base al tempo e sempre con una tazza di caffè tra le mani. Okay, forse non andava sempre in base al tempo, più probabilmente andava in base a quanta caffeina aveva in corpo.
Sì, molto più probabile.
Controllò il risultato allo specchio nell’entrata e, subito dopo, non esitò un secondo ad afferrare borsa e chiavi della macchina e ad uscire di casa.
Ciao bambina”, mormorò, quando fu davanti alla sua auto.
Ecco, ci tengo a precisare una cosa: dopo il chiodo in pelle, veniva la sua auto! Il suo gioiellino, “il cuore pulsante di mammina”, come lo chiamava lei.
Una Chevrolet Camaro SS Sport Coupe del 1969, nera. Una meraviglia.
Certo, un’auto con degli anni, ma che era stata completamente rimessa nuovo, mantenendone comunque quel suo stile tanto caratteristico. E che le era costata una vera e propria follia.
Tuttavia, non aveva resistito, nonostante non fosse mai stata una grande appassionata di auto, ma quella bellezza l’aveva chiamata a gran voce non appena le aveva posato gli occhi addosso.
Ed ogni volta che vi saliva sopra - sempre se non era in compagnia, per evitare figure di merda - la salutava quasi fosse un cucciolo.
Era patetica a volte. Molto patetica.
Ingranò la marcia e non attese un momento a partire, diretta verso l’ufficio.
Accese la radio ed alzò il volume ad un livello che avrebbe spaccato i timpani a chiunque, ma lei era convinta che la musica andasse ascoltata così, in modo che oltre che in testa entrasse nelle vene, nei capillari, sotto la pelle, ovunque. Non c’era bisogno di assumere sostanze stupefacenti, diceva lei, bastava la musica giusta a mandarti su di giri, in un altro mondo, in un’altra dimensione. Ed aveva cominciato a crederci davvero, soprattutto dopo aver conosciuto Mike, soprattutto dopo essere tornata se stessa e dopo aver smesso di commettere una stronzata dietro l’altra.
Cominciò a canticchiare le note che fuoriuscivano dalle casse della sua auto. Quella mattina era partita con il piede giusto, decisamente, perché anche andare al lavoro la domenica mattina, dopo una sveglia tutt’altro che soave, poteva risultare piacevole, soprattutto con Cryin’ degli Aerosmith alla radio.

There was a time
When I was so broken hearted
Love wasn't much of a friend of mine
The tables have turned, yeah
'Cause me and them ways have parted
That kind of love was the killin' kind

Aerosmith – Cryi
n’
 
Meravigliosa.
Ancora ricordava quando, nel maggio del 1999, era scappata di casa per poter assistere al loro concerto all’Hollywood Bowl.
Aveva risparmiato per mesi, per poterli vedere dal vivo, e quando si era vista i suoi genitori spiattellarle in faccia la solita ramanzina su quanto disonore potesse arrecare il suo comportamento alla famiglia, non ci aveva più visto ed aveva deciso: ci sarebbe andata a qualunque costo. Erano sempre stati degli stupidi conservatori e per anni l’avevano costretta a comportarsi come tutte le solite ragazzine casa e chiesa del loro paese, ma quell’occasione non voleva davvero perdersela, soprattutto quando trovò miracolosamente un biglietto da un rivenditore di passaggio – o meglio, perduto per la strada -, prese il primo autobus disponibile e percorse più di mille miglia con solamente il biglietto del concerto ed altri cinquanta dollari in tasca. Da sola.
Un comportamento simile, per una ragazza di diciannove anni, per il paese di Rolling Hills, Wyoming, venne visto come un totale abominio. Particolare che le venne rinfacciato per tutto il tempo restante che passò in quel buco di città.
Scacciò dalla sua mente quei ricordi deprimenti, decisa più che mai a distaccarsi da ciò che era la sua vita precedente, e continuò a destreggiarsi per il traffico scorrevole di Los Angeles, continuando a canticchiare tra sé. Aveva semplicemente rimesso nel suo apposito scompartimento il ricordo degli anni passati in Wyoming perché era meglio così, perché proprio non le andava di ricordare troppo lo schifo che era il suo passato.
Non appena si fermò in coda ad un semaforo, non attese un attimo di più per recuperare gli occhiali dispersi - come sempre – nella borsa e ad inforcarli al volo, per proteggersi dai raggi di sole di quella mattina.
Ecco un particolare che le faceva amare quella città alla follia: il sole. Ed anche 22 gradi a fine febbraio. La prima volta che mise piede nella metropoli, le sembrò un sogno, essendo abituata al clima rigido e alle continue piogge del suo paese natale.
Amava la luce, il caldo, il mare, il sole… anche se quella mattina qualche nuvola in cielo a sabotare l’arrivo dei raggi sul suo viso non le avrebbe fatto schifo.
Arrivò finalmente al parcheggio del suo ufficio ed occupò uno dei posti auto destinati al personale, a fianco al Mercedes di Mike.
Il “poveretto” aveva la passione per le auto europee. Mica stupido.
Scese al volo e si avviò a passo spedito verso l’entrata della sala d’aspetto e, non appena vi entrò, poté finalmente ritenersi soddisfatta per essere arrivata in perfetto orario, nemmeno fosse un orologio svizzero.
Chi dovrebbe peccare di puntualità, eh, Mike? Chi, scusa!? Di certo non CJ!
Stupidi monologhi mentali, ma si divertiva troppo, CJ, ad articolarti domande e risposte nella sua mente.
Prese un profondo respiro non appena riconobbe l’ambiente – ovviamente arredato ad arte da Tom, senza dimenticare lo zampino di Mike -, lo stesso ambiente che avrebbe voluto vedere solamente il lunedì seguente.
Le pareti della sala d’aspetto di un verde chiaro, glaciale, ma al tempo stesso accogliente, soprattutto grazie al divanetto a sei posti ad angolo in tessuto beige – alla destra della porta d’entrata -, con le due poltroncine coordinate, e al tavolino da salotto in vetro ricoperto da riviste, un piattino in vetro per le caramelle e due vasi di orchidee candide. Per non parlare del bancone della reception in pesante legno scuro e dalla miriade di nomi di gruppi ed artisti singoli scritti alla parete retrostante, gli stessi nomi che proprio CJ riuscì a lanciare.
Suo fratello sapeva fare il suo lavoro, questo è certo.
Dietro il bancone trovò Mike, intento a fissare lo schermo del computer, con un bicchiere di caffè alle labbra.
Amici per il caffè, tesoro!
Perfetto come sempre, Mike sollevò lo sguardo non appena si rese conto dell’arrivo della sua collega e le regalò un sorriso solare, balsamo che CJ, ovviamente, non riuscì a non trovare confortante. Era sempre stato speciale, il sorriso di Mike, come se fosse in grado di far sparire tutti i mali del mondo, persino il dolore al ginocchio che cominciava a farsi sentire, dopo lo scontro con lo stipite della stanza di CJ.
Eccoti, finalmente”, disse, lui. “Tieni il caffè, altrimenti si fredda”, aggiunse, poggiando sul bancone un altro bicchiere di carta uguale al suo.
Oh Mike, ti ringrazio”, gli rispose, sospirando e gettando la borsa sul divano nell’angolo, camminando verso di lui per gustarsi finalmente un’altra massiccia dose del suo personale elisir di lunga vita. “Non so come farei senza di te”, aggiunse, poi, con un sorriso sarcastico in volto.
Io lo so ancora bene, invece”, saltò su lui, decidendo di stare al gioco e cominciando a stuzzicare il suo boss come al solito. “Saresti ancora in quella bettola puzzolente di fritto a servire ai tavoli e ricevere solamente palpate nel culo, invece delle mance”.
Colpita e affondata.
Ci provava sempre, CJ, a batterlo a parole e pochissime volte ci era davvero riuscita perché, quando si trattava di sarcasmo, Mike era un osso duro, grazie anche al suo fascino da bravo ragazzo. Quanto ingannavano le apparenze..
Poi sono io quella acida di prima mattina, eh”.
Per un momento di scrutarono con aria di sfida, gli occhi limpidi e blu di lui dentro quelli scuri e magnetici di lei, facendo a gara a chi avrebbe ceduto per prima a quello scambio di sguardi, poi scoppiarono entrambi a ridere, sembrando due adolescenti.
Erano due idioti, in realtà, loro, soprattutto quando di compagnia non ne avevano, quando erano solamente Mike e CJ, non il boss della situazione ed il suo vice sempre alle calcagna. Si erano conosciuti in quel modo, facendo gli idioti e, anche nei loro primi anni di amicizia, non avevano fatto altro che comportarsi come due bambini per la maggior parte del tempo, e non avevano abbandonato quella tradizione nemmeno adesso, con più di trent’anni sulle spalle e delle responsabilità da portare a termine.
CJ si fermò un momento a fissare l’unico vero amico che avesse al mondo, mentre tornò a fissare il monitor del Mac dell’ufficio. La prima volta che lo aveva incontrato, nel locale in cui lavorava in passato, ne era rimasta subito affascinata, come tutto il resto delle donne, dopotutto: sorriso da ragazzino, luminoso ed etereo, occhioni chiari da perfetto californiano, contornati da una chioma castana, e fisico statuario, quasi da atleta. Poi quando lui si era fermato al bancone, con aria circospetta, aveva fissato per un momento lo sgabello fermo davanti a lui, come per valutarne la sicurezza e, infine, vi si era seduto sopra, guadagnandosi un’occhiata da CJ. Aveva cominciato a parlare con lei, o meglio, a criticare quell’ambiente angusto e sporco e lei, dal canto suo, cominciò a rendersi conto di come fosse assurdamente gay. E le venne quasi da piangere, davanti a tutto all’ammasso di bellezza che annidava in quel ragazzo.
Allora qual è il problema di oggi, Mike?”, gli chiese, tornando con la mente al presente.
Il problema è che tu non sai tenere a freno quella gattina in calore della tua segretaria”, rispose, ancora più inacidito di prima, però con un sorriso divertito in volto. “E anche che Matt non vuole patteggiare per le tue ultime idee”.
Sbuffò esasperata, CJ, sentendo quelle parole perché, davvero, non ne poteva davvero più di tutti quei problemi che quell’idiota di Matt si ostinava a crearle. Sin da quando era arrivato da lei la prima volta, seguito dai suoi tre compagni, aveva capito che sarebbe stata una gara dura, con lui, ma non pensava di arrivare a quel punto, di arrivare a discutere – durante una stramaledetta domenica mattina! – persino per il nome che avrebbe dovuto avere il suo gruppo.
Quanti messaggi ha lasciato in segreteria?”, chiese, massaggiandosi la fronte con la mano libera.
Sedici, CJ”, rispose Mike, cercando di trattenere a stento una risata.
Non ridere”, lo fulminò con lo sguardo. “O ti giuro che da domani in poi di quest’imbecille te ne occupi tu”. Le era uscito quasi un ringhio, quando terminò la frase.
Le era venuto caldo, forse per colpa della giacche che aveva ancora sulle spalle o, molto più probabilmente, colpa di tutta l’agitazione che le era montata dentro dal momento stesso che aveva messo piede lì dentro.
Richiama Lily e dille di fissare un appuntamento con Matt ed il suo gruppo per domani mattina, appena apriamo”, cominciò, mentre ritornava al bancone, con tono già molto più professionale di poco prima. “E se per quell’ora ho già qualcosa in agenda, dille di spostarla, mi devo liberare una volta per tutte di tutte le seghe mentali di questo ragazzino”.
Come pensi di risolvere la questione?”, chiese Mike, mentre digitava il numero di Lily sul telefono dell’ufficio e portandosi la cornetta all’orecchio.
Come ho sempre fatto: chiamare un gruppo Matt & The Bottoms è una vera e semplice idiozia, non posso permetterlo”, esclamò lei, colta sul vivo, come se lui non intuisse il suo metodo di lavoro. “Li minaccerò per vie traverse, senza che loro nemmeno se ne rendano conto, perché non lascerò che quei ragazzi facciano strada con un nome di merda e, soprattutto, che dopo vadano in giro a dire che hanno sfondato grazie a me: o quel nome oppure il mio aiuto. Il suo The Bottoms Matt se lo può ficcare dove dico io!”, concluse, quasi con il fiatone, scatenando per l’ennesima volta le risate del suo collega.


*****

NdA.
L'ho fatto sul serio. Ho davvero cominciato a pubblicare questa... cosa.
Sono perfettamente consapevole di avere un'altra storia in produzione, ferma da fin troppo tempo, ma è come se mi remasse contro. O forse sono troppo presa da questa per pensare ad altro.
Comunque, ho cominciato questa nuova storia parecchio tempo fa e, finalmente (yay!), comincia a vedere la luce del sole! Quello che avete appena letto non è molto, me ne rendo conto: solo un inizio, una specie di presentazione per vedere che effetto può avere su di voi... spero vi piaccia, davvero, o che almeno vi incuriosisca.
Il tutto, per ora, è ambientato nei primi mesi del 2015, quindi con un Jared Leto ancora in versione Gesù Cristo.

A CJ ho cominciato a tenere davvero molto, da quando ha preso vita, è una donna con le palle, e non vedo l'ora che arrivi in momento di incontro con Leto Jr. Ci sarà da ridere!
L'idea di fondo della storia è saltata fuori dal nulla e mi sono detta "Perchè non provarci?", così mi sono messa d'impegno! Confesso di non aver ancora terminato la storia, ma ho praticamente tutta la storyline in testa, così cercherò di impegnarmi nella scrittura, appena mi si presenta l'occasione.
Preferisco non darvi dei termini per la pubblicazione del prossimo capitolo, in modo da non deludervi se lascio passare più giorni. Sappiate solo che cercherò di impegnarmi davvero!
Se vi va, lasciate un commento e fatemi sapere cosa ne pensate.
MarsHugs,
Chiara.
  
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