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Autore: Emmastory    23/07/2016    5 recensioni
Esisteva il regno di Aveiron. Fiorente sin dalla notte dei tempi, era governato da un Re e da una bellissima regina, scomoda all'intero regno. Scosso da una tragedia, ospita ancora i suoi abitanti, ridotti alla fame, al freddo e alla povertà. La colpa è da imputarsi a uomini e donne chiamati Ladri, e prima che il regno soccomba alle loro continue razzie, qualcuno deve agire. Rain è una ragazza sola, figlia di un amore che le genti definiscono proibito. Gli incubi la tormentano assieme ai ricordi del suo passato, e con il crollo della stabilità che era solita caratterizzare le sue giornate, non le resta che sperare.
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-I-mod
 
 
Capitolo XIII

Fiducia rinnovata

I minuti continuavano a scorrere, e le lancette del tempo non accennavano a fermarsi. Poco era quello passato dalla sorta di lite che avevo avuto con Stefan, che ancora scioccato, non proferiva parola. Preferiva infatti fissarmi e mantenere il silenzio, andando alla vana ricerca di parole da usare per dar vita a un discorso significativo e rassicurante. Ad ogni modo, nessuno dei suoi tentativi produsse risultati concreti. Avvicinandosi, mi cinse un braccio attorno alle spalle, dando poi inizio ad una nenia che non avevo voglia di sentire, ovvero le sue scuse. “Rain, amore, mi dispiace! Io non lo sapevo! Devi credermi, mi dispiace!” gridava, facendolo con una forza tale da permettere alle sue urla di produrre un’infinita eco nell’intera casa. In quel momento, sapevo di essere spaventata, delusa e ferita, e una caterva di scuse, per quanto sincere, non mi sarebbe servita a nulla. Accecata dalla rabbia che provavo per la società in cui vivevo, avevo iniziato una lite con Stefan senza alcuna ragione. In fin dei conti, lui non aveva nessuna colpa, ma nonostante tutto, non avevo alcuna voglia di ascoltarlo. Ero infatti troppo arrabbiata, e in quel momento, nulla sarebbe riuscito a calmarmi. Desideravo unicamente stare da sola, e ponendo fine a quella lite, me ne andai. Sbattendo con violenza la porta della mia stanza, che avevamo da poco scelto di dividere, scoppiai in un pianto dirotto ma silenzioso. Camminando, vagai senza meta per l’intera Casa, fino a raggiungere lo studio del dottor Patrick. Con lo scorrere dei minuti, il dolore che provavo sembrava divorarmi l’anima senza alcuna pietà. Concedendomi del tempo per pensare, mi fermai a riflettere, arrivando poi a convincermi che una sana e più calma conversazione riguardo all’accaduto mi avrebbe aiutata. Bussando alla sua porta, pregai che mi lasciasse entrare. Rispondendo al suono della mia voce, questi mi lasciò entrare, e accomodandomi sulla poltrona, lo salutai. “Rain! Che ti è successo? Perché tutte quelle lacrime?” chiese, stranito dal mio attuale stato d’animo. Mantenendo il silenzio, evitai perfino di guardarlo. Prima di allora, ero sempre apparsa ai suoi occhi come una ragazza sensibile ma allegra, ragion per cui la vista del mio viso rovinato dal pianto lo aveva letteralmente sconvolto. “È una lunga storia.” Dissi, tentando di minimizzare l’accaduto. “Dì, hai voglia di parlarne?” mi chiese lui, con fare apprensivo. “Se non è un disturbo.” Azzardai, quasi vergognandomi di me stessa. “Certo che no, è il mio lavoro! Dai, sdraiati e dimmi cos’è successo.” Rispose, indicandomi quindi un lettino simile a quelli usati durante le sedute di fisioterapia. Obbedendo a quella sorta di ordine, mi misi comoda, e respirando a fondo, mi preparai a dire tutta la nuda e cruda verità. “È tutto iniziato appena ieri, dopo che la Leader mi ha scoperta.” Esordii, prendendomi quindi del tempo per pensare a come porre la questione in modo sincero ma delicato. “Voleva mettermi a morte, ma mi ha lasciata vivere, e tutto grazie a Stefan. Il giorno dopo mi sono fermata a pensare, e mi sono tornate in mente le sue parole, dottore.” Continuai, tacendo al solo scopo di frugare nel cassetto della mia memoria e riportare quanti più dettagli possibile. “Di cosa parli?” mi chiese il dottor Patrick, incuriosito. “Ho ricordato l’intera faccenda legata ai Ladri, alla loro ferocia e al modo in cui terrorizzano la gente. Dopo l’amnesia, speravo di aver definitivamente cancellato quel ricordo, ma ora è tornato, assieme ad uno perfino peggiore.” Sbottai, con aria leggermente stizzita. Alla mia reazione, il dottore parve sbiancare, e guardandomi fissamente, non riuscì a trattenersi dal pormi una domanda. “Aspetta, peggiore? Che significa?” chiese, per poi scivolare nel silenzio e attendere una mia qualsiasi risposta. A quanto sembrava, ero arrivata a parlare di qualcosa di davvero importante, e data la reazione del dottor, compresi che era un punto a dir poco nevralgico, e che non aspettava altro che una mia apertura a riguardo. “I miei genitori, e mia sorella.” Risposi, ponendo inaudita enfasi sulla parte finale di quella frase. “Li credi morti?” indagò il dottore, sempre più incuriosito dal modo in cui la discussione continuava ad evolvere. “Al contrario, ne sono certa, loro sono vivi!” dissi, alzando bruscamente il tono della voce e sollevando anche la testa. “Nient’altro?” mi chiese il dottore, solo dopo essere riuscito a riportarmi alla calma cingendomi un forte braccio intorno alle spalle. “Stefan.” Sussurrai, pronunciando il suo nome con la voce corrotta da una vena di indecisione. Mantenendo il silenzio, il dottor Patrick mi invitò a continuare il mio discorso con un singolo cenno del capo, e facendomi forza, lo dissi. “Andava tutto bene fra noi, ma mi sono spaventata, poi arrabbiata, abbiamo litigato, non ho voluto ascoltarlo e ora… ora credo che mi odi.” Un discorso chiaro, sincero e completo, ma con un unico difetto. Delle frequenti pause fra una parola e l’altra che tradirono il mio attuale stato d’animo, ovvero quello della paura più profonda. Quest’ultima non tardò poi ad unirsi alla tristezza, poiché in quel momento, un fiume di lacrime prese a corrermi sul volto. In preda alla vergogna, nascosi il volto con le mani, ma i miei singhiozzi disperati rivelarono che stessi ormai piangendo. “Rain, ascolta. Stefan non potrebbe mai odiarti.” Disse il dottore, tentando di rassicurarmi. “Come fa a saperlo?” chiese, guardandolo con gli occhi rovinati dal pianto e la voce spezzata dallo sforzo che facevo per essere compresa. “Che domande, è mio figlio!” rispose, con aria fiera e orgogliosa. “Come?” non potei fare a meno di esclamare, incredula. “È proprio così. Lui ti ama, è innamorato di te, e sai che farebbe qualunque cosa per renderti felice. Ora basta piangere, e va da lui.” Disse infine, aiutandomi ad alzarmi e spingendomi amorevolmente fuori dalla porta. “Grazie.” Dissi in un sussurro, poco prima di vedere la porta del suo studio chiudersi con estrema lentezza. “Di niente.” Parve dire, pur mantenendo il silenzio e limitandosi a sorridere. Alcuni preziosi secondi di silenzio seguirono quel momento, e sentendo il mio corpo venire letteralmente invaso dalla gioia, e il mio giovane cuore pulsare d’amore per Stefan, feci del mio meglio per evitare di perdere tempo e tornare subito da lui. Raggiunsi la nostra stanza in un battito di ciglia, e aprendo la porta, lo vidi. Era seduto sul letto, e a quanto sembrava, non aveva fatto altro che attendere il mio ritorno. Felicissima di vederlo, lasciai che mi abbracciasse, per poi non resistere alla tentazione di baciarlo e dirgli la verità. Ho parlato con il dottor Patrick, e ora è tutto passato. Scusa per quello che è accaduto, non volevo che litigassimo.” Dissi, parlando con chiarezza e trasparenza. “Ne sono felice, e ora che sei qui, c’è qualcosa che devo dirti.” Rispose lui, sorridendo con una dolcezza capace di sciogliermi il cuore. “Che cosa?” provai l’irrefrenabile impulso di chiedere, sorridendo a mia volta e mostrando un comportamento uguale a quello dei bambini. Creature che amavo, e che un giorno avrei voluto davvero avere. Oltre al vero amore, una famiglia era quello a cui aspiravo maggiormente, ma dati i trascorsi miei e del mio Stefan, uniti a quanto eravamo costretti a vivere, mi portavano a credere che il mio sogno non si sarebbe mai tramutato in realtà. Quella domanda non trovò una vera risposta, ma conservando il mio sorriso, volli comunque essere ottimista, ben sapendo che dopo la visita del dottor Patrick, la fiducia che avevo in me stessa e negli altri, era stata ormai fortunatamente rinnovata.
   
 
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