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Autore: Walpurgisnacht    28/07/2016    1 recensioni
Allora ragazzi, vi capita mai di avere idee folli su cui vi sale un hype incontrollabile e che DOVETE mettere per iscritto? Ecco, se vi è successo sapete cosa è passato per la testa mia e della mia socia. Spiegazioni sul crossover e altri tecnicismi nel primo capitolo.
Aggiornamenti settimanali, due a botta. Numero finale di capitoli: ventuno.
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Un aereo cade. Nove ragazzi ammaccati si leccano le (piccole) ferite e cercano di capire come andarsene da quel posto dimenticato da chiunque.
Sul serio, non c'è nessun tizio psicopatico che vuole farli giocare alla sua personalissima versione de La Ruota della Fortuna.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La stanza numero 5 era decisamente più ampia di quelle che avevano visto fino a quel momento.

Era davvero grande, notò Aoi, e almeno in parte conservava un po’ dell’eleganza dell’arredamento del secondo piano e del piano terra, ma era decisamente più spoglia: il mobilio consisteva solo in nove banchi di scuola -simili a quelli delle elementari, pensò- posti al centro della stanza, mentre le pareti erano decorate dalle stampe di alcuni dei quadri più inquietanti che avesse mai visto.

“Ma che roba è questa? Sembra il parto di una mente malata!”

“Sono quadri piuttosto famosi, Oowada” replicò Ikusaba, “ma concordo sul loro contenuto… disturbante, per così dire.”
Aoi non poteva essere più d’accordo, anche se non l’avrebbe mai e poi mai detto ad alta voce. Era ancora indispettita nei confronti di Mukuro. Si avvicinò alle stampe e le studiò attentamente: nel primo c’era un gigante che divorava un corpo, o quel che ne restava. Lesse a bassa voce la targhetta: “Saturno che Divora i suoi Figli - Francisco Goya. Brr.”

Quello accanto ritraeva un gruppo di donne terrorizzate, sedute attorno ad una creatura umanoide con la testa di caprone (la targhetta recitava Il Sabba delle Streghe, sempre di Goya). Sulla parete centrale c’era una gigantografia di un quadro in tre parti: Aoi non era del tutto sicura di cosa dovesse rappresentare, ma a suo dire era piuttosto evidente che l’autore dovesse avere dei problemi. “Trittico del Giardino delle Delizie - Hieronymous Bosch” lesse, turbata da quell’ammasso di corpi che all’apparenza si accoppiava, danzava tra creature assurde o veniva torturato da bestie altrettanto orribili, si rintanava nel torso vuoto di un uomo o… suonava il flauto col sedere.

“Io non saprò niente di arte, ma chi lo ha dipinto doveva aver sniffato colla” commentò Mondo accanto a lei, che non riuscì a trattenere una risata.

“Beh, non mi pare ci sia granché da fare qui, o sbaglio?” continuò lui, ma Ikusaba lo corresse: “In realtà la stanza continua, ma è stata separata in due ambienti.”

I due raggiunsero il Soldato davanti a una parete con una finestra che dava sul resto della stanza: da quel che si vedeva c’erano altri nove banchi e poco altro; vide Mondo provare ad aprire la porta, ma era chiusa saldamente.

“Dite che c’è qualcosa che dobbiamo trovare dall’altro lato?” chiese il Biker con poca convinzione.

“Hmm… se devo seguire il mio istinto, direi di no” replicò Mukuro, “da quello che possiamo vedere da qui non mi sembra ci sia qualcosa di rilevante o che possa tornarci utile, e basandoci sul modus operandi di Zero in quel caso avremmo trovato degli ostacoli” rifletté ad alta voce, “invece quella porta la potresti benissimo abbattere con un paio di calci, non sembra particolarmente resistente.”

“Questo è vero, ma allora che ci facciamo qui?”

Aoi smise di prestare attenzione agli altri due perché qualcosa l’aveva incuriosita: i banchi in quella stanza erano nove. Qualcosa la spinse a contare i banchi nell’altra stanza, ed ebbe la conferma che anche quelli erano nove. Non era del tutto sicura, in fondo non era Kirigiri, eppure aveva il sentore che quel dettaglio fosse molto importante.

Decise che era il caso di mettere al corrente gli altri due: “Ragazzi… avete notato quanti banchi ci sono in questa stanza?”

Mondo e Ikusaba la osservarono un attimo perplessi, poi quest’ultima rispose: “Sono nove, perché?”

“Anche noi siamo nove, non lo trovate strano?”

“Beh ma ce ne sono altri nove nell’altra stanza” disse Oowada, “non credo che Zero volesse farci assistere a qualche lezione. Siamo pochini.”
“Sì ma… se ci fosse il resto della classe?”

“Saremmo diciassette, non diciotto.”

“Hm, vero” sbuffò lei, ma qualche istante dopo si ricordò di un particolare: “Però… se teniamo conto della foto…”

“...con la misteriosa Junko Enoshima saremmo diciotto” concluse Mondo, la cui espressione si era fatta improvvisamente cupa. “Vuoi forse dire che credi alla teoria cospirazionista di Ishimaru?”

“Non lo so a cosa credo, Oowada-kun, però tornano troppe cose per non pensarci” rispose Aoi, allargando le braccia. “La storia degli esperimenti è totalmente fuori di testa, ok, ma ogni singolo indizio che abbiamo trovato ci indirizza sempre lì!”

Mondo si passò una mano sul viso, forse ancora indeciso se credere o meno a quella teoria. Stava per dire qualcosa ma Aoi lo precedette: “I banchi sono diciotto, ma separati.”

“Eh?”

“Sono divisi in due stanze, non vi siete chiesti il perché?”

Sulle prime Mukuro e Mondo non risposero, colti forse alla sprovvista, poi quest’ultimo aggrottò la fronte: “Aspetta… ieri Fukawa non aveva parlato di quell’esperimento delle foto? Quello dei morfocosi…”

“Campi morfogenetici” lo corresse Mukuro, “ma sì, ricordo anche io. Ed effettivamente anche lì si faceva riferimento ad esperimenti fatti su gruppi che non avevano avuto alcun contatto tra loro, a parte quei presunti campi.”

“Esatto” rispose Aoi, gesticolando verso i banchi “e qui abbiamo una classe divisa a metà in due ambienti separati. Non so voi ma a me le coincidenze sembrano un po’ troppe.”

“Devi smetterla di farti passare sottobanco da Ishimaru Rettiliano 3000, Asahina. Ti frigge il cervello” disse ancora Mondo, molto incredulo di fronte ai pezzi del puzzle che piano piano parevano incastrarsi.

“Porca miseria!” sbottò la ragazza, un po’ frustrata da quella che percepiva come ottusità da parte di lui “Oowada-kun, chiedo scusa per la pessima imitazione di Kirigiri-san ma a questo punto ci vuole. Seguimi bene. Zero ci chiude in questo edificio millantando nei nostri confronti un qualche tipo di credito che dovrebbe riscuotere. Probabilmente dalla cassa continua delle nostre anime, a giudicare da quanto in basso ci ha colpiti. Ovviamente noi tutti cadiamo dal pero non avendo la minima idea di cosa stesse dicendo. Poi però scopriamo via via dei piccoli frammenti che si intrecciano: gli articoli sul signor Harada, il nome di Junko Enoshima, la foto della nostra quarta elementare con la bambina sconosciuta, le carte per la telepatia, il libro sui soldati che fanno esplodere le capre. Tutto converge verso uno scenario che ci fa finire come protagonisti di uno di quegli esperimenti. Ora abbiamo anche la controprova visiva coi banchi, che per una pura casualità sono nove come noi. Avanti Oowada-kun, capisco che sia a dir poco incredibile… ma i casi sono due: o quel che dico è vero, particolare più particolare meno, o Zero è un maledettissimo bugiardo che si diverte a prenderci per il culo in lungo e in largo. Ikusaba-san, tu che ne pensi di tutto questo?”.

Mukuro ebbe come un attimo di smarrimento, forse non si aspettava la domanda. Poi cercò di raccogliere le idee e rispose: “Sono davvero perplessa, Asahina. Da una parte quanto dici ha un suo senso, e anche un suo fascino macabro. Voglio dire, la nostra classe usata come cavie in un test sui poteri ESP da parte della Kibougamine… sì, è affascinante in una certa maniera malata. Ma d’altro canto posso immedesimarmi nello scetticismo di Oowada perché qua siamo ai confini della realtà e oltre, verso lo spazio sconosciuto. E non so se la definizione si applica meglio all’accademia o a Zero. Insomma, è un gran casino e non mi ci so raccapezzare”.

“Ragazzi” allargò le braccia Asahina, avvilita “non so cos’altro serva per convincervi. Lo ripeto, sono la prima a considerare ‘sta storia pazzesca, incredibile, assurda oltre ogni dire. Soprattutto in virtù del fatto che non ci ricordiamo niente. Niente, santo cielo! Niente! Saremmo stati dei topolini nella gabbia della scuola che avrebbe dovuto proteggerci dai pericoli del mondo esterno. È una cosa orribile, schifosa. Ma anche qui, se quanto dice Ishimaru-kun è vero… e più ne parlo, più ci credo… si potrebbe spiegare perché Zero ha abbaiato accusandoci di qualche tremendo peccato che avremmo commesso. Non ci ricordiamo nulla, perché non potremmo essere tutti vittime di amnesia? O magari ci hanno fatto il lavaggio del cervello e ci hanno cancellato la memoria”.

“Sì, va beh. Poi è passata la marmotta che portava la cioccolata da far confezionare nello stabilimento, però a cavallo di un mulo radioattivo”.

“Non sei spiritoso, Oowada-kun! Sto cercando delle possibili spiegazioni a questo problema!”.

“Mi spiace Asahina, non riesco a prenderti sul serio”.

“Ikusaba-san?”.

“Io sono più possibilista del buon Oowada e non rigetto l’ipotesi a prescindere. Capirai perché non salto a piè pari sul barcone del cospirazionismo, però”.

“Allora avanti, trovate voi una spiegazione sensata a tutto quello che ci è stato detto e a quello che abbiamo trovato. Avanti!”.

“Per tutti i kami, Asahina. Calmati, sei viola in faccia!”.

“No che non mi calmo! Come faccio a calmarmi di fronte a due testoni come voi che non vogliono collegare i puntini? Ishimaru aveva detto qualcosa sul numero di coincidenze, che quando diventano sei o sette le si chiama in modo diverso. Ha ragione, per la miseriaccia ladra porca!”.

Aoi ebbe un giramento di testa, il continuo strepitare come una bertuccia in calore l’aveva svuotata di parecchie energie. Magari fuori l’avevano sentita mentre sottoponeva la sua ugola d’oro a tutto questo sforzo.

Per fortuna Maizono non c’è, avrebbe potuto essere invidiosa della mia estensione vocale.

Si lasciò cadere a terra, spossata. Tentò di recuperare l’autocontrollo, riuscendoci solo dopo parecchi tentativi falliti. Il tutto nel silenzio costernato e un po’ imbarazzato degli altri due, che probabilmente l’avevano osservata tutto il tempo.

Dopo l’ultimo sospirone rialzò la testa e disse: “La richiesta di prima è ancora valida, Oowada-kun. Dai per buono che Zero ci abbia detto solo la verità e prova a ricostruire i fatti se ritieni che siano andati diversamente da come sostengo io”.

“Non… non lo so. Non sono uno di quei tizi tutto cervello e niente muscoli!”.

“Sia mai. Rifletti un secondo: sempre che Zero non sia evaso dal manicomio più vicino, tutto quello che ha fatto richiede preparazione. Costanza. Impegno. Perché sbattersi in questo modo per uno scherzo senza fondamento? Non gli sarebbe risultato più comodo dirottare il nostro aereo e tenerci in ostaggio, legati e imbavagliati, per ottenere un riscatto dalla scuola? Non ha il minimo senso prendersi la briga di mettere in piedi ‘sto circo del menga, con le prove e tutto il resto del carrozzone”.

“Su quello sono perfettamente d’accordo con te, Asahina” si inserì Mukuro “Solo uno squilibrato si sobbarcherebbe un lavoraccio del genere se non ci fosse qualcosa dietro. E qualcosa dietro qui c’è, non vedo altre possibilità valide”.

“Ecco, vedi? Assorbi un po’ del suo buon senso, non può che farti bene”.

Lo vide pensieroso, trincerato dietro un silenzio atto a guadagnare tempo per far muovere le sue rotelline cerebrali.

“Ti dirò di più” riprese lei, sentendo che il momento poteva essere quello giusto “Se persino due pragmatici come Kirigiri-san e Togami-san hanno dei forti sospetti su questa versione… cosa ti viene suggerito, che si siano rimbecilliti tutto ad un tratto? Entrambi, se non vogliamo già farlo valere per lui con tutto ciò che ha detto e fatto di strano nelle ultime ore?”.

Il reiterato silenzio del Motociclista le consentì di premere ulteriormente sull’accelleratore: “Oowada-kun, per l’ultima volta: dev’essere per forza così. Altrimenti questa pagliacciata manca completamente di senso… il che non è del tutto impossibile, è vero, ma togliti le fette di salame dagli occhi una buona volta”.

E finalmente qualcosa in lui parve smuoversi. Scosse la testa più di una volta, si stiracchiò come se si fosse appena svegliato, la guardò fissa nelle palle degli occhi e dichiarò: “Asahina, io agli UFO non credo. Alle amanti che ti lasciano scritto sullo specchio «Benvenuto nell’AIDS» non credo. Non ci credo. Ma tutto quello che sostenete tu e quell’altro esaltato di Ishimaru… mi scoccia ammetterlo, ma potrebbe avere delle basi solide. Me lo fa pensare soprattutto quanto ci ha detto Zero all’inizio, sempre con la faccenda dei peccati. Quindi, pur ribadendo che per me voi due vi siete sparati in endovena della roba davvero forte prima di partire, non posso negare che il vostro fervore mi abbia fatto venire qualche dubbio”.

Considerate le premesse iniziali, direi che mi posso ritenere soddisfatta.

“Bene litiganti, ora cosa dobbiamo fare? Continuiamo a non sapere…”.

CLACK.

“Ebbravi ragazzini, finalmente ci siete arrivati. Andate, non avete più motivo di restare qua”.

Che… che cosa?

“Zero! Cosa intendi?” berciò Mondo verso il soffitto.

Non ebbe risposta.

 

*

 

Mukuro Ikusaba era crucciata.

Mentre uscivano dalla stanza si soffermò a riflettere su un pensiero che la attanagliava da quando erano stati rinchiusi lì dentro: che senso aveva tutto questo? Così tanti sforzi per andare avanti, così tanto lavoro, eppure le sembrava che per ogni passo fatto avanti ne facesse due indietro.

Valeva davvero la pena, si chiese?

Era davvero la cosa migliore da fare?

C’era magari un altro modo?

O forse… forse doveva solo fermarsi. Forse stava sbagliando tutto e abbandonare era la cosa migliore, perché non c’era alcun senso logico in tutto quello che stava facendo.

Poi osservò i suoi compagni aggiornarsi su cosa conteneva la stanza 5, unire i punti, fare ipotesi.

Decise che forse valeva ancora la pena andare avanti, non arrendersi.

Forse stava facendo la cosa giusta.

 

*

 

“Quindi avevo ragione.”

“Non avevi ragione.”

“Hai appena detto l’opposto.”

“Ho solo detto che POTREBBE essere plausibile, che è ben diverso!”

Lasciò cadere il discorso, perché sapeva che battibeccare con Mondo era una cosa che rischiava di andare avanti all’infinito: la stupida sfida a chi resisteva di più in sauna che li aveva fatti diventare amici ne era la prova.

Si disse che non aveva importanza, per lui era comunque una piccola vittoria: Kiyotaka Ishimaru aveva ragione e la sua teoria non era campata per aria. Impossibile che lo fosse, se tutti gli indizi che avevano continuavano a parlare di esperimenti e bambini, persino Kirigiri e Togami lo appoggiavano. Non potevo avere garanzia migliore pensò.

Lasciò perdere i gongolamenti e tornò ad ascoltare il resoconto sulla stanza 5.

“Quindi siete usciti solo perché Oowada ha ammesso che la storia degli esperimenti è plausibile?”
“Proprio così, Kirigiri” rispose il Biker, e lei diventò pensierosa: “Nemmeno un indovinello, una prova, niente?”

Mondo fece di no con la testa: “Niente di niente. Persino la porta che separava i due ambienti era banale, senza tastierini numerici o altro. Avrei potuto buttarla giù con un calcio.”
“Hmm. Sembra quasi che volesse semplicemente che credessimo a questa storia, che la accettassimo” rispose Kyouko, subito seguita da Togami: “Una sorta di presa di coscienza.”

“Così sembra” intervenne Aoi, “ma continuo a non capire il perché di quell’arredamento. Ok, mi ha aiutata a fare due più due sugli esperimenti e mi ha fatta ripensare ai campi morfogenetici, ma non penso servisse solo a questo” disse, “ma come abbiamo detto non c’è stato tempo di approfondire perché Zero ci ha buttati fuori.”

Per un po’ rimasero tutti in silenzio, forse interrogandosi sul quesito posto da Asahina (come Ishimaru stava già facendo), oppure semplicemente riflettendo sugli esperimenti e la possibilità ormai concreta che qualcuno possa davvero averli messi in pratica su di loro. Pensò per un attimo di chiedere a lei, Mondo e Ikusaba di descrivere meglio la stanza, ma qualcuno lo precedette: “Puoi descrivermi la stanza?”

“Eh?”

“P-Puoi descrivermi di nuovo la stanza… p-per favore?” chiese di nuovo Fukawa, e dopo un attimo di smarrimento Aoi la accontentò: “Beh, come abbiamo detto era divisa in due da una parete posticcia con porta e una finestra, e in ogni ambiente c’erano nove banchi di scuola. Era piuttosto spoglia, ad esclusione delle stampe alle pareti…”

“M-Mi descriveresti anche quelle?” insistette la Scrittrice, e Ishimaru pensò che forse la ragazza aveva intuito qualcos’altro, dopo l’idea dei campi morfogenetici.

“Beh erano parecchio inquietanti” proseguì Asahina, “in una c’era un tizio che divorava un uomo… i suoi figli, diceva la targhetta.”

Saturno che Divora i suoi Figli?” chiese Touko, e l’altra fece un cenno d’assenso: “Sì esatto! Ce n’era un altro dello stesso autore, con una creatura dalla testa di capra, forse Satana?”

Il Sabba delle Streghe” confermò Fukawa, “ce n’erano altri?”

“Uno solo, molto grande… una roba davvero assurda! C’era gente che veniva torturata, altri che si accoppiavano, creature mostruose… un personaggio addirittura suonava il flauto col sedere!”

Lo sconcerto di Aoi destò qualche risata ma non in Touko, che invece annuì: “Il Trittico del Giardino delle Delizie.

“Wow, li conosci tutti” annuì Mondo, impressionato dalla cultura della ragazza. Quest’ultima però non sembrò badarci, concentrata com’era sulle sue riflessioni: “Goya e Bosch…” borbottò, grattandosi il mento.

“Scelte assai particolari, se quella stanza veniva usata per dei bambini” commentò Togami, ma Touko aveva già la risposta pronta: “Asahina ha detto che in quel momento le è tornata in mente la teoria dei campi morfogenetici… se il tipo di esperimento che veniva condotto in quella stanza era simile allora quelle stampe potrebbero aver senso” disse, ancora una volta senza balbettare. “Nel libro si faceva riferimento a questa teoria applicata alla telepatia, ricordate? Forse cercavano un modo per trasmettere informazioni direttamente da una persona all’altra, usando i campi morfici.”

“Spiegati meglio” insistette Togami, e a Ishimaru sembrò di assistere a una partita di tennis tra secchioni.

“In pratica il gruppo che osservava le stampe doveva memorizzarle e mandarle al gruppo nell’altra stanza, che non poteva ovviamente vederle.”

“Uno scambio di informazioni mentale” commentò lo Scion, e lei annuì: “Ma con dei bambini presumo sarebbe stato difficile usare le foto dell’esperimento originale, sono volutamente confusionarie e un ragazzino delle elementari probabilmente non le avrebbe interpretate nella maniera giusta.”

“E in quel caso l’informazione non sarebbe stata trasmessa correttamente” intervenne Ishimaru, ricevendo un cenno d’assenso da Touko: “Esatto. Invece con le riproduzioni di quei quadri presumo sia stato più semplice.”

“Ma perché?” chiese Mondo. “Insomma sono inquietanti già per un adulto, un bambino avrebbe avuto gli incubi per notti e notti di fila!”

“Penso fosse quello il motivo. Un’immagine del genere spaventerebbe un bambino, soprattutto se costretto a fissarla intensamente” rispose lei, facendosi pensierosa “gli rimarrebbe molto più impressa, abbastanza da inviarla correttamente agli altri bambini. E p-per avere gli incubi dopo.”

Calò di nuovo il silenzio, e Ishimaru si trovò a riflettere su quanto Fukawa aveva appena detto: se aveva ragione, era di una crudeltà terribile. Ci sono torture fisiche ben peggiori, si disse, ma era un trauma da non sottovalutare. E nulla gli impediva di spingersi oltre, pensò. Poi però gli sovvenne una questione un po’ più pratica da sottoporre agli altri.

“Scusate, ma credo che adesso abbiamo un piccolo problema.”

Kirigiri si voltò a guardarlo: “Ovvero?”

“Beh, apparentemente abbiamo perlustrato tutto l’edificio e non sembrano esserci altre stanze.”

“Accidenti, hai ragione!”.

“Cazzo. E ora che facciamo?”.

Ben presto il brusio aumentò di volume, abbastanza da assordare quei due o tre che non si erano fatti prendere dalla frenesia. Quindi i soli Kirigiri, Togami, Naegi e Ishimaru stesso.

Ci furono alcuni tentativi di riportare l’ordine miseramente falliti, annegati nelle urla e nelle esclamazioni di carestia e devastazione. A quel punto Byakuya si scocciò, batté un piede per terra e strillò: “Allora, la vogliamo piantare di fare le scimmie o cosa? Non è il momento di lasciarsi andare al delirio”.

Orpo. Il Super Erede è ancora vivo, là dentro.

“To-Togami-san, porca vacca… non c’è bisogno di alzare così tanto la voce”.

“In quel caso era indispensabile invece, Naegi. Altrimenti mi dici come ce la caviamo se quelli non smettono di saltellare?”.

“Non approvo particolarmente il modo, ma il fine sì. Devono finirla se vogliamo trovare una soluzione all’inghippo”.

“Kirigiri-san, anche tu?”.

“Eh insomma Naegi-kun, quando ci vuole ci vuole”.

Se non altro lo scoppio d’ira di Togami servì allo scopo e in poco gli altri si quietarono.

“Innanzitutto” riprese il loro autoproclamato leader “siamo sicuri di aver aperto ogni singola porta che abbiamo trovato?”.

“Avanti Kirigiri, non trattarci come dei cerebrolesi. È chiaro che la risposta è sì, persino noi arriviamo a capire che non dobbiamo lasciar indietro nulla”.

“Ok ok, non volevo offendere nessuno. Detto ciò, non è possibile che ci sia sfuggita una botola? Una scala nascosta? Qualcosa di simile?”.

“Beh, in teoria sì…”.

“E allora cerchiamola. In marcia gente, in marcia”.

Cominciarono dal piano in cui si trovavano, che però era davvero spoglio di qualunque cosa utile. Scesero al primo e lo perlustrarono centimetro per centimetro, a vuoto. Il piano terra li deluse allo stesso modo.

“Cavolo” si lasciò sfuggire Asahina mentre si dirigevano verso il sotterraneo “è una faticaccia”.

“Non è il momento di lamentarsi. Hai sentito qualcun altro farlo?” la riprese Kyouko.

“Ehi, non aggredirmi così! Lo dicevo tanto per dire…”.

“E allora parla di meno e cerca di più”.

Uhm. Credo che stia esagerando. E se lo penso io…

“Kirigiri-san” le si avvicinò “secondo me stai pretendendo un po’ troppo”.

“Me lo vieni a dire tu, Ishimaru? Davvero?”.

“Capisco l’esigenza di trovare questa benedetta scala o qualunque cosa sia. Ma non vuol dire che debba comportarti come un sergente istruttore stereotipato uscito direttamente da un film di guerra. Guardali, sono distrutti. E anch’io avrei bisogno di un attimo di riposo. Tu pure”.

“Non possiamo permettercelo”.

“Cos’è, vuoi prenderti tu il merito dei nostri scalpi al posto di Zero?”.

L’accusa, in realtà non intesa con particolare serietà, sembrò sortire un effetto placebo su di lei. Dopo aver fatto un passo indietro, la faccia più stupita che una persona di ghiaccio come Kyouko sapesse esprimere, si disse d’accordo con le rimostranze e concesse qualche minuto di tregua.

“Scusami Kirigiri-san, forse sono stato troppo duro…”.

“No Ishimaru, non scusarti. Sono io ad essere stata troppo dura. Ho preteso troppo da voi… e da me stessa. Ogni tanto mi dimentico che il corpo non è d’acciaio come la volontà”.

“L’importante è che te lo sia ricordato ora. Quanto ci lasci per recuperare un po’ il fiato?”.

“...un quarto d’ora. Non un istante di più”.

“Avete sentito? Possiamo fermarci un attimo”.

“Voglio proprio vedere come può contare i minuti senza un orologio sottomano…” si permise di dire Oowada, prendendosi una bella lavata di capo per l’impudenza.

Capisco che questa brutta storia ci metta tutti in uno stato di massima allerta, Kirigiri-san. Ma strafare è pericoloso, fisicamente e moralmente.

Ishimaru si appoggiò al muro, discretamente sfinito. Avevano setacciato i tre piani superiori palmo per palmo, angolo per angolo, pallina di polvere per pallina di polvere. Era stato davvero sfiancante.

E ciononostante si trovò inconsciamente a sorridere vedendo i suoi compagni che approfittavano della pausa scherzando e ridendo. A parte alcuni musoni di professione, come Ikusaba e la stessa Kirigiri, gli altri cercavano di tenere alto il morale (proprio e di tutto il gruppo).

Una cosa piacevole. Sapeva di aver fatto la cosa giusta chiedendo un piccolo stop, essere in eccessiva tensione li avrebbe solo danneggiati.

Dopo un po’ arrivò un fastidioso richiamo all’ordine: “Ok ragazzi, alzate le chiappe. Vi siete riposati abbastanza”.

Sì, direi che possiamo riprendere.

Si diresse, in compagnia di Mondo e Touko, verso la stanza 2. Quella dove, stando ai resoconti, Ikusaba aveva impartito a Togami una piccola lezione di umiltà.

“Bene. Sapete cosa fare” disse rivolto agli altri due.

Lui si dedicò alla parte dove si trovava il poligono di tiro. Senza volerlo gli caddero gli occhi sulle famose sagome, ora ferme. Rabbrividì nel vederle crivellate di colpi.

Non faremo questa fine. Non possiamo fare questa fine. Non ce la meritiamo.

Ispezionò la zona. In un primo momento senza trovare nulla, salvo poi accorgersi di una sorta di rigonfiamento sul pavimento.

“Ehi, venite qua! Forse ho trovato qualcosa”.

Quando Mondo e Touko si avvicinarono, Ishimaru indicò loro qualcosa sotto una cassa che conteneva armi scariche: “Per com’era coperta potevamo non trovarla mai.”

Sotto a quella cassa c’era una botola.

   
 
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